Vita

La conferenza tenuta a Roma dalle Suore di Gesù redentore-Domenica 17 febbraio 2013

SUORE DI GESU’ REDENTORE – ROMA

INCONTRO SPIRITUALE MENSILE

DOMENICA 17 FEBBRAIO 2013 – ORE 15,30

 

“Anno della fede e conversione  personale permanente”.

La vita di conversione della serva di Dio, Victorine Le Dieu.

 

1.DAL VANGELO DI MARCO 1,15-26

In quel tempo, dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui. Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito

impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

 

2.CONVERTIRSI E CREDERE AL VANGELO

«Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Comincia così, nel Vangelo di Marco, l’annuncio di Gesù al mondo, il suo messaggio di salvezza. Con la venuta di Gesù spunta un’era nuova, l’era della grazia e della salvezza. E le sue prime parole sono un invito ad abbracciare la grande novità, la realtà stessa del Regno di Dio che egli pone alla portata di tutti, vicino a ogni uomo. Ed indica subito la strada: convertirsi e credere al Vangelo, e cioè cambiare radicalmente vita e accettare, in Gesù, la parola che Dio attraverso lui rivolge all’umanità di tutti i tempi. Sono due cose che vanno di pari passo: la conversione e la fede e non c’è l’una senza l’altra, ma l’una e l’altra scaturiscono al contatto con la parola viva, alla presenza di Gesù che anche oggi ripete alle folle: Convertitevi e credete al Vangelo.

Quello che opera la Parola di Dio accolta e vissuta è un completo mutamento di mentalità (= conversione). Trasfonde nei cuori di tutti: europei, asiatici, australiani, americani, africani i sentimenti di Cristo di fronte alle circostanze, al singolo e alla società.

Ma come può il Vangelo operare il miracolo di una profonda conversione, di una fede nuova e luminosa? Il segreto sta nel mistero che le parole di Gesù racchiudono. Esse non sono semplicemente esortazioni, suggerimenti, indicazioni, direttive, ordini, comandi. Nella parola di Gesù è presente Gesù stesso che parla, che ci parla. Le sue Parole sono egli stesso, Gesù stesso. E così noi, nella Parola lo incontriamo. E accogliendo la Parola nel nostro cuore, come egli vuole che sia accolta (e cioè essendo pronti a tradurla in vita) siamo uno con lui ed egli nasce o cresce in noi. Ecco perché ognuno di noi può e deve accogliere l’invito così pressante ed esigente di Gesù.

Qualcuno potrà considerare le parole del Vangelo troppo alte e difficili, troppo distanti dal modo di vivere e di pensare comune, e sarà tentato di chiudersi all’ascolto, di scoraggiarsi. Ma tutto questo accade se pensa di dover spostare da solo la montagna della sua incredulità. Mentre basterebbe si sforzasse di vivere anche solo una Parola del Vangelo per trovare in essa un aiuto inatteso, una forza unica, una lampada per i suoi passi . Perché quella Parola, essendo una presenza di Dio, il comunicarsi con essa rende liberi, purifica, converte, porta conforto, gioia, dona sapienza.

Quante volte nella nostra giornata questa Parola può esserci di luce! Ogni volta che ci scontriamo con la nostra debolezza o con quella degli altri, ogni volta che seguire Gesù ci sembra impossibile o assurdo, ogni volta che le difficoltà tentano di abbatterci, questa Parola può essere per noi un colpo d’ala, una boccata d’aria fresca, uno stimolo a ricominciare.

Basterà una piccola, rapida “conversione” di rotta per uscire dal chiuso del nostro io ed aprirci a Dio, per sperimentare un’altra vita, quella vera.

Se poi potremo condividere questa esperienza con qualche persona amica, che ha fatto anch’essa del Vangelo il proprio codice di vita, vedremo sbocciare o rifiorire intorno a noi la comunità cristiana.

Perché la Parola di Dio vissuta e comunicata fa anche questo miracolo: dà origine a una comunità visibile, che diviene lievito e sale della società, testimoniando Cristo in ogni angolo della terra.

 

3.DAL MOTU PROPRIO “PORTA FIDEI” DI PAPA BENEDETTO XVI

Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava: “Mentre Cristo, «santo, innocente, senza macchia» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce”.

L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29; 2Cor 5,17). (PF, 6).

 

4. DAL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

V. Le molteplici forme della penitenza nella vita cristiana

 

1434 La penitenza interiore del cristiano può avere espressioni molto varie. La Scrittura e i Padri insistono soprattutto su tre forme: il digiuno, la preghiera, l’elemosina, che esprimono la conversione in rapporto a se stessi, in rapporto a Dio e in rapporto agli altri. Accanto alla purificazione radicale operata dal Battesimo o dal martirio, essi indicano, come mezzo per ottenere il perdono dei peccati, gli sforzi compiuti per riconciliarsi con il prossimo, le lacrime di penitenza, la preoccupazione per la salvezza del prossimo, l’intercessione dei santi e la pratica della carità che «copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8).

 

1435 La conversione si realizza nella vita quotidiana attraverso gesti di riconciliazione, attraverso la sollecitudine per i poveri, l’esercizio e la difesa della giustizia e del diritto, attraverso la confessione delle colpe ai fratelli, la correzione fraterna, la revisione di vita, l’esame di coscienza, la direzione spirituale, l’accettazione delle sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa della giustizia. Prendere la propria croce, ogni giorno, e seguire Gesù è la via più sicura della penitenza.

 

1436  Eucaristia e Penitenza. La conversione e la penitenza quotidiane trovano la loro sorgente e il loro alimento nell’Eucaristia, poiché in essa è reso presente il sacrificio di Cristo che ci ha riconciliati con Dio; per suo mezzo vengono nutriti e fortificati coloro che vivono della vita di Cristo; essa «è come l’antidoto con cui essere liberati dalle colpe di ogni giorno e preservati dai peccati mortali».

 

1437 La lettura della Sacra Scrittura, la preghiera della liturgia delle Ore e del «Padre nostro», ogni atto sincero di culto o di pietà ravviva in noi lo spirito di conversione e di penitenza e contribuisce al perdono dei nostri peccati.

 

1438 I tempi e i giorni di penitenza nel corso dell’anno liturgico (il tempo della Quaresima, ogni venerdì in memoria della morte del Signore) sono momenti forti della pratica penitenziale della Chiesa. Questi tempi sono particolarmente adatti per gli esercizi spirituali, le liturgie penitenziali, i pellegrinaggi in segno di penitenza, le privazioni volontarie come il digiuno e l’elemosina, la condivisione fraterna (opere caritative e missionarie).

 

1439 Il dinamismo della conversione e della penitenza è stato meravigliosamente descritto da Gesù nella parabola detta «del figlio prodigo» il cui centro è «il padre misericordioso»: il fascino di una libertà illusoria, l’abbandono della casa paterna; la miseria estrema nella quale il figlio viene a trovarsi dopo aver dilapidato la sua fortuna; l’umiliazione profonda di vedersi costretto a pascolare i porci, e, peggio ancora, quella di desiderare di nutrirsi delle carrube che mangiavano i maiali; la riflessione sui beni perduti; il pentimento e la decisione di dichiararsi colpevole davanti a suo padre; il cammino del ritorno; l’accoglienza generosa da parte del padre; la gioia del padre: ecco alcuni tratti propri del processo di conversione. L’abito bello, l’anello e il banchetto di festa sono simboli della vita nuova, pura, dignitosa, piena di gioia che è la vita dell’uomo che ritorna a Dio e in seno alla sua famiglia, la Chiesa. Soltanto il cuore di Cristo, che conosce le profondità dell’amore di suo Padre, ha potuto rivelarci l’abisso della sua misericordia in una maniera così piena di semplicità e di bellezza.

 

5.L’ITINERARIO SPIRITUALE DELLA SERVA DI DIO  VICTORINE LE DIEU.

“Il nostro tempo – scriveva la Serva di Dio – ha più che mai bisogno di redenzione e di riconciliazione”.  Il nostro tempo, riconosciamo con grande senso di responsabilità e di umiltà, diciamo noi,  ha più che mai urgente bisogno di riconciliarsi con tante cose (con Dio, con noi stessi e la nostra coscienza, con gli altri, con il mondo, ecc..), di pentirsi sinceramente del male che si fa e di ricominciare una vita nuova nella fede, speranza, carità profondamente convinti che il cammino è lungo e faticoso per raggiungere apprezzabili risultati in questo campo.

Di esempio ci è senz’altro la Serva di Dio, Madre Victorine Le Dieu il cui carisma è l’adorazione, la riconciliazione e la riparazione.

Per Victorine tutto inizia da una profonda vita interiore. Attraverso i suoi scritti scopriamo come la Parola di Dio è per lei cibo quotidiano. “È certo che la Parola di Dio nutre e consola. Molte volte ho ringraziato Dio per avermela fatta amare”.

L’Eucaristia è al centro della sua vita: passa lunghe ore in adorazione e approfondendo la vita eucaristica potrà anche lei diventare eucaristia per i fratelli, pane offerto e spezzato per rispondere alla fame dell’umanità: fame di Dio, fame di libertà… ma soprattutto si sentirà fortemente interpellata dalla fame di amore e di dignità da parte di tanti fratelli emarginati, disgregati, per niente calcolati dalla società.

Quest’unione profonda col Signore la conduce necessariamente verso un’esperienza di purificazione attraverso il sacramento della riconciliazione che riceve con frequenza e verso un’ascesi che le fa vivere con gioia penitenze, mortificazioni, sofferenze di ogni genere… La sua obbedienza al Padre è totale… il suo abbandono completo! Segue senza mai fermarsi la volontà di Dio espressa tramite la voce della Chiesa e gli avvenimenti della storia. La sua castità non la racchiude in se stessa, anzi la porta ad una grande liberazione dalle cose e dalle persone per poter abbracciare il mondo intero e le sue necessità. Ben nota è la sua povertà! Quante volte si ritrova senza niente, ma si affida fiduciosa alla Provvidenza in un completo atto di abbandono!

In tutti questi avvenimenti conserva la pace, una pace immensa che può provenire solo da Dio. “Sono come Giobbe” scrive. E ancora: “Ecco, sono arrivata sul calvario, spogliata di tutto, mi resta solo di stendermi sulla croce”.

Tuttavia per lei non c’è niente di drammatico, vive tutto con gioia e al momento più duro esclama: “Che gioia essere abbandonata in Dio per sempre! Con la pace, fonte della gioia del cuore, la vita non è mai turbata”. “Cantiamo le tue lodi, Signore, in mezzo a tante privazioni e desideri impotenti perché Tu vedi tutto!”.

Il suo amore per la Madonna è grande; non si tratta di una semplice devozione che si esaurisce in formule, ma di un ripetere ciò che Maria stessa ha fatto. E’, possiamo dire, una devozione biblica incarnata. Ella medita l’atteggiamento di Maria, fa suo il Fiat dell’annunciazione che scandisce tutta la sua esistenza.

La sua esperienza carismatica la porta ad un profondo ascolto dei segni dei tempi…

La voce interiore si fa sempre più pressante: è la chiamata a riparare, riconciliare, aiutare l’uomo diviso in se stesso, con Dio, con la società a ritrovare l’unità, collaborare all’opera di Cristo Redentore venuto nel mondo per riportare il creato alla sua vocazione d’origine nell’unità della Trinità.

Vuole coinvolgere uno stuolo di persone di ogni condizione che, ponendo Cristo al centro della loro vita, collaborino alla missione di redenzione e di riconciliazione.

Desidera che nell’universo intero il memoriale della morte e resurrezione del Signore sia costantemente commemorato. Aspira a fare in modo che il mondo intero diventi eucaristia!

In un primo tempo si sente spinta a fondare una famiglia religiosa totalmente dedita all’adorazione riparatrice ed al culto liturgico, ma, alla richiesta del Papa di dedicarsi alle opere di misericordia nel mondo, ella incarna la sua missione nel duplice aspetto di: • contemplazione attraverso l’adorazione e il culto liturgico; • dedizione verso tutti coloro che, secondo i tempi e i luoghi, hanno bisogno di essere riconciliati in loro stessi, con Dio, con i fratelli.

In lei si compie un doppio movimento: • tutto riceve dall’Eucaristia e tutto dà in gesti concreti d’amore; • poi di nuovo nell’Eucaristia offre, insieme a Cristo, l’umanità intera perché, nella forza dello Spirito, sia restaurata nell’unità della Trinità.

Sempre fedele al progetto di Dio, ella esplicita chiaramente le opere che ritiene prioritarie e l’ideale che dovranno vivere coloro che la seguiranno: infanzia abbandonata, case di preghiera, case di accoglienza…

Le scelte apostoliche di Victorine erano a quel tempo vere sfide profetiche e con coerenza di vita lotta fino alla fine per poter realizzare il suo ideale. Vuole viverlo in verità e chiede di fare lo stesso a tutti quelli che, sulle sue orme, sceglieranno di cooperare nel mondo all’opera di Cristo Redentore. È aperta ad ogni situazione di sofferenza che deturpa il volto di Cristo presente nei fratelli.

Il suo messaggio continua dunque ad essere molto attuale e ci interpella con forza a vivere, sul suo esempio, questa triplice fedeltà: • alla Parola • alla Chiesa • al mondo.

Partendo dalla sua esperienza carismatica potremo intra-prendere nuove strade verso la civiltà dell’amore perché, come ci ricorda Victorine: “Solo quando avremo il cuore saldamente ancorato in Dio potremo chinarci sull’abisso del male per aiutare gli altri ad uscirne”.

 

5. CONCLUSIONE

Dobbiamo avere e coltivare quotidianamente e costantemente una nostalgia della riconciliazione e della conversione, come afferma il Beato Giovanni Paolo II, nell’Esortazione apostolica “Riconciliazione e Penitenza”, al n. 3: “Eppure, lo stesso sguardo indagatore, se è sufficientemente acuto, coglie nel vivo della divisione un inconfondibile desiderio da parte degli uomini di buona volontà e dei veri cristiani di ricomporre le fratture, di rimarginare le lacerazioni, di instaurare, a tutti i livelli, un’essenziale unità. Tale desiderio comporta in molti una vera nostalgia di riconciliazione, pur se questa parola non è usata.  Per taluni si tratta quasi di un’utopia, che potrebbe diventare la leva ideale per un vero mutamento della società; per altri, invece, è oggetto di un’ardua conquista e, quindi, un traguardo da raggiungere con un serio impegno di riflessione e di azione. In ogni caso, l’aspirazione a una riconciliazione sincera e consistente è, senza ombra di dubbio, un motivo fondamentale della nostra società, quasi riflesso di un’incoercibile volontà di pace; lo è – anche se ciò è paradossale – tanto vigorosamente, quanto pericolosi sono gli stessi fattori di divisione.  Tuttavia, la riconciliazione non può essere meno profonda di quanto non sia la divisione. La nostalgia della riconciliazione e la riconciliazione stessa saranno piene ed efficaci nella misura in cui giungeranno – per guarirla – a quella lacerazione primigenia, che è radice di tutte le altre ed è il peccato”.

Da parte sua Il cardinale Carlo Maria Martini, recentemente scomparso, scrive: “Questa esperienza di pace e riconciliazione interiore la facciamo soprattutto quando diamo a Dio tempi gratuiti di preghiera, di silenzio, di ascolto della Parola; quando siamo fedeli alla preghiera quotidiana, senza fretta, con calma, con amore; quando dedichiamo a Dio con gioia il tempo della Messa domenicale (e arriviamo a viverla avendola preparata durante la settimana); quando lasciamo che dalle nostre labbra scaturisca la lode al Padre, il ringraziamento per le cose belle e buone che ci dà, per le persone che incontriamo e anche per gli eventi sofferti di cui non capiamo subito il senso”.

Nocelleto di Carinola (Ce). Settimana eucaristica predicata da P.Rungi

DSC06003.JPGSarà padre Antonio Rungi, missionario passionista, da lunedì 18 a sabato 23 febbraio 2013 a predicare la settimana eucaristica nella chiesa parrocchiale di San Sisto, in Nocelleto di Carinola (Ce), parrocchia guidata da don Osvaldo Morelli. Padre Rungi detterà la meditazione durante la messa serotina delle ore 18.00 nella chiesa parrocchiale. La tradizione di dedicare durante la Quaresima una settimana al culto eucaristico fuori della messa, che vanno sotto il nome di Qurantore, parte da lontano e soprattutto nelle parrocchie del Sud si è consolidata con particolare solennità esteriore. Quest’anno poi la settimana assume uno speciale significato sia per l’anno della fede e sia per la notizia della rinuncia del Santo Padre, Benedetto XVI, al ministero petrino. Sarà una settimana di preghiera intensissima sia per riportare al centro della vita di ogni cristiano la santa messa e il sacramento dell’eucaristia e soprattutto per riflettere sul dono della fede, che deve essere a cuore per tutti noi credenti. Certamente in questi giorni pregheremo in modo speciale per il Santo Padre, Benedetto XVI, che come lui stesso ha annunciato, lascerà il ministero petrino il giorno 28 febbraio e parimenti davanti al santissimo sacramento pregheremo per il nuovo Papa. L’eucaristia o comunione è il sacramento dell’unità, della pace, della serenità. Possa il Signore donare serenità, pace e comunione a tutta la chiesa cattolica in questo momento storico di grande sofferenza, ma anche di grande attesa per quello che lo Spirito Santo opererà nella comunità ei credenti e specialmente nella gerarchia ecclesiastica con l’uscita di scena di Papa Benedetto XVI e l’arrivo del nuovo Pontefice al quale presteremo, come a tutti i Papi, filiale obbedienza e ci porremmo in ascolto del suo magistero e del suo insegnamento. In questi giorni eucaristici noi faremo sentire la nostra preghiera quasi fisicamente a Papa Benedetto, al quale va tutto il nostro infinito grazie per il servizio che ha svolto nella Chiesa come pastore universale e maestro di vita e di spiritualità.

Domani 14 febbraio importante convegno alla Lateranense

Cruz_Cipriani Giovanni_Mapa do Brasil_a_2003.JPG“La fede nasce dall’ascolto della Croce”, è questo il tema del Seminario di studi promosso dalla Cattedra Gloria Crucis, presente nell’Università Teologia Lateranense in Roma e che si svolgerà il giorno 14 febbraio 2013, giovedì, alla Lateranense.
Il seminario sarà anche l’occasione per riflettere sulla rinuncia del Santo Padre, Benedetto XVI, al ministero petrino, per motivi di salute e per il bene della Chiesa. La Lateranense che è l’Università del Papa è il luogo ideale per approfondire questo tema, da un punto di vista teologico, ecclesiologico e canonico. I passionisti, infatti, sono impegnati da anni nella Lateranense, per  portare avanti un progetto di particolare attenzione sul mistero del Cristo Crocifisso e sulla Memoria Passionis, secondo il carisma del loro fondatore, San Paolo della Croce. Il Verbum Crucis è infatti centrale nella loro spiritualità, ma anche nel loro impegno di evangelizzazione. Da qui la concentrazione in questo seminario di studi sul tema della fede, che nasce dalla parola della Croce. Nell’anno della fede, non poteva mancare questa accentuazione del mistero della redenzione del genere umano, partendo dal Crocifisso e dalla Passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, cuore di tutta la fede cristiana. Dopo la celebrazione del capitolo generale, nel settembre-ottobre scorso, anche i passionisti italiani stanno in fase di nuova organizzazione e sistemazione giuridica, ma anche di stile di vita. Con la nuova configurazione intitolata al Vescovo Martire, il beato Eugenio Bossilkov, tutti passionisti delle sei ex-province italiane stanno portando avanti un progetto di nuova evangelizzazione, partendo proprio dalla fede nel Cristo Crocifisso e Risorto. Il seminario di studi si inquadra in questa ottica di formazione teologica, biblica, spirituale e pastorale permanente, dalla quale nessun religioso si deve sentire esentato, in quanto nell’aggiornamento sistematico, essi possono riscoprire il dono della vocazione della missione nella Chiesa e nel mondo contemporanei.  Tematica e programma del seminario: “La fede nasce dall’ascolto della Croce. “Abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi (1Gv 4,16)”.

SESSIONE MATTUTINA – Ore 9,00. Presentazione e Moderatore: Prof. Fernando Taccone, cp, Direttore della Cattedra Gloria Crucis. Saluto: S.E. Mons. Enrico DAL COVOLO, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense. Relazione: Credere di fronte al Verbum crucis del Prof. Romano Mons. Penna, biblista emerito della Pontificia Università Lateranense. Dialogo.11, 30 Intervallo. 12.00  Comunicazione: Fede e Croce nell’insegnamento del Concilio Vaticano II, Prof. Renzo Mons. Gerardi, Facoltà di Teologia, PUL. Dialogo.Ore 13.00, Pausa pranzo.

SESSIONE VESPERTINA – Ore 15,00. Relazione: La fede di Maria “una spada ti trafiggerà l’anima” (Lc 2,35), a cura del Prof. Aristide Serra, osm, Pontificia Facoltà Teologica “Marianum”. Dialogo. 16,30 Intervallo. 16,45 Tavola Rotonda: I mass-media sulla fede, di fronte alla sofferenza e alla morte, interverranno: Dott. Ciro BENEDETTINI  passionista, Vice Direttore della Sala Stampa Vaticana; Dott. Luigi
Accattoli, vaticanista, Dott. Aldo Maria VALLI, vaticanista. 18.00 Conclusione dei lavori.

P.Antonio Rungi cp

Le dimissioni annunciate di Papa Benedetto XVI

papabenedettodimissioni.jpg

Le dimissioni del Papa, Benedetto XVI

 

di P.Antonio Rungi cp

 dimissionipapa-def.pdf

La notizia delle dimissioni del Santo Padre, Benedetto XVI, un filmine a ciel sereno, ha lasciato interdetto  e presi alla sprovvista tutti, anche se più di qualche volta il Papa aveva fatto intendere di questa possibilità, qualora ci fossero state le condizioni per rassegnare le dimissioni. E ciò è avvenuto oggi 11 febbraio 2013 quando il Papa parlando ai cardinali nel concistoro tenuto per la canonizzazione di altri tre santi, ha detto senza mezzi termini la sua opinione ed ha indicato anche le modalità e il tempo in cui la sede di Pietro sarà vagante, ovvero dalle ore 20.00 del prossimo 28 febbraio 2013. Personalmente sono molto rattristato per questa notizia, anche perché non siamo stati abituati all’idea delle dimissioni di Papa, dopo l’esperienza drammatica e di sofferenza di Papa Giovanni Paolo II, che portò a termine il suo mandato, nonostante una gravissima malattia che lo rese praticamente inabile per diversi mesi, se non anni. Oggi è Beato Giovanni Paolo II anche perché ha portato a termine il suo mandato. Per Papa Benedetto XVI tutto il massimo rispetto e la comprensione ed il suo gesto è sicuramente tra quelli profetici e che passano nella storia come indicatori di marcia soprattutto su alcuni temi. Il primo è che il Papa, in base dal diritto canonico, può liberamente dimettersi in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione. Cosa che ha fatto, dopo circa 800 anni dall’ultima dimissione che si registra nella Chiesa di un Sommo Pontefice, che fu quella di Papa Celestino V, passato alla storia come il Papa del Gran Rifiuto per alcuni, mentre per altri il Papa coraggioso e profetico che seppe fare una scelta di coscienza e di responsabilità. Stessa cosa per Papa Benedetto XVI: una scelta di grande senso di responsabilità e di amore verso la Chiesa.

 

Ecco quello che ha detto nella sua dichiarazione questa mattina davanti al collegio cardinalizio:

 

Carissimi Fratelli,

 

vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice. Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio.

Dal Vaticano, 10 febbraio 2013

BENEDICTUS PP XVI

 

Commento

 

Il Papa ha rispettato in toto la prassi canonica prevista per questi casi eccezionali. Leggiamo infatti nel Codice di Diritto Canonico che è la legge della Chiesa Cattolica tutto ciò che attiene alla persona e all’ufficio del Papa.

 

Il Diritto canonico

 

Articolo 1 – Il Romano Pontefice.

Can. 331 – Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l’ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente.

 

Can. 332 – §1. Il Sommo Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa con l’elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale. Di conseguenza l’eletto al sommo pontificato che sia già insignito del carattere episcopale ottiene tale potestà dal momento dell’accettazione. Che se l’eletto fosse privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato Vescovo.

 

§2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.

 

Can. 333 – §1. Il Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, ha potestà non solo sulla Chiesa universale, ma ottiene anche il primato della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti; con tale primato viene contemporaneamente rafforzata e garantita la potestà propria, ordinaria e immediata che i Vescovi hanno sulle Chiese particolari affidate alla loro cura.

 

§2. Il Romano Pontefice, nell’adempimento dell’ufficio di supremo Pastore della Chiesa, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi e anzi con tutta la Chiesa; tuttavia egli ha il diritto di determinare, secondo le necessità della Chiesa, il modo, sia personale sia collegiale, di esercitare tale ufficio.

 

§3. Non si dà appello né ricorso contro la sentenza o il decreto del Romano Pontefice.

 

Can. 334 – Nell’esercizio del suo ufficio il Romano Pontefice è assistito dai Vescovi, che possono cooperare con lui in diversi modi, uno dei quali è il sinodo dei Vescovi. Inoltre gli sono di aiuto i Padri Cardinali e altre persone, come pure diverse istituzioni, secondo le necessità dei tempi; tutte queste persone e istituzioni adempiono in suo nome e per sua autorità l’incarico loro affidato per il bene di tutte le Chiese, secondo le norme determinate dal diritto.

 

Can. 335 – Mentre la Sede romana è vacante o totalmente impedita, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale; si osservino invece le leggi speciali emanate per tali circostanze.

 

Considerazioni

Dopo queste considerazioni di carattere giuridico, non ci resta che pregare ed attendere l’elezione del nuovo Papa, che potrà avvenire entro la Pasqua del 2013.

A Papa Ratzinger diciamo semplicemente un infinito grazie per tutto quello che ha fatto, detto, realizzato, costruito, rettificato, ripreso, preannunciato, profetizzato in otto anni di servizio alla Chiesa nel massimo ufficio e grado della gerarchia ecclesiastica. Il suo gesto profetico vuol significare per noi cattolici del XXI secolo che anche il Papa, giunto ad un certo punto e non avendo più le forze, possa rassegnare liberamente le dimissioni. Un esempio quello di Papa Benedetto XVI che tanti dovrebbero seguire in tanti campi e non solo in quello ecclesiastico.

 

E per lui un bellissimo racconto in cui c’è la sintesi di quanto è successo oggi e succederà negli anni futuri. Nel nostro cuore resterà come il Papa teologo, pastorale, catechista, coraggioso, scrittore, musicista, sensibilissimo nonostante le apparenze e nonostante la sua origine tedesca. Un Papa “tedesco” che di tedesco aveva solo la nazionalità, mentre il suo pensiero e il suo cuore ha viaggiato e continuerà a viaggiare sulle grandi ali della libertà, ben sapendo che anche come Papa dimissionario, che vivrà nel monastero entro le mura vaticane, che fede e ragione sono due ali per incontrare il Signore: lui le ha utilizzate entrambi per giungere a questa decisione, che tutti rispettiamo e che faremo rispettare a chi mai ha nutrito rispetto e amore verso Papa Benedetto XVI, un uomo di Dio e un uomo della provvidenza e della luce sulla chiesa e sul mondo contemporaneo.

 

Il vecchio saggio della città.

 

di P.Antonio Rungi

 

C’era un anziano signore, che abitava verso la collina più alta dove era situata la città, chiamata dai sette colli. Era considerato il saggio  del villaggio.

Dalla mattina alla sera, vegliava e pregava, nella speranza che tutto si svolgesse regolarmente e serenamente nel contado. Spesso le cose andavano nel verso giusto, ma tante altre volte le cose non andava per niente bene.

Ogni giorno si domandava se fosse colpa sua, se le cose non andavano secondo un preciso concetto di efficienza che si era determinato tra coloro che governavano il paese.

Pensando e ripensando alle tante cose che non andavano un giorno chiese lumi al suo padre spirituale, al quale aprì tutto il suo cuore e tutta la sua sofferenza.

Il padre spirituale e confessore che conosceva bene la statura morale, umana, spirituale ed intellettuale del vecchio saggio, gli disse semplicemente: “Hai ragione, le cose non sono come prima ed ora tu non ce la fai più a portare il peso e la fatica di essere di guida agli altri. Pensaci bene, una via di salvezza e di uscita per te e per gli altri c’è sempre”.

Il vecchio saggio allora pensò per mesi ed anni cosa fare, se lasciare o meno il suo incarico di guida per ritirarsi nel deserto a pregare.

E dopo attenta riflessione arrivò alla decisione che era giunto il tempo di non più procrastinare la decisione. Dopo una notte vissuta in preghiera, a prima mattina, convocò tutti i suoi consiglieri più stretti e con grande semplicità, senza drammatizzare, mettendo a nudo la sua debolezza fisica, conseguente all’età avanzata, decise ufficialmente di lasciare il colle più alto della città e ritirarsi nella solitudine per continuare a pregare ed attendere con fede il momento del trapasso.

All’annuncio dell’imminente abbandono, tutti furono presi dal dolore e dalla nostalgia, ma qualcuno nel profondo del suo cuore incominciò a gioire, perché quel vecchio saggio era la sua coscienza critica e il suo continuo richiamo ai valori più alti della vita umana.

Altri per la verità confidavano che fosse arrivato il tempo per salire anch’essi sull’alto colle, dove si vedeva la città e si dominava il panorama, ben contenti della decisione di quell’uomo saggio.

Arrivò il tempo del saluto ultimo del vecchio saggio e chi era stato da lui guidato pianse amaramente, perché non avrebbe visto più il suo volto e non avrebbe più sentita la sua voce. Aveva solo la speranza che lui continuasse a pregare per la sua anima e per il bene della città.

Confidava pure che continuasse a far pervenire a quanti avevano stima di lui un messaggio cifrato in pillole di amore, sapienza ed intelligenza, saggezza e bontà come era stata l’intera sua vita, ormai verso fine.

Quel saggio, contrariamente alle aspettative dei detrattori, visse ancora molti anni. E ritirandosi tra le mura di un monastero, non faceva altro che pregare e continuare a scrivere.

Con lui, però, aveva portato “due grandi e semplici amori della sua vita”: il pianoforte del papà e il gattino che un giorno aveva incontrato per strada e gli aveva fatto compagnia quando era un semplice mortale e viveva a valle.

Nei momenti di profonda solitudine e di amarezza per quanto non era riuscito a fare quando era nelle piene sue facoltà fisiche, si dava alla musica e dalle mani non più leste e leggere di una volta continuavano ad uscire brani musicali che chi li ascoltava toccava il cielo con le mani.

Quando era triste per le tante incomprensioni avute con i più vicini e stretti collaboratori, si abbracciava teneramente il gattino, quasi a sfiorare con la tenerezza del cuore e l’affetto di un padre ogni persona che aveva incontrato nel suo lungo itinerario di saggio.

Un giorno quel saggio morì e lasciò scritto nel suo breve testamento queste semplici e sante parole: “Sono stato un umile servo nella vigna del Signore ed ora il buon Dio voglia premiare i miei sforzi di essergli stato fedele fino alla fine”.

Quel saggio fu seppellito tra le persone semplici di un cimitero nascosto, dove solo pochi lo andavano a trovare per pregarlo e dirgli semplicemente grazie.

Nel frattempo sull’alto colle salì un altro saggio che non era tra i candidati e pronosticati a svolgere il ruolo del sapiente del villaggio.

La gioia dei cittadini di avere un nuovo uomo saggio alla guida del villaggio ben presto si trasformò in critica, rimpiangendo il saggio di prima, che tanto bene aveva lasciato nella mente e nel cuore della gente.

Per il nuovo saggio del villaggio ci vollero degli anni per poter entrare nel cuore dei cittadini e farsi amare meglio e più dei suoi predecessori, perché anche lui aveva messo in conto una cosa importante valida per chi sale i colli e vive in alta montagna e per chi vive nella valle delle lagrime: “che nulla è eterno e definitivo su questa terra, perché tutto passa, ma solo Dio resta”.

 

Questa era la mia preghiera scritta per Papa Benedetto, esattamente un anno fa.

  

Preghiera per papa Benedetto XVI – Padre Antonio Rungi, passionista

 

Signore, che doni una lunga vita
a quanti sono forti nel corpo e nello spirito
ti ringraziamo per gli 85 anni di vita
del Romano Pontefice, Papa Benedetto XVI.
Dona al pastore universale della chiesa,
per moltissimi anni ancora,
una lunga e salutare vita,
per il bene dell’intera umanità.
Nel costante servizio alla verità, alla vita,
alla giustizia e alla pace universale,
fa’ che ogni sua parola, proclamata nel Tuo nome,
possa raggiungere il cuore di quanti credono,
e di quanti non credono,
di quanti sono artefici delle sorti delle nazioni
e di quanti sono operatori di violenza di ogni genere.
Non permettere, Signore della vita e della storia,
che il successore di Pietro,
in questo inizio del nuovo millennio,
soffra a causa della poca fede nella chiesa e nel mondo,
della scarsa carità non vissuta dai piccoli e dai grandi,
dall’assenza della speranza che più non alberga
nel cuore del genere umano.
In questa tappa importantissima
della sua avventura terrena ed umana,
dona a Papa Benedetto, la serenità, la pace,
il sorriso e la gioia di vivere di uomo di Dio,
quale pastore universale del popolo eletto,
sparso su tutta la terra e in cammino verso i pascoli eterni.
Conservalo sempre di più nelle energie fisiche,
umane e spirituali, perché possa continuare
il suo alto magistero in mezzo all’umanità,
segnata da tanti dubbi, incertezze e smarrimenti,
perché la sua parola, pronunciata nel Tuo nome, Dio di verità,
ne possa illuminare la strada e indicarne la direzione finale.
Dona, o Signore, a Papa Benedetto,
la tua santa benedizione dal cielo,
e, per intercessione della Vergine benedetta,
concedi a lui il sollievo da tante sofferenze
causate dai membri della chiesa,
e di quanti avversano la barca di Pietro.
Possa il suo cuore e la sua mente
di sapiente ed oculato Pontefice,
godere di una lunga e serena vita,
come semplice e umile lavoratore nella Vigna del Signore.
Amen.


(Padre Antonio Rungi, passionista)

 

 

 

Bevenento. La celebrazione in cattedrale della giornata della vita consacrata.

01.jpgDopo l’apertura della Cattedrale di Benevento, anche la giornata della vita consacrata, in programma il 2 febbraio 2013, si svolgerà nella chiesa madre dell’Arcidiocesi del capoluogo sannita, con una solenne celebrazione eucaristica, presieduta dall’arcivescovo di Benevento, monsignor Andrea Mugione, il 2 febbraio 2013, alle ore 17,30, di ritorno dalla visita ad limina in Vaticano, da Papa Benedetto XVI, che ha ricevuto in questa settimana tutti i vescovi della regione ecclesiastica campana, con tre metropolie, tra cui quella di Benevento. Il vicario episcopale per la vita consacrata, Fr. Giuseppe Falzarano, francescano, ha inviato a tutti i religiosi e religiose dell’arcidiocesi una lettera di comunicazione per la fausta annuale ricorrenza della giornata della vita consacrata, la diciassettesima, che quest’anno assume un particolare significato, essendo in svolgimento l’anno della fede. Durante la celebrazione nella cattedrale di Benevento sarà festeggiati tutti i religiosi e le religiose che celebrano quest’anno il loro giubileo di consacrazione dal signore, con 25-50-60 e 70 anni di professione religiosa perpetua. Questo l’articolato programma della celebrazione: ore 16.30: Rosario meditato. ore 17.00: Nel piazzale antistante alla Basilica-Cattedrale, inizio della concelebrazione Eucaristica, con la benedizione delle candele, presieduta dall’Arcivescovo, Mons. Andrea Mugione. Segue, poi la processione attraverso la porta giubilare. Ore 21:00: Presso la “Basilica Maria SS. Delle Grazie” in Benevento, tradizionale Veglia eucaristica-mariana del 2 del mese, presieduta da S. E. Mons Francesco Zerrillo, vescovo emerito di Lucera – Troia e animata dai religiosi e dalle religiose. Scrive Fr. Giuseppe Falzarano, in occasione di questa 17° Giornata della Vita Consacrata: “Siamo chiamati a prepararci con la preghiera e con l’approfondimento, facendo tesoro del messaggio che anche quest’anno la Commissione Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata ha voluto donarci, e che io vi invio, dal titolo: “Testimoni” e Annunciatori della fede. In esso i Vescovi tra l’altro dicono “La celebrazione della Presentazione di Gesù al tempio ci orienta a Cristo, vera luce di tutte le genti, principio e fondamento della fede e della vita cristiana. Tale orientamento è sostenuto anche dall’Anno della fede che, come ci dice Benedetto XVI, «è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo» (Motu proprio Porta Fidei, n. 6).». […]Tale celebrazione parla in modo del tutto particolare a coloro che sono chiamati a una speciale consacrazione. […]La Chiesa sente forte, in questo tempo, l’impegno di «una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede» (BENEDETTO XVI, Motu proprio Porta Fidei, n. 7); […]In questo contesto ecclesiale e culturale e in questo tempo peculiare si inserisce la testimonianza dei consacrati. […] Siate testimoni e annunciatori della fede con la qualità della vostra vita spirituale, della vostra vita comunitaria e del vostro servizio al prossimo”.L’arcidiocesi di Benevento ha attualmente circa 50 comunità religiose femminili con oltre 200 suore e 22 comunità maschili, con 75 sacerdoti. Le suore sono impegnati in vari settori della pastorale dell’infanzia e della gioventù; mentre i religiosi sono impegnati prevalentemente nelle parrocchie. L’arcidiocesi di Benevento si caratterizza con un territorio da un punto di vista monastico come francescana, in quanto la maggior parte degli istituti maschili e femminili di vita consacrata appartengono a tre ordini francescani. Minori, Cappuccini e Conventuali. E’ arcidiocesi di San Pio da Pietrelcina, in quanto Pietrelcina è un piccolo paese del Sannio che è nella giurisdizione dell’Arcidiocesi di Benevento. Padre Pio, sodo il suo ingresso nell’ordine dei Cappuccini e l’iter formativo in vista del sacerdozio fu ordinato presbitero proprio nel Duomo, oggi Cattedrale, di Benevento il 10 agosto 1910. Nell’arcidiocesi di Benevento, i religiosi da sempre sono presenti ed hanno operato per il bene spirituale, morale, civile di intere popolazioni, soprattutto dove anticamente e recentemente mancavano i sacerdoti diocesani. D’altra parte, “la vita consacrata –come ricorda il Beato Giovanni Paolo II- profondamente radicata negli esempi e negli insegnamenti di Cristo Signore, è un dono di Dio Padre alla sua Chiesa per mezzo dello Spirito”. Questo dono è ricco ed abbondante nell’arcidiocesi di Benevento.

Padre Antonio Rungi cp

Frattamaggiore (Na). La meditazione per il ritiro mensile- Gennaio 2013

ANCELLE DEL SACRO CUORE DI GESU’ DI CATERINA VOLPICELLI

RITIRO MENSILE DELLE ANCELLE –PICCOLE ANCELLE ED AGGREGATE

EDUCARCI ED EDUCARE ALLA FEDE SULLE ORME

 DI CATERINA VOLPICELLI

 

La fede, un cammino

 

1. LA FEDE, UN VIAGGIO DI FIDUCIA E SPERANZA IN DIO

 

Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. (Gen 12,1)

 

Tu, figlio dell’uomo, fatti un bagaglio da esule e di giorno, davanti ai loro occhi, preparati a emigrare; davanti ai loro occhi emigrerai dal luogo dove stai

verso un altro luogo. (Ez 12,3)

 

Spesso, ciò che si cerca non lo si trova alla fine del cammino, ma lungo la strada. Ogni partenza è un’iniziazione alla vita. Perché solo chi parte rimane, solo chi parte non si allontana, solo chi parte non si smarrisce. Questa frase sembra un insieme di paradossi, e accade molto spesso di pensare che sia vero esattamente l’opposto: chi non parte rimane, chi sta fermo non si allontana, chi non si muove non si perde, non si smarrisce. In realtà, questo è

forse vero per le cose, ma non è così per gli esseri viventi, soprattutto non è così per le persone. Pensiamo, per esempio, a un bambino che sta per nascere: egli si trova in uno stato di «equilibrio perfetto» in cui non c’è spazio per lo sviluppo di stati emotivi come il senso di solitudine, il sentimento del bisogno, la paura e l’angoscia. La nascita rappresenta la perdita di questo equilibrio perfetto: è la rottura dell’unità originaria, è l’irruzione di un pericolo che minaccia la vita stessa del nascituro, è l’apertura dello spazio e l’inizio del tempo, intesi come coscienza della “separazione” (dalla madre) e della “mancanza” (di cibo, di calore, di sicurezza). Ma la nascita è anche l’unica possibilità che, pur comportando un pericolo ineliminabile, può dirsi realmente aperta alla vita. Dicevamo dunque, solo chi parte rimane: se il bambino non “partisse”, se cioè potesse evitare di nascere, per ciò stesso non potrebbe vivere, perché esistere è “venire alla luce”! E, solo chi “viene alla luce”, rimane. Dicevamo poi, solo chi parte non si allontana: se il bambino non iniziasse il suo viaggio, se non accettasse di patire la strettezza di quel “primo passaggio”, non potrebbe “venire vicino” e essere preso in braccio. In questo senso, solo chi rischia di attraversare i passaggi decisivi – spesso angusti – della vita, non si allontana da se stesso e da coloro che lo amano. Infine, solo chi parte non si smarrisce: se il bambino si rifiutasse di nascere non saprebbe mai che cosa ha perduto; e, proprio il “voler rimanere” al calore del seno materno, gli farebbe perdere il sentiero della vita. Per questo, solo chi si affida al “richiamo che impone di andare” non si smarrisce.

Così è anche per noi: ogni partenza è anche un parto da cui viene alla luce un uomo nuovo: se non si vuole perdersi nel labirinto dell’esistenza, bisogna partire. Il bambino non ha alternative, per lui la nascita non è una scelta; l’adulto invece può anche agire diversamente, può evitare di assecondare l’impulso ad andare, può chiudere gli orecchi al richiamo antico e sempre nuovo che chiede di mettersi in strada per iniziare il cammino. Ogni partenza è sempre “comandamento” e “grazia”: comandamento, perché si presenta come un imperativo (devi partire); grazia, perché il poter partire è sempre anche una liberazione, una possibilità immensa che ci viene offerta di vedere, di sentire, di incontrare, di vivere.

La partenza è l’istante in cui il viaggiatore sembrerebbe più che mai solitario e padrone dei suoi passi, eppure – spesso solo a distanza di tempo – egli potrà rendersi conto che la sua partenza è dovuta a un richiamo e a una spinta che vengono da molto lontano. Chi parte ha certo in sé una forza, un moto che lo sollecita, ma nel suo stesso intimo vi è anche il peso di una gravità paralizzante, mai completamente vinta: sono sempre mille e le ragioni per non partire, per rinunciare, per abbandonare il proposito di mettersi per strada. Ma vi sono dei “segnali”, dei “richiami”, dei “suggerimenti” con cui la natura stessa ci invita a prendere la via, a dare un senso ai nostri movimenti vani e senza scopo, e alle nostre molteplici agitazioni: il sole sorge e prende una direzione precisa nel suo andare, così la luna, le stelle, i pianeti. Il vento soffia e ci sollecita ad andare in un altro luogo, altrove  il mare si muove con un moto misterioso, simile a quello del nostro cuore: ogni battito sembra uguale agli altri, eppure ogni battito è unico e, se lo si sa ascoltare, ogni battito pulsa con uno scopo, a un tempo, immenso e preciso. Ed è proprio lì, dentro il cuore, che l’uomo, in alcuni momenti particolari della vita, sente risvegliarsi un richiamo urgente e inconfondibile: «Parti! È ora che tu vada!».

Partire è come attraversare una “porta misteriosa” che dà accesso un mondo che, per chi sta fermo, semplicemente non esiste. Partire è lo stile della fede. Il credente è un camminatore: non sa mai esattamente “che cosa” o “chi” incontrerà sul suo cammino, ma sa che l’essenziale accade sempre “sulla via”. L’uomo lo sa, lo riconosce, lo sente e, forse proprio per questo, tutte le volte che qualcuno parte c’è qualcosa in noi che vorrebbe partire insieme con lui; perché, quando c’è qualcuno che parte per davvero, tutti sentono risvegliarsi dentro al cuore quel richiamo originario ad andare, a uscire dalle nostre “schiavitù” (come quella d’Egitto), magari attraversando un territorio arido e pericoloso, in un faticoso deserto, che, però, è la strada che porta alla “terra promessa”. Anche quando sono le rondini a partire sentiamo nelle loro ultime grida un richiamo che ci sospinge e ci commuove, e ci ricorda che anche noi dovremmo trovare il coraggio per partire davvero!

 

2. LA FEDE COME RICHIAMO ORIGINARIO

Il richiamo è quello di mettersi in cammino; certo, camminare è faticoso, ma necessario per ritrovare il senso della propria esistenza.

Il movimento è la vita stessa del cosmo, il suo modo naturale di essere e di perire. Da sempre l’uomo tenta di dare un senso al proprio muoversi: tenta di orientarlo, di etichettare di giustificare il moto con nomi e obiettivi che, in verità, lo spiegano solo in parte. Ci si muove per raggiungere una meta, per concludere un affare, per incontrare un amico o per scontrarsi con un nemico. Molte giustificazioni che forniscono al viaggiatore l’occasione desiderata: potersi finalmente mettere in cammino.

Ma ogni senso e ogni giustificazione appaiono, allo spirito attento, irrimediabilmente parziali, e la ragione ultima del cammino resta sempre di là dal senso dato e dichiarato, dalla motivazione per cui lo si è intrapreso. L’interrogativo quindi ritorna e incalza: “Perché si è in cammino? Perché non se ne può fare a meno?”. La risposta, in verità, risiede in un moto profondo dell’anima e di cui il bisogno fisico di muoversi non è che una sorta di risonanza esteriore: è l’intimo che agita, come è l’intimo che calma, e non è, come a volte sembrerebbe, il moto del cosmo ad avvolgere e trascinare. Quest’ultimo è solo uno specchio che aiuta a comprendere, a leggere, a dare un nome a quanto accade in profondità: il moto, ogni moto, tutto il moto viene dall’anima. La fatica di tutta una vita è quella di disciplinare il proprio moto, di orientarlo, di dargli un senso. La fatica sarà quella di rendere via ciò che sembra precipizio; cammino ciò che è tentato dal vuoto; itinerante colui che spesso si scopre errante. Vano, oltre che insensato, è dunque il tentativo di arrestare l’inarrestabile; ciò non sarebbe che morte, unica vera assenza di movimento, e potrebbe condurre anche alla patologia del falso viaggio e dei suoi surrogati mortiferi: le droghe, in fondo, non sono che «veicoli per gente che ha dimenticato come si cammina». Camminare, nella realtà, è vivere, assecondare l’impulso vitale e accettare di farsene compagno. Non si tratta di fermare il moto inquieto, bensì di dare, attraverso il cammino, «una forma all’irrequietezza umana» (B. Chatwin). L’uomo nasce nomade, oltre che nudo: senza città né accompagnamenti, senza difese. Un marchio, questo, che rimane in qualche modo scolpito nelle sue profondità, per poi riemergere in occasioni particolari quasi volesse ricordargli la propria incancellabile origine: tu sei un nomade e, come te, la natura intera. L’uomo ha bisogno della protezione di una casa, della difesa di una città, ma a volte la casa “protegge troppo”, fino a impedire all’uomo di stare con se stesso, la città difende fino a soffocare. È in occasioni di questo tipo che riaffiora alla mente l’eco di quel moto delle viscere, mai spento, che chiede di essere seguito da un altro movimento, fisico innanzitutto, che ne assecondi il ritmo interiore. L’uomo allora riscopre il cammino, ne sente tutta l’urgenza, come fosse un andare necessario, imposto dalla vita. In modo simile anche l’uomo religioso avverte che la fede impone un cammino: per incontrare Dio è necessario mettersi in moto, iniziare un cammino verso una meta, per lo più, sconosciuta. La comunione con il Dio vivo e vero è una promessa che viene rivolta solo a chi è disposto a partire, e si sviluppa attraverso un itinerario, un viaggio, si impara nella pratica umile e quotidiana del camminare. La fede nasce dall’aver compiuto un cammino di liberazione da qualche forma di schiavitù; e la fede sempre ha bisogno di nutrirsi della memoria di quel viaggio: «Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi

quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi» (Dt 8,2). Chi sta fermo rischia di incontrare soltanto degli idoli.

La primitiva comunità cristiana non trovò immagine migliore per definirsi che quella di “via”: gli Atti degli apostoli attestano che i primi cristiani venivano indicati come «quelli della via». Essi erano tali, perché seguaci di una particolare “via”, quella che il Signore stesso aveva loro indicato: «Io sono la via» (Gv 14,6). È dunque necessario partire e mettersi “per via”, è necessario scovare la domanda che si cela nell’impulso originario a muoversi, e rispondergli prendendo la decisione di iniziare a camminare. Così scrive Bruce Chatwin nel suo libro Le vie dei canti: «Chissà, mi domandai, se il nostro bisogno di svago, la nostra smania di nuovo, era, in sostanza, un impulso migratorio istintivo, affine a quello degli uccelli in autunno? Tutti i grandi maestri hanno predicato che in origine l’uomo “peregrinava per il deserto arido e infuocato di questo mondo” – sono parole del Grande Inquisitore di Dostoevskij –, e che per riscoprire la sua umanità egli deve liberarsi dei vincoli e mettersi in cammino… Se era così, se la “patria” era il deserto, se i nostri istinti si erano forgiati nel deserto, per sopravvivere ai suoi rigori – allora era più facile capire perché i pascoli più verdi ci vengono a noia, perché le ricchezze ci logorano e perché l’immaginario uomo di Pascal considerava i suoi confortevoli alloggi una prigione». Il momento di partire è questo; esso implica un distacco, forse perfino uno strappo doloroso, in ogni caso il partire richiede energia e determinazione: è la fine di un certo modo di vivere e

l’inizio di un altro, nuovo, stile di vita. La fede è la capacità di affidarsi al richiamo fondamentale che chiede di partire.*

 

3. CONDIZIONI PER CAMMINARE

 

3.1. Grazia e fede e conversione

• La grazia è l’“energia” che alimenta il nostro cammino, è come il “pan di via” degli elfi che permette di camminare a lungo senza stancarsi.

• La grazia è vissuta come desiderio di essere amati e di amare: è questo desiderio che dà forza e che permette di raggiungere la meta.

• Questo desiderio struttura la coscienza nella forma di un «affectus fidei», cioè nella forma di una trama di legami “affettivi” (affectus) che, se contratti nella fede (fides) cioè in un libero darsi a quanto ci appare affidabile e giusto. Non si arriva da soli alla meta, ma solo grazie alla forza di legami “giusti”, cioè “veri”, “sinceri”, “affidabili”.

• In questa giustizia l’uomo riconosce la verità dell’esistenza e inizia a pensare a Dio come fondamento di quei legami che permettono all’uomo di camminare e di arrivare al traguardo.

• La fede cristiana è la forma della coscienza che si struttura secondo la trama di legami affettivi sorti dalla conversione alla bella notizia (evangelo) di quel legame primo e fondamentale con l’Abbà di Gesù, cioè con quello stesso Padre (letteralmente “papà”) che Gesù ama e serve.

• La fede cristiana è innanzitutto affidamento a quel legame con l’Abbà che Gesù ha vissuto e rivelato.

• La fede è seguire Gesù. Tale sequela implica il prendere la propria croce ogni giorno. La croce è lo strumento di morte di Gesù: il comando di Gesù chiede la disponibilità del discepolo ad andare con Gesù fino alla morte, a condividere cioè interamente il suo cammino, che va fino alla croce; perché «chi vuole salvare la propria vita, la perderà…».

La fede è affidamento a un senso che si annuncia, che richiama, che promette, in maniera affettivamente [non soltanto razionalmente] significativa e persuasiva: camminare nella fede è seguire una promessa che si avverte prima di tutto nel cuore.

• La rivelazione cristiana svela il fondamento dell’ordine della creazione (la creazione viene rivelata come campo di forze nascoste – metafisiche – come la giustizia e la verità, le quali la orientano verso un futuro di speranza); la rivelazione inoltre instaura l’ordine della redenzione (il Regno di Dio germoglia e cresce già ora, cioè nel momento in cui si costruiscono trame evangeliche). La fede come riconoscimento del volto nascosto del mondo, soprattutto nel senso del grande bene che freme per attuarsi nelle cose, nelle persone, nelle comunità: camminare nella fede è cedere che quello che ora vediamo è solo una piccola parte di quello che c’è effettivamente da vedere.

 

3.2. Alcuni percorsi per una riflessione sulla fede…

a. “Come faccio a sapere che questa è la strada giusta?”; ossia, decidere di mettersi in cammino costa fatica. Questa domanda esprime l’idea che prima di mettermi in cammino dovrei sapere con certezza qual è la meta. In questo senso la domanda riproduce l’ideale cartesiano e illuminista di coscienza. Quando si pretende di avere idee chiare e distinte si rischia di non partire mai! La fede decide di sé nel momento in cui sente che ne vale la pena, anche se non conosce tutti i dati, e nemmeno la maggioranza degli aspetti dell’itinerario.

b. “Ma sì, partiamo. Caso mai torniamo indietro”; cioè, la scelta di tenere tutte le porte aperte. Questo ragionamento esprime l’idea di partire in ogni caso, ritenendo sempre possibile cambiare strada, come se il nostro cammino non ci segnasse e non fosse determinante nella percezione della meta, della sua bellezza, ma anche di quanto sia compromettente mettersi sulla sua strada. Questo ragionamento riproduce l’ideale postmoderno di coscienza che, ritenendo di non poter avere alcuna certezza (verità), suggerisce di intraprendere un cammino sapendo di poter comunque tornare indietro… “Va’ dove ti porta il cuore” o “Cogli l’attimo fuggente”… tanto, poi, puoi sempre cambiare idea. Ma, in realtà, è proprio possibile tenere aperte tutte le vie? Il cammino, ad un certo punto, non ci impone una scelta? E se non scelgo riesco davvero a camminare? La fede è decidersi, è fedeltà nelle scelte.

c. “Ma qui non si arriva mai! Vale proprio la pena di continuare a camminare?”; ossia, la tentazione di interrompere il cammino. Questa domanda mette alla prova il nostro desiderio. Il desiderio di arrivare alla meta potrebbe ripiegarsi su qualcos’altro. Mi accontento di un altro luogo, minore. Mentre il desiderio ci appassiona, fermarsi al bisogno significa fermarsi a un’emozione, a qualcosa di “ridotto” rispetto allo slancio del desiderio. Fuor di metafora: mentre il desiderio traccia una linea, uno slancio, il bisogno delinea un circolo, un ripiegamento. La fede è passione che non si accontenta di mezze misure.

d. “Ma questa giuda conosce proprio la strada?”; cioè, la tentazione di voler far da soli. Questa domanda nasce facilmente sul terreno di un’ideale democratico coltivato come insieme di soggetti autonomi e autofondati. Ma, in realtà, da soli non facciamo neanche un passo; come ognuno sa bene, ricordando di essere stato bambino, che la fede è fiducia in altri.

e. “E se prendessi un mezzo veloce?”; ossia, la tentazione di scorciatoie immaginarie! Questo è il ragionamento di chi si illude di poter trovare una strada alternativa senza far fatica. In realtà, in questo modo, perde tutto quello che solo il cammino può offrire. Arrivare con la Freccia Rossa o in Ferrari non è la stessa cosa che arrivare a piedi, perché la meta guadagnata risulta diversa, e anche tu non sei lo stesso! La fede è lotta, è un lungo, lento e faticoso cammino.

f. “Che fatica camminare con gli altri, quello va piano, quello va forte”; ossia, l’incapacità di camminare insieme. Questo pensiero oggi è facilmente incoraggiato dal narcisismo che ci fa cercare gli altri come specchi di noi stessi, ma ci rende incapaci di costruire legami di amicizia sinceri, quelli che in realtà cerchiamo. La fede ci dona dei fratelli.

 

4. Il viaggio come conversione e come annuncio

«Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati. E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda» (Atti 9,1-9).  *****************

«C’erano nella comunità di Antiochia profeti e dottori: Barnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirène, Manaèn, compagno d’infanzia di Erode tetrarca, e Saulo. Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati». Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono. Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo, discesero a Selèucia e di qui salparono verso Cipro. Giunti a Salamina cominciarono ad annunziare la parola di Dio nelle sinagoghe dei Giudei, avendo con loro anche Giovanni come aiutante. Attraversata tutta l’isola fino a Pafo, vi trovarono un tale, mago e falso profeta giudeo, di nome Bar-Iesus, al seguito del proconsole Sergio Paolo, persona di senno, che aveva fatto chiamare a sé Barnaba e Saulo e desiderava ascoltare la parola di Dio. Ma Elimas, il mago, ciò infatti significa il suo nome faceva loro opposizione cercando di distogliere il proconsole dalla fede. Allora Saulo, detto anche Paolo, pieno di Spirito Santo, fissò gli occhi su di lui e disse: «O uomo pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore? Ecco la mano del Signore è sopra di te: sarai cieco e per un certo tempo non vedrai il sole». Di colpo piombò su di lui oscurità e tenebra, e brancolando cercava chi lo guidasse per mano. Quando vide l’accaduto, il proconsole credette, colpito dalla dottrina del Signore. Salpati da Pafo, Paolo e i suoi compagni giunsero a Perge di

Panfilia. Giovanni si separò da loro e ritornò a Gerusalemme. Essi invece proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiochia di Pisidia ed entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, si sedettero» (Atti 13,1-14).

 

5. DAI “DISCORSI” DI SANT’AGOSTINO

«Cantiamo qui l’alleluia, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo cantare un giorno lassù, ormai sicuri. Perché qui siamo nell’ansia e nell’incertezza. E non vorresti che io sia nell’ansia, quando leggo: Non è forse una tentazione la vita dell’uomo sulla terra? (cfr. Gb 7,1). Pretendi che io non stia in ansia, quando mi viene detto ancora: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione”? (Mt 26,41). Non vuoi che io mi senta malsicuro, quando la tentazione è così frequente, che la stessa preghiera ci fa ripetere: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”? (Mt 6,12). Tutti i giorni la stessa preghiera e tutti i giorni siamo debitori! Vuoi che io resti tranquillo quando tutti i giorni devo domandare perdono dei peccati e aiuto nei pericoli? Infatti, dopo aver detto per i peccati passati: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, subito, per i pericoli futuri, devo aggiungere: “E non ci indurre in tentazione” (Mt 6,13). E anche il popolo, come può sentirsi sicuro, quanto grida con me: “Liberaci dal male”? (Mt 6,13). E tuttavia, o fratelli, pur trovandoci ancora in questa penosa situazione, cantiamo l’alleluia a Dio che è buono, che ci libera da ogni male. Anche quaggiù tra i pericoli e le tentazioni, si canti dagli altri e da noi l’alleluia. “Dio infatti è fedele; e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze” (1 Cor 10,13). Perciò anche quaggiù cantiamo l’alleluia. L’uomo è ancora colpevole, ma Dio è fedele. Non dice: “Non permetterà che siate tentati”, bensì: “Non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla” (1Cor 10,13). Sei entrato nella tentazione, ma Dio ti darà anche il modo di uscirne, perché tu non abbia a soccombere alla tentazione stessa: perché, come il vaso del vasaio, tu venga modellato con la predicazione e consolidato con il fuoco della tribolazione. Ma quando vi entri, pensa che ne uscirai, “perché Dio è fedele”. Il Signore ti proteggerà da ogni male… veglierà su di te quando entri e quando esci (cfr. Sal 120,78). Ma quando questo corpo sarà diventato immortale e incorruttibile, allora cesserà anche ogni tentazione, perché “il corpo è morto”. Perché è morto? “A causa del peccato”. Ma lo Spirito è vita”. Perché? “A causa della giustificazione” (Rm 8,10). Abbandoneremo dunque come morto il corpo? No, anzi ascolta: “Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali” (Rm 8,1011). Ora infatti il nostro corpo è nella condizione terrestre, mentre allora sarà in quella celeste. O felice quell’alleluia cantato lassù! O alleluia di sicurezza e di pace! Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico. Ivi risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. Qui però nell’ansia, mentre lassù nella tranquillità. Qui cantiamo da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza, lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria. Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica. Cantiamo da viandanti Canta, ma cammina. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità. Vi sono infatti, secondo l’Apostolo, alcuni che progrediscono sì, ma nel male. Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede,devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina».

 

6.Il cammino di FEDE di Caterina Volpicelli

“Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto”: l’adesione vitale di chi aderisce a Cristo è essenziale per la fecondità dei frutti.

Il rimanere in Cristo è fondamentale al germoglio della fede che è in noi perché possa sopravvivere e svilupparsi. Chi si stacca da Cristo, è condannato alla perdizione. Dietro il simbolo del tralcio secco e arido, c’è il mistero del rifiuto che l’uomo può opporre alla vita e all’amore che Dio ci offre. Ma i tralci rigogliosi e verdeggianti, che incoronano il corpo di Cristo, cioè la Chiesa, conoscono anche il momento della potatura. È la  purificazione necessaria che Dio compie per avere una Chiesa santa, “senza macchia e senza ruga” (Ef 5,27): il dono della fede non è dato una volta per sempre, ma esige una continua crescita e una continua liberazione da scorie e limitazioni.

         In questa meravigliosa immagine della vite e dei tralci possiamo leggere la vita e il cammino di santità di Caterina Volpicelli.

 

6.1.Una fede che nasce si sviluppa in famiglia e nel territorio.

Nacque in una famiglia cristiana che, benché appartenesse all’alta borghesia napoletana, viveva “i principali misteri di nostra Santa Fede”. Il padre, imprenditore e commerciante, e la madre, Maria Teresa Micheroux, la fecero battezzare il giorno dopo la nascita (31 gennaio 1939) e la educarono nella fede cristiana anche con piccole pratiche cristiane che Caterina ricorderà con riconoscenza da adulta.

         Ma questo tralcio, innestato in Cristo e nella Chiesa, dovette essere continuamente potato prima di iniziare a portare frutti copiosi. La grazia dovette operare molto sulla personalità di una giovane che, dotata di viva intelligenza, sembrava volesse splendere di luce propria, coltivando le doti ricevute da Dio con alterigia, superbia e volontà di affermazione personale che, da un momento all’altro, avrebbero potuto staccarla dalla vite, Cristo.

 

6.2.Una fede calata nella storia e nell’oggi del suo tempo, contestualizzata     

La Napoli ottocentesca, nella quale visse, con i suoi problemi sociali, culturali, religiosi, non aiutava certamente la maturazione spirituale di una giovane che avrebbe potuto affermarsi in una società il cui stile di vita umanamente affascinante, ma senza essere segnata dalla verità del Vangelo. Ma l’incontro con alcuni santi sacerdoti e la stessa devastante epidemia del colera del 1854 scossero fortemente il suo animo sensibile e generoso, fino al punto da far maturare in lei il desiderio di entrare in convento (tra le figlie di S. Vincenzo dei Paoli), se non addirittura in un monastero di vita contemplativa. Ma furono il P. Ludovico da Casoria e il barnabita P. Matera le vere guide spirituali che l’aiutarono a dedicarsi tutta a Cristo e a rispondere alla chiamata del Signore per un servizio a favore dei più umili e necessitati. I genitori e il fratello Vincenzo tentarono di dissuaderla, ma Caterina, dopo diversi tentativi, vide “chiara la Divina Volontà” e vi aderì.

 

6.3.Una fede che ingloba le opere    

Da questo innesto alla volontà Divina nacquero i numerosi frutti spirituali e sociali di cui ancora oggi assaporiamo la dolcezza. La spiritualità dell’apostolato della preghiera e la devozione profonda al Sacro Cuore (nel febbraio del 1863 si offrì al “Cuore agonizzante di Gesù come povera vittima di amore”) furono le modalità che la Provvidenza mise nelle mani di Caterina Volpicelli per una testimonianza di fede e di carità in una Napoli violentata da mali spirituali e sociali. Con l’aiuto delle zelatrici e delle figlie dei Sacri Cuori, divenute Ancelle del Sacro Cuore, si immerse nella realtà del suo tempo cercando di alleviare le famiglie indigenti, le sofferenze dei bambini, di uomini dediti al vizio, all’alcol, alla delinquenza, di donne costrette a prostituirsi. Per questo, accanto alle “buone Marte” volle mettere le “Maddalene” e i “lazzari”.

 

6.4.Una fede autenticamente ecclesiale   

Ma una nota caratteristica della spiritualità della Volpicelli fu il suo amore alla Chiesa, manifestato attraverso la piena comunione con il Vescovo del tempo: prima con il Cardinale Sisto Riario Sforza, che ne approvò le Regole, poi col benedettino  Cardinale Guglielmo Sanfelice, che benedisse la prima pietra del Tempio dedicato al Sacro Cuore, e, infine, con il Sommo Pontefice Leone XIII, che più volte incoraggiò la Volpicelli a portare a termine la sua opera innovativa. Pur tra tante amarezze e delusioni, il Signore non le fece mancare la gioia spirituale dell’amicizia con i beati Ludovico da Casoria e Bartolo Longo che rese l’ultimo omaggio alla salma della Madre che il Signore accolse tra le sue braccia il 28 dicembre 1894.

 

7. Conclusione

“Per essere autentiche educatrici della fede, desiderose di trasmettere alle nuove generazioni i valori della cultura cristiana, è indispensabile, come amava ripetere Santa Caterina Volpicelli, liberare Dio dalle prigioni in cui lo hanno confinato gli uomini. Solo infatti nel Cuore di Cristo l’umanità può trovare la sua ‘stabile dimora”. Santa Caterina mostra alle sue figlie spirituali e a tutti noi, il cammino esigente di una conversione che cambi in radice il cuore, e si traduca in azioni coerenti con il Vangelo” (Papa Benedetto XVI)

Mondragone. Iniziate le celebrazioni giubilari per le Suore di Gesù Redentore

150120132146.jpg150120132152.jpg150120132139.jpgCon la solenne concelebrazione eucaristica di martedì 15 gennaio 2013, alle ore 19.00, nella Chiesa delle Suore della Stella Maris di Mondragone, sono iniziate le manifestazioni religiose, culturali, sociali e civili per i 150 anni della nascita dell’Istituto delle Suore di Gesù Redentore, fondato dalla Serva di Dio, Madre Victorine Le Dieu, il 15 gennaio del 1863. Risale infatti a tale data l’approvazione pontificia, ricevuta dalla Le Dieu direttamente dal Papa, Pio IX, durante l’udienza avuta in Vaticano il 15 gennaio del 1863. Per ricordare questo fausto avvenimento storico, le Suore di Gesù Redentore che sono presenti a Mondragone da circa 70 anni alla Stella Maris, hanno allestito un programma di iniziative religiose, culturali e civili per dare giusto risalto all’avvenimento, che riguarda tutte le Suore di tale istituzione ecclesiale.

 

A Mondragone l’inizio ufficiale di tali manifestazioni giubilari è stato il giorno 15 gennaio con un intero pomeriggio, dedicato alla figura di Victorine Le Dieu. Alle ore 17.00 i circa 50 fedeli sono stati accolti dalle suore per un momento di preghiera nella loro cappella.

 

Alle ore 17,15 il gruppo si è trasferito nella sala conferenze per vedere alcuni filmati sulla vita della Serva di Dio e sulle attività delle Suore della Stella Maris. I video sono stati realizzati dalle stesse suore. Gli spettatori hanno apprezzato la produzione di questi strumenti di comunicazione multimediali, anche perché frutto del lavoro delle stesse religiose.

 

Alle ore 18,15 il gruppo delle persone si è trasferito nella chiesa delle Suore per partecipare all’ora di adorazione eucaristica programmata per il pomeriggio. E’ stato padre Antonio Rungi, passionista, assistente spirituale delle Suore della Stella Maris, da un trentennio, ad esporre solennemente Gesù Eucaristia e a rendersi disponibile per le confessioni sacramentali.

 

Alle ore 19.00, l’adorazione eucaristica si è conclusa con la benedizione con il santissimo sacramento dell’altare, impartita da padre Aimè Talimbini, passionista della parrocchia di San Giuseppe, cappellano da un anno delle Suore della Stella Maris.

 

Alle ore 19.05 è iniziata la messa solenne presieduta da padre Antonio Rungi e concelebrata da padre Aimè. La celebrazione si è svolta in un clima di grande emozione, raccoglimento e gioia, animata dai canti e dalla musica. Padre Antonio Rungi nella sua puntuale omelia ha messo in risalto la figura della Serva di Dio, Victorine Le Dieu, sottolineando soprattutto la sua fede, ma anche facendo memoria dell’inizio dell’opera fondata dalla Le Dieu e che ha nell’Eucaristia il centro della spiritualità e nella carità verso gli ultimi la concreta attuazione di questo speciale carisma riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa, 150 anni fa.

 

Molto espressiva la processione offertoriale curata dalle Suore della Stella Maris e commentata dalla superiora, suor Maria Paola Leone. Le suore, infatti, hanno portato all’altare il pane e il vino, la lampada, la bisaccia con la quale la loro fondatrice viaggiava e nella quale era la bolla pontificia dell’approvazione della loro congregazione, e un quadro della fondatrice, nel quale si evidenziava lo stato di necessità e di povertà della Serva di Dio. Lei che proveniva da una famiglia ricca si fece povera per servire la causa dei poveri e dei diseredati.

 

Poi la preghiera dei fedeli incentrata sulla fausta ricorrenza dei 150 anni di vita delle suore di Gesù Redentore.

 

Infine la partecipazione alla santa comunione di quasi tutti i fedeli presenti in chiesa, tra cui diversi amici ed estimatori delle Suore, i membri del cenacolo di preghiera, il personale della Stella Maris, fedeli e cittadini del territorio.

 

La messa si concludeva con la preghiera per la glorificazione della Serva di Dio e la benedizione solenne impartita da padre Antonio Rungi a tutti i presenti. Lo stesso celebrante informava i presenti delle varie iniziative che le Suore della Stella Maris porteranno avanti nel corso dell’anno giubilare che si concluderà il 15 gennaio 2014, tra cui un recital sulla vita della loro fondatrice, un convegno di studi, celebrazioni parrocchiali, cittadine e diocesane, manifestazioni culturali e incontri di preghiera.

 

Il primo impegno del genere è stato fissato con il gruppo dei giovani, guidato da Don Paolo Marotta, vicario episcopale per la vita consacrata della diocesi di Sessa Aurunca e parroco di San Donato e Ventaroli di Carinola, che con la preghiera della gioia, aggrega giovani di varie parti del territorio, sostenendo gli stessi nel loro cammino di formazione umana, cristiana e spirituale. L’incontro dei giovani si terrà alla Stella Maris, questa sera, 16 gennaio 2013, alle ore 21.00 nella sala predisposta al piano terra per il numeroso gruppo di giovani, che ogni settimana, il mercoledì sera, partecipa normalmente e con grande interesse e beneficio spirituale alla preghiera della gioia.

 

Con loro anche diversi adulti e fedeli delle varie comunità parrocchiali della Diocesi di Sessa Aurunca e di altre Diocesi. Tale incontro si svolge di regola presso le Suore dell’Immacolata di Genova a Carinola. Solo eccezionalmente, questo incontro di preghiera si svolgerà questa sera alla Stella Maris di Mondragone e si prevede una massiccia partecipazione dei giovani a questo appuntamento con lo spirito, che tanta gioia porta nel loro giovane cuore. Quei giovani di cui la Serva di Dio si prese cura in Francia e a Roma, prima e dopo l’approvazione pontificia della sua opera.

 

Suore di Gesù Redentore. 150 anni di storia della Congregazione.

DSC04586.JPGDSC04595.JPGDSC04605.JPGQuesta sera è iniziato regolarmente il triduo di preparazione alla festa dei 150 anni di vita della Congregazione delle Suore di Gesù Redentore, nella cappella delle Suore della Stella Maris in Mondragone. A presiedere la liturgia prevista per questo primo giorno è stato don Paolo Marotta, vicario episcopale per la vita consacrata della Diocesi di Sessa Aurunca. Diversi i fedeli presenti in chiesa che hanno partecipato all’ora di adorazione, hanno celebrato i vespri ed hanno partecipato alla santa messa, con omelia, tenuta dallo stesso Don Paolo, sul tema “Celebriamo la fede, invocando lo Spirito”. Le Suore della Stella Maris si stanno preparando allo storico avvenimento con questo triduo, ma anche con altre significative iniziative che vanno oltre questi giorni e lo specifico giorno commemorativo del 15 gennaio. Con loro un gruppo di laici che collaborano e soprattutto il loro assistente spirituale, padre Antonio Rungi. Questo il programma per domani.

 

GIORNO 13 GENNAIO 2013, <<CELEBRIAMO LA FEDE ACCOGLIENDO IL SUO DONO>> ORE 19,00 – CAPPELLA DELLE SUORE ADORAZIONE EUCARISTICA-VESPRI E MESSA, PRESIEDE: P.BERNARD MAJELE, PASSIONISTA,PARROCO DI SAN GIUSEPPE ARTIGIANO.

 

GIORNO 14 GENNAIO 2013, <<CELEBRIAMO LA FEDE IN AZIONE DI GRAZIE>>,ORE 19,00 – CAPPELLA DELLE SUORE, ADORAZIONE EUCARISTICA-VESPRI E MESSA, PRESIEDE DON ROBERTO GUTTORIELLO, VICARIO FORANEO DI MONDRAGONE.

 

GIORNO DELLA FESTA 15 GENNAIO 2013  <<CELEBRIAMO LA FEDE NELLA MEMORIA DI UN SI’>> ORE 17.00 ACCOGLIENZA, ORE 17,30: VIDEO SULLA VITA DELLA FONDATRICE, PRODOTTO DALLE STESSE SUORE DI MONDRAGONE. ORE 18.00: ADORAZIONE EUCARISTICA (CAPPELLA DELLE SUORE). ORE 19,00: VESPRI E CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA. PRESIEDE P.ANTONIO RUNGI, PASSIONISTA, ASSISTENTE SPIRITUALE DELLA COMUNITA’ DELLA STELLA MARIS.

 

Per ottimizzare le celebrazioni giubilari, dalla Casa generalizia delle Suore, che si trova a Fonte Nuova in Roma, è stato distribuito un opuscolo dal titolo “Da quell’incontro…una vita nuova. 150 anni fa”, nel quale la Madre Generale, Suor Marilena Russo, da pochi mesi alla guida della Congregazione, raccomanda a tutte le religiose e ai laici vicino alle figlie spirituali della Serva di Dio Madre Victorine Le Dieu una degna celebrazione di questo storico anniversario: “Viviamo con gratitudine quest’anniversario. Siamo tutte convinte che quel sacco che la Fondatrice portava sempre con sé conteneva certamente il rescritto firmato da Pio IX, la sua più grande ricchezza. Non se n’è mai distaccata. Solo in punto di morte l’ha affidato alla Marchesa Serlupi come una preziosa eredità da custodire…Celebriamo questo anniversario soprattutto nella preghiera, intensificando la nostra vita spirituale nella fedeltà all’eredità ricevuta e rendendo grazie al Signore per questa donna così ardita che ha vinto ogni ostacolo pur di far fiorire il carisma di riparazione e di riconciliazione che il Signore ha voluto affidarle”. 

PAGANI. CONCLUSO IL TRIDUO DI PREPARAZIONE ALLA FESTA DELLE SUORE

Foto1007.jpgCon un solenne celebrazione eucaristica presieduta questa sera, 5 gennaio 2013, da padre Antonio Rungi, dalle ore 17 alle 19.30, si è concluso il triduo di preparazione spirituale che si tiene nella casa madre di Pagani (Sa), in Via San Francesco, dove riposano le spoglie mortali del Beato. Triduo voluto espressamente predicato da padre Rungi dalle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue, che domani 6 gennaio 2013, ricordano il loro Fondatore, Tommaso Maria Fusco, prossimo alla canonizzazione, in  questo anno della fede. Ma le suore ricordano in particolare la loro fondazione, che risale al 140 anni fa. Era, infatti il 6 gennaio del 1873, solennità dell’Epifania, 140 anni fa, quando profondamente colpito dalla disgrazia di un’orfana, vittima della strada, dopo attenta preparazione nella preghiera di discernimento, don Tommaso Maria fondò la Congregazione delle «Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue». L’Opera ebbe inizio nella Chiesa della Madonna del Carmine, in Pagani, alla presenza del Vescovo Raffaele Ammirante il quale, con la consegna dell’abito alle prime tre Suore, benedisse il primo Orfanotrofio per sette orfanelle povere del paese. Sulla nascente famiglia religiosa e sull’Orfanotrofio, dietro sua richiesta, non tardò a scendere anche la benedizione del Papa. Ora le Suore fondate dal Fusco sono presenti in varie parti d’Italia e all’estero, portando avanti l’opera iniziata dal fondatore, con particolare attenzione ai bambini e all’infanzia abbandonata o in difficoltà. La straordinaria figura di questo sacerdote diocesano, viene commemorata in questi giorni, con una specifica preparazione spirituale alla festa dell’Istituto che si ricorda il 6 gennaio. Le comunità religiose delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue di Pagani e delle altre località della regione Campania si sono  ritrovate in queste sere per la celebrazione dei vespri, della santa messa con riflessione e con altri momenti di incontri tra le suore e i fedeli laici, soprattutto giovani, che fanno riferimento ai cenacoli di preghiera istituiti a Pagani e negli altri Comuni del territorio.

Questa sera giornata conclusiva del triduo la celebrazione è stata particolarmente sentita e vissuta, con circa 100 persone presenti in chiesa, tra suore, giovani e fedeli laici appartenenti al cenacolo di preghiera, guidato negli anni scorsi da padre Antonio Rungi. L’intensa celebrazione con la sentita omelia pronunciata da padre Rungi ha attirato l’attenzione di tutti i presenti, in particolare i circa 30 giovani che hanno animato la liturgia con canti religiosi e natalizi di grande sensibilità ed efficacia. A conclusione del rito, il bacio del bambino e la commovente rappresentazione scenica di alcuni quadri del vangelo dell’infanzia di Gesù. Sacra rappresentazione curata dai Giovani dell’Avo di Nocera Inferiore, i volontari ospedalieri che questa sera hanno condiviso con le suore il momento di preghiera in onore del Beato Tommaso Maria Fusco. La sacra rappresentazione è partita con la lettura del prologo del Vangelo di Giovanni e si è sviluppata poi sull’annunciazione, sulla visita a Sant’Elisabetta, su San Giuseppe, sulla nascita di Gesù a Betlemme con l’adorazione dei pastori e dei Magi. Vari quadri molto belli, con personaggi dal vivo, stile presepe vivente, in cui i dialoghi, tratti dal vangelo sono stati la parte dominante della sacra rappresentazione. L’associazione Avo di Nocera inferiore conta oltre 300 aderenti e si alimenta con il propri proventi, senza alcun aiuto esterno, ma solo con l’autotassazione di 15 euro all’anno per tutti gli iscritti, come ha sottolineato il presidente presente alla celebrazione. E’ stata Madre Ofelia a volere ringraziare tutti i convenuti alla celebrazione della sera, particolarmente riuscita e vissuta con spiritualità e coinvolgimento emotivo da parte di tutti. La stessa religiosa ha voluto tracciare, prima della santa messa, presieduta da padre Antonio Rungi, la figura esemplare del Beato Tommaso Fusco e il perché della nascita del loro istituto, le Suore Figlie della Carità del preziosissimo Sangue. Informazioni risultate utili per i giovani e i presenti, alcuni dei quali per la prima volta giunti al luogo di culto dedicato al Beato Tommaso Maria Fusco. La bellissima serata di preghiera e di riflessione sui testi della parola di Dio relativi alla solennità dell’Epifania del Signore del 2013, si è conclusa con la piccola agape fraterna nel refettori delle suore, alla quale hanno partecipato tutti i giovani che hanno animato la liturgia e la sacra rappresentazione della natività di Gesù, ma anche i fedeli presenti in chiesa le suore della comunità di San Francesco di Pagani e delle apre comunità della cittadina e di altre località. Che dire? Una festa dell’Epifania che si ricorderà a lungo e segnerà la storia dell’Istituto delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue e lasciare una traccia indelebile nel prossimo cammino della Congregazione a Pagani, città natale del Beato e luogo di prima evangelizzazione di Tommaso Maria Fusco, uno degli uomini e santi illustri della città nota anche per la presenza di un altro grande santo, che con il Natale ha una storia particolare, quel Sant’Alfonso dei Liguori, che ha scritto pagine stupende e meravigliose sul mistero dell’incarnazione del Signore, fissando la sua spiritualità natalizie in celebri canti come Tu scendi dalle Stelle o “Quann nascette Ninno a Betlemme”. Canti eseguiti questa sera a conclusione di tutto il periodo natalizio, celebrandosi oggi la solennità dell’Epifania che tutte le feste porta via.

Pagani (Sa). Una storia da raccontare, ma anche un avvenire da costruire

Foto0931.jpgBeato_Tommaso_Maria_Fusco.jpgDomani 6 gennaio 2013, le Suore Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue celebrano il loro 140 anniversario dellla fondazione. Era, infatti, il 6 gennaio 1783, solennità dell’Epifania, 140 anni fa, quando profondamente colpito dalla disgrazia di un’orfana, vittima della strada, dopo attenta preparazione nella preghiera di discernimento, don Tommaso Maria fondò la Congregazione delle «Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue». L’Opera ebbe inizio nella Chiesa della Madonna del Carmine, in Pagani, alla presenza del Vescovo Raffaele Ammirante il quale, con la consegna dell’abito alle prime tre Suore, benedisse il primo Orfanotrofio per sette orfanelle povere del paese. Sulla nascente famiglia religiosa e sull’Orfanotrofio, dietro sua richiesta, non tardò a scendere anche la benedizione del Papa. Ora le Suore fondate dal Fusco sono presenti in varie parti d’Italia e all’estero, portando avanti l’opera iniziata dal fondatore, con particolare attenzione ai bambini e all’infanzia abbandonata o in difficoltà. La straordinaria figura di questo sacerdote diocesano, viene commemorata in questi giorni, con una specifica preparazione spirituale alla festa dell’Istituto che si ricorda il 6 gennaio. Le comunità religiose delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue di Pagani e delle altre località della regione Campania si ritrovate nelle sere dal 3 al 5 gennaio per la celebrazione dei vespri, della santa messa con riflessione e con altri momenti di incontri tra le suore e i fedeli laici, soprattutto giovani, che fanno riferimento ai cenacoli di preghiera istituiti a Pagani e negli altri Comuni del territorio. A predicare il triduo è stato padre Antonio Rungi, missionario passionista, teologo morale, che ha trattato delle tre virtù teologali (fede, carità e speranza) nella vita del Beato Tommaso Maria Fusco. Domani solennità dell’Epifania, in tutte le comunità religiose in Italia e all’estero si commemora solennemente questo avvenimento di portata storica per l’Istituto, soprattutto nella città natale del Beato Tommaso Maria Fusco,definito da tutti il “Don Bosco del Sud”, proprio mentre San Giovanni Bosco operava in campo pastorale al Nord.“Ricordare questo importante evento per la nostra Congregazione – afferma l’ex-madre Generale della Congregazione, Madre Ofelia, responsabile della Casa Madre delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue- non è solo una storia da raccontare, ma un presente da vivere e sentire profondamente nel nostro cuore e nel nostro apostolato della carità, come il nostro Fondatore, guardano al futuro con la speranza di un domani migliore per tutta la vita consacrata in Italia e nel mondo. La fede profonda del nostro Fondatore ci spinga a noi religiose, figlie sipirituali di una sacerdote pieno di amore verso Dio e verso i fratelli a vivere concretamente la carità, attingendo la forza ed il coraggio al Preziosissimo Sangue di Gesù, che è nostro maestro e guida nella vita interiore e nelle attività apostoliche. Messe di commenorazione di questo storico evento in tutte le parrocchie e i luoghi dove le religiose sono presenti ed impegnate, particolarmente a Pagani, con quattro comunità religiose in varie parti della città e con finaità diversificate.