Predicazione

COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI – 2 NOVEMBRE 2015

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COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

Lunedì 2 Novembre 2015

La morte: il nostro natale per l’eternità

Commento di padre Antonio Rungi

Per i cristiani la morte è il transito all’eterno è il dies natalis, cioè della vera nascita, quella per l’eternità celebriamo una volta e per sempre nel giorno in cui il Signore ci chiama a far parte del suo Regno eterno nel santo Paradiso. Oggi, commemorazione annuale di Tutti i Fedeli Defunti, noi come credenti riflettiamo sul senso della vita, piuttosto che sul senso della morte, in quanto la morte, pur essendo un fatto biologico, naturale, in realtà essa non riguarda l’essere umano, perché, in base alla sua anima spirituale ed immortale, egli non è soggetto alla morte eterna e se pure attraversa la morte corporale per lui esiste anche una risurrezione finale. In poche parole, la morte non è l’ultimo atto di una storia umana individuale e personale, ma l’inizio di una nuova vita, quella di comunione con Dio. E noi in questo giorno di riflessione e di preghiera per i nostri fratelli defunti, quelli più stretti a noi da vincoli di affetto e di sangue, a quelli sconosciuti e dimenticati da tutti, vogliamo rendere lode al Signore che ci ha aperto, attraverso la sua morte in Croce e risurrezione il varco per un’eternità beata. Oggi celebriamo la nostra pasqua, quella del vero passaggio dalla morte alla vita, perché, per quanti hanno operato il bene ed hanno risposto in pienezza al messaggio evangelico la morte non è altro il giorno della vita, della nascita, della felicità per sempre. Oggi, infatti, come Natale e Pasqua i sacerdoti hanno la facoltà di celebrare tre sante messe, con altrettanti formulari di preghiera e di testi biblici, che ne costituiscono l’ossatura e la struttura di celebrazione eucaristica. Noi in questa meditazione sulla giornata di Commemorazione ci soffermiamo a riflettere sui testi delle letture della prima messa, anche perché è quella che apre la giornata eucaristica per ogni sacerdote, che celebra l’eucaristia nella prima mattinata, come è prassi. E il primo pensiero meditativo va proprio all’antifona d’ingresso della prima messa dei defunti: “Gesù è morto ed è risorto; così anche quelli che sono morti in Gesù Dio li radunerà insieme con lui. E come tutti muoiono in Adamo, così tutti in Cristo riavranno la vita”. (1Ts 4,14; 1Cor 15,22). Il riferimento alla risurrezione è evidente in questo primo passo nella commemorazione dei defunti. Si piange per la perdita dei propri cari, ma si gioisce, nella speranza che un giorno ci rivedremo tutti insieme nell’eternità, con un corpo trasformato e destinato alla vita eterna. Noi crediamo infatti alla risurrezione finale anche del nostro corpo mortale, perché Gesù ha portato nella gloria del paradiso la nostra umanità, ascendendo al cielo in anima e corpo e confermando questa prospettiva di un’eternità beata, anche per la nostra corporeità, con l’Assunzione al Cielo della Vergine Santissima, Madre di Dio e Madre nostra. Questa verità di fede in cui noi crediamo, la esprimiamo oggi anche nella preghiera iniziale della messa dei defunti: “Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del Signore risorto, e conferma in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova”.
Tale vita nuova, a cui aspiriamo, piangenti e gementi in questa valle di lacrime, è il Paradiso, è il Regno eterno di Dio. Ce lo ricorda il testo della prima lettura di oggi, tratto dal Libro di Giobbe, che in un canto di lode al Signore, in un impeto di gioia e speranza nel Signore, scrive: “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro». La  consapevolezza dell’eternità della felicità, dell’incontro con il Risorto, è questo il dono della fede che esprimiamo anche nel Credo con quella espressione, credo nella “risurrezione della carne e la vita eterna”. Credere nella risurrezione e nella vita eterna, significa camminare sulla strada che hanno percorso i santi, i quali hanno perseguito questo obiettivo avendo chiaro nella loro vita quello che l’Apostolo Paolo ci indica nel brano della sua Lettera ai Romani che oggi ascoltiamo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.  A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita”. Noi, quindi, siamo uomini di speranza, anzi di certezze di fede che attingiamo dalla parola di Dio, che è vita e sostegno al nostro cammino nel tempo presente, assegnando a noi, nella quantità e nella qualità che solo il Signore sa. D’altra parte, la volontà di Dio, espressa in tanti modi mediante la vita, le opere di Cristo è ben espressa nel vangelo di Giovanni, che è il primo testo del vangelo che oggi ci accompagna in questa giornata di riflessione sulla morte-vita, qual è la Commemorazione dei Fedeli Defunti. “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Con animo pieno di fiducia nel Signore, anche in questa giornata, e non solo in questa, vogliamo elevare la nostra umile preghiera in suffragio di tutti i fratelli che hanno lasciato questo mondo per l’eternità e lo facciamo con la stessa preghiera che Papa Francesco ha recitato il giorno 2 novembre 2014, durante l’Angelus, pregando con queste parole: «Dio di infinita misericordia, affidiamo alla tua immensa bontà quanti hanno lasciato questo mondo per l’eternità, dove tu attendi l’intera umanità, redenta dal sangue prezioso di Cristo, tuo Figlio, morto in riscatto per i nostri peccati. Non guardare, Signore, alle tante povertà, miserie e debolezze umane, quando ci presenteremo davanti al tuo tribunale, per essere giudicati per la felicità o la condanna. Volgi su di noi il tuo sguardo pietoso, che nasce dalla tenerezza del tuo cuore, e aiutaci a camminare sulla strada di una completa purificazione. Nessuno dei tuoi figli vada perduto nel fuoco eterno dell’inferno, dove non ci può essere più pentimento. Ti affidiamo Signore le anime dei nostri cari, delle persone che sono morte senza il conforto sacramentale, o non hanno avuto modo di pentirsi nemmeno al temine della loro vita. Nessun abbia da temere di incontrare Te, dopo il pellegrinaggio terreno, nella speranza di essere accolto nelle braccia della tua infinita misericordia. Sorella morte corporale ci trovi vigilanti nella preghiera e carichi di ogni bene fatto nel corso della nostra breve o lunga esistenza. Signore, niente ci allontani da Te su questa terra, ma tutto e tutti ci sostengano nell’ardente desiderio di riposare serenamente ed eternamente in Te. Amen» (P. Antonio Rungi, passionista, Preghiera dei defunti).

 

FESTA DI SAN ROCCO -DOMENICA 16 AGOSTO 2015

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LECTIO DIVINA 

FERRAGOSTO 2015 NEL SEGNO DELLA CARITA’ 

FESTA DI SAN ROCCO -16 AGOSTO 2015 

Commento di padre Antonio Rungi 

La solidarietà non va in vacanza, soprattutto d’estate, mentre, forse, noi e tanti altri siamo in vacanza. Non va in vacanza neppure la fame, il bisogno. Non vanno in vacanza le necessità di tanti poveri della nostra terra o che arrivano da noi e ci chiedono un pezzo di pane, un lavoro. Ci chiedono accoglienza e noi li rifiutiamo.  In una nazione come l’Italia, dove gli immigrati sono di casa, anzi sono in crescente numero di presenza, questo discorso dell’accoglienza capita a proposito a Ferragosto 2015. obbiamo accogliere nel rispetto della legge e della norma civile, ma dobbiamo accogliere come cristiani ed esseri umani nel nome di quel Vangelo della carità e della solidarietà che Gesù Cristo ci ha insegnato e che non possiamo dimenticare, perché prevalgono i nostri interessi locali, nazionali, europei, mondiali, sul rispetto che si deve ad ogni persona umana, soprattutto se è un bambino, una donna, un ammalto, un povero che ci tende la mano per chiedere aiuto a chi questa mano la potrebbe dare, ma non la dà.  In questi giorni di agosto, tante parole sono state dette e scritte per la questione dell’accoglienza degli immigrati in Italia e in Europa. Valgano su tutte, le parole del Santo Padre, Papa Francesco che si ispirano al Vangelo e partono dal Vangelo, che si deve portare soprattutto nel cuore e non solo tra le mani o sulla bocca, per ricordare a ciascuno di noi, quanto ha detto Gesù, in riferimento al giudizio universale: “Ero forestiero e non mi avete ospitato”. E a Lui, che sa tutto e ci conosce benissimo, non potremmo dire neppure: “Signore quando sei stato forestiero e non ti abbiamo ospitato?”. Egli ci dirà: “Dalla mattina alla sera stavo accanto a voi e voi mi avete girato le spalle, facendo finta di non conoscermi, di non appartenervi, non essere tra i vostri eletti e prediletti. Cosa potrà dirci il Signore? Avete fatto bene a cacciarmi via? No assolutamente! Ma ci butterà via Lui, dalla sua eternità, perché non abbiamo vissuto nell’amore, nella carità. Non abbiamo accolto, abbiamo sempre rifiutato, espulso e mai ospitato.Queste considerazioni di carattere evangelico si addicono perfettamente al tempo che stiamo vivendo, in questo Ferragosto 2015, che ha riportato alla nostra attenzione il dramma dell’immigrazione, tra tante inutili polemiche, mentre la gente soffre e muore in tante parti del mondo, tra l’indifferenza generale dei potenti. Domenica  16 agosto 2015, terza domenica del mese delle ferie, all’indomani della solennità dell’Assunta, la chiesa ci offre come modello di santità un santo francese. San Rocco di Montpellier. Un santo di quella Francia rivoluzionaria che tanto parla di uguaglianza, libertà e fraternità e che all’atto pratico non attua, poi nella vita politica e normativa. Davanti a noi ci sono anche le immagini degli immigrati rifiutati alla frontiera di Ventimiglia, tra l’Italia e la Francia, nei mesi scorsi. Chiaro avviso che loro di immigrati non ne vogliono sul loro territorio, soprattutto se vengono dall’Italia. Sappiamo pure che l’Europa ha restituito all’Italia oltre 12.000 immigrati irregolari, entrati nel nostro Paese, nei modi illegali che ben conosciamo. Il resto d’Europa non accoglie e non vuole accogliere. L’Italia rimane l’unico Paese al mondo, di transito o di definitiva accoglienza dei tanti profughi dalle guerre, di tante donne, bambini e giovani in cerca della salvezza. Il Mare Nostrum, il Mare Mediterraneo, invece di essere il mare della vita è diventato il mare della morte. Un grande cimitero di acqua e in  acqua che ha accolto le salme di oltre 2500 immigrati, annegati, dall’inizio di questo anno 2015 fino ad oggi. Il Mare nostrum è diventato il Mare monstrum, il mare del mostro della mancanza d’amore e di carità verso questi nostri fratelli disperati e in cerca di una speranza di vita.

San Rocco, era straniero, di origine francese, e venne in Italia da pellegrino, per sollevare le sofferenze di tanti appestati del nostro Paese. E’ un esempio che vale la pena ricordare in questi giorni di festa, ferie e vacanze estive. Vale la pena ricordare anche di fronte alle tante polemiche accese tra la chiesa italiana e una parte della politica italiana. Leggiamo la storia, anche se leggendario di questo francese forestiero nel nostro Paese.  San Rocco nacque a Montpellier (Francia), secolo XIV – e morì il 16 agosto di un anno imprecisato. Il nome Rocco di origine tedesca  significa grande e forte, o di alta statura.  Le fonti su di lui sono poco precise e rese più oscure dalla leggenda. In pellegrinaggio diretto a Roma dopo aver donato tutti i sui beni ai poveri, si sarebbe fermato  ad Acquapendente, dedicandosi all’assistenza degli ammalati di peste e operando guarigioni miracolose che ne diffusero la sua fama. Peregrinando per l’Italia centrale si dedicò ad opere di carità e di assistenza incoraggiando  continue conversioni. Sarebbe morto in prigione, dopo essere stato arrestato presso Angera da alcuni soldati perché sospettato di spionaggio. Si dice che solo un cane provvide alle sue necessità materiali portandogli un po’ di pane che il suo padrone gli dava per farlo mangiare. Da qui nell’iconografia e nei detti popolari di “San Rocco e il cane”.  Invocato nelle campagne contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali, il suo culto si diffuse straordinariamente nell’Italia del Nord, legato in particolare al suo ruolo di protettore contro la peste. E’ protettore delle persone diversamente abili, dei carcerati e dei malati infettivi. Altri segni distintivi della sua santità e della sua fama sono la Croce sul lato del cuore, l’Angelo, e i Simboli del ellegrino.

A San Rocco affidiamo i tanti ammalati di peste, di malattie infettive e tante persone diversamente abili che necessitano di essere accudite con amore e con la stessa passione con la quale san Rocco curò i suoi ammalati di peste e con la stessa generosità di questo grande santo, amato al Nord come nel Sud Italia ed esempio di amore verso le persone bisognose del mondo. E lo facciamo con una celebre preghiera della Beata Madre Teresa di Calcutta: “Vuoi le mie mani?”. 

Signore, vuoi le mie mani per passare questa giornata aiutando i poveri e i malati che ne hanno bisogno? Signore, oggi ti do le mie mani. 

Signore, vuoi i miei piedi per passare questa giornata visitando coloro che hanno bisogno di un amico? Signore, oggi ti do i miei piedi. 

Signore, vuoi la mia voce per passare questa giornata parlando con quelli che hanno bisogno di parole d’amore? Signore, oggi ti do la mia voce. 

Signore, vuoi il mio cuore per passare questa giornata amando ogni uomo solo perché è un uomo? Signore, oggi ti do il mio cuore.

PENSIERI QUARESIMALI DI PADRE ANTONIO RUNGI

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In 40 anni di vita sacerdotale ho constato conversioni vere di persone, di ogni genere e stato di vita, che hanno cambiato totalmente vita e si sono dedicate a Dio e ai fratelli. E conversioni apparenti, fatte solo di esteriorità, di parole, di atteggiamenti nuovi, di cambiamenti di ruoli, posti, attività, missioni. Persone vuote che fino allora avevano vissuto nel lusso, nello spreco, non prendendo minimamente in considerazione la povera gente. E poi chissà per quale misteri…oso evento, divenuti grandi umanitari, solo con la bocca. Vorrei domandare a quanti oggi si riempiono la bocca di fare il bene, di ricordarsi dei poveri, dei bambini in particolare, quando spendevano centinaia di migliaia di euro, dove stavano i bambini, i poveri, dove stavano nel loro cuore le sofferenze di tante persone? Non credo a conversioni di facciata, dovute alle circostanze e forse per nascondere problemi più seri di queste persone apparentemente convertite all’amore, alla carità, alla giustizia sociale. Dopo una vita dissoluta, di piaceri, goduti sui sacrifici altrui, sul lavoro altrui, sulle rinunce altrui, si fanno paladini di campagne promozionali a favore dei poveri del mondo. Quanta falsità e quanto opportunismo in tutti i campi ed i settori della vita sociale. Il tempo di Quaresima è invito alla conversione vera e non di facciata e di apparenza. Meglio avere la coscienza di peccatori, che avere la presunzione di essere i nuovi santi e giusti, i nuovi profeti e messia della globalizzazione dell’amore e della solidarietà delle sole parole e non dei fatti. Smettiamola una volta per sempre ad essere ipocriti e farisei. Buona notte carissimi amici che avete avuto sempre l’attenzione e la preoccupazione verso chi soffre, vivendo da poveri con i poveri e non da ricchi tra i poveri, come spesso ci troviamo a costatare nella vita di tante persone che predicano bene e razzolano male, soprattutto nel servizio ai poveri e ai sofferenti di tutto il mondo, a partire dai poveri della nostra terra, spesso dimenticati per aiutare altri poveri, lontani dal controllo dell’opinione pubblica, che oggi è molto attenta, vigile e critica.

PADRE ANTONIO RUNGI

AIROLA (BN). DOMANI CONCLUSIONE DELLA FESTA DELL’IMMACOLATA NELLA CHIESA DELLA CONCEZIONE

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AIROLA (BN). DOMANI LA CHIUSURA DEL NOVENARIO IN ONORE DELL’IMMACOLATA NELLA CHIESA DELLA CONCEZIONE

Si chiude domani con un doppio appuntamento religioso, il solenne novenario in onore della Madonna Immacolata, che, quest’anno,  per la prima volta, è stato predicato, dal 29 novembre all’8 dicembre 2014, dal noto missionario passionista, padre Antonio Rungi, già superiore provinciale dei passionisti della Campania, teologo morale, docente nei licei e giornalista. Un doppio appuntamento liturgico domani, solennità dell’Immacolata: alle ore 8,30 solenne concelebrazione eucaristica, presieduta da padre Antonio Rungi e concelebrata da don Liberato Maglione, parroco dell’Annunziata ed assistente spirituale della Congrega della Concezione, insieme a padre Pasquale Gravante, parroco di San Michele Arcangelo e Superiore dei Passionisti di Monteoliveto. Padre Rungi concluderà la predicazione che lo ha visto impegnato per 10 giorni nella sua città natia, tenendo le riflessioni alla  sera, durante la messa serale delle ore 18.30. Quest’anno c’è stata un’ampia partecipazione dei fedeli alla novena, nonostante il tempo inclemente, tra cui diversi giovani della città. La partecipazione più consistente è stata in occasione della messa presieduta dal Vescovo, monsignor Michele De Rosa, giovedì 3 dicembre 2014 e negli ultimo tre giorni della novena, durante i quali, come tutte le sere è stato padre Rungi a dettare la meditazione per i presenti che hanno seguito con vivo interesse e partecipazione alla celebrazione. Diversi gli iscritti della Congrega della Concezione, che sono 220 al momento, che hanno preso parte alla novena, animata dai canti delle scholae cantorum delle parrocchie di Airola e dei Convento dei Passionisti. A conferma che è ancora viva e sentita la devozione alla Madonna Immacolata che è stata ricordata e onorata, in questi 10 giorni, anche nelle altre chiese di Airola. Altro momento importantissimo della giornata di festa di domani, 8 dicembre 2014, è la processione che si svolgerà alle ore 15.00 circa, con la statua della Madonna Immacolata, per la zona del Borgo di Airola e che sarà guidata dal parroco don Liberato Maglione. Un’ora circa di peregrinatio della venerata immagine della Madonna Immacolata, che sarà portata in processione nei luoghi vicini alla Chiesa della Concezione, che, oggi, a distanza di 300 anni circa, costituisce il cardine della devozione mariana all’Immacolata nella cittadina della Valle Caudina. Merito soprattutto della Congrega della Concezione che ha conservato, in sintonia con i parroci dell’Annunziata, che si sono succeduti nel tempo, questo speciale culto alla Madre di Dio, esentata per singolare privilegio dal peccato originale, per cui Maria è stata proclamata, con un dogma di fede specifico, Immacolata. A conclusione della processione, sarà don Liberato a presiedere la messa di ringraziamento per il dono di questi giorni di spiritualità mariana che ha vissuto la cittadina di Airola, sotto la guida di padre Antonio Rungi, passionista, sacerdote nato in questa città e poi chiamato a seguire san Paolo della Croce, tra i passionisti, in varie parti d’Italia, come missionario e superiore provinciale. Ed è stato proprio padre Rungi “a volere ringraziare, nella persona del priore della Congrega, Pasquale Meccariello, tutto il sodalizio religioso e quanti si adoperano ogni anno per la buona riuscita della festa della Madonna Immacolata nella Chiesa della Concezione”.

 

Questa sera dalle 21,30 alle 22,30, la Veglia di preghiera in preparazione alla solennità dell’Immacolata, nella Chiesa della Concezione, guidata da padre Antonio Rungi, che ha concluso la veglia con la benedizione eucaristica.

 

AIROLA (BN). TRE SECOLI DI STORIA DELLA CONGREGA DELL’IMMACOLATA

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AIROLA (BN). TRE SECOLI DI STORIA DELLA CONGREGA DELL’IMMACOLATA 

Sono circa trecento anni che la Congrega della Concezione, nella storica ed artistica chiesa del Borgo di Airola (Bn), opera ininterrottamente per diffondere il culto verso la Madonna Immacolata. Nata all”inizio del 1700, la Congrega ebbe il riconoscimento ufficiale nel 1737.  A ricordare questo storico avvenimento, nel contesto del novenario in preparazione alla festa della Madonna Immacolata ad Airola (Bn), predicato da padre Antonio Rungi, passionista, mercoledì sera, 3 dicembre 2014, è stato sua eccellenza monsignor Michele De Rosa, Vescovo di Cerreto-Telese-Sant’Agata de’ Goti che ha presieduto la solenne eucaristia delle ore 18,30, nella Chiesa della Concezione, davanti a molti fedeli accorsi per condividere il momento di preghiera con il pastore della diocesi che ha avuto alla sua guida Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, il cantore di Maria che ha fissato in alcuni scritti la sua speciale devozione alla Vergne Santissima.

Presenti al rito padre Antonio Rungi, don Liberato Maglione e don Domenico, segretario del  Vescovo. Tra le autorità presenti il sindaco della città Michele Napoletano, l’assessore al bilancio, Angelo De Sisti, l’ex-comandante della Polizia Municipale, Pompeo Rungi, i confratelli della Congrega, con il priore, Pasquale Meccariello. Il Vescovo nella sua sentita e puntuale omelia ha parlato della devozione alla Madonna, richiamandosi ad un dei documenti fondamentali del Concilio Vaticano II, la Lumen Gentium, sottolineando che la vera devozione consiste nell’imitare le virtù di Maria.

La messa è stata animata dalla corale parrocchiale della Chiesa dell’Annunziata, in grande uniforme, che ha eseguito dei bellissimi canti liturgici e mariani.

Una celebrazione nel suo complesso molto sentita e partecipata, come d’altra parte tutto il novenario che, in quest’anno, ha avuto un particolare seguito, per la presenza del noto predicatore e missionario della Congregazione della Passione di Gesù Cristo (Passionisti), padre Antonio Rungi, originario di Airola, già superiore provinciale, come ha voluto ricordare all’inizio della messa, nel saluto rivolto al Vescovo, don Liberato Maglione, presente ogni sera al novenario nella Chiesa della Concezione. Una chiesa importante sia per l l’antichità del tempio mariano e sia per la artistica tela, sulla quale è stata fissata una delle più belle icone della Madonna Immacolata e che risale al XVII secolo. Quadro donato dalla famiglia Caracciolo alla nascente chiesa dedicata alla Madonna.

Singolare fatto è, che tale Congrega della Concezione fu operativa oltre un secolo prima della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione avvenuto nel 1854 per opera di Pio IX.

La novena di predicazione sta proseguendo in questi giorni e sta accompagnando spiritualmente i fedeli alla festa dell’Immacolata dell’8 dicembre. L’intero ciclo di predicazione, tenuto da padre Rungi, si concluderà lunedì prossimo, solennità dell’Immacolata con la messa officiata da padre Antonio Rungi, alle ore 8,30, concelebrata da don Liberato e da padre Pasquale Gravante, parroco di S.Michele e superiore dei passionisti del convento di Monteoliveto.

Nel pomeriggio poi la processione e in serata  un momento di festa insieme per ricordare la Madonna e per accendere le luci di Maria Immacolata in vista del Natale 2014. Un Natale, che, nonostante la crisi economica, già si respira nell’aria, anche con gli addobbi per strada e nei negozi della città e con l’illuminazione della Piazza della Concezione, illuminata a festa con le luci natalizie, che danno vita al Borgo antico di Airola, “la cittadella di Maria”, come l’ha definito padre Antonio Rungi all’inizio del novenario in onore dell’Immacolata.

 

 

 

 

 

 

 

AIROLA (BN). NOVENA DELL’IMMACOLATA PREDICATA DA PADRE RUNGI

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AIROLA (BN). IN PIENO SVOLGIMENTO LA NOVENA DELLA MADONNA IMMACOLATA PREDICATA DA PADRE ANTONIO RUNGI 

E’ iniziata sabato 29 novembre e terminerà domenica 7 dicembre 2014 la solenne novena in preparazione alla festa della Madonna Immacolata nella Chiesa della Concezione al Borgo, in Airola (BN). Quest’anno a tenere la predicazione è padre Antonio Rungi, passionista, noto missionario e teologo morale, che è originario di Airola ed è la prima volta che predica in questa chiesa di proprietà della Congrega della Concezione. Padre Rungi negli anni passati e recenti a più volte ha predicato il settenario dell’Addolorata e il novenario di santa Maria Goretti. Tema della predicazione che accompagnerà i fedeli alla festa dell’Immacolata 2014 è “Le beatitudini di Maria”.
Nel primo giorno, padre Rungi, assistito dal Don Liberato Maglione, parroco dell’Annunziata, ha parlato della prima beatitudine del vangelo: “Beati i poveri in spirito”. Domenica 30 novembre, prima domenica di Avvento, davanti a tantissimi fedeli che riempivano la chiesa, padre Antonio ha parlato della fede di Maria, riportandosi al momento della visitazione, quando in una sintetica espressione pronunciata da santa Elisabetta e rivolta a Maria afferma, ella “Beata colei che ha creduto nell’adempimento della parola del Signore”.
Su questa espressione, padre Rungi ha sviluppato la sua meditazione agganciandola ai testi della sacra scrittura della prima domenica di Avvento, specialmente alla prima lettura tratta dal profeta Isaia. La novena proseguirà regolarmente nei prossimi giorni. Giovedì. 3 dicembre sarà il Vescovo di Cerreto-Telese- sant’Agata dei Goti, monsignor Michele De Rosa, a presiedere la solenne liturgia eucaristica vespertina, prevista, come tutte le sere alle ore 18.30. I tanti devoti della Madonna si ritrovano insieme anche per la preghiera del Santo Rosario, preludio alla celebrazione eucaristica, alle ore 18.00. La messa è animata dalla scola cantorum della parrocchia dell’Annunziata, nella cui giurisdizione territoriale rientra la Chiesa della Concezione. Questa chiesa è stata costruita nel secolo XVI e la Congrega è stata istituita nel 1737 e da allora ha operato ininterrottamente. Attualmente sono 220 gli iscritti e partecipanti al sodalizio religioso, il cui attuale priore è Pasquale Meccariello, che insieme al direttivo promuove varie iniziative per la chiesa della Concezione, on ultimo la recente ristrutturazione della Chiesa, un luogo di culto mariano molto caro agli airolani e particolarmente agli abitanti del Borgo.
La presenza di padre Rungi quale predicatore della novena è stata accolta nella comunità con grande gioia ed entusiasmo, segno evidente di fortissimo legame spirituale che lega il missionario passionista, già superiore provinciale dei passionisti della Campania e del Lazio Sud, alla comunità cristiana di Airola. Nei prossimi giorni la novena proseguirà come al solito con il rosario meditato alle ore 18.00 e le confessioni e a seguire la celebrazione della divina Eucaristia alle ore 18,30, che sarà presieduta dal padre Antonio Rungi.

PASSIONISTI. E’ MORTO PADRE DOMENICO CURCIO

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Questa sera, sabato 22 novembre 2014, all’Ospedale Giuseppe Moscati di Avellino, all’età di 72 anni è morto padre  Domenico Curcio, sacerdote passionista, o della comunità di Forino in provincia di Avellino. Padre Domenico dell’Immacolata, al secolo Domenico Curcio, era nato il 6 luglio 1942 a Bisaccia (Av), da Antonio e Antonietta Gervasio.

Tra i passionisti padre Domenico entra giovanissimo e il 26 settembre 1959, dopo l’anno di Noviziato, emette la professione dei consigli evangelici, a Falvaterra. Dopo gli studi filosofici e teologici viene ordinato sacerdote il 6 agosto 1968 a Napoli. Persona d grande cultura e sempre aperto al nuovo aggiornatissimo su tutto, ha fatto della formazione permanente il suo impegno prioritario, intuitivo al massimo e precursore di tanti cambiamenti nella chiesa, on visione ideale, ma anche concreta della vita cristiana, sacerdotale e consacrata.

Un sacerdote stimatissimo da tutti. Padre Domenico è stato consultore all’apostolato nella  provincia dell’Addolorata (Lazio Sud e Campania), superiore locale, vicario e soprattutto vicario episcopale per la vita consacrata della Diocesi di Avellino, dove godeva di una stima grandissima da parte dei vescovi, del clero, dei religiosi e delle religiose, nonché dei fedeli laici.  

Ha predicato moltissime missioni popolari ed ha svolto l’apostolato tipico della Congregazione dei Passionisti. La morte di padre Domenico Curcio è una gravissima perdita per i passionisti della provincia dell’ Addolorata, data la giovane età del sacerdote e il suo impegno costante nel campo missionario e diocesano, nonostante la sua malattia.

In agosto aveva perso la sua amatissima madre Antonietta, e in occasione dei funerali della mamma  confidò  a padre Antonio Rungi, Ex-superiore provinciale dei Passionisti di Napoli, che aveva partecipato ai funerali della madre,  della sua malattia, leucemia, che in pochi mesi lo ha consumato.

I solenni funerali di padre Domenico Curcio si svolgeranno lunedì 27 novembre 2014, alle ore 10.00 a Forino in provincia di Avellino, nella chiesa di San Biagio, dove per tanti anni, padre Domenico ha svolto l’ufficio di parroco e vicario parrocchiale. Con padre Leone Russo avevano dato un impulso fortissimo alla vita pastorale e spirituale dell’intera cittadina di Forino, dove praticamente ha vissuto buona parte della sua vita sacerdotale e dove era amato e stimato da tutti, per il suo stile, la sua affabilità, la sua preparazione culturale, teologica, pastorale e liturgica.

Dopo i funerali le spoglie mortali di padre Domenico verranno sepolte nella cappella dei passionisti di Forino. Riposi in pace.

SOLENNITA’ DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO 2014. IL COMMENTO DI P.RUNGI

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GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

DOMENICA 23 NOVEMBRE 2014

 Eredi del Regno di Cristo 

Commento di padre Antonio Rungi 

L’ultima domenica dell’anno liturgico è dedicata alla solennità di Gesù Cristo, Re dell’universo. E’ una domenica speciale questa, in quanto è la conclusione di un cammino spirituale ed interiore che abbiamo fatto nel corso dell’anno alla scuola della parola di Dio, che ogni domenica abbiamo ascoltato e commentato e ci auguriamo di aver messo in pratica. E’ un cammino di amore e carità quello che annualmente siamo chiamati a percorrere con l’anno liturgico, una vera miniera di grazia e benedizione per quanti vogliono seriamente pensare alla salvezza della propria anima, che, poi, è la cosa più importante della nostra vita, rispetto a quanti si affaticano per conquistare altri beni, terreni o di altro genere, che non hanno valenza davanti al Re dei cieli. In fondo, anche in questa domenica, ci viene nuovamente riproposto il tema dell’amore Dio, dal quale deve scaturire l’amore verso i fratelli. Un amore concreto, operativo, fatto di gesti e di empatia, caratterizzato dalla questa forte tensione verso l’altro, specie di chi si trova nella difficoltà. Questo Re che oggi adoriamo, Cristo Signore, sarà un giudice dal cuore misericordioso e buono, ma ci chiederà solo alcune fondamentali cose, se le abbiamo fatte o meno nella nostra vita. Certo a Lui tutto è presente e tutto Lui conosce, ma l’incontro con Cristo, nell’eternità, avrà un momento (se così lo possiamo definire) di un tu a tu con Dio. Un confronto che è decisivo, in quanto sarà per la felicità o la condanna. Certo il Figlio di Dio, venuto sulla terra, incarnandosi per opera dello Spirito santo nel grembo verginale di Maria, è venuto a portare la salvezza ed assicurare a ciascuna creatura umana un’eredità di un valore infinito, di un valore eterno, in quanto è la gioia di partecipare al Regno di Dio per sempre, nel Santo Paradiso.

Il testo del Vangelo di oggi, su cui abbiamo meditato nella domenica del 2 novembre scorso, in occasione dell’annuale commemorazione dei defunti, ci riporta alla realtà di una vita eterna che passa attraverso la scelta della carità. Un giudizio di Dio sul nostro operato e quello dell’intera umanità ci sarà e sarà espresso secondo questi criteri e parametri evangelici:”In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Vorrei sottolineare in questa meditazione ed omelia questo ultima versetto del vangelo di Matteo sul giudizio universale: “E se ne andranno: questi al supplizi eterno, i giusti invece alla vita eterna”. L’eternità e il nostro destino futuro lo costruiamo noi con le nostre mani, con le mani e il cuore dell’amore o dell’odio. Tutti abbiamo sperimentato nella vita l’amore e l’odio. Sono due forze contrastanti che si eliminano a vicenda. Chi segue la via dell’amore, sceglie anche per il suo futuro la gioia del regno di Dio, entrerà a far parte di coloro che saranno felici per sempre e davvero. La via dell’amore e della felicità è la via del dono, dell’accoglienza, dell’attenzione, della misericordia, del servizio umile e disinteressato verso i poveri e i bisognosi del mondo.

Da questo vangelo dell’amore che Papa Francesco ogni giorno coglie l’occasione per richiamare all’attenzione dei credenti il loro fondamentale impegno di amare e donare, di servire e rendersi disponibile. Ricordiamo queste parole di Gesù nella catechesi di oggi: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Con l’ulteriore esplicitazione del concetto e soprattutto dell’azione in queste parole:“In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Un Re che ci chiede di fare il bene agli altri, non chiede per se stesso nulla. Anzi è stato Lui stesso a dare tutto per noi, morendo sulla croce, sacrificandosi per noi. Una regalità speciale, fuori dai canoni delle regalità e dei regni di questa terra, che hanno altre prospettive di soggiogare le persone e il mondo alle proprie idee e posizioni. Nella prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi, che oggi ascoltiamo, ci viene proprio evidenziata la missione di Cristo. Una missione che si concentra sul tema della morte e risurrezione, sulla Pasqua. Ci istruisce a tal proposito l’Apostolo delle Genti: “Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte.

E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti”.

Gesù Cristo quindi, al centro della redenzione “consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza”. Per cui, “è necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte”. Una regalità per la vita e non per la morte. La morte, infatti, è la negazione della vita, è l’opposto e l’opposizione della vita. Cristo è per la vita e la vita oltre la vita, senza la quale non possiamo parlare di vera vita.

Questo Re, inoltre, si indentifica con il pastore umile, buono ed accorto, perché tutte le sue pecorelle possano trovare conforto e gioia in Lui, e che nessuna di essanon avverta la solitudine dell’esistenza o dello smarrimento, ma solo l’amore che è ricerca e attenzione, come ci rammenta il brano della prima lettura di questa solennità, tratto dal Profeta Ezechiele: “Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia. A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri”.

Il nostro Dio, il nostro Re, è un Dio che va alla ricerca e soffre se anche una sola delle sue pecore dovesse perdersi, smarrirsi, non ritrovare la strada del paradiso. In questa sua affannosa ricerca, se gli uomini non rispondono a questo amore, alla fine c’è la separazione, c’è il giudizio, tra pecore e pecora e tra montoni e capri. Segno evidente che Dio non può fare a meno di emettere il suo verdetto sul nostro comportamento, se non va verso il pentimento, verso la conversione permanente.

Sia questa allora la nostra umile preghiera in questo giorno di lode e ringraziamento al Re dei Re: O Padre, che hai posto il tuo Figlio come unico re e pastore di tutti gli uomini, per costruire nelle tormentate vicende della storia il tuo regno d’amore, alimenta in noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l’ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l’opera della sua redenzione, perché tu sia tutto in tutti”.

Concludo questa mia riflessione con una delle espressioni più belle che hanno accompagnato il canto e la preghiera della Chiesa nei secoli: Christus vincit, Christus regnat, Christus, Christus imperat.

E con un saluto finale che fino a non molti anni fa tutti utilizzavamo per salutare i sacerdoti, i parroci: “Cristo, regni!”. “Sempre”.

Regni sempre nella nostra mente, nei nostri pensieri, nel nostro agire, nel nostro vivere quotidiano nella gioia e nella sofferenza che tante volte può interessare la nostra vita e la vita degli altri. Regni il Signore, perché il suo Regno è un Regno d’amore e di gioia, comunque e sempre. Amen

 

 

P.RUNGI. IL COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014

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XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

16 NOVEMBRE 2014 

Vigilanza e sobrietà in vista dell’eternità 

Commento di padre Antonio Rungi 

Le ultime domeniche dell’anno liturgico sono un forte appello, nella parola di Dio, a guardare avanti e a fissare il nostro sguardo nell’eternità, dove siamo diretti, camminando nel tempo ed aspettando il giorno in cui il Signore ci chiamerà a rendere conto della nostra vita, subito dopo la morte. Poi ci sarà anche il giudizio finale, quello che noi chiamiamo universale in quanto riguarderà tutti e tutto. Nell’attesa gioiosa e non ansiosa di quanto dovrà accadere, noi siamo chiamati a vigilare su noi stessi, vivendo un vita di sobrietà, senza eccessi di nessun genere. Diciamolo con chiarezza, noi non sappiamo né il momento e né l’ora in cui il Signore verrà; per cui dobbiamo essere sempre pronti a rispondere il nostro sì per l’eternità, dal momento che abbiamo detto i tanti nostri sì in questo mondo, scegliendo di vivere dalla parte di Dio e seguendo la morale della nostra fede cristiana. E’ San Paolo Apostolo nella bellissima prima lettera scritta ai Tessalonicesi, in cui tratta appunto il tema della venuta del Signore, a farci riflettere seriamente sul nostro futuro e sul mondo che verrà. Egli scrive: “Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri”. La venuta ultima del Signore è paragonato ad un ladro che va a rubare di notte nelle case delle persone. Non c’è preavviso, ma tutto succede all’improvviso. E quanto più pensiamo di essere al sicuro ed avere certezze di futuro su questa terra, allora dobbiamo maggiormente preoccuparci che non è poi proprio così. L’atteggiamento migliore è quello di attendere la venuta del Signore in uno stato di grazia, uscendo dalle tenebre del peccato e della presunzione di stare a posto e di non aver bisogno di purificazione e conversione. Dobbiamo vivere sempre come figli della luce, perché non apparteniamo alla notte, ma al giorno; non apparteniamo alle tenebre, ma alla luce, perché Dio è luce e in questa luce che noi viviamo e a questa luce dobbiamo aspirare nell’eternità.

E sempre sul tema del secondo avvento del Signore nella storia dell’uomo che si focalizza il testo del Vangelo di oggi, tratto dall’evangelista Matteo, nel quale è riportata la parabola dei talenti che devono fruttificare produce opere buone e di santità, opere di eternità. Che sia poco o che sia molto che abbiamo ricevuto dal Signore, questo non può restare inoperoso, non può non produrre qualcosa, anche il minimo deve rendere, a costo di affidare questo talento alla custodia o all’iniziativa degli altri. L’impegno per il regno di Dio e per la santificazione della nostra vita deve essere costante e personale, deve passare attraverso atti decisionali che non ammettano scusanti o giustificazioni di sorta. Bisogna operare e basta come hanno fatto i servi che hanno ricevuto cinque e due talenti che raddoppiarono nel rendimento. Non è bello e non esprime amore verso il Signore e verso se stessi se, pur avendo ricevuto il minimo, espresso dall’unico talento, invece di farlo fruttificare lo mettiamo a tacere, lo atterriamo, lo nascondiamo e non lo rendiamo visibile agli altri mediante un retto operare. Leggiamolo questo bellissimo brano del Vangelo di questa penultima domenica del tempo ordinario. “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.  Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Il premio della salvezza eterna, Dio ce lo concederà se ci siamo sforzati a far fruttificare tutti  doni ricevuti e poi concretamente fatti crescere e potenziale per il giardino del paradiso.

In altri termini dobbiamo essere come la donna attenta ed oculata di cui ci parla il libro dei Proverbi, nel quale vediamo all’opera la donna volenteroso di operare per la gloria del Signore e per la felicità della propria famiglia. Il programma di santità per donne ed uomini che temono ed amano il Signore sta appunto in questo testo: “Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Gli dà felicità e non dispiacere

per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani.

Stende la sua mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero. Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città”. Fedeltà, carità, timore ed amore di Dio, operosità per il Regno di Dio sono gli standard minimi per essere sulla giusta strada che conduce alla felicità vera e duratura. Non è la bellezza esteriore, né il fascino umano, ma è la bellezza del cuore ed il fascino interiore a rendere l’uomo e la donna capace di parlare il linguaggio verso dell’eternità e di operare in vista di essa. Con queste profonde convinzioni spirituali, possiamo elevare a Dio la nostra supplica, insieme a tutti i fedeli che si raccoglieranno in preghiera nella casa del Signore, in questa domenica penultima dell’anno liturgico: “O Padre, che affidi alle mani dell’uomo tutti i beni della creazione e della grazia, fa’ che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della tua provvidenza; rendici sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo giorno, nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli, e così entrare nella gioia del tuo regno”. Amen

COMMENTO ALLA FESTA DELLA DEDICAZIONE DELLA CHIESA DEL LATERANO

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FESTA DELLA DEDICAZIONE DELLA CHIESA  CATTEDRALE

DI SAN GIOVANNI IN LATERANO

 

DOMENICA 9 NOVEMBRE 2014

 

Una chiesa viva e coraggiosa nel segno dell’unione.

 

Commento di padre Antonio Rungi, passionista

 

In questa seconda domenica del mese di novembre 2014, celebriamo la festa della Dedicazione della Basilica Lateranense, come  ben sappiamo è intitolata a San Giovanni Battista. E’ la chiesa cattedrale del Vescovo di Roma e come tale ha una funzione simbolica molto importante nel panorama delle chiese costruite fin dai primi secoli del cristianesimo, dopo la pubblicazione dell’editto di Milano dell’Imperatore Costantino, che permise ai cristiani di professare pubblicamente il culto e quindi di realizzare e costruire le chiese, ove radunarsi in preghiera e per celebrare l’Eucaristia.

San Giovanni in Laterano è stata la prima chiesa cattedrale di Roma dove i successori degli apostoli, i vescovi, hanno continuato a svolgere il loro ministero.

In San Giovanni Laterano si sono celebrati concili di grande importanza storica e dottrinale.

La chiesa del Laterano, infatti, è la prima, per data e per dignità, di tutte le chiese d’Occidente. Essa è ritenuta la madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe.   Consacrata da papa Silvestro il 9 novembre 324, col nome di basilica del Santo Salvatore, essa fu la prima chiesa in assoluto ad essere pubblicamente consacrata. Nel corso del XII secolo, per via del suo battistero, che è il più antico di Roma, fu dedicata a san Giovanni Battista; donde la sua corrente denominazione di basilica di San Giovanni in Laterano.

Per più di dieci secoli, i papi ebbero la loro residenza nelle sue vicinanze e fra le sue mura si tennero duecentocinquanta concili, di cui cinque ecumenici.

Si comprende quindi il significato di questa festa nella festa domenicale. Andiamo oggi alla sorgente di quella fede, uscita dalle catacombe e dal nascondimento e professata pubblicamente.

La liturgia della parola di Dio di questa domenica ci aiuta ad entrare nel ricordo storico, ma soprattutto nella memoria della fede che non è solo storia del passato, ma vita di oggi della Chiesa di Roma e delle chiese di tutto il mondo.

La preghiera inziale della santa messa di questa festa ci immette nel clima teologico e spirituale più giusto per vivere questa giornata di gioia interiore: “O Padre, che prepari il tempio della tua gloria, con pietre vive e scelte, effondi sulla Chiesa il tuo Santo Spirito, perché edifichi il popolo dei credenti  che formerà la Gerusalemme del cielo”.

Nella prima lettura di oggi, tratta dal profeta Ezechiele l’immagine e la visione del tempio santo di Dio, come luogo di grazia è molto chiara. L’acqua nella Sacra Scrittura indica appunto tutto ciò che è dato gratuitamente dal Signore per la nostra santificazione, che passa attraverso la purificazione. L’acqua del Battesimo ne è il primo importante momento di questo cammino di santificazione nella comunità dei credenti, la chiesa quale popolo in cammino verso i pascoli della rigenerazione interiore e spirituale.Scrive Ezechiele circa le acque del tempio: «Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell’Àraba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Lungo il torrente, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina».

E’ evidente il riferimento alla grazia rigenerante del battesimo e di ogni altra grazia santificante ed attuale che opera nel profondo del cuore e della vita del battezzato per portarlo progressivamente, attraverso le vicende dell’esistenza umana, non senza difficoltà, alluvioni spirituali, inondazioni, tracimazioni, distruzione, alla ricostruzione e alla rigenerazione dopo la tempesta e il diluvio distruttivo.

Nella seconda lettura, un brevissimo brano tratto dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi, troviamo i concetti fondamentali della chiesa come edificio di Dio, costruito con pietre vive sul basamento che è Cristo. Infatti, scrive l’apostolo ai cristiani di Corinto, richiamando alla loro attenzione, la propria identità di credenti: “Fratelli, voi siete edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi”.

Nel testo del Vangelo di oggi, tratto da San Giovanni, riscontriamo un duplice atteggiamento di Gesù circa la valenza del tempio.

In primo luogo vediamo come il Signore è particolarmente duro verso coloro che avevano fatto del tempio di Gerusalemme, luogo santo per eccellenza di Israele e simbolo della fede, un luogo di commercio e di sfruttamento dell’immagine di Dio per i loro tornaconti economici. Gesù caccia in malo modo quei furfanti, accusandoli di un grave peccato di simonia. Infatti, ci ricorda l’evangelista Giovanni che “si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme”. Qui “trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete”. Descrizione di una situazione incresciosa, inammissibile per il particolare posto. E allora cosa fece? “Fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».

Da questo comportamento di Gesù, i discepoli fecero delle riflessioni e trassero delle conclusioni, che Giovanni, presente come sempre in tutta la vita del Maestro, descrive con queste parole: “I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».

Il conseguente atteggiamento dei Giudei presenti al fatto, fu quello di prendere la parola e rivolgersi direttamente a Gesù, per sapere il suo pensiero. La domanda di circostanza fu:  «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Occasione buona per Gesù per richiamare l’attenzione sulla sua morte e risurrezione. Avvenimenti che accadranno di lì a poco. Dice Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù”.

Questo bellissimo brano del Vangelo di Giovanni è davvero un testo che apre il nostro cuore alle speranza e alla gioia cristiana. Non son i templi materiali, le chiese e i santuari, fatti di pietre e oggetti preziosi, ma sono le persone che contano davanti a Dio. La morte, la distruzione, tutto ciò che è negativo troverà la ragione per riscattarsi in vita, in positività, perché Cristo Risorto è il vincitore del peccato e della morte.

Queste fondamentali verità sono annunciate dalla Chiesa e da chi è il primo responsabile in terra di essa: il Romano Pontefice. Ed oggi che celebriamo  la Dedicazione della Chiesa di San Giovanni in Laterano, questo evento ci richiama immediatamente  la figura e la missione del Papa nella Chiesa e nel mondo contemporaneo.

In questo momento della nostra storia, il Signore ha posto alla guida della sua chiesa, santa e fatta anche di peccatori, Papa Francesco. Per lui, come ci chiede continuamente lo stesso Pontefice, siamo chiamati a pregare e lo facciamo con passione, amore e sincerità con questa mia umile preghiera composta da me per questa ricorrenza annuale:

 

Cristo, Buon Pastore,

che hai scelto alla guida della tua santa chiesa,

Papa Francesco,

assisti il Vescovo di Roma,

perché possa continuare ad annunciare,

nella fedeltà alla tua parola,

il vangelo della gioia e del perdono.

 

Non permettere, o Gesù, Salvatore del mondo,

che le forze del male prevalgano

nei confronti della tua Chiesa,

ma con l’assistenza dello Spirito,

che è Signore e dà la vita,

possa camminare nel mondo

con la forza della vera fede

e con l’energia dell’amore che tutto perdona,

sotto la guida dei pastori che tu hai scelto per amore.

 

Nessuno dei membri della tua chiesa,

sia motivo di sofferenza per il Romano Pontefice,

sulle cui spalle hai messo la responsabilità

di tutto il popolo santo a te consacrato

nel fonte battesimale.

 

Signore Gesù, umile e mite di cuore,

proteggi Papa Francesco,

dall’indifferenza e dall’arroganza di quanti

non sentono il grido dell’umanità sofferente

e non hanno a cuore le sorti delle genti.

 

Conserva, Signore, il nostro amato pastore di Roma,

nella piena salute del corpo e dello spirito,

perché possa continuare a lungo

la sua missione di guida e padre

per quanti cerca con sincerità la verità.

 

Fa che nulla lo turbi e nessuno dei cardinali,

vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, diaconi,

seminaristi, laici impegnati nel servizio pastorale,

e fedeli laici sia motivo di interiore sofferenza

per la poca fede e la scarsa adesione al Vangelo dell’amore,

della pace, della giustizia e della fratellanza universale.

 

Maria, la Regina degli apostoli, renda feconda

l’attività missionaria, spirituale e morale

di Papa Francesco, nostro illuminato maestro nella fede

e guida sicura sulle strade del Vangelo che portano al cielo,

nella consapevolezza che si è chiesa sotto la guida

dell’unico Pastore, che è Cristo Signore. Amen