Predicazione

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA SOLENNITA’ DELLA PENTECOSTE 2017

RELIQUIARIO SANT'ERASMO

DOMENICA DI PENTECOSTE – MESSA DEL GIORNO (ANNO A)
Domenica 4 giugno 2017

 

Vieni Spirito Santo a consolare i nostri cuori affranti

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

La Pentecoste è, senz’altro, la solennità post-pasquale che meglio colora di speranza la nostra umana società.

Nell’invocazione allo Spirito Santo, la Terza persona della Santissima Trinità, noi chiediamo di venire a rinnovare la faccia della terra e a rinnovare il cuore di chi questa terra la abita da sempre, che è l’uomo.

Nella preghiera iniziale della solennità odierna ci rivolgiamo a Dio con queste parole di fiducia e di speranza: “O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo, e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo”.

La Pentecoste è questo rinnovare e rinnovarsi del mondo e della chiesa con la forza dello Spirito Santo che comunica i suoi sette doni (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio) e con la pluralità di altri importanti doni, come quella della glossolalia, la capacità di farsi capire da tutti, pur parlando una sola lingua.

Infatti, negli Atti degli Apostoli che ascoltiamo come prima lettura, in questa solennità, viene messo in risalto proprio questo singolare evento e fatto, conseguente alla discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e Maria, riuniti nel cenacolo, descritta in modo pregnante e coinvolgente: “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua”.

Di fronte a tale racconto, si potrebbe restare, sorpresi, ma indifferenti, come capita spesso quando lo Spirito Santo suggerisce ed illumina la mente del credente, che rimane freddo e distaccato davanti al calore che emana da Dio Amore, da Dio Spirito, dal Dio Consolatore.

Mentre con il salmista, potremmo comprendere appieno il dono dello Spirito, che ha la capacità di rinnovare la terra e con la forza che Egli promana, fa elevare il cuore a gradi più alti di riconoscenza e gratitudine verso il Signore: “Sei tanto grande, Signore, mio Dio! Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature.  Sia per sempre la gloria del Signore; gioisca il Signore delle sue opere. A lui sia gradito il mio canto, io gioirò nel Signore”.

Nella seconda lettura, tratta dalla bellissima prima lettera ai Corinzi di San Paolo Apostolo, noi veniamo condotti per mano alla comprensione dell’unità e della diversità. Un solo Spirito, tanti carismi e doni per il bene comune e per la costruzione dell’unica chiesa di Cristo.

L’esempio dell’unitarietà e dell’armoniosità del corpo umano, permette all’Apostolo delle Genti, di far emergere dal suo scritto un’ecclesiologia di comunione, condivisione e compartecipazione, dove tutti apportano il loro contributo per l’edificazione della Chiesa e per la santità della stessa.

Leggiamo, infatti, che “vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune. Cristo”.

E conclude “noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito”. Quanto ci tenesse l’Apostolo all’unità di tutti i cristiani, lo possiamo facilmente comprendere da questo meraviglioso testo, in cui tutti, nella chiesa, hanno diritto di cittadinanza, in seguito al battesimo, e tutti sono al servizio della causa comune, che non autorizza nessuno, se è veramente radicato nella chiesa, ad autoescludersi e a non sentirsi protagonista in essa con i doni che il Signore ha riversato su ognuno di essi.

E tra i doni e la missione che Cristo ha affidato alla Chiesa, mediante l’invio dello Spirito Santo, ce ne è uno importantissimo, quello di perdonare i peccati, quello di ridare dignità e figliolanza di Dio, dopo la caduta primordiale con il peccato originale e dopo le cadute, di volta in volta, nel corso della vita, espresse dalle fragilità umane e dai vari peccato che purtroppo si commettono volontariamente e coscientemente. Nel giorno della Risurrezione, il Signore Gesù salutò la seconda volta i discepoli con queste parole: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

La vera Pentecoste per ciascuno di noi è vivere nella grazia e nella comunione. La primavera che possiamo celebrare ogni volta che sperimentiamo l’inverno, oltre che l’inferno, della nostra vita, quando siamo in peccato, è quella di ritornare subito nel clima gioioso e rassicurante della misericordia divina, che è la primavera della grazia, mediante il sacramento della penitenza e mediante una vita di santità, che attinge la sua fonte originaria nel battesimo e nella confermazione.

Tutti battezzati e tutti cresimati, ma, mi chiedo, viviamo davvero da battezzati in Cristo e testimoni di Cristo dovunque siamo e qualsiasi cosa facciamo? Abbiamo il coraggio di portare ed annunciare agli altri la gioia vera che viene da Dio e dalla nostra docilità allo Spirito Santo?

Anche in questa Pentecoste 2017, preghiamo e invochiamo lo Spirito Santo con la stupenda sequenza che leggeremo a conclusione della seconda lettura e prima del Vangelo di questa solennità: “Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce. Vieni, padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori. Consolatore perfetto,  ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto. O luce beatissima, invadi nell’intimo
il cuore dei tuoi fedeli. Senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa. Lava ciò che è sórdido, bagna ciò che è árido, sana ciò che sánguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. Dona ai tuoi fedeli, che solo in te confidano i tuoi santi doni.  Dona virtù e premio, dona morte santa,
dona gioia eterna”.

Si, lo Spirito Santo è tutto questo per noi e tutto questo può fare e fa per noi, se siamo attenti e alla sua voce che come un vento si abbatte impetuoso nella nostra vita, a volte senza senso, e la trasforma in una vita piena di frutti spirituali, come quelli che ben sappiamo e che sono l’amore, la gioia, la pace, la pazienza, la benevolenza, la bontà, la fedeltà, la mitezza e il dominio di sé.

Lo Spirito Santo è davvero il Consolatore che cambia i nostri cuori tristi ed affranti in cuore pieni di gioia e di speranza.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA 2017

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V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A)

Domenica 2 aprile 2017

 

Lazzaro, vieni fuori. E l’amico morto resuscitò.

Mai disperare di fronte al dolore e alla morte

e sempre avere fiducia e speranza nel Signore

 

Commento di padre Antonio Rungi
La quinta domenica di Quaresima che celebriamo oggi ci prepara immediatamente alla Pasqua. Sono, infatti, pochi i giorni che ci separano dall’annuale ricorrenza liturgica della risurrezione del Signore, che è il punto di riferimento di tutto il cammino spirituale del singolo cristiano, come per l’intera comunità cristiana.

Già domenica prossima entriamo nel vivo delle celebrazioni pasquali con la Domenica delle Palme o di Passione.

Questi ultimi giorni, prima della Settimana Santa, siano vissuti bene da ognuno di noi chiedendo al Signore quanto è espresso nella preghiera della colletta di questa domenica: “Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi”.

Al mistero di Cristo Redentore, al futuro Re e Messia d’Israele si riferisce il testo della prima lettura di questa domenica, tratto dal profeta Ezechiele, che ci invita a riconoscere il Signore che viene, in quanto aprirà le tombe e farà uscire dai sepolcri il suo popolo.

Chiaro riferimento alla risurrezione della carne e al Cristo pasquale che la liturgia dell’AT anticipa con tante figure ed immagini come quella dell’uscita dall’esilio terreno e spirituale in cui il popolo di Dio si era procacciato e da cui non riusciva ad venire fuori senza l’intervento dall’alto.

La terra promessa si vede all’orizzonte e non si tratta solo dalla Palestina e del ritorno in patria, dopo i vari esili storici di Israele, ma soprattutto al ritorno della patria celeste ed eterna, verso la quale noi tutti siamo diretti e di cui dobbiamo preoccuparci seriamente, se consideriamo che siamo di passaggio su questa terra, viviamo in esilio, nell’attesa di raggiungere la nostra casa e patria per l’eternità.

E il Salmo 129 completa questa nostra riflessione sul futuro nostro, che si chiama eternità, ricordando ad ognuno di noi la nostra povertà e miseria, di fonte alla bontà e la misericordia di Dio, che è infinita:  “Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere? Ma con te è il perdono: così avremo il tuo timore”.

San Paolo Apostolo nel testo della sua Lettera ai Romani, che oggi leggiamo, ci riporta alla triste realtà di una vita vissuta nel materialismo e alla bellezza e ricchezza di una vita vissuta nello spirito. Infatti, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio; mentre coloro che vivono sotto il dominio dello Spirito del Signore, piacciono a Dio e vivono di Dio nel tempo e nell’eternità.

Anche in questo secondo brano della parola di Dio di oggi c’è un forte appello ad alzare gli occhi al cielo, a guardare in alto e saper sognare una vita spiritualmente felice: “se Cristo è in noi, il nostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia”, ci ricorda l’Apostolo.

Il Vangelo di oggi con il racconto della risurrezione di Lazzaro, di cui l’evangelista Giovanni ci offre tutti i dettagli, ci anticipa quello che succederà con la risurrezione di Gesù. Egli riporta alla vita fisica, momentaneamente, l’amico Lazzaro, per la cui morte il Signore soffre e piange, per insegnarci a guardare la nostra vita, oltre la vita. Infatti, la morte non è l’ultima parola per l’uomo, ma è la risurrezione anche nel suo corpo mortale.

La malattia che porterà Lazzaro alla morte fisica, non sarà per glorificare la conclusione dell’esistenza terrena di ogni essere umano e vivente, ma sarà per dare gloria a Dio, come leggiamo testualmente: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato».

E così sarà, in quanto Lazzaro, che già da quattro giorni era nel sepolcro, per la potenza divina di Gesù, risorgerà e riprenderà il suo cammino nel tempo, in attesa poi di chiuderlo per sempre alla fine dei suoi giorni, davvero ultimi quella volta successiva, come era scritto nel libro della vita e soprattutto della fede.

Voglio chiudere questa riflessione della quinta domenica di Quaresima, con la stessa preghiera che Gesù rivolge a Dio Padre, prima di far risuscitare Lazzaro: “Padre, ti rendiamo grazie perché ci ascolti sempre nella gioia e nella sofferenza. Io sappiamo che ci dai sempre ascolto, ma rendi più forte e solida la nostra fede in Te, nella risurrezione della carne e nella vita eterna”.

Questa settimana che ci attende, sia di preparazione alla Settimana Maggiore. Predisponiamo il nostro cuore ad accogliere il Verbum Crucis, la Parola della Croce, che è la vera salvezza del mondo.

Non dimentichiamo chi vive nel dolore, nella malattia e sperimenta la perdita delle persone care, come fu per le sorelle di Lazzaro e per lo stesso Gesù per la morte del suo amico.

Mai disperare di fronte al dolore e alla morte e sempre avere fiducia e speranza nel Signore

P.RUNGI. TESTO DELLA VIA CRUCIS – QUARESIMA 2017

PASSIONISTE8

VIA CRUCIS PER I GIOVANI E CON I GIOVANI

CASA DEL VOLTO SANTO – PONTI ROSSI – NAPOLI

VENERDI’ 24 MARZO 2017 – ORE 18,30

MEDITAZIONI E PREGHIERE DI PADRE ANTONIO RUNGI PASSIONISTA

QUARESIMA 2017

Canto iniziale

INTRODUZIONE

S.Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo

T.Amen.

S.Il Signore sia con voi.

T.E con il tuo spirito.

 

G1-Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi (2,5-11)

Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.

Breve pausa di silenzio e meditazione

C.Preghiamo: Signore, in questo cammino che porta al Calvario insieme a Te, nella nostra preghiera della Via Crucis di questo Venerdì di Quaresima, noi giovani e tutti i fedeli qui presenti ci rivolgiamo a Te per chiederti scusa, perché non siamo stati capaci di concretizzare il tuo insegnamento nella vita di tutti i giorni. I tuoi sentimenti non sono stati i nostri. E di questo ti chiediamo umilmente perdono. Amen.

 

 

S.PRIMA STAZIONE: Gesù è condannato alla morte per crocifissione

G1-Dal Vangelo secondo Giovanni 19, 12-16

Pilato cercava di liberare  [Gesù]; ma i Giudei gridarono: “Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare”. Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà.  Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: “Ecco il vostro re!”. Ma quelli gridarono: “Via, via, crocifiggilo!”. Disse loro Pilato: “Metterò in croce il vostro re?”. Risposero i sommi sacerdoti: “Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare”. Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

 

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G2-Quante persone, ogni giorno, nella nostra città, nel Sud vengono condannati ad una morte fisica, morale e spirituale, in assenza di quei servizi essenziali che riguardano la salute del corpo e dello spirito. Diversi vengono condannati a morte e vengono anche uccisi e massacrati dalla droga, dalla violenza comune ed organizzata, dalla malasanità, dalla mancanza dell’essenziale.

 

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G3-Gesù, tu che sei stato ingiustamente condannato a morte, guarda ai tanti condannati a morte del nostro territorio, soprattutto se sono innocenti ed hanno un solo nome comune: minorenni. Amen.

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G4-Mi direte: “Padre, ma io sono molto limitato, sono peccatore, cosa posso fare?”. Quando il Signore ci chiama, non si ferma a ciò che siamo o a ciò che abbiamo fatto. Al contrario, nel momento in cui ci chiama, Egli sta guardando tutto quello che potremmo fare, tutto l’amore che siamo capaci di sprigionare. Gesù vi chiama a lasciare la vostra impronta nella vita, un’impronta che segni la storia, la vostra storia e la storia di tanti” (Papa Francesco)

S.SECONDA STAZIONE: Gesù è caricato della croce

G1-Dal Vangelo di Giovanni (19,17)

Essi allora presero Gesù ed ed Egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, in ebraico Golgota.

 

G2-Quanti croci sono costretti a portare sulle spalle i giovani del nostro territorio: dalla mancanza di opportunità sociali, culturali ed economiche, a quelle non meno gravi della mancanza di un’educazione alla fede di cui le famiglie non se ne fanno più carico. Troppe deleghe a chi non ha la responsabilità diretta dei figli, dei minorenni, degli adolescenti e dei giovani in generale, che non vengono assolte e portate a termine.

 

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G3-Signore, alleggerisci il peso delle croci ai nostri giovani non più preparati alla vita, a saper soffrire e a lottare per i giusti ideali della società. Amen.

 

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G4-Maria non si chiude in casa, non si lascia paralizzare dalla paura o dall’orgoglio. Maria non è il tipo che per stare bene ha bisogno di un buon divano dove starsene comoda e al sicuro. Non è una giovane-divano!  Se serve una mano alla sua anziana cugina, lei non indugia e si mette subito in viaggio. (Papa Francesco)

 

 

S.TERZA STAZIONE: Gesù cade la prima volta sotto la croce

 

G1-Dal libro del profeta Isaia. 53, 4-8

…Egli si è caricato delle nostre sofferenze,

si è addossato i nostri dolori

e noi lo giudicavamo castigato,

percosso da Dio e umiliato.

Egli è stato trafitto per i nostri delitti,

schiacciato per le nostre iniquità.

Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;

per le sue piaghe noi siamo stati guariti.

Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,

ognuno di noi seguiva la sua strada;

il Signore fece ricadere su di lui

l’iniquità di noi tutti.

Maltrattato, si lasciò umiliare

e non aprì la sua bocca;

era come agnello condotto al macello,

come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,

e non aprì la sua bocca.

Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo.

 

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G2-Sono tante le cadute morali e spirituali dei giovani del nostro territorio, che vanno dalla droga, alla violenza, all’edonismo, all’egoismo, all’indifferenza, al bullismo ed altre forme di decadenza tipiche dei giovani. Ma ci sono anche cadute di stile, di educazione, di vera spiritualità e devozione, al punto tale che la partecipazione alla vita della chiesa è limitata.

 

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G3-Signore, fa comprendere ai nostri giovani quanto sia importante una vita moralmente elevata ed una vita spirituale altrettanto ricca di contenuti della fede, che sostenga il cammino della speranza e della carità. Amen.

 

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“È lungo il percorso per raggiungere la casa di Elisabetta: circa 150 chilometri. Ma la giovane di Nazareth, spinta dallo Spirito Santo, non conosce ostacoli. Sicuramente le giornate di cammino l’hanno aiutata a meditare sull’evento meraviglioso in cui era coinvolta. Così succede anche a noi quando ci mettiamo in pellegrinaggio: lungo la strada ci tornano alla mente i fatti della vita, e possiamo maturarne il senso e approfondire la nostra vocazione, svelata poi nell’incontro con Dio e nel servizio agli altri” (Papa Francesco).

 

S.QUARTA STAZIONE: Gesù incontra la sua SS.Madre

 

G1-Dal Vangelo secondo Luca. 2, 34-35. 51

Simeone parlò a Maria, sua madre:

“Egli è qui per la rovina

e la risurrezione di molti in Israele,

segno di contraddizione

perché siano svelati i pensieri di molti cuori.

E anche a te una spada trafiggerà l’anima” …

Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.

 

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G2-Quanti giovani sono orfani di genitori sia in senso reale che astratto, in quanto non sono presenti nella loro vita, non li seguono, non li curano, non li formano allo spirito del Vangelo. Quante mamme rifiutano la vita, che portano nel grembo o abbandonano i figli in qualche luogo. La nostra città, storicamente, ricorda bene, nel passato ed oggi, questo fenomeno dell’abbandono dei minori. Sono in questi nostri territori, dove solo apparentemente i figli sono i beni veri della famiglia, che si registrano i casi di maggiore sofferenza tra i minori.

 

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G3-Signore, tu che hai incontrato il volto dolente e rassicurante di tua Madre lungo il Calvario, fa che i bambini appena nati, come i giovani possano incontrare il volto sereno e fiducioso delle loro madri e dei loro padri, che sull’esempio di Maria e Giuseppe seguano i figli per tutto il percorso della loro vita. Amen.

 

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Quando Dio tocca il cuore di un giovane, di una giovane, questi diventano capaci di azioni veramente grandiose. Le “grandi cose” che l’Onnipotente ha fatto nell’esistenza di Maria ci parlano anche del nostro viaggio nella vita, che non è un vagabondare senza senso, ma un pellegrinaggio che, pur con tutte le sue incertezze e sofferenze, può trovare in Dio la sua pienezza (Papa Francesco).

 

S.QUINTA STAZIONE: Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la croce.

 

G1-Dal Vangelo secondo Marco. 15, 21-22

Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. Condussero dunque Gesù al luogo del Golgota, che significa luogo del cranio.

 

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G2-La solidarietà è tanto sentita tra i giovani del nostro tempo e della nostra terra, ma molte volte si traduce solo in pie intenzioni e progetti che rimangono sulla carta, senza effetti reali nella società. Ci sono tanti giovani che hanno bisogno di altri giovani per uscire dalle varie emergenze della loro vita e del territorio che li assorbe senza farli più vivere.

 

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G3-Signore Gesù, aiuta i giovani a capire l’importanza di tendersi una mano nel fare il bene e nel progredire nel bene ed avere il coraggio, tutti insieme, per cambiare questo mondo con la forza della fede e dell’amore. Amen.

 

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G4-La vera esperienza di Chiesa non è come un flashmob, in cui ci si dà appuntamento, si realizza una performance e poi ognuno va per la sua strada. La Chiesa porta in sé una lunga tradizione, che si tramanda di generazione in generazione, arricchendosi al tempo stesso dell’esperienza di ogni singolo. Anche la vostra storia trova il suo posto all’interno della storia della Chiesa. Anche voi giovani potete fare grandi cose, assumervi delle grosse responsabilità, se riconoscerete l’azione misericordiosa e onnipotente di Dio nella vostra vita. (Papa Francesco).

 

S.SESTA STAZIONE: Gesù è asciugato nel volto dalla Veronica

 

Dal libro del profeta Isaia. 53, 2-3

Non ha apparenza né bellezza

per attirare i nostri sguardi,

non splendore per potercene compiacere.

Disprezzato e reietto dagli uomini,

uomo dei dolori che ben conosce il patire,

come uno davanti al quale ci si copre la faccia.

 

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G2-Noi abbiamo il sacrosanto dovere di asciugare le lacrime di sangue di quanti soffrono a causa nostra, in particolare i nostri genitori, i nostri parenti più stretti, quelli che ci vogliono più bene e soffrono maggiormente per noi, quando camminiamo al di fuori di ogni regola morale e di ogni buona educazione ricevuta.

 

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G3-Signore Gesù, fa comprendere a noi giovani di non far soffrire nessuno a causa nostra, fosse anche il più sconosciuto della terra e quando vediamo qualcuno che piange, come la Veronica, sporchiamoci i panni per alleviare il dolore di chi sta nel pianto e versa lagrime di sangue. Amen.

 

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G4-Vorrei porvi alcune domande: in che modo “salvate” nella vostra memoria gli eventi, le esperienze della vostra vita? Come trattate i fatti e le immagini impressi nei vostri ricordi? Ad alcuni, particolarmente feriti dalle circostanze della vita, verrebbe voglia di “resettare” il proprio passato, di avvalersi del diritto all’oblio. Ma vorrei ricordarvi che non c’è santo senza passato, né peccatore senza futuro. La perla nasce da una ferita dell’ostrica! Gesù, con il suo amore, può guarire i nostri cuori, trasformando le nostre ferite in autentiche perle. Come diceva san Paolo, il Signore può manifestare la sua forza attraverso le nostre debolezze (cfr 2 Cor 12,9). (Papa Francesco).

 

S.SETTIMA STAZIONE: Gesù cade la seconda volta sotto la croce.

 

G1-Dal libro delle Lamentazioni. 3, 1-2. 9. 16

Io sono l’uomo che ha provato la miseria

sotto la sferza della sua ira.

Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare

nelle tenebre e non nella luce…

Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra,

ha ostruito i miei sentieri…

Mi ha spezzato con la sabbia i denti,

mi ha steso nella polvere.

 

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G2-Le promesse non mantenute, ci portano spesso a ricadere sugli stessi sbagli ed errori di sempre. Ma anche quando tocchiamo il fondo, abbiamo il dovere morale per noi stessi e per gli altri di rialzarci subito e continuare con maggiore vigore interiore, forse con minore vigore fisico, il lungo viaggio della vita, che conduce alla vita, se si ama la vita.

 

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G3-Signore, non abbandonarci nella tentazione di sentirci forti ed invincibili, quando in realtà siamo fragili e peccatori incalliti, che non ce la fanno più a rialzarsi per un breve tragitto spirituale di conversione del loro cuore. Amen.

 

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G4-I nostri ricordi però non devono restare tutti ammassati, come nella memoria di un disco rigido. E non è possibile archiviare tutto in una “nuvola” virtuale. Bisogna imparare a far sì che i fatti del passato diventino realtà dinamica, sulla quale riflettere e da cui trarre insegnamento e significato per il nostro presente e futuro. Compito arduo, ma necessario, è quello di scoprire il filo rosso dell’amore di Dio che collega tutta la nostra esistenza. (Papa Francesco).

 

S.OTTAVA STAZIONE: Gesù incontra le pie donne di Gerusalemme

 

G1-Dal Vangelo secondo Luca. 23, 27-31

Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di Lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse:

“Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?”.

 

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G2-Quante lagrime di coccodrillo spargiamo lungo il percorso della nostra vita di piccoli, adolescenti e giovani. Piangiamo facilmente, come ridiamo facilmente. Non sappiamo più differenziare la vera sofferenza, da quella falsa e ipocrita, che si manifesta in certe circostanze, in cui non siamo personalmente coinvolti. Piangiamo, ma non ci correggiamo, né vogliamo correggere chi sbaglia palesemente.

 

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G3-Signore, donaci l’onestà di piangere per cause giuste e versare non solo lagrime di dolore, ma anche lagrime di gioia, per le tante cose buone che esistono nel nostro mondo e soprattutto nel mondo dei giovani. Amen.

 

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Tanti dicono che voi giovani siete smemorati e superficiali. Non sono affatto d’accordo! Però occorre riconoscere che in questi nostri tempi c’è bisogno di recuperare la capacità di riflettere sulla propria vita e proiettarla verso il futuro. Avere un passato non è la stessa cosa che avere una storia. Nella nostra vita possiamo avere tanti ricordi, ma quanti di essi costruiscono davvero la nostra memoria? Quanti sono significativi per il nostro cuore e aiutano a dare un senso alla nostra esistenza? (Papa Francesco).

 

NONA STAZIONE: Gesù cade la terza volta sotto la croce.

 

G1-Dal libro delle Lamentazioni. 3, 27-32

È bene per l’uomo portare il giogo

fin dalla giovinezza.

Sieda costui solitario e resti in silenzio,

poiché egli glielo ha imposto;

cacci nella polvere la bocca,

forse c’è ancora speranza;

porga a chi lo percuote la sua guancia,

si sazi di umiliazioni.

Poiché il Signore non rigetta mai…

Ma, se affligge, avrà anche pietà

secondo la sua grande misericordia.

 

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G2-La terza caduta di Gesù sotto il pesante legno della croce, in una condizione di debilitazione totale per la violenza subita, rammenta a tutti i giovani la forza d’animo che devono avere anche quando tutto sembra finito e annientato. Con la faccia a terra e prostrati nella polvere, dobbiamo riconoscere che spesso la gioventù è solo un tempo della vita, ma mai un tempo dello Spirito. Egli con i suoi sette doni aiuti ogni giovane, soprattutto se cresimato, ad essere testimone di rinascita per se stesso, per il proprio ambiente, per la propria città.

 

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G3- Signore, ti preghiamo, suscita in tutti i giovani l’amore ardente per la causa della giustizia, della verità e della bontà e nessuno dei giovani possano sperimentare la delusione della vita, molto spesso ingrata verso di loro e verso i propri cari. Amen.

 

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G4-I volti dei giovani, nei “social”, compaiono in tante fotografie che raccontano eventi più o meno reali, ma non sappiamo quanto di tutto questo sia “storia”, esperienza che possa essere narrata, dotata di un fine e di un senso. I programmi in TV sono pieni di cosiddetti “reality show”, ma non sono storie reali, sono solo minuti che scorrono davanti a una telecamera, in cui i personaggi vivono alla giornata, senza un progetto. Non fatevi fuorviare da questa falsa immagine della realtà! Siate protagonisti della vostra storia, decidete il vostro futuro! (Papa Francesco).

 

S.DECIMA STAZIONE: Gesù è spogliato delle sue vesti

 

G1-Dal Vangelo secondo Giovanni (19,23-24)

I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte. E i soldati fecero così.

 

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G2-Quante volte i giovani si spartiscono bottini, frutto di furti, violenze, sopraffazioni, ingiustizie; si spartiscono droga, alcool ed altre sostanze nocive che rovinano la loro vita. Come i soldati ai piedi del crocifisso, gettano la sorte, giocano d’azzardo non solo per raggiungere degli illusori guadagni, ma giocano pesante con la loro vita e con la vita degli altri.

G3-Signore, concedi a noi giovani la sapienza del cuore e l’intelligenza vera, che viene dal cielo e come il Re Salomone, facci dono di ciò che veramente conta in questo mondo e nell’eternità. Amen.

 

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G4-Alla fine di ogni giornata ci possiamo fermare per qualche minuto a ricordare i momenti belli, le sfide, quello che è andato bene e quello che è andato storto. Così, davanti a Dio e a noi stessi, possiamo manifestare i sentimenti di gratitudine, di pentimento e di affidamento, se volete anche annotandoli in un quaderno, una specie di diario spirituale. Questo significa pregare nella vita, con la vita e sulla vita, e sicuramente vi aiuterà a percepire meglio le grandi cose che il Signore fa per ciascuno di voi. Come diceva sant’Agostino, Dio lo possiamo trovare nei vasti campi della nostra memoria (cfr Confessioni, Libro X, 8, 12). (Papa Francesco).

 

 

S.UNDICESIMA STAZIONE: Gesù è inchiodato alla croce

 

G1-Dal Vangelo secondo Marco. 15, 25-27.29-30

Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. E l’iscrizione con il motivo della condanna diceva: “Il re dei Giudei”. Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra. I passanti lo insultavano  e, scuotendo il capo, esclamavano: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce.

 

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G2-Davanti al Cristo crocifisso o si piange e ci si converte o si resta indifferenti o addirittura si può essere provocanti chiedendo a Gesù di dimostrare la sua onnipotenza e la sua Figliolanza con Dio. Questo atteggiamento scettico, agnostico o addirittura ateo rappresenta il sistema di pensiero di molti giovani del nostro tempo e della nostra terra.

 

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G3-Signore Gesù, inchiodato alla Croce e messo a morte per la nostra salvezza, da questo trono regale e cattedra di altissimo valore morale e spirituale, insegna ai nostri giovani a guardare sempre in alto ed avere l’orgoglio di essere dei buoni cristiani, con il vivere con il segno distintivo di ogni discepolo di Gesù Cristo, che è la Croce. Amen.

 

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Maria raccoglie il patrimonio di fede del suo popolo e lo ricompone in un canto tutto suo, il Magnificat, ma che è allo stesso tempo canto della Chiesa intera. E tutta la Chiesa lo canta con lei. Affinché anche voi giovani possiate cantare un Magnificat tutto vostro e fare della vostra vita un dono per l’intera umanità, è fondamentale ricollegarvi con la tradizione storica e la preghiera di coloro che vi hanno preceduto. (Papa Francesco)

 

S.DODICESIMA STAZIONE: Gesù muore in croce

 

G1-Dal Vangelo secondo Marco. 15, 33-34. 37. 39

Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì , Eloì , lema sabactà ni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?…Ed egli, dando un forte grido, spirò …Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”.

 

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G2-La morte in croce di Gesù, anche lui giovane, appena 33 anni, ci riporta alla morte violenta di tanti giovani assassinati, non solo per azioni criminosi e terroristiche, ma anche morti nel silenzio, nell’indifferenza e nella solitudine di una società che emargina facilmente chi non è bello, perfetto, simpatico, accomodante, conformista, labile di pensiero e quanto di negativo si possa cogliere nella vita di un giovane che non si relazione con altri giovani.

 

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G3-Signore insegna a tutti i giovani di questa nostra città e territorio a guardare in faccia il dolore dell’umanità, senza omertà, senza aver paura di chiamare con i loro nomi i peccati che si commettono nel nome di un perbenismo o di un superficialismo, che trova accoglienza in vasti strati sociali, abituati a salvare la faccia e mai a salvare la vita, soprattutto dei più piccoli, poveri, fragili ed innocenti di questa terra. Amen.

 

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G4-Nella dinamica della vita, le suppliche di oggi diventeranno motivi di ringraziamento di domani. Così, la vostra partecipazione alla Santa Messa e i momenti in cui celebrerete il sacramento della Riconciliazione saranno allo stesso tempo culmine e punto di partenza: le vostre vite si rinnoveranno ogni giorno nel perdono, diventando lode perenne all’Onnipotente. «Fidatevi del ricordo di Dio: […] la sua memoria è un cuore tenero di compassione, che gioisce nel cancellare definitivamente ogni nostra traccia di male» (Papa Francesco).

 

S.TREDICESIMA STAZIONE: Gesù è deposto dalla croce

 

G1-Dal Vangelo secondo Marco. 15, 42-43. 46

Sopraggiunta ormai la sera, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il Regno di Dio, comprato un lenzuolo, calò il corpo di Gesù giù dalla croce.

 

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G2-Morto Gesù, tutto diventa tristezza e malinconia in coloro che non hanno fede e non aspettano il giorno della vita. Gesù aveva detto chiaramente che sarebbe risorto e chiedeva nei suoi discepoli una risposta di vita e non di morte. Quando viene a mancare una prospettiva di vita e si favorisce una cultura di morte, come nel nostro tempo, a pagarne le più drammatiche conseguenze sono proprio i giovani, i più fragili, quelli che sono aperti alla vita ed invece di trovare la vita, incontrono solo campi di sterminio, senza andare molto lontano nel tempo e nello spazio, ma guardandosi semplicemente intorno per constatare tutto ciò, proprio ai nostri giorni. Noi cerchiamo campi di vita e di speranza.

 

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G3-Signore aiuta i giovani a costruire un mondo migliore, dove non regni la morte, ma si affermi sempre più la cultura della vita, che parta dalla difesa del nascituro, fino al moribondo, giovane o anziano, che attende di emettere l’ultimo respiro per iniziare a vivere per sempre in Dio. Amen

 

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G4-Per costruire un futuro che abbia senso, bisogna conoscere gli avvenimenti passati e prendere posizione di fronte ad essi. Voi giovani avete la forza, gli anziani hanno la memoria e la saggezza. Come Maria con Elisabetta, rivolgete il vostro sguardo agli anziani, ai vostri nonni. Vi diranno cose che appassioneranno la vostra mente e commuoveranno il vostro cuore. (Papa Francesco)

 

QUATTORDICESIMA STAZIONE: Gesù è deposto nel sepolcro.

 

G1-Dal Vangelo secondo Marco. 15, 46-47

Giuseppe d’Arimatea, avvolto il corpo di Gesù in un lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro. Intanto Maria di Magdala e Maria madre di Joses stavano ad osservare dove veniva deposto.

 

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G2-Il cimitero, la tomba…quanti giovani morti prematuramente per incidenti stradali, per malattie, per droga o perché assassinati da bande di rivali, oppure morti senza aver avuta la possibilità di essere curati e guariti, perché senza risorse economiche in grado di poter assicurare loro il meglio dell’assistenza medica. Basta farsi un giro nei cimiteri delle nostre città e guardare le foto di tanti bambini, giovani ed adulti che appena appena si sono affacciati alla vita. Grande lezione per chi pensa di essere eterno, onnipotente, onnisciente, onnipresente, ritenendosi un Dio che non lo è. La vita che scorre e per tutti ha un termine, aiuta i nostro cammino di pellegrini e di viandanti verso la patria comune, che non è la fossa comune, dove sono stati ammassati i corpi, senza nome, di eccidi e massacri di ieri e di oggi.

 

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G3-Signore Gesù, fa che la storia di questi anni e di quelli a venire possano avere, attraverso i giovani, il volto della speranza e della vita, superando ogni conflitto ideologico, culturale, razziale e religioso che ancora oggi, proprio in questi giorni, semina morte e dolore in tanti parti del mondo. Amen.

 

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G4-Saper fare memoria del passato non significa essere nostalgici o rimanere attaccati a un determinato periodo della storia, ma saper riconoscere le proprie origini, per ritornare sempre all’essenziale e lanciarsi con fedeltà creativa nella costruzione di tempi nuovi. Sarebbe un guaio e non gioverebbe a nessuno coltivare una memoria paralizzante, che fa fare sempre le stesse cose nello stesso modo. È un dono del cielo poter vedere che in molti, con i vostri interrogativi, sogni e domande, vi opponete a quelli che dicono che le cose non possono essere diverse. (Papa Francesco)

 

CONCLUSIONE

 

Padre nostro, Ave Maria e Gloria (secondo le intenzioni del Papa)

 

“Dio, Padre misericordioso,

che hai rivelato il Tuo amore nel Figlio tuo Gesù Cristo,

e l’hai riversato su di noi nello Spirito Santo, Consolatore,

Ti affidiamo oggi i destini del mondo e di ogni uomo”.

Ti affidiamo in modo particolare

i giovani di ogni lingua, popolo e nazione:

guidali e proteggili lungo gli intricati sentieri del mondo di oggi

e dona loro la grazia di raccogliere frutti abbondanti

dall’esperienza della preghiera personale e comunitaria.

 

Padre Celeste,

rendici testimoni della Tua misericordia.

Insegnaci a portare la fede ai dubbiosi,

la speranza agli scoraggiati,

l’amore agli indifferenti,

il perdono a chi ha fatto del male

e la gioia agli infelici.

Fa’ che la scintilla dell’amore misericordioso

che hai acceso dentro di noi,

seguendo Cristo Crocifisso e Risorto,

diventi un fuoco che trasforma i cuori

e rinnova la faccia della terra. Amen.

 

  1. E la benedizione di Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, discenda su di voi e vi rimanga sempre.
  2. Amen

 

Canto finale.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 13 NOVEMBRE 2016

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DOMENICA XXXIII DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 13 NOVEMBRE 2016

NON FACCIAMOCI  INGANNARE DA FACILI PROFEZIE SULLA FINE DEL MONDO

Commento di padre Antonio Rungi

Alla fine dell’anno liturgico, la parola di Dio di questa penultima domenica, ci fa riflettere, soprattutto nel Vangelo sulla fine del mondo, sulla seconda e definitiva venuta di Cristo sulla terra, per giudicare i vivi e i morti. Questa venuta, da sempre è stata vista come imminente, a scadenze temporali, segnati da veggenti o altre figure che dicono di prevedere il futuro. E ciò in seguito a fatti drammatici che hanno attinenza con i fenomeni naturali, ma anche con il comportamento umano, quali le guerre, o i terremoti, di particolare attualità in questi mesi, soprattutto nel nostro Paese. Gesù ci mette in guardia da facili profezie che parlano della fine.

Il brano del vangelo di questa domenica,  riguarda, infatti, l’inizio del discorso di Gesù sulla fine dei tempi. Si tratta di un’unità letteraria ben precisa che appartiene al cosiddetto genere apocalittico. Gesù si trova a Gerusalemme, negli atri del Tempio, si avvicina la passione. I Vangeli sinottici  fanno precedere, al racconto della passione, morte e risurrezione, il discorso cosiddetto “escatologico”. Eventi da leggere alla luce della Pasqua. L’attenzione non va posta su ogni parola, ma sull’annuncio di capovolgimento totale. La comunità di Luca già era a conoscenza degli avvenimenti riguardanti la distruzione di Gerusalemme. L’evangelista universalizza il messaggio ed evidenzia il tempo intermedio della chiesa in attesa della venuta del Signore nella gloria. Luca fa riferimento alla fine dei tempi anche in altre parti del suo vangelo, ma lo fa senza voler mettere angoscia o preoccupazioni di sorta. Di fronte alla preoccupazione della fine del mondo, Gesù risponde con parole precise, che aprono la vita in una prospettiva di positiva attesa e non di angoscia mortale: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: “Sono io” e: “Il tempo è prossimo”; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine». Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno,  e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Questo vi darà occasione di render testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa;  io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà.  Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”.

Pertanto, non lasciamoci attrarre dagli sconvolgimenti esteriori, tipico del linguaggio apocalittico, ma da quelli interiori, necessari, che preannunciano e preparano l’incontro con il Signore. Pur consapevoli che anche oggi, in diverse parti del mondo si vivono situazioni “apocalittiche”,  come nell’Italia Centrale, in seguito al disastroso sima di questi giorni e mesi scorsi, è possibile anche una lettura personalizzata, certamente non evasiva che sposta l’attenzione sulla responsabilità personale. Luca, rispetto agli altri evangelisti, sottolinea che non è giunta la fine, che occorre vivere l’attesa con impegno. Apriamo gli occhi sulle tragedie del nostro tempo, non per essere profeti di sventure, ma coraggiosi profeti di un nuovo ordine basato sulla giustizia e la pace.

Nel breve brano della prima lettura di oggi, tratto dal libro del profeta Malachìa, viene prospettata la realtà futura riguardante la venuta del Signore, immaginato come un giorno rovente, come quello che arde in un forno. In quel giorno di purificazione, in quanto, il fuoco serve proprio a bruciare tutto ciò che è male, “tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà – dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio”. Diversa sarà la sorte di quanto temono il Signore e lo servono con umiltà. Per loro infatti, “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”. Nell’attesa di quel giorno, il cristiano non può vivere nell’ozio, aspettandolo senza lavorare o, peggio, vivendo sulle spalle degli altri. L’Apostolo Paolo, nel brano della seconda lettura di questa domenica, richiama i cristiani di Tessalonica a imboccarsi le maniche e a lavorare,  per guadagnarsi onestamente il cibo e quanto altro utile per le proprie persone e necessità. Infatti, ricorda,  con santo orgoglio, che lui non è rimasto ozioso in mezzo a loro, né ha mangiato gratuitamente il pane di qualcuno, ma ha lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di loro. Una regola valida per sempre, se la si permette di attuare, in mancanza di lavoro, oggi soprattutto per i giovani, ed è questa:  chi non vuole lavorare, neppure mangi. Da buon osservatore delle cose che non vanno anche nel suo tempo, in ascolto delle informative che gli venivano trasmesse dalle comunità, Paolo, annota che alcuni i cristiani di Tessalonica  “vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità”. Si sono autoconvinti dell’imminente venuta del Signore e di conseguenza vivono oziosamente, senza neppure guadagnarsi il necessario per vivere. Cosa non gradita a Paolo che li biasima.

Nel tempo e nella storia che il Signore ci ha concesso e continua a concederci, alcune cose, sono certe, per noi cristiani, da tenere presenti in ogni nostro comportamento umano: la perseveranza nella fede e la certezza della seconda e definitiva venuta di Cristo sulla terra. La perseveranza è indispensabile per produrre frutto, nelle prove quotidiane e nelle persecuzioni.  La vittoria finale è certa: il regno di Dio sarà instaurato dal Figlio dell’uomo. Occorre allora essere perseveranti, vigilanti e in preghiera. Lo stile di vita del cristiano deve farsi segno del futuro che verrà.

Sia questa la nostra preghiera oggi, penultima domenica dell’anno liturgico e dell’anno giubilare della misericordia: O Dio, principio e fine di tutte le cose, che raduni tutta l’umanità nel tempio vivo del tuo Figlio, fa’ che, attraverso le vicende, liete e tristi, di questo mondo, teniamo fissa la speranza del tuo regno, certi che nella nostra pazienza possederemo la vita.

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 9 OTTOBRE 2016

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XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

DOMENICA 9 OTTOBRE 2016

SOLO POCHI SANNO RINGRAZIARE IL SIGNORE

Commento di padre Antonio Rungi

Il Vangelo di questa domenica, la XXVIII del tempo ordinario, ci racconta della guarigione di dieci lebbrosi, che Gesù sana mentre attraversa la Samaria e la Galilea. Dei dieci guariti solo uno sente il dovere di ringraziare il Signore per il dono ricevuto. Con questo esempio ci viene ricordata la tendenza generale dei fedeli di ringraziare il Signore solo in parte, mentre la stragrande maggioranza non si ricorda mai di ringraziare Dio per i doni ricevuti. L’ingratitudine è grande! E pur cambiando la società, rimane costante il comportamento di chi, pur avendo ricevuto tanto da Dio, non eleva al cielo il volto per dire semplicemente “Grazie Signore”.

Questo racconto ci fa riflettere su come noi dobbiamo agire nei confronti di Dio, quando Egli si muove, e lo fa sempre, a nostro favore e compassione. Non dimentica e non trascura la sofferenza di nessuno e pur sanando tutti, non tutti sanno dire grazie, ritornare sui propri passi ed elevare a Dio l’inno di ringraziamento e di lode.

Un altro aspetto importante che la parola di Dio ci fa considerare è il tema della lebbra, quella fisica, intesa come malattia emarginante del soggetto, e la lebbra spirituale, quella interiore e che non si vede, e che, purtroppo, infetta più dell’altra e trasmette nel mondo degli uomini il male, come sistema di pensiero e di vita. Non si guarisce da questa lebbra, rappresentata dai nove lebbrosi che non tornano indietro per ringraziare per la guarigione ricevuta. Questa malattia dell’anima, che è il peccato, la corruzione, l’idolatria, il fanatismo, l’egoismo, il male assoluto, non si guarisce neppure se il Signore interviene e dà la guarigione per il momento, che può essere una confessione in una determinata occasione e circostanza della vita, un atto di culto, un pentimento del momento, una preghiera o qualsiasi altra cosa che aiuti, momentaneamente a distanziarsi dal peccato. Per la guarigione totale è necessaria una lunga terapia anti-lebbra spirituale, che è incentrata su medicine dell’anima, che sanano e purificano la mente e il cuore dalle passioni di ogni genere e dai peccati che distruggono il bene più prezioso di una persona credente, quello appunto della sua interiorità e spiritualità. Non senza un perché il testo del vangelo di questa domenica si conclude con una bellissima espressione di stima, apprezzamento ed incoraggiamento di Gesù verso l’unico lebbroso guarito, che torna da Lui: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». Chi si libera dal male non è più prostrato nel fisico e n nello spirito, ma si rialza, perché riacquista quella energia interiore che è la grazia e la misericordia di Dio, sulla quale poggiare il successivo, non facile cammino, dopo la caduta, quando il Signore dice, in tanti modi e con tutti gli strumenti, al peccatore pentito e ricostruito nello spirito: vai avanti, con la fede ce la farai e potrai superare tutte le malattie e le lebbre dello spirito, che altrimenti non guarirebbero mai.

Gesù si presenta, quindi, non solo come Colui che guarisce il corpo dai vari malanni, ma Colui che guarisce il cuore dalla più grave malattia della mancanza di amore e di speranza.

Il lebbroso è scartato, è emarginato, deve indicare agli altri, anche nel modo di vestire e di comportarsi del suo stato fisico, per evitare il contagio. E’ un escluso, vive fuori dell’accampamento, deve portare i segni distintivi della sua condizione di malattia ed allertare i cittadini perché non vengano a contagio con lui e si ampli l’epidemia. Si può dire che, con il campanello al collo o in mano, può essere paragonato all’autoambulanza o il 118 dei nostri giorni, oppure il telefono rosso, o al codice rosso come si classificano i malati in fase di gravissima situazione di salute. E’ evidente che chi soffriva di questa malattia emarginante cercava di guarire in tutti i modi, ricorrendo a maghi, a guaritori di ogni genere. Anche nel brano della prima lettura di oggi, troviamo questo bisogno di guarigione in Naaman, il comandante dell’esercito del re di Aram, il quale  “scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola di Elisèo, uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato dalla sua lebbra”.

Naaman, dopo la guarigione è riconoscente verso il profeta e vuole desbitarsi in qualche modo, già abituato a pagare dottori e ciarlatani che non potevano nulla nei confronti di quella malattia, allora classificata come incurabile, però si prendevano i lauti compensi per le consulenze e le terapie che prescrivevano senza alcun beneficio per il malato. Ecco, perché, “tornò con tutto il seguito da [Elisèo] l’uomo di Dio; entrò e stette davanti a lui dicendo: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele. Adesso accetta un dono dal tuo servo». Quello disse: «Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò». L’altro insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò. Allora Naamàn disse: «Se è no, sia permesso almeno al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne porta una coppia di muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore».

Naaman si porta la terra benedetta di quel luogo, dove egli era stato guarito e ne fa uno strumento di purificazione per tutti gli altri.

La fede di questi due malati di lebbra, di cui ci raccontano la prima lettura di oggi e il Vangelo ci aiuta a capire il senso di quanto scrive l’Apostolo Paolo al suo amico Timoteo, nella sua seconda lettera, a questo vescovo di Efeso, comunità cristiana costituita da lui, che ora è in catena per aver annunciato la parola di Cristo. Egli sopporta “ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna”.

E la fede nella risurrezione, è il tema centrale di questo brano, che conclude: “Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso”.

Sia questa la nostra umile preghiera che rivolgiamo al Signore nella celebrazione della santissima eucaristia:O Dio, fonte della vita temporale ed eterna, fa’ che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo: ogni fratello in questo giorno santo torni a renderti gloria per il dono della fede, e la Chiesa intera sia testimone della salvezza che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio”. Amen.

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 2 OTTOBRE 2016

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XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

DOMENICA 2 OTTOBRE 2016

SIAMO SERVI INUTILI, DOBBIAMO FARE QUELLO CHE E’ NOSTRO DOVERE FARE

Commento di padre Antonio Rungi

In un mondo, dove molti si sentono indispensabili, utili e insostituibili, oggi risuona il testo del vangelo che ci riporta alla realtà della nostra vita, quella vita che ha un valore per l’eternità e non per il tempo presente, che spesso sopravvaluta il servizio di qualcuno e sottovaluta quello di chi merita davvero di essere preso in considerazione.

Partendo proprio dal brano del Vangelo di Luca, in questa XXVII domenica del tempo ordinario, noi possiamo meglio comprendere il significato del servire la causa del vangelo, con umiltà e senza pretese di sorta. A noi tutti, come cristiani, spetta il compito che ognuno di noi ha scelto di assumere davanti a Dio con responsabilità e coscienza seguendo la propria vocazione e rispondendo alla chiamata di Dio.

Non dobbiamo attenderci, premi, gratificazioni, medaglie al valore o riconoscimenti, in memoria, dopo la nostra morte. Dobbiamo agire per valori superiori, attendendoci riconoscimenti e premi, dove contano davvero la realtà che avremo in possesso per sempre.

Si tratta di sviluppare una visione di fede in prospettiva di eternità. Sono gli stessi apostoli, che si accorgono dell’inconsistenza della loro fede, della fragilità e dell’assenza di contenuto del loro modo di credere, a chiedere a Gesù: “aumenta la nostra fede”. E Gesù replica con un esempio molto calzante alla situazione e che ci aiuta a capire il senso della crescita della fede, non in termini di quantità o di conoscenze teologiche e bibliche in più, ma di qualità, perché la fede non si misura, la fede si vive e si sperimenta nella propria vita e la si testimonianza con una degna condotta di vita.

Cosa chiedono esplicitamente gli al Signore?: «Accresci in noi la fede!».

Gesù, alla domanda degli apostoli, replica in un modo preciso e diretto al raggiungimento dello scopo della richiesta: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe”.

Ed aggiunge come comportarsi in certe situazioni di vita quotidiana: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?”.

Domande mirate che fanno riflettere chi ascoltava allora e chi ascolta oggi Gesù, che parla a noi attraverso la Chiesa e i ministri della stessa parola.

La conclusione di questo modo di riflettere ponendo domande e includendo nelle domande la risposta, è quella che conosciamo e Luca ci riporta a conclusione di questo interessantissimo brano del suo vangelo: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Penso che ognuno di noi sappia valutare il suo comportamento in tanti ambiti, ma soprattutto nel campo religioso e morale. Non abbiamo bisogno dei termometri della nostra temperatura morale e spirituale o della quantità della nostra fede. Dicendo io credo di più dell’altro. Sappiamo valutarci da solo. Alla fine delle nostre personali valutazioni possiamo avere chiara la coscienza del nostro bene operare, del nostro parziale operare o del non operare affatto.

I compiti nel campo della fede vanno assolti e svolti in modo egregio, senza centellinare energie nei confronti di Dio e dei fratelli. Tutto deve essere fatto con amore, generosità e dedizione.

Sono queste le condizioni indispensabili per essere a posto con la propria coscienza di fronte a quello che ci tocca fare, perché ne abbiamo il dovere e gli obblighi, oltre che morali anche giuridici e sociali.

Il forte grido di denuncia del profeta Abacuc nella prima lettura di questa domenica vale da insegnamento per noi uomini del XXI secolo dell’era cristiana, che si presenta con un quadro sconfortante per tutto quello che succede nel mondo di oggi, come succedeva allora: “Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese”.

Quante volte sperimentiamo tutto questo negli ambienti e nei luoghi che meno immaginiamo possano esistere queste cose, tali divisioni e violenze?. Purtroppo è così dovunque e in ogni tempo della storia dell’umanità, in quanto l’uomo non cambia mai, non sceglie ciò che è giusto ed è bene, segue spesso la via del male e degli empi.

Anche in questi interrogativi sui drammi dell’umanità, la risposta del Signore è di speranza e di purificazione: “Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”.

Chi ha fede regge tutti gli urti della delusione, della malattia, della morte, della privazione, di quanto di negativo possa offrire questo nostro tempo e questo nostro mondo e si apre ad una visione di speranza nuova. Il giusto, infatti, vivrà di fede, in quanto una vera giustizia non può prescindere da una vera fede.

Bisogna osare di più come cristiani e credenti, avere più coraggio di dire e testimoniare la fede, come ricorda l’Apostolo Paolo all’amico Timoteo, al quale raccomanda “di ravvivare il dono di Dio, che è in lui mediante l’imposizione delle sue mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza”. Ed aggiunge di non vergognarsi “di dare testimonianza al Signore nostro, né di lui, che è in carcere per il Signore; ma, con la forza di Dio, di soffrire con lui per il Vangelo”. E conclude col raccomandare di prendere “come modello i sani insegnamenti che ha udito da lui con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Di custodire, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che gli è stato affidato”.

Tanti moniti per essere degni del ministero che è chiamato a svolgere nella chiesa di Cristo, quale vescovo della comunità cristiana di Efeso.

Sia questa la nostra preghiera conclusiva della riflessione sulla parola di Dio della XXVII domenica del tempo ordinario che celebriamo oggi: O Padre, che ci ascolti se abbiamo fede quanto un granello di senapa, donaci l’umiltà del cuore, perché, cooperando con tutte le nostre forze alla crescita del tuo regno, ci riconosciamo servi inutili, che tu hai chiamato a rivelare le meraviglie del tuo amore”. Amen.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA

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V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

Domenica 13 marzo 2016 

La misericordia di Cristo verso l’adultera 

Commento di padre Antonio Rungi 

Verso la fine del tempo quaresimale (oggi celebriamo la quinta domenica) la parola di Dio ritorna sul tema della misericordia. Un tema centrale nel vangelo e che in questo anno giubilare ha un significato particolare. Ci fa vivere e toccare con mano come è grande e infinità la misericordia di Dio, la misericordia di Gesù Cristo. Se nella parabola del figliol prodigo comprendiamo la misericordia di Dio Padre, nel racconto dell’adultera, di cui ci parla il vangelo di Giovanni, comprendiamo la misericordia di Gesù Cristo, Figlio di Dio che, in base alla sua autorità divina può dire alla donna, di fronte ai suoi accusatori che la volevano lapidare, uccidere e massacrare, perché colta in flagrante adulterio: “Donna, nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Siccome solo a Dio spetta il potere di perdonare il peccato, come spesso ha ricordato nei suoi molteplici interventi di guarigione, soprattutto del paralitico. Affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati, alzati e cammina. E così guarì il paralitico.

La donna che in questo racconto è sotto tiro dei giudizi, ma anche delle armi è una peccatrice, colta nell’atto di offendere il matrimonio. La legge prevedeva la lapidazione della donna e stranamente non la lapidazione dell’uomo. Segno evidente della sudditanza della donna nei confronti dell’uomo e della legge maschilista che ha sempre dominata e domina in certe culture e in certe religioni. Stando a quella legge, la donna doveva morire ed essere quindi lapidata. Gesù non permette che questo avvenga, perché nessuno ha l’autorità di togliere la vita agli altri. La pena di morte con qualsiasi strumento non è legittimata da nessuna legge o peggio religione. La persona umana ha una dignità che, anche nei crimini più efferati, deve seguire la logica del perdono e della misericordia e non dell’odio e della vendetta. Gesù quindi, nella sua piena autorità di Maestro e di nuovo legislatore, la cui legge fondamentale è l’amore: perdona la donna e non la condanna;  ma obbliga anche a tutti i boia presenti al rito dell’esecuzione collettiva della condanna, di riflettere seriamente sulla loro condotta di vita. L’effetto di questa forzata introspezione di quelle persone la descrive in modo molto preciso l’evangelista che era presente al fatto: “Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani”. Facile commentare questi versetti del vangelo: nessuno di loro era senza peccato, come nessuno al mondo è senza colpa e senza peccato. Neppure noi che pensiamo di essere più giusti e retti degli altri, solo perché siamo furbi a non farci trovare con le mani nel sacco. Se andiamo bene ad analizzare il nostro cuore e la nostra vita, davvero ci rendiamo conto che nessuno di noi è senza peccato, dai più leggeri o veniali a quelli più pesanti e mortali.

Questo esame di coscienza è possibile farlo a tutto con il Signore. Ed è bello e significativo quello che succede dopo la fuga dei peccatori (che si ritengono giusti) dalla peccatrice pubblica che non si ritiene tale. Giovanni descrive questo bellissimo dialogo tra Gesù e l’adultera con          questo versetto: “Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono?”. Gesù è a tu a tu con quella peccatrice. La donna sta in mezzo a quello spazio della miseria umana, della debolezza umana, una vera e propria agorà della vergogna. Da quella situazione di abbattimento, di prostrazione, di toccare il fondo e la terra, Gesù si erge, si mette in piedi, come facevano e fanno i veri maestri. L’autorità sta nel comando vero che è quello del cuore e dello spirito, della pulizia morale. Gesù fa esattamente questo: nella sua piena autorità di Figlio di Dio, perdona e con condanna; ma raccomanda d non ripetere lo stessa cosa. Se quella donna abbia appreso la lezione di Gesù ed abbia agito d conseguenza non lo sappiamo. L’evangelista Giovanni non vi ritorna sulla notizia, sul caso posto al giudizio del maestro,  dagli scribi e i farisei circa un caso di adulterio.  Ma essi “dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo” e quindi condannarlo a morte anche Lui, visto che la legge mosaica era chiara, in quanto Mosè aveva  comandato di lapidare donne adultere. Vogliono sapere le opinioni di Gesù. E Gesù non si mette a discutere sulla legittimità e validità della legge, sul diritto civile o diritto penale, si mette a scrivere a terra e dice poche parole ai presenti:Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra”. Una grande lezione della bontà e della misericordia divina. Quella lezione che dovremmo apprendere tutti e che dovrebbe ispirare il nostro comportamento in tantissime e frequentissime situazioni del genere che si verificano ai noi giorni. Non siamo nessuno da potere giudicare gli altri; ma solo Dio può comprendere il cuore dell’uomo e valutarlo nella sua interezza.  Bisogna riappropriarsi delle bellissime ed incoraggianti parole della prima lettura di questa quinta domenica di Quaresima, che da sole ti fanno assaporare la vera Pasqua della nostra vita, come ci ricorda il profeta Isaia nel brano della prima lettura di oggi: “Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi». Oppure immergerci totalmente nel pensiero di Cristo, come scrive l’apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua lettera ai Filippesi: “Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti”. Guardare avanti e non voltarsi indietro. Le cose di prima sono passate. Sono passate anche le nostre debolezze, i nostri peccati, i nostri errori e le nostre ipocrisie. Ora è tempo di guardare oltre, all’eternità. La meta è ancora lontana, ma bisogna sforzarsi per arrivarci in buono stato di salute spirituale, perché il Paradiso è per tutti e non solo per alcuni o pochi eletti. La corsa si fa difficile e stancante, ma alla meta bisogna arrivarci. Sia, perciò, quella nostra umile preghiera che innalziamo al Signore in questo giorno di festa:  Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi”. Amen.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA TERZA DOMENICA DI QUARESIMA 2016

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III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

DOMENICA 28 FEBBRAIO 2016

IL FUOCO DELL’AMORE MISERICORDIOSO DI DIO

 

COMMENTO DI PADRE ANTONIO RUNGI

 

La liturgia della parola di Dio di questa terza domenica di Quaresima è incentrata su alcuni fatti raccontati dalla Bibbia e su alcuni fatti cronaca vera, a sfondo drammatico,  che ci fanno riflettere sul nostro cammino verso la Pasqua., in quanto sono appelli alla conversione e al pentimento che partono da una coscienza in grado di valutare rettamente la propria condotta rispetto al bene.

Nella prima lettura ci viene presentato il roveto ardente, nel vangelo di oggi la riflessione di Gesù sun fatto di cronaca che egli commenta ai fini di una catehesi sulla misericordia, sul perdono e sul senso di peccato che deve riguarda tutti i cristiani, che non possono sentirsi migliori degli altri, perché alcuni mali o tragedie non li hanno toccati. La bontà di una persona o di un popolo non si misura dal fatto o meno sia stato esentato, per caso, per volontà di Dio, da fatti drammatici che ne minavano la credibilità in ordine alla fede e alla morale. Al contrario, nessuno può ritenersi più giusto o piuù santo degli altri e tanto meno più o meno peccatore rispetto ad altri. Il confronto non è su base statistica o su base di valutazioni geografiche, sociologiche o di stato di benessere materiale. Questo confronto è su base strettamente spirituale e religioso. Gesù lo fa intendere con estrema chiarezza nel testo del vangelo di oggi, tratto da San Luca, da cui è opportuno partire, per sviluppare la nostra riflessione sulla parola di Dio di questo tempo di preparazione, penitenza ed attesa. “In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

C’è un altro aspetto importante che il vangelo ci fa considerare: la pazienza infinita di Dio, nell’attendere il nostro pentimento e la nostra sincera conversione interiore del cuore e della mente verso il Signore. La breve parabola riportata da Luca in questo contesto di appello alla conversione, ci aiuta a capire la natura stessa di Dio che è quella dall’amore e della misericordia, che sa attendere fino allìultima istante della nostra esistenza i cambiamenti veri e che contano davvero nella nostra vita.

Ecco il testo della parabola raccontata da Gesù: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Il concetto espresso in questa parabola è molto semplice: se una persona nel campo della fede, della morale e della vita spirituale non porta frutto, questo lo deve preoccupare non solo per questo tempo, ma soprattutto per l’eternità. Il termine tagliare, indica infatti, la esclusione dal regno di Dio. Ma il Signore sa aspettare che ogni persona umana dia almeno il 30% della semina fatta e dell’investimento dei propri talenti e doni in ordine alla salvezza eterna.

L’atteggiamento migliore che possiamo assumere, rispetto a questi valori che contano e ci indicano il percorso della salvezza eterna, è quello che ci suggerisce di assumere l’apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua prima lettera ai Corinzi. Egli si rifà all’esperienza dell’esodo, alla figura del patriarca Mose, per poi approdare a Cristo, unico salvatore e redentore. Ma non tutti giunsero a questa meta e conoscenza di Cristo e alla salvezza che il Figlio di Dio portò a compimento nel mistero della sua morte e risurrezione. Infatti, fa notare l’Apostolo che “la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto”. La lezione che ne deriva da questa tragica traversata del mar rosso e poi del deserto nei 40 anni di trasferimento da una parte all’altra di quel vasto territorio, è chiara: “Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono”.

Quali le conclusioni e le deduzioni logiche da quanto successo al tempo di Mosé e del popolo che vaga nel deserto? “Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”.

Entrare nel cammino quaresimale in questo anno giubilare è entrare nel cammino dell’esodo, e metterci in ascolto del Dio che si è rivelato a Mosé che ha consegnato ai noi verità assolute, dalle quale non possiamo fuggire via per rincorrere altri dei che non sono il vero Dio che si è rivelato, mediante Mosè, al popolo eletto. Il fuoco dell’amore di Dio e della misericordia del Signore deve invadere la nostra vita, occupare tutti i nostri tempi e spazi dell’esistenza terrena e godere su questa terra ciò che Dio stesso ci ha consegnato come vera gioia e felicità: c’è un solo Dio che è amore e misercordia, che ci ha salvati e redenti nel mistero della Pasqua del suo Figlio, Gesù Cristo, che ha un retroterra storico, biblico e teologico nella prima pasqua che il popolo eletto celebrò in terra straniera, per poi iniziare il suo cammino di liberazione, attraversando il Mar Rosso e il deserto e giungendo alla Terra Promessa. In questo cammino esodale Dio rivelò il suo vero nome: “Io sono Colui che sono”. Questo è il nome di Dio per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione». Anzi a completamento di questa primaria rivelazione il vero nome di Dio è Amore e Misericordia. Quell’amore e misercordia che sperimentiamo ogni volta che noi ci accostiamo al Dio santo e misericordioso, nel chiede a Lui ciò che è necessario alla nostra vera salute, quella spirituale, con la preghiera che sgorga dal nostro cuore, in questo giorno di domenica, dedicato al Signore: “Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia”. Amen.

 

 

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 24 GENNAIO 2016

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TERZA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
DOMENICA 24 GENNAIO 2016 

GESU’ GIUBILEO DELLA MISERCORDIA DEL PADRE

Commento di padre Antonio Rungi 

Nell’anno giubilare della misericordia, in questa terza domenica del tempo ordinario dell’anno liturgico, risuona con particolare significato la parola di Dio che ascoltiamo nella liturgia della santa messa di oggi. E’ nel testo del vangelo di Luca, che ci racconta della presenza di Gesù a Nazaret, nella sinagoga del paese dove ha vissuto la sua infanzia, fino al momento dell’attività missionaria, ove ha l’opportunità, come tutti gli israeliti di leggere la parola di Dio.  Gli capitò in quel sabato di leggere il testo del profeta Isaia, ben noto, in cui si parla appunto della venuta del messia, del tempo della liberazione ed anche dell’anno giubilare, l’anno in cui più potente si faceva e si fa il dono della misericordia verso tutti e verso gli ultimi, i poveri, i carcerati, coloro che erano e sono soggiacenti in ogni forma di schiavitù morale, spirituale materiale. Gesù si fa proprio quel testo profetico dell’Antico Testamento e lo adatta alla sua missione e alla sua presenza nel mondo. «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato», egli dice si realizza tutto quello che aveva detto il profeta. Ma cosa aveva previsto, prefigurato il grande profeta della libertà? Vedeva nella venuta del Signore il tempo della misericordia, della liberazione, del ritorno ad una vita davvero felice. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». In verità anche il profeta Neemia, nel brano della prima lettura di questa domenica ci racconta della liturgia della parola di Dio, che si usava celebrare presso gli Israeliti. In gioco ci sono gli addetti alla proclamazione della parola del Signore, che, nel caso specifico, è il sacerdote Esdra, il quale “portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza.  Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore”. L’importanza e la sacralità delle lettura della parola di Dio è ben nota presso il popolo d’Israele come è facile capire da questo testo. Il grande rispetto e la venerazione che si deve alla parola di Dio è accreditata in modo certo presso il nuovo popolo di Dio, la comunità cristiana che era assidua, fin dai primi tempi dopo la risurrezione di Cristo e la sua Ascensione al cielo e con l’invio dello Spirito Santo, nella lettura della parola di Dio e nell’insegnamento degli Apostoli. Anche le comunità cristiane come la comunità ebraica si nutrivano della parola di Dio e continuano a nutrirsi, attraverso varie forme di celebrazione della parola, tra cui eminentemente nella celebrazione della santa messa. La prima parte della celebrazione eucaristica è, infatti, dedicata alla liturgia della parola. Quella parola che abbiamo ascoltato e che insieme, anche in questa domenica, diventa cibo per le nostre anime e sulla quale meditiamo, riflettiamo e promettiamo di operare coerentemente con essa. E’ interessante, proprio attingendo dal testo della prima lettura di oggi, quale dignità avesse la parola di Dio presso il popolo di Israele e con quanta responsabilità, mansione ed attenzione ci si accostava ad essa specie nella proclamazione in pubblico dei testi sacri. Non ci si inventava lettori e come vengono detti, leviti, cioè addetti alla liturgia, ma si veniva formati alla proclamazione ufficiale ed in pubblica assemblea della parola di Dio. Infatti, i levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura”. Come si vede la parola veniva proclamata e commentata: catechesi, omelie, spiegazione dei testi sacri hanno una storia che parte dagli ebrei, i nostri fratelli maggiori nella fede e gli specialisti della lettura della Legge di Dio e dell’antica alleanza. Nella lettura pubblica della parola di Dio non erano esclusi gli uomini politici, coloro che detenevano il potere. Infatti alla lettura è presente anche Neemia. I vari personaggi citati nel brano, e cioè  Neemìa, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti,  ammaestravano il popolo dicendo a tutti i presenti: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». In poche parole è il sabato ebraico, divenuto la nostra domenica, giorno del Signore, durante il quale è dovere di tutti i credenti “fare festa ed abbandonare l’abito di lutto e del dolore”. Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Una festa che parte dall’ascolto della parola e si estende nella vita familiare e sociale. Non senza motivo  Neemìa disse al popolo dopo aver ascoltato la parola: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». Fare festa con un lauto convito, ma anche far fare festa a chi era sprovvisto di cibo. Non è domenica se non solleviamo la sofferenza di chi sta nella necessità ed ha bisogno del cibo materiale. Questa è un dovere morale, oltre che un obbligo civile su tutta la terra. A nessuno deve mancare il cibo della festa, ma anche il cibo della quotidianità. Ma questo è un sogno che non si realizza, se tutti pensano a soddisfare il proprio stomaco senza considerare le necessità degli altri. Il giubileo che stiamo celebrando ci chiede espressamente di vivere ed attuare le opere di misericordia corporale e spirituale a partire da quel dar da mangiare agli affamati che deve entrare nel nostro sistema d vita e non solo di pensiero. Tutto questo sarà possibile anche per noi cristiani del XXI secolo che formiamo un corpo solo e ci sentiamo davvero Chiesa, operando come membra vive e vitali in essa, secondo quanto ci dice l’apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi: “Come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra”. Sia questa la nostra sentita e convinta preghiera nella domenica dell’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani e alla vigilia della festa della conversione di San Paolo Apostolo: O Padre, tu hai mandato il Cristo, re e profeta, ad annunziare ai poveri il lieto messaggio del tuo regno, fa’ che la sua parola che oggi risuona nella Chiesa, ci edifichi in un corpo solo e ci renda strumento di liberazione e di salvezza”. Amen.

CATECHESI SUI NOVISSIMI A CURA DI PADRE ANTONIO RUNGI

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I NOVISSIMI NEL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

A CURA DI PADRE ANTONIO RUNGI

Catechesi (CCC, 988-1050)

 

INTRODUZIONE

 

I giorni immediatamente precedenti al 1 e 2 novembre, nei quali, rispettivamente si celebrano Tutti i Santi e si commemorano Tutti i fedeli Defunti, è prassi che si rifletta sui “Novissimi”, sulle ultime realtà della nostra vita terrena e celeste. Cosicché, temi come la morte, il giudizio di Dio, il Paradiso, il Purgatorio e l’Inferno sono al centro delle nostre meditazioni quotidiane in questo novenario dei morti. Riflettere e meditare su questi temi con l’ausilio del Catechismo della Chiesa Cattolica ci aiuta ad entrare teologicamente, biblicamente e spiritualmente, con contenuti dottrinali certi, in questi misteri della nostra fede. Una volta quando si trattavano questi temi, la gente, veniva terrorizzata dai predicatori. Oggi, pur rimanendo la verità sostanziale circa i novissimi, la predicazione si incentra più sulla misericordia e il perdono. Non a caso, Papa Francesco, ha indetto un anno giubilare, sulla Misericordia che ci accingiamo a vivere e a celebrare. Bisogna confidare nella misericordia di Dio, ma anche avere la capacità e la volontà di convertirsi.

 

PREGHIERA INTRODUTTIVA

 

«Dio di infinita misericordia,

affidiamo alla tua immensa bontà

quanti hanno lasciato questo mondo per l’eternità,

dove Tu attendi l’intera umanità,

redenta dal sangue prezioso di Cristo,

tuo Figlio, morto in riscatto per i nostri peccati.

 

Non guardare, Signore, alle tante povertà,

miserie e debolezze umane,

quando ci presenteremo davanti al tuo tribunale,

per essere giudicati per la felicità o la condanna.

 

Volgi su di noi il tuo sguardo pietoso,

che nasce dalla tenerezza del tuo cuore,

e aiutaci a camminare sulla strada

di una completa purificazione.

 

Nessuno dei tuoi figli vada perduto

nel fuoco eterno dell’inferno,

dove non ci può essere più pentimento.

 

Ti affidiamo Signore le anime dei nostri cari,

delle persone che sono morte

senza il conforto sacramentale,

o non hanno avuto modo di pentirsi

nemmeno al temine della loro vita.

 

Nessun abbia da temere di incontrare Te,

dopo il pellegrinaggio terreno,

nella speranza di essere accolto

nelle braccia della tua infinita misericordia.

 

Sorella morte corporale

ci trovi vigilanti nella preghiera

e carichi di ogni bene

fatto nel corso della nostra breve o lunga esistenza.

 

Signore, niente ci allontani da Te su questa terra,

ma tutto e tutti ci sostengano

nell’ardente desiderio di riposare

serenamente ed eternamente in Te. Amen»

(P. Antonio Rungi, passionista, Preghiera dei defunti).

 

 

Articolo 11: «CREDO LA RISURREZIONE DELLA CARNE»

 

988 Il Credo cristiano – professione della nostra fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, e nella sua azione creatrice, salvifica e santificante – culmina nella proclamazione della risurrezione dei morti alla fine dei tempi, e nella vita eterna.

 

989 Noi fermamente crediamo e fermamente speriamo che, come Cristo è veramente risorto dai morti e vive per sempre, cosi pure i giusti, dopo la loro morte, vivranno per sempre con Cristo risorto, e che egli li risusciterà nell’ultimo giorno. Come la sua, anche la nostra risurrezione sarà opera della Santissima Trinità: “Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” ( Rm 8,11).

 

990 Il termine «carne» designa l’uomo nella sua condizione di debolezza e di mortalità. La «risurrezione della carne» significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita dell’anima immortale, ma che anche i nostri «corpi mortali» (Rm 8, 11) riprenderanno vita.

 

991 Credere nella risurrezione dei morti è stato un elemento essenziale della fede cristiana fin dalle sue origini «Fiducia christianorum resurrectio mortuorum; illam credentes, sumus – La risurrezione dei morti è la fede dei cristiani – credendo in essa siamo tali»: “Come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede… Ora, invece, Cristo è resuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15, 12-14.20).

 

I. La Risurrezione di Cristo e la nostra

Rivelazione progressiva della Risurrezione

 

992 La risurrezione dei morti è stata rivelata da Dio al suo Popolo progressivamente. La speranza nella risurrezione corporea dei morti si è imposta come una conseguenza intrinseca della fede in un Dio Creatore di tutto intero l’uomo, anima e corpo. Il Creatore del cielo e della terra è anche colui che mantiene fedelmente la sua Alleanza con Abramo e con la sua discendenza. E in questa duplice prospettiva che comincerà ad esprimersi la fede nella risurrezione. Nelle loro prove i martiri Maccabei confessano: “Il Re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna” (2 Mac 7, 9). “È bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati” (2 Mac 7, 14).

 

993 I farisei e molti contemporanei del Signore speravano nella risurrezione. Gesù la insegna con fermezza. Ai sadducei che la negano risponde: «Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscere le Scritture, né la potenza di Dio?» (Mc 12, 24). La fede nella risurrezione riposa sulla fede in Dio che «non è un Dio dei morti, ma dei viventi!» ( Mc 12, 27).

 

994 Ma c’è di più. Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa Persona: «Io sono la Risurrezione e la Vita» (Gv 11, 25). Sarà lo stesso Gesù a risuscitare nell’ultimo giorno coloro che avranno creduto in lui e che avranno mangiato il suo Corpo e bevuto il suo Sangue. Egli fin d’ora ne dà un segno e una caparra facendo tornare in vita alcuni morti, annunziando con ciò la sua stessa Risurrezione, la quale però sarà di un altro ordine. Di tale avvenimento senza eguale parla come del «segno di Giona» (Mt 12, 39), del segno del tempio: annunzia la sua Risurrezione al terzo giorno dopo essere stato messo a morte.

 

995 Essere testimone di Cristo è essere «testimone della sua Risurrezione» (At 1,22), aver «mangiato e bevuto con lui dopo la sua Risurrezione dai morti» (At 10,41). La speranza cristiana nella risurrezione è contrassegnata dagli incontri con Cristo risorto. Noi risusciteremo come lui, con lui, per mezzo di lui.

 

996 Fin dagli inizi, la fede cristiana nella risurrezione ha incontrato incomprensioni ed opposizioni. «In nessun altro argomento la fede cristiana incontra tanta opposizione come a proposito della risurrezione della carne». Si accetta abbastanza facilmente che, dopo la morte, la vita della persona umana continui in un modo spirituale. Ma come credere che questo corpo, la cui mortalità è tanto evidente, possa risorgere per la vita eterna?

 

Come risuscitano i morti?

 

997 Che cosa significa «risuscitare»? Con la morte, separazione dell’anima e del corpo, il corpo dell’uomo cade nella corruzione, mentre la sua anima va incontro a Dio, pur restando in attesa di essere riunita al suo corpo glorificato. Dio nella sua onnipotenza restituirà definitivamente la vita incorruttibile ai nostri corpi riunendoli alle nostre anime, in forza della Risurrezione di Gesù.

 

998 Chi risusciterà? Tutti gli uomini che sono morti: «quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna», ( Gv 3, 29).

 

999 Come? Cristo è risorto con il suo proprio corpo: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!» (Lc 24, 39); ma egli non è ritornato ad una vita terrena. Allo stesso modo, in lui, «tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti», ma questo corpo sarà trasfigurato in «corpo spirituale» (1 Cor 15, 44): “Ma qualcuno dirà: «Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?». Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore, e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco… Si semina corruttibile e risorge incorruttibile. . . È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità” (1 Cor 15, 33-37.42.5 3).

 

1000 Il «come» supera le possibilità della nostra immaginazione e del nostro intelletto; è accessibile solo nella fede. Ma la nostra partecipazione all’Eucaristia ci fa già pregustare la trasfigurazione del nostro corpo per opera di Cristo: “Come il pane che è frutto della terra, dopo che è stata invocata su di esso la benedizione divina, non è più pane comune, ma Eucaristia, composta di due realtà, una terrena, l’altra celeste, così i nostri corpi che ricevono l’Eucaristia non sono più corruttibili, dal momento che portano in sé il germe della risurrezione”.

 

1001 Quando? Definitivamente «nell’ultimo giorno» (Gv 6, 39-40.44.54; 11, 24); «alla fine del mondo». Infatti, la risurrezione dei morti è intimamente associata alla Parusia di Cristo: “Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo” (1 Ts 4, 16).

 

Risuscitati con Cristo

 

1002 Se è vero che Cristo ci risusciterà «nell’ultimo giorno», è anche vero che, per un certo aspetto, siamo già risuscitati con Cristo. Infatti, grazie allo Spirito Santo, la vita cristiana, fin d’ora su questa terra, è una partecipazione alla morte e alla Risurrezione di Cristo: “Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel Battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti… Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove sì trova Cristo assiso alla destra di Dio” (Col 2, 12; 3, 1).

 

1003 I credenti, uniti a Cristo mediante il Battesimo, partecipano già realmente alla vita celeste di Cristo risorto, ma questa vita rimane «nascosta con Cristo in Dio» (Col 3, 3). «Con lui, [Dio] ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli in Cristo Gesù» (Ef 2, 6). Nutriti del suo Corpo nell’Eucaristia, partecipiamo già al Corpo di Cristo. Quando risusciteremo nell’ultimo giorno saremo anche noi «manifestati con lui nella gloria» (Col 3, 4).

 

1004 Nell’attesa di quel giorno, il corpo e l’anima del credente già partecipano alla dignità di essere «in Cristo»; di qui l’esigenza di rispetto verso il proprio corpo, ma anche verso quello degli altri, particolarmente quando soffre: “Il corpo è per ii Signore e il Signore è per il corpo. Dio poi che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?… Non appartenete a voi stessi… Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Cor 6,13-15.19-20).

 

II. Morire in Cristo Gesù

 

1005 Per risuscitare con Cristo, bisogna morire con Cristo, bisogna «andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore» (2 Cor 5, 8). In questo «essere sciolto» (Fil 1, 23) che è la morte, l’anima viene separata dal corpo. Essa sarà riunita al suo corpo il giorno della risurrezione dei morti .

 

La morte

 

1006 «In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo» . Per un verso la morte corporale è naturale, ma per la fede essa in realtà è «salario del peccato» (Rm 6, 23). E per coloro che muoiono nella grazia di Cristo, è una partecipazione alla morte del Signore, per poter partecipare anche alla sua Risurrezione.

 

1007 La morte è il termine della vita terrena. Le nostre vite sono misurate dal tempo, nel corso del quale noi cambiamo, invecchiamo e, come per tutti gli esseri viventi della terra, la morte appare come la fine normale della vita. Questo aspetto della morte comporta un’urgenza per le nostre vite: infatti il far memoria della nostra mortalità serve anche a ricordarci che abbiamo soltanto un tempo limitato per realizzare la nostra esistenza.

 

“Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza.., prima che ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e lo spirito torni a Dio che lo ha dato” ( Qo 12,1.7).

 

1008 La morte è conseguenza del peccato. Interprete autentico delle affermazioni della Sacra Scrittura” e della Tradizione, il Magistero della Chiesa insegna che la morte è entrata nel mondo a causa del peccato dell’uomo. Sebbene l’uomo possedesse una natura mortale, Dio lo destinava a non morire. La morte fu dunque contraria ai disegni di Dio Creatore ed essa entrò nel mondo come conseguenza del peccato. «La morte corporale, dalla quale l’uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato» è pertanto «l’ultimo nemico» .dell’uomo a dover essere vinto.

 

1009. La morte è trasformata da Cristo. Anche Gesù, il Figlio di Dio, ha subito la morte, propria della condizione umana. Ma, malgrado la sua angoscia di fronte ad essa, egli la assunse in un atto di totale e libera sottomissione alla volontà del Padre suo. L’obbedienza di Gesù ha trasformato la maledizione della morte in benedizione.

Il senso della morte cristiana

 

1010 Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo. “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). “Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui” (2Tm 2,11). Qui sta la novità essenziale della morte cristiana: mediante il Battesimo, il cristiano è già sacramentalmente “morto con Cristo”, per vivere di una vita nuova; e se noi moriamo nella grazia di Cristo, la morte fisica consuma questo “morire con Cristo” e compie così la nostra incorporazione a lui nel suo atto redentore.

 

“Per me è meglio morire per (“eis”) Gesù Cristo, che essere re fino ai confini della terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò. Il momento in cui sarò partorito è imminente. . . Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo” [Sant’Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 6, 1-2].

 

1011 Nella morte, Dio chiama a sé l’uomo. Per questo il cristiano può provare nei riguardi della morte un desiderio simile a quello di san Paolo: “il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo” (Fil 1,23); e può trasformare la sua propria morte in un atto di obbedienza e di amore verso il Padre, sull’esempio di Cristo [Cf Lc 23,46 ].

 

<<Il mio amore è crocifisso; …un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: “Vieni al Padre!”>>[Sant’Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 7, 2].

 

“Voglio vedere Dio, ma per vederlo bisogna morire” [Santa Teresa di Gesù, Libro della mia vita, 1].

 

“Non muoio, entro nella vita” [Santa Teresa di Gesù Bambino, Novissima verba].

 

1012 La visione cristiana della morte [Cf 1Ts 4,13-14 ] è espressa in modo impareggiabile nella liturgia della Chiesa: “Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo” [Messale Romano, Prefazio dei defunti, I].

 

1013 La morte è la fine del pellegrinaggio terreno dell’uomo, è la fine del tempo della grazia e della misericordia che Dio gli offre per realizzare la sua vita terrena secondo il disegno divino e per decidere il suo destino ultimo. Quando è “finito l’unico corso della nostra vita terrena”, [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48] noi non ritorneremo più a vivere altre vite terrene. “È stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta” (Eb 9,27). Non c’è “reincarnazione” dopo la morte.

 

1014 La Chiesa ci incoraggia a prepararci all’ora della nostra morte (Dalla morte improvvisa, liberaci, Signore”: antica Litania dei santi), a chiedere alla Madre di Dio di intercedere per noi “nell’ora della nostra morte” (Ave Maria) e ad affidarci a san Giuseppe, patrono della buona morte: “In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; se avrai la coscienza retta, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che fuggire la morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani?

[Imitazione di Cristo, 1, 23, 1]

 

Laudato si, mi Signore,

per sora nostra Morte corporale,

da la quale nullo omo vivente po’ scampare.

Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali!;

beati quelli che trovarà

ne le tue sanctissime voluntati,

ca la morte seconda no li farrà male

[San Francesco d’Assisi, Cantico delle creature].

 

 

Articolo 12: “CREDO LA VITA ETERNA”

 

1020 Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di lui ed entrare nella vita eterna. Quando la Chiesa ha pronunciato, per l’ultima volta, le parole di perdono dell’assoluzione di Cristo sul cristiano morente, l’ha segnato, per l’ultima volta, con una unzione fortificante e gli ha dato Cristo nel viatico come nutrimento per il viaggio, a lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole: “Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. . . Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. . . Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno [Rituale romano, Rito delle esequie, Raccomandazione dell’anima].

 

I. Il giudizio particolare

 

1021 La morte pone fine alla vita dell’uomo come tempo aperto all’accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo [Cf 2Tm 1,9-10 ]. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell’incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l’immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro [Cf Lc 16,22 ] e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone [Cf  Lc 23,43 ] così come altri testi del Nuovo Testamento [Cf  2Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; Eb 12,23 ] parlano di una sorte ultima dell’anima [Cf Mt 16,26] che può essere diversa per le une e per le altre.

 

1022 Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, [Cf Concilio di Lione II: Denz.-Schönm., 857-858; Concilio di Firenze II: ibid., 1304-1306; Concilio di Trento: ibid., 1820] o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, [Cf Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1000-1001; Giovanni XXII, Bolla Ne super his: ibid., 990] oppure si dannerà immediatamente per sempre [Cf Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1002].

 

“Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore” [Cf San Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 1, 57].

 

II. Il Cielo

 

1023 Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono “così come egli è” (1Gv 3,2), faccia a faccia: [Cf 1Cor 13,12;  Ap 22,4 ]

 

Con la nostra apostolica autorità definiamo che, per disposizione generale di Dio, le anime di tutti i santi morti prima della passione di Cristo. . . e quelle di tutti i fedeli morti dopo aver ricevuto il santo Battesimo di Cristo, nelle quali al momento della morte non c’era o non ci sarà nulla da purificare, oppure, se in esse ci sarà stato o ci sarà qualcosa da purificare, quando, dopo la morte, si saranno purificate. . ., anche prima della risurrezione dei loro corpi e del giudizio universale – e questo dopo l’Ascensione del Signore e Salvatore Gesù Cristo al cielo – sono state, sono e saranno in cielo, associate al Regno dei cieli e al Paradiso celeste con Cristo, insieme con i santi angeli. E dopo la passione e la morte del nostro Signore Gesù Cristo, esse hanno visto e vedono l’essenza divina in una visione intuitiva e anche a faccia a faccia, senza la mediazione di alcuna creatura [ Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz. -Schönm., 1000; cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 49].

 

1024 Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata “il cielo”. Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva.

 

1025 Vivere in cielo è “essere con Cristo” [Cf Gv 14,3;  Fil 1,23; 1Ts 4,17 ]. Gli eletti vivono “in lui”, ma conservando, anzi, trovando la loro vera identità, il loro proprio nome: [Cf  Ap 2,17 ]

 

Vita est enim esse cum Christo; ideo ubi Christus, ibi vita, ibi regnum – La vita, infatti, è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo, là c’è la vita, là c’è il Regno [Sant’Ambrogio, Expositio Evangelii secundum Lucam, 10, 121: PL 15, 1834A].

 

1026 Con la sua morte e la sua Risurrezione Gesù Cristo ci ha “aperto” il cielo. La vita dei beati consiste nel pieno possesso dei frutti della Redenzione compiuta da Cristo, il quale associa alla sua glorificazione celeste coloro che hanno creduto in lui e che sono rimasti fedeli alla sua volontà. Il cielo è la beata comunità di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in lui.

 

1027 Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La Scrittura ce ne parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1Cor 2,9).

 

1028 A motivo della sua trascendenza, Dio non può essere visto quale è se non quando egli stesso apre il suo Mistero alla contemplazione immediata dell’uomo e gliene dona la capacità. Questa contemplazione di Dio nella sua gloria celeste è chiamata dalla Chiesa la “la visione beatifica”: “Questa sarà la tua gloria e la tua felicità: essere ammesso a vedere Dio, avere l’onore di partecipare alle gioie della salvezza e della luce eterna insieme con Cristo, il Signore tuo Dio, . . . godere nel Regno dei cieli, insieme con i giusti e gli amici di Dio, le gioie dell’immortalità raggiunta [San Cipriano di Cartagine, Epistulae, 56, 10, 1: PL 4, 357B].

 

1029 Nella gloria del cielo i beati continuano a compiere con gioia la volontà di Dio in rapporto agli altri uomini e all’intera creazione. Regnano già con Cristo; con lui “regneranno nei secoli dei secoli” ( Ap 22,5) [Cf Mt 25,21; Mt 25,23 ].

 

III. La purificazione finale o Purgatorio

 

1030 Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo.

 

1031 La Chiesa chiama Purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt’altra cosa del castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al Purgatorio soprattutto nei Concilii di Firenze [Cf Denz. -Schönm., 1304f ibid. , 1820; 1580]. La Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, [Cf ad esempio, 1Cor 3,15; 1031 1Pt 1,7 ] parla di un fuoco purificatore: Per quanto riguarda alcune colpe leggere, si deve credere che c’è, prima del Giudizio, un fuoco purificatore; infatti colui che è la Verità afferma che, se qualcuno pronuncia una bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro (Mt 12,31). Da questa affermazione si deduce che certe colpe possono essere rimesse in questo secolo, ma certe altre nel secolo futuro [San Gregorio Magno, Dialoghi, 4, 39].

 

1032 Questo insegnamento poggia anche sulla pratica della preghiera per i defunti di cui la Sacra Scrittura già parla: “Perciò [Giuda Maccabeo] fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato” (2Mac 12,45). Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, [Cf Concilio di Lione II: Denz. -Schönm., 856] affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti: “Rechiamo loro soccorso e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe sono stati purificati dal sacrificio del loro padre, [Cf  Gb 1,5 ] perché dovremmo dubitare che le nostre offerte per i morti portino loro qualche consolazione? Non esitiamo a soccorrere coloro che sono morti e ad offrire per loro le nostre preghiere” [San Giovanni Crisostomo, Homiliae in primam ad Corinthios, 41, 5: PG 61, 594-595].

 

IV. L’inferno

 

1033 Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: “Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna” (1Gv 3,15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli [Cf Mt 25,31-46 ]. Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola “inferno”.

 

1034 Gesù parla ripetutamente della “Geenna”, del “fuoco inestinguibile”, [Cf Mt 5,22; Mt 5,29; 1034  Mt 13,42; Mt 13,50;  Mc 9,43-48 ] che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l’anima che il corpo [Cf Mt 10,28 ]. Gesù annunzia con parole severe che egli “manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno. . . tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente” (Mt 13,41-42), e che pronunzierà la condanna: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!” (Mt 25,41).

 

1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, “il fuoco eterno” [Cf Simbolo “Quicumque”: Denz. -Schönm., 76; Sinodo di Costantinopoli: ibid., 409. 411; 274]. La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.

 

1036 Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla Vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” (Mt 7,13-14).

 

<<Siccome non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove “ci sarà pianto e stridore di denti”>> [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48].

 

1037 Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; [ Cf Concilio di Orange II: Denz. -Schönm. , 397; Concilio di Trento: ibid. , 1567] questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole “che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2Pt 3,9): “Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti” [Messale Romano, Canone Romano].

 

V. Il Giudizio finale

 

1038 La risurrezione di tutti i morti, “dei giusti e degli ingiusti” (At 24,15), precederà il Giudizio finale. Sarà “l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell’Uomo] e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” ( Gv 5,28-29). Allora Cristo “verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli. . . E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. . . E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” (Mt 25,31; Mt 25,32; Mt 25,46).

 

1039 Davanti a Cristo che è la Verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio [Cf  Gv 12,49 ]. Il Giudizio finale manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena: “Tutto il male che fanno i cattivi viene registrato a loro insaputa. Il giorno in cui Dio non tacerà (Sal 50,3). . . egli si volgerà verso i malvagi e dirà loro: “Io avevo posto sulla terra i miei poverelli, per voi. Io, loro capo, sedevo nel cielo alla destra di mio Padre, ma sulla terra le mie membra avevano fame. Se voi aveste donato alle mie membra, il vostro dono sarebbe giunto fino al capo. Quando ho posto i miei poverelli sulla terra, li ho costituiti come vostri fattorini perché portassero le vostre buone opere nel mio tesoro: voi non avete posto nulla nelle loro mani, per questo non possedete nulla presso di me [Sant’Agostino, Sermones, 18, 4, 4: PL 38, 130-131].

 

1040 Il Giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l’ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la Provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il Giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte [Cf Ct 8,6 ].

 

 1041 Il messaggio del Giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona agli uomini “il momento favorevole, il giorno della salvezza” (2Cor 6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del Regno di Dio. Annunzia la “beata speranza” (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale “verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto” (2Ts 1,10).

 

VI. La speranza dei cieli nuovi e della terra nuova

 

1042 Alla fine dei tempi, il Regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il Giudizio universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in corpo e anima, e lo stesso universo sarà rinnovato: “Allora la Chiesa. . . avrà il suo compimento. . . nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48].

 

1043 Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l’umanità e il mondo, dalla Sacra Scrittura è definito con l’espressione: “i nuovi cieli e una terra nuova” (2Pt 3,13) [Cf  Ap 21,1 ]. Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di “ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” ( Ef 1,10).

 

1044 In questo nuovo universo, [Cf Ap 21,5 ] la Gerusalemme celeste, Dio avrà la sua dimora in mezzo agli uomini. Egli “tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4) [Cf  Ap 21,27 ].

 

1045 Per l’uomo questo compimento sarà la realizzazione definitiva dell’unità del genere umano, voluta da Dio fin dalla creazione e di cui la Chiesa nella storia è “come sacramento” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 1]. Coloro che saranno uniti a Cristo formeranno la comunità dei redenti, la “Città santa” di Dio (Ap 21,2), “la Sposa dell’Agnello” (Ap 21,9). Essa non sarà più ferita dal peccato, dalle impurità, [Cf Ap 21,27 ] dall’amor proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini. La visione beatifica, nella quale Dio si manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione.

 

1046 Quanto al cosmo, la Rivelazione afferma la profonda comunione di destino fra il mondo materiale e l’uomo: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio. . . e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione. . . Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Rm 8,19-23).

 

1047 Anche l’universo visibile, dunque, è destinato ad essere trasformato, “affinché il mondo stesso, restaurato nel suo stato primitivo, sia, senza più alcun ostacolo, al servizio dei giusti”, partecipando alla loro glorificazione in Gesù Cristo risorto [Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 32, 1].

 

1048 “ Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità, e non sappiamo il modo in cui sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39].

 

1049 “Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39].

 

1050 “Infatti. . . tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando Cristo rimetterà al Padre il Regno eterno e universale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39]. Dio allora sarà “tutto in tutti” (1Cor 15,28), nella vita eterna: “La vita, nella sua stessa realtà e verità, è il Padre, che attraverso il Figlio nello Spirito Santo, riversa come fonte su tutti noi i suoi doni celesti. E per la sua bontà promette veramente anche a noi uomini i beni divini della vita eterna [ San Cirillo di Gerusalemme, Catecheses illuminandorum, 18, 29: PG 33, 1049, cf Liturgia delle Ore, III, Ufficio delle letture del giovedì della diciassettesima settimana. [Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 28.]

 

PREGHIERA FINALE

 

Tu e Dio.

“Eccoci, Signore, davanti a te. Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato. Ma se ci sentiamo sfiniti, non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto, o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei.

È perché, purtroppo, molti passi, li abbiamo consumati sulle viottole nostre, e non sulle tue: seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera, e non le indicazioni della tua Parola; confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre, e non sui moduli semplici dell’abbandono fiducioso in te.

Forse mai, come in questo momento della nostra vita, sentiamo nostre le parole di Pietro: “Abbiamo faticato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla”.

Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente. Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto, ci aiuti a capire che senza di te non possiamo far nulla.

 

Ci agitiamo soltanto.

Grazie, perché obbligandoci a prendere atto Dei nostri bilanci deficitarii, ci fai comprendere che, se non sei tu che costruisci la casa, invano vi faticano i costruttori. E che, se tu non custodisci la città, invano veglia il custode. E che alzarsi di buon mattino, come facciamo noi, o andare tardi a riposare per assolvere ai mille impegni giornalieri, o mangiare pane di sudore, come ci succede ormai spesso, non è un investimento redditizio se ci manchi tu.

 

Il Salmo 127, avvertendoci che, il pane, tu ai tuoi amici lo dai nel sonno, ci rivela la più incredibile legge economica, che lega il minimo sforzo al massimo rendimento. Ma bisogna esserti amici. Bisogna godere della tua comunione. Bisogna vivere una vita interiore profonda. Se no, il nostro è solo un tragico sussulto di smanie operative, forse anche intelligenti, ma assolutamente sterili sul piano spirituale.

 

Grazie, Signore, perché, se ci fai sperimentare la povertà della mietitura e ci fai vivere con dolore il tempo delle vacche magre, tu dimostri di volerci veramente bene, poiché ci distogli dalle nostre presunzioni corrose dal tarlo dell’efficientismo, raffreni i nostri desideri di onnipotenza, e non ci esponi al ridicolo di fronte alla storia: anzi, di fronte alla cronaca.

Ma ci sono altri motivi, Signore, che, in questo momento, esigono il nostro rendimento di grazie.

Grazie, perché ci conservi nel tuo amore. Perché ancora non ti è venuto il voltastomaco per i nostri peccati. Perché continui ad aver fiducia in noi, pur vedendo che tantissime altre persone ti darebbero forse ben diverse soddisfazioni.

Grazie, perché non solo ci sopporti, ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi. Perché ci infondi il coraggio di celebrare i santi misteri, anche quando la coscienza della nostra miseria ci fa sentire delle nullità e ci fa sprofondare nella vergogna.

Grazie, perché ci sai mettere sulla bocca le parole giuste, anche quando il nostro cuore è lontano da te. Perché adoperi infinite tenerezze, preservandoci da impietosi rossori, e non facendoci mancare il rispetto della gente, la comprensione delle persone, la fiducia dei poveri.

Grazie, perché continui a custodirci gelosamente, anzi, a nasconderci , come fa la madre con i figli più discoli. Perché sei un amico veramente unico, e ti sei lasciato così sedurre dall’amore che ci porti, che non ti regge l’animo di smascherarci dinanzi alla gente, e non fai venir meno agli occhi degli uomini i motivi per i quali, nonostante tutto, continuiamo a essere amati.

Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi. Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini. Perché, al tuo sguardo, non c’è bancarotta che tenga. Perché, a dispetto delle letture deficitarie delle nostre contabilità, non ci fai disperare. Anzi, ci metti nell’anima un così vivo desiderio di ricupero, che già vediamo il nuovo giorno come spazio della Speranza e tempo propizio per sanare i nostri dissesti morali.

Spogliaci, Signore, d’ogni ombra di arroganza. Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza. Donaci un futuro pieno di grazia e di luce e di incontenibile amore per la vita. Aiutaci a spendere per te tutto quello che abbiamo e che siamo. E la Vergine tua Madre ci intenerisca il cuore fino alle lacrime. Amen!” (Servo di Dio, Mons. Tonino Bello, Tu o Dio. Mio Adattamento).