Paradiso

PREGHIERA DI P.RUNGI PER I FEDELI DEFUNTI 2013

Defunti2013.jpgIn occasione della Commemorazione dei fedeli defunti del 2 novembre 2013, padre Antonio Rungi, sacerdote passionista e teologo morale, ha composto una speciale preghiera per tutti i defunti, incentrando la sua orazione soprattutto sulle vittime delle violenze di ogni genere, sul disprezzo della vita e contro la cultura della morte che spesso sembra dominare nella società contemporanea. Una preghiera che affida a tutti i sacerdoti e a tutti i fedeli, specialmente a quanti tra oggi, Festa di Tutti i Santi, e domani, Commemorazione dei fedeli defunti si recheranno al cimitero per pregare sulla tomba dei propri cari o partecipare alle celebrazioni religiose commemorative per questo giorno. Ecco il testo dell’orazione che il sacerdote ha divulgato in formato cartaceo e telematico:
 

Preghiera per i Defunti di padre Antonio Rungi, passionista 

 

Signore della vita,  

Tu ci doni tanti giorni in questo mondo 

per preparaci all’incontro con Te nell’eternità. 

 

Tu hai vinto la morte,  

ma noi, nonostante la fatica della vita, 

abbiamo paura di morire, 

ma tu donaci la grazia di saper soffrire 

patire e morire in pace con Dio. 

 

Come Te che di fronte all’imminente morte in Croce 

Ti sei rivolto al Padre chiedendo  

se era possibile che passasse quel calice amaro della Passione,  

fa che quanti hanno fede in Te  

possano ottenere la grazia di soffrire di meno 

guardando alla tua croce e alla tua morte in Croce. 

 

Signore della vita, noi sappiamo che la morte 

non è l’ultima parola per ogni persona che viene in questo mondo, 

ma è il passaggio alla gloria del cielo, all’eternità, 

in attesa del giudizio universale e della risurrezione finale 

dei nostri corpi mortali. 

 

In questi giorni di maggiore preghiera 

per i nostri cari e per tutti i defunti 

concedi a quanti sono in attesa  

di incontrarti per sempre in Paradiso,  

di ottenere questa grazia  

per la nostra umile ed incessante preghiera  

che eleviamo a Te per i nostri cari, 

per quanti sono dimenticati  

e soprattutto per le anime sante  

più abbandonate del Purgatorio. 

 

Ti preghiamo per i bambini mai nati, 

perché l’egoismo e la pura dei grandi 

ha stroncato la loro vita sul nascere.

 

Ti preghiamo per i bambini appena nati  

e che non avanzarono nel tempo dell’età 

perché nell’indifferenza dei grandi della terra 

morirono per la miseria,  fame e  povertà di ogni genere. 

 

Ti preghiamo per le vittime di tutte le guerre  

e delle nostre guerre odierne,  

quelle combattute nel nome di una presunta libertà dell’uomo 

e quelle combattute volutamente  per offendere  

e distruggere la vita della gente:  

dei bambini, giovani, anziani, donne,  

uomini di ogni razza cultura e religione  

che sono massacrati, in tanti modi, 

su questa martoriata e sofferente terra,  

che non riesce ad alzare il suo sguardo al cielo,  

per contemplare Te, Dio di amore e di misericordia.

  

Signore, fa che questi giorni  

dedicati alla Commemorazione annuale dei fedeli defunti,  

non passino invano, ma lascino il segno 

di una conversione alla cultura della vita  

e della pace in tutti gli angoli del mondo. 

 

I nostri cari, non hanno bisogno solo di fiori, 

luci, candele e mausolei  

per continuare la loro comunione spirituale con noi, 

hanno bisogno delle nostre preghiere e delle nostre opere buone, 

portando a compimento  

questo progetto d’amore e di riconciliazione 

nelle nostre famiglie, nei nostri ambienti, nelle nostre chiese, 

nel lavoro quotidiano, nella cultura, nella politica e nell’umana società. 

 

I tanti nostri cari, concittadini, connazionali,  

immigrati, fratelli e sorelle in umanità 

morti per tantissime giuste cause  

e per rendere il nostro mondo migliore, 

dal cielo possano guidare  

noi uomini di questo terzo millennio 

a guardare la vita nella prospettiva dell’eternità, 

agendo sempre bene su questa terra,  

nell’attesa della felicità nella vita eterna. Amen

 

 Padre Antonio Rungi, passionista

 

(Commemorazione dei Fedeli Defunti – 2 Novembre 2013) 

Commemorazione dei Fedeli Defunti – 2 novembre 2013

COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI – 2 NOVEMBRE 2013

 

CRISTO HA VINTO LA MORTE

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

Oggi la chiesa ci fa ricordare tutti i fedeli defunti in una grande preghiera che li racchiude tutti nei nostri pensieri e nei nostri ricordi. I defunti, nostri parenti, amici, conoscenti e i defunti di tutti i tempi, che per noi non hanno nome, ma che Dio conosce bene. La nostra preghiera oggi è, infatti, rivolta al Signore perché accolta nel suo Regno di eterna gioia e pace quelli che hanno lasciato questo mondo e sono passati all’eternità. La preghiera per le anime sante del purgatorio e per le anime, specialmente quelle più abbandonate e che di cui non sappiamo neppure il nome e l’esistenza. I morti di tutte le guerre e di tutte le violenze, i morti del passato, come dell’oggi, i morti di ogni cultura, popolo, religione nazione, i morti sulle strade, in mare, negli ospedali, nelle case, nelle piccole e grandi città, i morti naufraghi di Lampedusa, quelli che negli ultimi giorni hanno lasciato profondamente addolorato il nostro cuore. Tutti i morti, senza esclusione di nessuno e la preghiera è perché il Signore doni loro il riposo eterno, senza più fatica e dolore, senza più croci e calvari di ogni genere. Questa grande famiglia che attende di vedere faccia a faccia Dio così come Egli è, nella gloria del Paradiso e che un giorno, quando anche noi chiuderemo gli occhi alla vita terrena speriamo di incontrare, dove Dio attende ogni suo figlio. Ecco perché la nostra preghiera umile e non senza dolore nel cuore, nostalgia per quanti ci hanno lasciato, prematuramente, è questa che rivolgiamo al Dio della vita: “Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del Signore risorto, e conferma in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova”.

La profonda certezza di fede che esiste l’eternità e tutti siamo indirizzati verso questa meta finale, ci fa pregare con il problematico ed impaziente Giobbe, con queste parole: “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro». E con l’Apostolo Paolo, convinti più che mai del mistero della risurrezione di Cristo, preludio della nostra definitiva risurrezione, sappiamo che “Gesù è morto ed è risorto; così anche quelli che sono morti in Gesù Dio li radunerà insieme con lui. E come tutti muoiono in Adamo, così tutti in Cristo riavranno la vita”.

Morte, vita, risurrezione, purgatorio, paradiso: sono le parole chiavi di questa commemorazione annuale dei fedeli, che tanta pietà popolare suscita in chi crede e in chi non crede.

Nella prospettiva del mistero della risurrezione del Signore, anche la paura della morte ed il nostro futuro si colora di speranza e di serenità, si riempie di gioia e di amore per sempre, perché oltre la morte corporale, la nostra sorella come la definiva San Francesco, c’è una vita senza fine, una vita nel Dio della pace e della felicità. E con il Salmo responsoriale di questa liturgia, eleviamo al Signore il nostro canto di speranza: Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura? Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario”. Anche il brano del Vangelo della prima messa dei defunti, sottolinea questa prospettiva di eternità e di risurrezione: “Chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Vivere in questa speranza, in questa attesa è l’atteggiamento migliore dell’uomo credente, del cristiano che ha fatto della fede una forza trainante della sua esistenza nel tempo. Come scrive l’Apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla Lettera ai Romani: “La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”.

Camminiamo in questa fede-speranza per incontrare, al termine dei nostri giorni l’Amore, il Dio carità e in lui incontrare tutte le persone che abbiamo conosciuto, amato e forse anche contrastato nel corso della nostra vita. Intanto per loro sgorga la nostra umile preghiera per tutti i fedeli defunti che è sintetizzata in quella nota a tutti e pregata da tutti: “L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace.Amen”.

 

FRATTAMAGGIORE. PRIMO INCONTRO DI FORMAZIONE PER LE SUORE ANCELLE DEL SACRO CUORE

ANCELLE DEL SACRO CUORE DI CATERINA VOLPICELLI

FRATTAMAGGIORE – NAPOLI

PRIMO INCONTRO DI FORMAZIONE – 24 OTTOBRE 2013

GUIDA SPIRITUALE: P.ANTONIO RUNGI – PASSIONISTA

 

<<La chiamata di Dio: dall’evento parola all’esperienza>>

 

1.PREMESSA

 

In questo anno pastorale 2013-2014 avremo come tema unificante dei nostri incontri, secondo quanto deciso dal Consiglio generale della Congregazione delle Suore Ancelle del Sacro Cuore di Caterina Volpicelli e fino al prossimo capitolo generale il seguente tema: “La chiamata di Dio: dall’evento parola all’esperienza”. Comprendiamo subito che è tutta la famiglia di Caterina Volpicelli a mettersi in cammino per preparare e vivere l’evento capitolare tra tre anni, come momento di grazia e di rinnovamento personale. E a rinnovarsi non sono chiamate solo le Ancelle, ma anche le Piccole Ancelle e le Aggregate, che a vario titolo giuridico, canonico, spirituale fanno parte dell’unica famiglia della Santa che amore di intenso trasporto il Cuore di Cristo e ne fece la sua missione in terra napoletana, in un periodo di grandi sconvolgimenti sociali. Ognuno è chiamato a vivere la propria vocazione ed il carisma di appartenenza seguendo quello che sono le regole di vita per la diversità delle chiamate che il Signore ha rivolto a voi facendovi conoscere ed apprezzare, professare e promettere di vivere la devozione al Sacro Cuore di Gesù secondo l’esempio di Santa Caterina Volpicelli. Per comprendere questa speciale chiamata, che la maggior parte di voi, vive e testimonia stando nel mondo e nella famiglia, è necessario partire proprio dal significato della chiamata che il Signore ha rivolto a voi, come a me, e alla quale abbiamo e stiamo dando la nostra umile risposta, non senza difficoltà, problemi ed ostacoli che, con la grazia di Dio e la nostra personale volontà, dobbiamo superare per vivere meglio questo dono e questa grazia ricevuta.

 

2.CHE SIGNIFICA “VOCAZIONE”?

 

Il termine vocazione (dal latino vocatio) significa chiamata e, nell’ambito del lessico religioso, fa riferimento alla chiamata da parte di Dio alla vita religiosa o ad una particolare missione a servizio della Chiesa o del prossimo. Per voi, carissime sorelle della famiglia di Caterina Voplicelli, significa vivere il carisma come “Ancelle”, che vivono insieme in comunità e in fraternità legittimamente costituite; in “Piccole Ancelle” che hanno promesso di vivere i voti e i consigli evangelici stando nel mondo e in famiglia. “Aggregate” che hanno deciso di fare esperienza di vita consacrate al Cuore di Cristo vivendo da donne sposate o nubili. Capire e valorizzare la propria chiamata è il primo passo per essere in sintonia con quanto abbiamo liberamente deciso di fare per la maggior gloria di Dio, per la nostra santificazione personale e per essere strumenti per la santificazione degli altri.

Partendo dalla terminologia possiamo affrontare meglio questo percorso di formazione sulla vocazione, come adesione alla Parola di Dio e come impegno di vita, cioè esperienza da vivere e condividere.

2.1. Nel linguaggio dei latini.

 

Per i latini, la vocatio assumeva significati differenti in rapporto al contesto sociale in cui tale vocabolo veniva usato: essa poteva significare una citazione in giudizio (da qui, il termine ad-vocatio, vale a dire la consultazione legale centrata sulla figura professionale dell’ad-vocatus, il cui termine greco corrispondente è paràcletos, o paraclito), un invito a pranzo (suggestivo il riferimento alla chiamata, rivolta da Dio a tutti gli uomini, a partecipare al banchetto celeste della fine dei tempi), una convocazione  (o  con-vocatio, ossia la chiamata in riunione di un gruppo di persone per trattare un argomento di interesse comune), un’invocazione o appello (in-vocatio) ad agire per il bene comune (come la chiamata alle armi per difendere la patria minacciata da pericoli esterni od interni).

Nella lingua italiana, la vocazione o chiamata è arricchita da sinonimi, che, di volta in volta, chiariscono ulteriormente il significato di questo vocabolo: inclinazione, attitudine, disposizione, tendenza, predisposizione, propensione, passione, capacità, dote. Nessuno di questi sinonimi, però, chiarisce del tutto il significato profondo della vocazione nella sua accezione religiosa e biblica, laddove la chiamata è frutto di una libera iniziativa di Dio e di una libera accettazione da parte dell’uomo, chiamato per l’appunto da Dio a svolgere una missione a favore degli uomini.

 

2.2. Nell’Antico Testamento

 

La radice ebraica qr’ compare circa 760 volte nell’Antico Testamento ed ha il significato di “richiamare l’attenzione di una persona con il suono della voce, per entrare in contatto con lei”. Da ciò si comprende come la chiamata possa essere ambivalente: solitamente è Dio che “chiama” l’uomo per comunicargli la sua volontà suprema e per affidargli un importante incarico, ma può essere anche l’uomo a cercare di “farsi sentire” da Dio, alzando per bene la voce, per esporgli le proprie difficoltà ed angosce ed essere esaudito. A questo proposito, appare evidente il contrasto tra la mentalità dei pagani, che cercavano di farsi ascoltare dalle loro divinità con grida, lamenti e riti chiassosi e sanguinari e la profonda spiritualità del pio israelita, consapevole che Dio non ha bisogno di tanto chiasso per accorgersi delle esigenze spirituali dei suoi fedeli. È molto indicativo l’episodio del profeta Elia, che sfida in un curioso duello i numerosi sacerdoti di Baal invitandoli a farsi ascoltare dal loro falso dio gridando sempre più forte e ferendosi a più non posso con lance e spade, perché forse è distratto o si è addormentato, mentre a lui basta una muta preghiera per essere esaudito da YHWH, l’unico vero Dio adorato dal popolo ebraico (1Re 18,20-40). Nel Nuovo Testamento, invece, appare accentuata l’iniziativa di Dio, cui corrisponde la libera risposta dell’uomo, mediante l’impiego del termine kaléin (“chiamare”), con i suoi derivati klésis e klétos (“chiamata”),  epikaléin (“nominare, chiamare”) e proskaléomai (“chiamare vicino a sé”), che ricorrono per circa 230 volte.

 

2.3. Le varie accezioni del “verbo chiamare”

Nell’Antico Testamento, si possono distinguere le seguenti importanti sfumature semantiche nel verbo qr’.

 

2.3.1.Gridare, ossia comunicare con il suono della voce (cf. Dt 20,10; 1Sam 17,8; 2Re 18,28); può trattarsi di un grido (Gen 41,43; Lv 13,45; Gdc 7,20), di un annuncio (Est 6,9.11), di una dichiarazione festosa (Sal 89,27) o di una proclamazione (Es 32,5; Lv 23,21; 1Re 21,9-12; Is 1,13).

 

2.3.2.Annunciare, termine tecnico della proclamazione profetica (1Re 13,32; Is 40,2.6; Ger 2,2; Gn 1,2); è espressivo il passo di Zc 7,7 in cui Dio stesso rivela di essere il soggetto che parla “per mezzo dei profeti del passato”. A questo significato fanno riferimento i passi biblici nei quali si parla dell’importanza del nome di YHWH nell’annuncio (Es 33,19: “proclamare il nome di YHWH”; cf. anche Dt 32,3; Sal 105,1; Is 12,4).

 

2.3.3.Chiamare a sé, spesso in casi in cui il contatto avviene dopo aver percorso una certa distanza (Gen 12,18; 20,8; Es 9,27). Quando si tratta di un pasto, allora il termine acquista il significato di invitare (1Sam 16,3). Nel contesto giuridico, la parola significa convocare qualcuno davanti al tribunale (1Sam 22,11; Is 44,7; 59,4) e, nel contesto militare, chiamare alle armi (Gdc 8,1; Ger 4).

 

2.3.4.Chiamare, con YHWH come soggetto (2Re 3,10.13; Is 3,3; 41,9; Os 11,1). In tale situazione è utilizzata l’espressione “chiamare per nome”, che dimostra come YHWH, colui che chiama, entri in un intenso rapporto con colui che è stato chiamato (Es 31,2; Is 43,1). Questa chiamata include un servizio che si assume nei confronti di Dio.

 

2.3.5.Dare un nome a qualcuno, usato assieme a šem; si tratta del termine tecnico che indica l’imposizione del nome (Gen 1,5; 2,20; Rt 4,17; Is 66,15; Gen 3,20; 4,25 s). L’espressione “il nome di qualcuno viene invocato sopra qualcosa” ha un significato giuridico: in caso di cambiamento di proprietà, il nome del nuovo proprietario viene indicato ufficialmente, quasi a sigillo dell’atto d’acquisto o di conquista (2Sam 12,28; Is 4,1). Quando tale espressione è riferita al nome di YHWH, essa indica il dominio di Dio, ad esempio su Israele (Dt 28,10; Is 63,19), sul Tempio (1Re 8,43; Ger 7,10 s) e sui popoli (Am 9,12).

 

2.3.6.Invocare, con YHWH come complemento oggetto dell’invocazione (89 volte nell’Antico Testamento, di cui 47 nei salmi; cf. Sal 17,6; 18,47 ecc.), spesso anche nell’espressione “invocare il nome del Signore” (Gen 4,26; 12,8; 1Re 18,24; Is 64,6), il cui significato varia con il contesto: lodare, ringraziare, protestare, gridare, chiedere aiuto, pregare sono le sfumature semantiche più ricorrenti del verbo “invocare”.

 

2.4. NEL NUOVO TESTAMENTO

Nel Nuovo Testamento s’incontrano varianti semantiche simili a quelle dell’Antico Testamento. Il verbo greco kaléin (chiamare) assume, di volta in volta, vari significati secondo il contesto in cui tale verbo è utilizzato dall’autore sacro.

 

2.4.1.Chiamare qualcuno, nel senso di chiamare “a sé”, o invitare (Mt 2,7; Mc 3,31; Lc 14,7-11; 1Cor 10,27). Nei Vangeli è Gesù che chiama “a sé” i suoi discepoli (Mt 10,1; 15,32;18,32; 20,25; Mc 15,44; Lc 7,18)

 

2.4.2.Conferire un nome (Lc 6,15; At 10,1; 15,37). La posizione ed il ruolo, che una persona assume ai fini della storia della salvezza, dipendono dal nome con cui essa viene designata (Lc 1,13 ss; Mt 1,21; Lc 1,32.35; Mt 22,41.46; 5,9; Eb 2,11; 1Gv 3,1).

 

2.4.3.Designare, è il significato che emerge nei passi in cui Gesù è colui che chiama, mentre i discepoli sono i destinatari della chiamata (Mt 10,5 ss; Mc 1,16-20; 6,7-13; Lc 9,1-6; 10,1-17). La chiamata di Gesù è caratterizzata dal suo potere, che coinvolge i destinatari, dal rigorismo che richiede una dedizione incondizionata e dal fatto di rivolgersi a singole persone, che sono assunte al suo servizio. Per quanto riguarda il senso e lo scopo della chiamata, occorre tenere presente che chiamata e missione, sequela ed invio sono costantemente collegati tra loro.

 

2.4.5.Nominare (epikaléin) è il significato sotteso all’assegnazione di un nome proprio (Mt 10,25) o di un soprannome (Mt 10,3; At 4,36; 12,25). In altri passi, compare il significato giuridico di “appellatio” (At 25,11.12.21.25), o dell’invocare Dio come testimone (2Cor 1,23). Infine, il termine è utilizzato spesso per l’invocazione di Dio e del suo nome nella confessione, che avviene nella comunità (At 7,59; Rm 10,12 ss). L’applicazione di quest’invocazione a Gesù (At 22,16; 1Cor 1,2) indica che Egli è il Figlio di Dio, il Messia.

 

2.4.6.Chiamare nel senso della “chiamata sovrana di Dio”, significato ricorrente in Paolo. In quest’autore, “chiamata” e “vocazione” sono concetti fondamentali per descrivere in che cosa consistano l’esistenza e la salvezza del cristiano. Paolo stesso fu chiamato dalla grazia di Dio e, contemporaneamente, gli fu affidato l’incarico di annunciare il vangelo (Gal 1,15 s; Rm 1,1). Non è, però, solo l’apostolo ad essere chiamato, ma tutti coloro che credono in Cristo (Rm 1,6 s; 9,24; 1Cor 1,2.24). La chiamata di Dio è parola creatrice (Rm 4,17) ed è l’unica fonte dell’esistenza della comunità, costituita dai “santi chiamati”; essi formano un unico corpo, chiamato alla pace di Cristo che regna su di loro (Col 3,15; Ef 4,4). Paolo (Rm

8,28-30) sottolinea il fatto che la chiamata degli eletti è il fondamento del decreto divino di salvezza: vivere nella chiamata di Dio, significa essere giusti e partecipare alla gloria di Cristo (1Cor 1,9; 1Ts 2,12; 5,24). La chiamata al regno di Dio (1Ts 2,12) racchiude in sé, per i credenti, una nuova vita nella libertà (Gal 5,13) e nella santificazione (Ef 4,1; 1Ts 4,7; 2Ts 1,11); per tale prova, viene promesso “il premio della vocazione” (Fil 3,14; Ef 1,18; 1Tm 6,12). Il credente può lasciare gli ordinamenti di questo mondo così come sono, poiché la condizione in cui egli si trovava al momento della vocazione non ha più gran valore (1Cor 7,20-22). Similmente, Pietro dichiara che coloro che sono stati chiamati da Dio in Cristo (1Pt 1,15; 5,10) e che sono stati salvati dalle tenebre, devono annunciare le opere di Dio (1Pt 2,9), seguendo Cristo nella sofferenza alla quale sono anch’essi chiamati (1Pt 2,21), per

ereditare infine la benedizione (1Pt 3,9; cf. anche Eb 3,1; 9,15; Ap 17,14; 19,9). Allo spettro semantico del verbo greco kaléin appartengono i termini importanti di eklégomai (“eleggere”) e di ekklesìa (comunità).

 

3.Spunti di riflessione

Il rapporto tra Dio e l’uomo, per quanto concerne la vocazione/chiamata, è asimmetrico, perché c’è un’infinita sproporzione tra l’infinito amore di Dio per la sua creatura e la pur libera iniziativa dell’essere umano, che si rivolge al suo Creatore per invocarlo o per rispondere alla sua chiamata. Solitamente l’uomo si rivolge al suo Signore e Dio per ottenerne l’aiuto, l’attenzione, il sostegno nella prova, la compassione, il perdono e la benevolenza ma Dio dona sempre la sua grazia ai suoi

figli e con sapiente provvidenza li guida alla salvezza, anche se vuole essere al centro del pensiero dell’uomo e vuole essere “pregato e supplicato”.

L’uomo non è mai dispensato dalla supplica, rivolta al suo Creatore e Signore, proprio perché è “creatura”. Quando Dio “chiama” l’uomo, non si comporta mai allo stesso modo, ma la sua chiamata è sempre originale, unica, personale e personalizzata.

– Dio chiamò Abramo facendo sentire la propria voce nell’intimo della coscienza del patriarca, mentre questi era in tutt’altre faccende nella chiassosa città di Ur, un crocevia commerciale molto attivo della bassa Mesopotamia (l’attuale Iraq); la “Voce” era perentoria e non ammetteva repliche né ripensamenti: “Vattene dal tuo paese e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io t’indicherò” (Gen12,1). Abramo restò affascinato dalla Voce che gli rimbombava nel cuore e nella mente ed abbandonò la sicurezza della sua posizione economica e sociale, affrontando i rischi di una promessa di proporzioni così smisurate da sembrare irreale: “Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione… in te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,2-3). Abramo non se lo fece ripetere due volte. 

– Chiamò Mosè, mentre stava pascolando il gregge di suo suocero Ietro. Dio gli “parlò” da un roveto ardente, prospettandogli una grandiosa impresa: liberare niente meno che un popolo intero dalla schiavitù in Egitto, uno dei regni più potenti del tempo e non c’è da meravigliarsi che Mosè si fosse spaventato a morte davanti a quella missione “impossibile”: ma, come aveva già fatto il suo antenato Abramo, egli obbedì, diventando il legislatore d’Israele (Es 3,1-21).

Il piccolo Samuele avvertì di notte una “Voce” che lo invitava a mettersi a disposizione del Signore Dio d’Israele per cambiare radicalmente la situazione religiosa e politica del suo popolo (1Sam 3,1- 21) ed egli divenne uno dei più grandi profeti e uomini del Signore dell’intera storia del popolo eletto.

– Elia ricevette dal Signore l’invito di ritornare sui suoi passi (1Re 19,3-18) mentre era in fuga dal re Acab e dalla perfida regina Gezabele, che lo volevano morto, perché il suo compito era quello di essere il paladino di Dio contro le ingiustizie perpetrate dalla casa regnante del Regno del Nord, Samaria. Il profeta s’aspettava un incontro maestoso e terrificante col Signore (il vento impetuoso, il terremoto, il fuoco), ma la “Voce” del Signore si fece sentire nel mormorio di un vento leggero (1Re 19,12), un impalpabile soffio appena percettibile più dagli orecchi del cuore che da quelli che ornano la testa. Il Signore Dio sa fare un gran rumore anche nel silenzio più assoluto, se l’uomo accetta di ascoltarlo, come insegna la storia di tanti santi del nostro tempo e di quello passato.

-Saulo di Tarso, invece, mentre si recava in quel di Damasco per perseguitare ed imprigionare, torturare e, forse, uccidere gli odiati cristiani, fu travolto da una luce impetuosa e sbalzato di brutto da cavallo, mentre una “Voce” potente rimproverava il focoso fariseo, religiosissimo ed integerrimo osservante della Legge ebraica: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9,1-4). La vocazione di altri grandi uomini è stata meno drammatica e clamorosa di quella di Paolo di Tarso.

-S. Antonio abate, fondatore del monachesimo occidentale, fu colpito da una pagina del Vangelo mentre stava casualmente partecipando ad una celebrazione eucaristica. Il celebrante stava proclamando l’invito rivolto da Gesù ai suoi discepoli di vendere tutti i loro averi, darli ai poveri e seguirlo alla conquista di beni superiori. Detto, fatto.

-S. Ambrogio era il rappresentante legale dell’imperatore nell’Italia settentrionale ed era solo un catecumeno quando, intervenuto nella cattedrale del capoluogo per prevenire possibili disordini tra cattolici ed ariani, la voce di un bambino lo proclamò vescovo di Milano, cambiandogli la vita in modo radicale dall’oggi al domani.

– Per attirare a sé s. Agostino, uomo dall’intelligenza inquieta ed attratto più dai vizi che da una vita virtuosa, Dio si servì delle lacrime e delle silenziose preghiere di s. Monica, la madre del futuro vescovo e grande Padre della Chiesa.

-S. Francesco d’Assisi cominciò il suo cammino di conversione nelle buie ed umide prigioni di Perugia, dopo una sfortunata spedizione militare. Il crollo del suo sogno di diventare un cavaliere ammirato e ricco di gloria segnò l’inizio di una vita spesa nel totale dono di sé al Signore della storia e del mondo al punto che, chi lo incontrava, aveva l’inquietante impressione di essersi imbattuto in Cristo stesso.

-S. Ignazio di Loyola, un combattente nato, mentre era convalescente per i postumi di una ferita da guerra, sentì montare dentro di sé il desiderio di mettersi al servizio del grande Re del cielo leggendo un libro di biografie dei santi, capitatogli in mano per puro caso (o per provvidenza divina?), avendo ormai esaurito la scorta dei libri d’avventura di cui era avido lettore.

San Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, avvertì questa chiamata ascoltando un giorno una predica del suo parroco e decise di rinunciare ad ogni uso personale dei beni, ispirando la sua vita a Gesù Crocifisso.

– Santa Caterina Volpicelli   sentì questa speciale vocazione a consacrarsi totalmente al Signore e a percorrere più alacremente la via della santità, guidata da sapienti e santi Direttori spirituali.

Si potrebbe continuare all’infinito, su questa falsariga, per raccontare la storia della vocazione alla santità di tanti uomini e donne che, nel corso della storia antica o recente, hanno saputo ascoltare la “voce” talvolta carezzevole, talvolta imperiosa ma sempre amorevole di Dio, che chiama i suoi figli al proprio servizio, allo scopo di far giungere a tutti gli uomini il suo annuncio di salvezza. Dio chiama sempre, non smette mai di parlare al cuore ed alla mente degli uomini, ma non sempre trova menti e cuori disposti ad ascoltarlo ed a donargli il proprio unico ed irrepetibile “sì”.

Preghiera alla Madonna di Medjugorje

1380238_10202205563326364_278906684_n.jpgPreghiera alla Madonna di Medjugorje
Testo di padre Antonio Rungi, passionista.

Regina della pace che vegli sul mondo intero
da questo luogo sperduto e solitario
dell’ex-Jugoslavia, terra di atei e senza fede in Dio,
che tanto hanno fatto soffrire il tuo cuore già ferito,
per le tante guerre che gli uomini di ogni tempo
si sono combattute in ogni angolo della terra,
guarda oggi questa umanità senza più fede ed ideali.
 

Dal cielo, ove siedi Regina alla destra del tuo Figlio,
proteggi quanti credono nella parola del Vangelo,
che è alimento di ogni anima che cerca la verità.
Sostieni quanti in ogni parte del mondo
lottano per la pace, la giustizia e la fratellanza universale.
Porta gioia e pace nelle famiglie afflitte dal più terribile male
del nostro tempo, che è l’egoismo distruttivo di ogni
vera relazione affettiva.
 
Dona pace e serenità a quanti vivono l’esperienza del dolore,
della malattia e dell’abbandono
e non trovano conforto in nessun uomo e donna di questo mondo.
 
Fa che ovunque nel mondo trionfi il santo nome del tuo Figlio Gesù,
che ha dato la vita per tutti gli uomini
ed ha versato sulla croce  il suo sangue prezioso,
per riconciliare tutte le creature con il loro Creatore.
 
Madre e Regina della pace,
ti affidiamo il Santo Padre,
i vescovi e soprattutto i sacerdoti,
quelli che hanno un posto speciale nel tuo cuore di Madre.
Sono tuoi figli prediletti e fa che questa speciale predilezione
che porti ad ognuno di loro
sia corrisposta con una vita santa, povera, casta,
nella piena e santa obbedienza alla Chiesa.
 
Proteggi i bambini, i giovani, gli adulti,
gli anziani, gli ammalati
e quanti hanno una speciale devozione
verso il tuo santuario di Medjugorje,
dove tu parli al cuore di ogni uomo
con il solo linguaggio della preghiera, dell’amore e del perdono.
 
Non permettere che nessuno dei tuoi figli
possa sperimentare il totale disastro spirituale ed interiore
e che, con la tua grazia e la tua potente intercessione presso il Signore,
ogni uomo di questo mondo
possa vedere il tuo volto glorioso e luminoso
nella gloria e nella felicità eterna del Santo Paradiso.
Amen.
 
Padre Antonio Rungi cp

Lenola (Lt). Festa della Madonna del Colle

DSC08814.JPGAnche quest’anno 2013 si svolgeranno regolarmente i solenni festeggiamenti in onore della Madonna del Colle. Ad intensificare il periodo di preparazione alla festa del 15-16 settembre 2013 sarà il triduo di predicazione che si svolgerà dall’11 al 13 settembre e sarà predicato da padre Antonio Rungi, missionario passionista del Santuario della Civita. Alle ore 17,30 il sacerdote sarà a disposizione per l’ascolto delle confessione e poi presiederà l’eucaristia delle ore 18,30, durante la quale terrà la riflessione sull’anno della fede ed in particolare sull’Enciclica di Papa Francesco “Lumen fidei”, con particolare attenzione a Maria Modello di fede per ogni cristiano. Di particolare importanza ai fini del programma religioso è la solenne concelebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo di Gaeta, monsignor Fabio Bernardo D’Onorio, in programma domenica 15 settembre, alle ore 11.00 memoria del ritrovamento della sacra effige della Vergine del Colle e festa della Madonna Addolorata. A seguire la processione, alla quale partecipano migliaia di fedeli e devoti della Madonna non solo di Lenola, ma anche dei Paesi vicini, quali Fondi, Monte San Biagio, Itri, Sperlonga, Terracina, Gaeta, Campodimele. Grande ed estesa è la devozione alla Madonna del Colle il cui santuario è noto non solo nell’arcidiocesi di Gaeta, ma anche oltre i suoi confini geografici.

 

 

La storia della devozione

 

Il Santuario della Madonna del Colle nella terra di Lenola affonda la sua radice storica ai primi secoli dell’era cristiana, nella metà del terzo secolo.

 

 Lo storico belga De Schepper, narra che gli Apostoli Pietro e Paolo in viaggio verso Roma percorrendo la Via Appia, la “Regina Viarum”, che attraversa la fertile pianura di Fondi, città dalle mura megalitiche, annunziarono ai pagani la Buona Novella del Vangelo costituendo cosi i primi nuclei di cristiani”.

 

Attraverso i secoli successivi, si svilupparono nella zona fondana e dintorni molteplici comunità di cristiani tanto che nel 250 d.C., quando l’Imperatore Decio ordinò la persecuzione contro di essi, che riteneva responsabili dei mali che attanagliavano l’Impero, nel territorio fondano ne furono uccisi parecchie migliaia.

Fu a seguito di quella spietata caccia all’uomo che alcuni di essi si rifugiarono sui monti vicini, non per viltà, ma con lo scopo di poter conservare e diffondere il seme del Vangelo. Uno gruppo di perseguitati trovò riparo sul Colle di Lenola, un tempo roccioso e selvaggio, trovando rifugio in una caverna celata tra piante e rovi, dove eressero un edicola con l’immagine della Madonna col Bambino.

 Là pregavano e celebravano i divini misteri della Fede. Alcuni soldati romani, fedeli all’ordine imperiale di far minuziosa ricerca in ogni luogo, scoprirono la piccola caverna dove trovarono i martiri Onorio e Livio insieme ad altri che pregavano; li uccisero tutti lasciandoli insepolti. La notizia dell’eccidio avvenuto sul Colle di Lenola si propagò tra i cristiani rimasti nell’agro fondano, i quali informarono il monaco egiziano San Paterno, che si trovava di passaggio per Roma per venerare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo. Avutane notizia, egli insieme ad altri cristiani si recò sul Colle, per dare una degna sepoltura ai corpi dei martiri. Terminata l’opera pietosa pose sul sepolcro una rozza pietra, con una scritta incisa in lingua sconosciuta ai pagani: “Qui giace Onorio, Livio ed altri, morti per la Fede nella metà del terzo secolo” Presso il sepolcro piantarono un albero di cipresso, segno di resurrezione. Calate le tenebre, si misero a pregare salmodiando e, presi dalla stanchezza, si addormentarono profondamente. In piena notte furono scossi da un rumore, semisvegli e sgomenti videro la caverna inondata di una forte luce, ma una voce angelica li rincuorò: “Non temete, sperate in Dio, Io sono tra voi per vostro conforto, qui è la mia Immagine”.

 

 Svegliati dal sonno videro l’Immagine della Vergine col Bambino, circondata da Angeli che agitavano palme e corone del martirio. Non credendo ai propri occhi si domandarono l’un l’altro se ognuno avesse visto e ascoltato le stesse parole. L’indomani, confortati da quella visione, pieni di gioia ridiscesero nell’agro fondano dove avrebbero voluto propagare subito ad altri fratelli la gioiosa notizia; ma dovettero desistere perché era ancora in pieno vigore l’Editto dell’imperatore Decio. A vigilare le tombe gloriose dei martiri restò la Vergine Madre, in attesa di un’alba radiosa segnata da Dio.

 

La festa

 

Nell’anno 1628, quando ormai i lavori all’interno del Santuario potevano definirsi ultimati, il Vescovo di Fondi stabilì che la festa in onore della Madonna del Colle (o fiera come venne allora appellata) dovesse essere celebrata con solennità nei giorni 14, 15 e 16 di settembre. Nell’occasione dell’inaugurazione della facciata del Santuario la Chiesa fu adornata con festoni di alloro e rami di cipresso fissati al cornicione. Due di essi, dopo i festeggiamenti, attecchirono sulla nuda roccia del cornicione e non ci fu modo di asportarli.

 

Da quasi 4 secoli uno di quei cipressi miracolosi fa ancora ornamento sulla facciata principale del Santuario Viva e profonda è la tradizione ed il culto del popolo lenolese alla Madonna del Colle e quel triduo di celebrazioni che allora venne stabilito viene ancora oggi, con profonda fede, solennemente celebrato. Al Comitato è affidata la preparazione annuale dei festeggiamenti e di altri eventi secondo il regolamento diocesano per lo svolgimento delle feste religiose. Personalità del mondo della cultura e della politica hanno presenziato nella storia antica e più recente alle celebrazioni in onore della Madonna del Colle. Per citarne solo alcuni: il Presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il Presidente Giulio Andreotti e nell’anno 2005 i discendenti di casa Savoia, Emanuele Filiberto, Clotilde Courau e la principessa Mafalda d’Assia a ricordo della visita che la Regina Margherita di Savoia fece al Santuario del Colle nel lontano 1902.

 

Numerosi sono i patrocini concessi dalle più importanti istituzioni tra cui va certamente annoverato quello concesso negli anni 2004 e 2005 dal Ministero degli Italiani nel mondo. Il Rettorato in collaborazione con il Comitato promuove ogni anno un cartello con le celebrazioni liturgiche e un cartello con i festeggiamenti civili che insieme compongono la grande e centenaria festa della Madonna del Colle, vanto del popolo lenolese e di tutti gli emigrati che in tanti, da ogni parte del mondo, nel mese di settembre ritornano nella terra natìa per onorare la Vergine del Colle.

Messaggio della Madonna

 

All’alba del giorno 16 settembre 1602, il Colle scelto da Maria si anima di popolo, accorso anche dai paesi vicini dove era giunta la lieta notizia.

 

Gabriele e gli amici sono presenti. Si abbatte l’annoso cipresso che per secoli, con la sua ricca e verde chioma aveva in qualche modo protetto, dall’intemperie, l’Immagine della Vergine. Gabriele ha un ispirazione: dai rami di quel cipresso stacca le bacche e le conserva, mentre altri provvedono a sbancare pietre e terra, per la costruzione della capanna. Ognuno si sente impegnato. Costruita la capanna, accendono una lampada e tutti discendono; è già notte! II rinato Gabriele rientra in casa, non dorme, ripensa alla richiesta fattagli dalla Madonna: “Voglio che tu mi costruisca un tempio” Come fare? Dove trovare i mezzi necessari se la popolazione di LENOLA è appena di 1200 abitanti. Gabriele non si scoraggia; illuminato dalla grazia dello Spirito Santo ha un’idea geniale: farsi pellegrino di Maria, percorrere le vie del mondo, narrare la sua conversione e il desiderio chiestogli dalla Madonna. Prima di intraprendere il rischioso pellegrinaggio stabilisce di parlarne al Vescovo Comparini che non solo lo ascolta, ma lo incoraggia e lo benedice. Pieno di entusiasmo, Gabriele fissa per la primavera del 1603 la data del suo pellegrinaggio. Gabriele vestì il saio, si riempi le tasche di bacche di cipresso, si gettò sulle spalle una bisaccia e partì non senza prima aver raccomandato a quei buoni paesani di spianare intanto la sommità del colle. Prima di partire però fece ritrarre dal disegnatore Andrea Coti di Catania l’immagine della Madonna che portò con sè come un emblema. Percorse tutta la provincia, poi eccolo a Napoli dove con un infuso di bacche di cipresso guarì un giovane della nobile famiglia Stigliano.

 

 Bussava ad ogni porta e si presentava con “Deo Gratias” da cui derivò poi il nome di “Fra’ Deo Gratis”, col quale è passato alla storia. Percorre tutta l’Italia valica le Alpi, si reca in Francia. in Spagna, nel Portogallo. Il suo pellegrinaggio dura tre anni. Carico di ricchezze ritorna in Itatia. A Roma doveva verificarsi l’ultimo intervento miracoloso del suo pellegrinaggio. Presso la Chiesa di Sant’Ignazio dei Gesuiti abitava la nobile famiglia Taglietti. Un loro figlio era cieco. Gabriele lo guarisce col semplice lavaggio degli occhi con l’infuso di bacche di cipresso. Gabriele ritorna a Lenola dove già hanno avuto inizio i lavori di spianamento per il Santuario, carico di ricchezze. Ed ha la gradita sorpresa di trovarvi una cospicua offerta della famiglia Stigliano di Napoli ed una ancor più cospicua della famiglia Taglietti di Roma portatavi personalmente dal padre gesuita Pietro Venzi.

 

 Ormai l’erezione del tempio è assicurata.

 

 La prima pietra viene posta il 7 maggio del 1607 e il 10 settembre del 1610 il Santuario che si chiamò subito della “Madonna del Colle” si apriva alla venerazione dei fedeli. Nel 1618 fu ingrandito e nel 1620 fu costruito ed annesso il Seminario Diocesano. La proclamazione a Santuario avvenne nel 1626 con bolla di Urbano VIII. II 3 dicembre 1656 Fra Deo Gratias, che aveva dedicato la sua vita al Santuario e dove umilmente viveva facendo il campanaro, cadeva pugnalato da tre sciagurati, lì, sulla soglia del suo Santuario. Lo si seppe pochi giorni dopo, l’8 dicembre durante la processione in onore dell’Immacolata Concezione. Ad una finestra, una donna espose la camicia insanguinata di Gabriele che gli era stata tolta prima della sua sepoltura. Un grido angosciato: gli assassini erano lì tra la folla e a quella vista confessarono il loro assurdo, inesplicabile delitto per il quale furono processati e giustiziati Si sanno i loro nomi. Ma che vale ripeterli? Tre insensati, puniti dagli uomini per un delitto quasi sacrilego. Forse era segnato che lì, dove tanti cristiani avevano subito il martirio, anche Frà Deo Gratias fosse egli stesso martirizzato, aveva 77 anni. Ora riposa in quel Santuario, che egli innalzò in espiazione dei suoi errori, in onere e gloria della Madre di Gesù.

 

La facciata e il Miracolo dei Cipressi

 

Un rilievo particolare merita la bellissima facciata del Santuario. Opera dell’artista milanese Raffaello Franco, fu inaugurata nel 1628. Tutta a mattoni, è intersecata da ampie cornici di pietra locale e sull’ampio cornicione si levano, con maestosa e fine eleganza, fiamme intagliate a simboleggiare l’ardente fede di coloro che concorsero all’edificazione del Santuario. Sul portale d’ingresso si possono ammirare tre stemmi in pietra: al centro quello di Gabriele Mattei, con la scritta “Charitas semper Deo Gratia”; a sinistra quello di Mons. Gandulfo Vescovo di Fondi, che fece edificare l’altare della Madonna e la facciata, a destra quello di Lenola, col fiore denominato Enula Campana. Oltre all’ammirazione artistica, l’occhio è chiamato a ben altra attrattiva, che stupisce e lascia perplessi: sono i due rami robusti di cipresso inchiodati sul cornicione maggiore nel 1628: insieme a festoni di mirto dovevano avere il compito solo di abbellimento per l’inaugurazione della bella facciata. Dopo molti giorni nel disfare l’addobbo, si trovarono attecchiti. Sono senza radici e tuttavia da allora resistono alle intemperie e alla siccità. La costante tradizione di fede a riconosciuto in questo segno dei cipressi il prodigio promesso dalla Madonna a Gabriele Mattei. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per la protezione delle piante, in una relazione dell’11-06- 2002 circa lo stato dei cipressi secolari dichiarava: “la pianta posta a sinistra di chi guarda la facciata è ormai completamente disseccata (…) il reperimento sul fusto di piccolissime gocce di resina ancora fresca stanno a indicare che la morte della pianta è avvenuta in tempi recentissimi. (…) Non avendo trovato sulla pianta nessun segno di malattia (…) pensiamo che il disseccamento e la morte di questa pianta sia dovuto a causa naturale (vecchiaia). Per quanto riguarda la pianta situata sulla parte destra del cornicione, questa è ancora viva, sebbene interessata da numerosi disseccamenti della chioma e di una grossa branca. (…) Riteniamo già evento miracoloso il fatto che i due cipressi abbiano potuto vivere per tanto tempo in una condizione trofica cosi difficile.”.

 

Gabriele Mattei

 

Quell’alba radiosa spuntò, dopo tredici secoli, la notte del 15 settembre 1602.

 

 La causa strumentale scelta da “Colui che tutto muove” è un giovane di 23 anni: Gabriele Mattei, nato a Lenola nel 1579. Orfano di genitori, vive con 1’unica sorella; è un giovane bello, aitante, di carattere orgoglioso e licenzioso. Il pomeriggio del 14 settembre 1602, insieme con altri due suoi amici, si reca sul Colle di Santa Croce, dove un tempo venivano crocifissi i condannati a morte (da qui il nome di Santa Croce). Su quel Colle, quando Lenola era Colonia romana della tribù Emilia, nel 319 a.C. avevano innalzato un tempio pagano, che dopo l’avvento del cristianesimo, nel 313 d.C., venne dedicato alla Santissima Croce. E’ in quella Chiesa, rimaneggiata nella sua costruzione, dotata di un ricco patrimonio, come dimostrano i registri del 1400, esistenti nell’archivio del Santuario del Colle, che il giorno 14 settembre, festa liturgica della Santissima Croce, si stavano celebrando i Vespri solenni. Gabriele e i suoi due amici, sul sagrato della Chiesa, si misero a disturbare la funzione; un anziano cristiano uscì e li redarguì fortemente. Il terzetto teppistico si allontanò imprecando e inveendo contro colui che aveva osato riprenderli. Il fatto non fini lì, perché i tre maldestri decisero di ammazzarlo nella nottata.

 

 Compiere l’omicidio tocco a Gabriele.

 

 Lasciati gli amici, Gabriele rientra in casa, è nervoso, litiga con la sorella, non cena, va a dormire, ma non prende sonno, è agitato. A notte inoltrata si alza, prende il suo amato calascione (chitarra) di cui era valente suonatore, esce di casa e si avvia per un piccolo sentiero alle porte del paese, illuminato dalla luna. Si siede su di una pietra e incomincia a toccare le corde della chitarra, con la speranza che il suono armonioso dello strumento gli avrebbe arrecato pace e serenità interiore. Ma tocca e ritocca, le corde non emettono nessuna modulazione armonica. Prova ad accordarlo e non vi riesce, il suono che emette lo strumento è stridulo e disarmonico, come disarmonico era il suo spirito. Innervosito e disperato bestemmia, getta via la chitarra e invoca il genio del male, il Diavolo.

 

 A raccontarlo prima agli amici, e poi al Vescovo Giambattista Comparini è lo stesso Gabriele: “Alla mia invocazione  è apparsa davanti a me una mostruosa figura infernale; spaventato ho fatto il segno della croce e ho invocato l’aiuto della Madonna, stavo per fuggire, quando da una luce splendente, una voce celestiale mi disse: “Fermati, non temere, tu mi hai chiamata! Convertiti, sali questo Colle, troverai la mia Immagine; voglio che tu mi costruisca un tempio, e il giorno della Consacrazione farò risplendere un prodigio che nei secoli testimonierà la mia presenza nel tuo paese”. Il ghignoso Gabriele, divenuto mite agnello, non rientra in casa; defilato va alla Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Evangelista che trova chiusa, siede sull’uscio, ne aspetta l’apertura e va a pregare davanti all’immagine della Madonna. La sua presenza in Chiesa, a quell’ora mattutina, suscita meraviglia tra i fedeli. Terminata la preghiera si andò dal parroco a chiedere la sua rinascita spirituale mediante la confessione. Rinato dalla grazia dello Spirito Santo, uomo nuovo, va all’appuntamento, stabilito la sera precedente, con gli amici. L’impatto con questi è diverso da quello degli altri giorni, perché Gabriele non è più baldanzoso; è calmo, mite, sereno e dolce; a vederlo, cosi tanto mutato, gli amici restano sconcertati, e alla loro domanda “L’hai ammazzato?” Gabriele con voce dolce e fioca racconta loro quanto era avvenuto nella notte. Essi non credono al suo racconto tacciandolo di essere visionario, vile e menzognero. Gabriele, che doveva avere ascendenza su di loro li invita ad andare con lui a ritrovare l’Immagine della Madonna: se ciò non si fosse avverato, essi potevano anche ucciderlo.

 

 Si convinsero e ciascuno andò a casa a munirsi degli attrezzi necessari per il lavoro da farsi. Tutti e tre si avviarono verso l’impervio luogo, facendosi largo tra rovi e cespugli. Il lavoro di disboscamento durò alcune ore senza dare risultati; stanchi e delusi si fermarono. Incoraggiati da Gabriele, fiducioso delle parole della Madonna, ripresero a lavorare quando ai loro occhi apparve la sagoma di un vecchio rudere ricoperto di rovi e di edera, sotto la verde chioma di un annoso cipresso. Si avvicinarono, lo ripulirono dai rovi, dal muschio e dall’edera, e ai loro occhi apparve l’immagine della Vergine col Bambino, dipinta sul muro, che grondava sangue dal labbro inferiore. Alla vista di quel prodigio si inginocchiano, pregano e piangono di gioiosa commozione. Contemporaneamente al prodigio avvenuto sul Colle, un altro ne avviene tra le mura del paese, quando un gruppo di bambini girando per le strade annunciavano a tutti: “Sul Colle è stata trovata l’Immagine di Maria! Andiamo sul Colle”. All’annuncio dell’evento fatto dai bambini, credettero molte persone di ogni ceto, che accorsero sul Colle: videro il prodigio della Vergine col Bambino, che dal labbro inferiore grondava sangue. Dopo aver pregato e parlato con Gabriele e i due amici, di corsa ridiscesero nel paese a raccontare ciò che avevano visto con i propri occhi.

 

 La notizia, sparsasi tra il popolo, giunse all’orecchio del Vescovo di Fondi, Mons. Giovanni Battista Comparini che si trovava a Lenola per consacrare la nuova Chiesa parrocchiale. Convocò le autorità religiose e civili, chiese loro di recarsi sul Colle per constatare personalmente cosa fosse realmente accaduto. Questi parlarono con i tre protagonisti del ritrovamento e informarono il Vescovo sulla veridicità dell’evento. Successivamente Mons. Comparini dopo aver ascoltato i tre giovani dapprima singolarmente, poi insieme, sotto giuramento, li invitò a narrare l’accaduto e fece loro firmare un documento Il 15 settembre 1602, il Presule accompagnato dal Clero, dalle autorità Civili e dal popolo, si recò processionalmente sul Colle fortunato. Il Vescovo si avvicinò all’Immagine, vide il labbro inferiore ancora bagnato di sangue e, dopo averla venerata, ne fa la Ricognizione prescritta dal Concilio Tridentino. Estratto un fazzoletto asciugò il labbro della Madonna tumido di sangue. Il fazzoletto macchiato di sangue lo mostrò al popolo che gridò: “Evviva Maria”, e intonò le litanie lauretane. Sotto la mano destra appose il sigillo di riconoscimento canonico dell’avvenuta ricognizione, che si ammira ancora oggi. Quindi esorta le autorità religiose, civili e il popolo a costruire al più presto una capanna di legno che protegga l’Effigie, in attesa di costruire il Tempio richiesto dalla Madonna a Gabriele che sarà chiamato “Santuario della Madonna del Colle”.

 

Le preghiere

La pietà popolare è una realtà viva della Chiesa e nella Chiesa. La sua fonte è nella presenza costante ed attiva dello Spirito di Dio nella comunità ecclesiale. Il suo punto di riferimento è il mistero di Cristo Salvatore. I suoi scopi sono la gloria di Dio e la salvezza degli uomini, mentre l’occasione storica è data dall’incontro felice tra l’opera di evangelizzazione e la cultura. Perciò il Magistero della Chiesa ha espresso più volte la sua stima per la pietà popolare e le sue manifestazioni, stima motivata, anzitutto, dai valori che essa incarna. La pietà popolare ha un senso quasi innato del sacro e del trascendente. Manifesta una genuina sete di Dio e un senso acuto dei suoi attributi: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante, la misericordia. La pietà popolare è importante per la vita di fede del popolo di Dio, per la conservazione della fede stessa e per l’assunzione di nuove iniziative di evangelizzazione. Espressione tipica della pietà popolare sono i pii esercizi, molto diversi tra loro per origine storica e contenuto, per linguaggio e stile, per uso e destinatari. Il Concilio Vaticano II li ha vivamente raccomandati, indicando le condizioni che ne garantiscono la legittimità e la validità. Alla luce della natura e delle caratteristiche proprie del culto cristiano, è evidente, anzitutto, che i pii esercizi devono essere conformi alla sana dottrina e alle leggi e alle norme della Chiesa. Devono, inoltre, essere in armonia con la sacra Liturgia e tener conto, per quanto possibile, dei tempi dell’anno liturgico, favorendo una partecipazione cosciente e attiva alla preghiera comune della Chiesa. Proponiamo, oltre ad alcuni Pii Esercizi della tradizione ecclesiale, i testi delle preghiere care alla devozione popolare mariana del Santuario.

 

Suppliche alla Vergine SS.ma del Colle

 

Vergine SS. ma

prostrati ai piedi del vostro trono Vi salutiamo Regina del Colle

che prodigiosamente Vi degnaste eleggere a vostra dimora.

Voi difendeteci dai nemici e liberatici dalle tribolazioni.

Ave Maria

 

mostratevi vera Madre di Misericordia.

Ave Maria

Vergine SS.ma

Ave Maria e Vergine SS.ma

 

Vergine SS. ma

da questo trono di grazie girate su

di noi le Vostre graziose pupille;

abbiate pietà dei poveri sofferenti che hanno

bisogno del vostro soccorso e

mostratevi vera Madre di Misericordia.

Ave Maria

Vergine SS.ma

Voi avete salvati i peccatori più perduti!

Le anime nostre sono pure sotto il peso di enormi colpe e

forse non meritano il vostro patrocinio. Voi però che siete la

mediatrice fra l’uomo e Dio,

la Consolatrice degli afflitti, il Conforto degli abbandonati,

potete farci perdonare.

Ave Maria.

 

Preghiera

 

Vergine SS.ma gloriosissima Madre di Dio, la Vostra portentosa Immagine ha portato allegrezza e pace alle nostre famiglie! Come la stella che appare dopo la tempesta, Voi siete il conforto a noi stanchi nocchieri!… Copriteci o Vergine SS. col vostro manto e stendete su di noi la vostra materna protezione. Voi che siete la speranza di chi dispera, la mediatrice fra l’uomo e Dio, il rifugio dei peccatori, intercedete per noi presso il trono dell’Altissimo. (si domanda la grazia che si desidera) O Madre, questa grazia io voglio, per Vostra intercessione, io la spero perché siete la mia speranza, la dolcezza della mia vita. Così spero così sia. Salve Regina Novena

1

O Vergine SS.ma col sorriso col quale confortaste i primi cristiani su questo colle alpestre, e li rendeste forti a sopportare i tormenti del martirio, infondete a noi i vostri devoti, il coraggio di difendere anche con la morte, la nostra santa fede. Ave Maria.

2

O glorioso Regina dei Martiri, pel sangue che irrorò queste zolle, destinate a manifestare nei secoli il vostro nome santissimo, concedete a noi che abbiamo la sorte di calcarle, di poter essere degni dei frutti della redenzione del vostro Divino Figliuolo. Ave Maria.

3

O Vergine sede della sapienza che per lunghi secoli restaste ignorata custode dei corpi die martiri, in attesa che si compisse il disegno della Provvidenza, infondete nel nostro animo la sapienza e la pazienza nell’uniformità ai divini voleri. Ave Maria.

 

4

O rifugio dei peccatori, voi che invocata da un giovane perduto, allorché era per cadere fra gli artigli di satana, lo confortaste e salvaste con la vostra celestiale visione, salvate noi pure dalle insidie del nemico infernale. Ave Maria.

5

O Consolatrice degli afflitti, degli smarriti e degli erranti, voi che invitaste il giovane Gabriele rinato alla grazia, a salire su questo Colle, esortandolo a ricercare la vostra Immagine, suscitate anche in noi le più sante ispirazioni, per intraprendere e seguire il sentiero della virtù e della santità. Ave Maria.

6

O regina degli Angeli, voi che ispiraste a uno stuolo di innocenti fanciulli, di percorrere le vie del paese, annunziando che un grande prodigio si era compiuto su questo Colle, mentre l’avventurato Gabriele stentava con i suoi compagni a rintracciare la vostra Immagine, assistete e illuminate la nostra cara gioventù affinché fortificata nelle verità della fede, si faccia banditrice delle vostre glorie. Ave Maria.

7

O Regina dei confessori, voi che mutaste in mite agnello un indurito peccatore, lo sorreggeste più ancora nella sua risoluzione, quando con nome di Fra Deo Gratia e con l’abito dell’eremita, percorse mezza Europa, per far conoscere a tutti, i vostri prodigi, illuminate quelli che camminano nelle vie delle tenebre e dell’errore, e rendeteli degni figli vostri e di Gesù. Ave Maria.

8

O Madre benigna, i cui prodigi compiti in lontane regioni al solo tocco della vostra Immagine riempirono di gioia tanti infermi, e più di tutti il vostro fedele pellegrino, confortate quei vostri devoti, che nati all’ombra del vostro Santuario e costretti a vivere lontani, o in terra straniera, sono però sempre memori delle vostre glorie e del vostro Colle benedetto. Ave Maria.

9

O Madre della santa letizia, che ricolmaste di grandissima gioia il banditore delle vostre glorie, allorché ritornando dal suo lungo pellegrinaggio, poté rivedere il vostro volto soave, ricalcare il suolo della sua rinascita spirituale, deporre ai vostri piedi i tesori raccolti, apprendere la serie innumerevoli dei vostri prodigi, delle vostre grazie, concedete pure a noi di salire questo Colle col cuore pieno di sante speranze, e di solenni promesse. Ave Maria.

 

Preghiera

 

O Vergine SS.ma, voi qual vaga e misteriosa aurora vi degnaste dissipare le tenebre, che per lunghi secoli gravarono su questo colle prescelto da Dio per manifestare agli uomini, attraverso la vostra materna potenza e la sua mano divina, voi faceste rinascere speranze perdute, accendeste nei cuori dominati dall’odio, un amore ardente, infinito. Per la possanza che a voi viene dal vostro divino Figliuolo, i ciechi videro, i sordi udirono, i morbi sparirono! Risuonò tante volte questo Colle dei canti di folle lontane e vicine, accorse per sciogliere voti, per impetrare favori! Noi lo abbiamo appreso, tante volte lo sperimentammo, giornalmente ammiriamo segni straordinari che chiaramente manifestano la vostra materna assistenza. Vi ringraziamo perciò con le lingue delle migliaia di devoti che da secoli si prostrano innanzi a questo vostro trono, vi salutiamo con i canti innocenti delle schiere di fanciulli che misteriosamente invitarono tutti a vedere voi qui apparsa per nostra letizia. Aprite, vi supplichiamo, il tesoro delle grazie a quanti a voi fanno ricorso, esaudite le nostre preghiere, affinché in tempi di morta fede questo sacro Colle splenda irradiato dai vostri favori, quale faro che accende speranza e guida al porto sicuro della salvezza. Così sia. Salve Regina.

 

 

Atto di offerta dei bambini alla Madonna

 

O Vergine Santissima del Colle, Madre di Dio e Madre della Chiesa pellegrina di fede: tu che hai generato nella carne, in maniera misteriosa, il Figlio di Dio, Gesù Cristo, nostro Redentore, e lo hai presentato al Tempio per offrirlo e consacrarlo a Dio. Oggi, festa della tua Natività, anche noi mamme che abbiamo generato nella carne questi figli, imitando il tuo gesto profetico di Vergine offerente, siamo venute in questo Santuario per presentarli e consacrarli a Te, per affidarli alla tua divina maternità perché crescano in età sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini. Tu che hai generato nello stupore di tutto il creato, Tu porta sempre aperta del cielo, Tu luminosa stella del mare, sii per questi nostri figli un faro luminoso di sicura speranza nel cammino della vita. Sii per loro porto di salvezza, esempio di carità e maestra di pace. O Madre nostra cara, non disprezzare, ma accogli la nostra umile fiduciosa preghiera, vieni in nostro aiuto, affinché un giorno, unite al frutto del nostro grembo, possiamo cantare in eterno la tua lode. Così speriamo, così sia. Salve Regina.

 

Il Rettore del Santuario

 

La Chiesa del Santuario del Colle edificata con le offerte dei fedeli, e le elemosine raccolte dal servo di Dio Gabriele Mattei, Fra Deo Gratias, iniziata nel 1606 si è conclusa nel 1610. Auspice il Vescovo di Fondi Giovanni Agostino, e prima ancora i Vescovi Giovanni Battista Comparini e Lello Veterano, il Sommo Pontefice Urbano VIII con Bolla del 5 settembre 1626 concedeva l’erezione canonica della Chiesa. In seguito alle leggi eversive la Chiesa e gli altri beni annessi furono appresi dal Stato o venduti, nonostante tutto ciò il Santuario ha continuato a rimanere sempre aperto al culto e a svolgere la sua missione.

 

Con Decreto del 19 marzo 2003 l’Arcivescovo di Gaeta, su istanza del rettore, confermava l’erezione canonica in persona giuridica pubblica, elevava il titolo della Chiesa a Santuario Diocesano e Approvava i nuovi Statuti.

 

Circa la direzione pastorale e amministrativa del Santuario lo Statuto agli artt. 3 e 4 recita: Il rettore è nominato dal Vescovo Diocesano e dura in carica fino a quando l’ufficio non si renda vacante per morte, rinuncia o per provvedimento del Vescovo diocesano. Il Rettore è amministratore unico e legale rappresentante dell’ente. […].

 

Con decreto del 30 aprile 2008 l’Arcivescovo di Gaeta, S.E. Rev.ma Fabio Bernardo D’Onorio, ha confermato nella cura pastorale della parrocchia di Lenola e del Santuario del Colle il Rev.do Don Adriano Di Gesù.

 

Nella cura pastorale come nella responsabilità ammnistrativa il rettore è coadiuvato, a norma dei canoni del Codice di Diritto Canonico dal Consiglio pastorale e dal Consiglio affari economici.

 

Elenco dei Rettori del Santuario

 

Labbadia Pietro 1765 – 1789*

Leone Giovanbattista 1790- 1807*

Rosati Mattia 1808 – 1815*

Crescenzi Gianfrancesco 1826- 1849*

Terella Francescantonio 1850 – 1857*

Grossi Francescantonio 1857 – 1870*

Grossi Francesco 1870 – 1902*

Rosati Ferdinando 1902- 1912

Terella Nazzareno 1912 – 1959

Musella Francesco 1959 – 1969 parroco – rettore

Domenichini Giulio 1969 – 1999

 

Di Gesù Adriano 1999 – parroco rettore

 

S.E. Rev.ma Mons. Fabio Bernardo D’Onorio, Arcivescovo con decreto del 30 aprile 2008 ha confermato Don Adriano Di Gesù nella nomia di parroco rettore

 

Le suore delle scuole cristiane della misericordia

 

La Casa di Fondi, pur avendo iniziato la sua missione di apostolato solo nel 1957, per il lavoro continuo, non disgiunto da sacri­fici, ha dimostrato di aver guadagnato amore e stima da tutta la cittadinanza. La Scuola Materna, la Casa di Riposo per anziani ed infine l’istituzione di nuove classi d’asilo hanno promosso sempre più l’avvicinamento della popolazione a queste Suore che, inizial­mente, forse non ne sentivano la necessità. Nella nostra cittadina essa giunse il 22 aprile 1912 e si stabilì nel convento di Santa Croce dove le suore istituirono l’asilo infantile e un laboratorio di taglio, cucito e ricamo. Il convento di Santa Croce aveva in precedenza ospitato, dal 1896 al 1911, le suore di clausura dell’ordine delle “Carmelitane Scalze” che avevano messo le loro virtù religiose, sociali e civili al servizio della chiesa e di tutti i cittadini. Dopo 16 anni furono però costrette, per oscuri motivi, a lasciare Lenola. Sollecitato da tutto il popolo Mons. Niola inviò le Suore della Misericordia. Il 10 ottobre dello steso anno le suore si trasferirono al convento del Santuario del Colle dove risiedono tuttora continuando a svolgere il loro apostolato attraverso varie attività: scuola materna e refezione, lezioni di taglio, rammendo e cucito. Fino a qualche tempo insegnavano anche musica e perfino la lingua francese. Esse hanno attraversato periodi di tante sofferenze, il cui apice è senza dubbio rappresentato dai due grandi conflitti mondiali. Durante il primo (1915-1918) la Superiora, Madre Mary Victoire, istituì la mensa gratuita per i figli dei richiamati alle armi e un laboratorio per fare calze, maglie e guanti per i soldati che erano al fronte. Durante i nove mesi di emergenza bellica del 1943-1944 queste Suore hanno accolto le Consorelle della Casa di Gaeta, alcuni Sacerdoti diocesani, tra i quali Mons. Anselmo Cecere, Vicario Generale della Diocesi, sfuggiti ai rastrellamenti dei soldati tedeschi, e le Suore di Madre Livia di Formia con oltre 30 orfanelle. Una di queste quattro anni dopo venne a ringraziare la Madonna del Colle lasciando una lettera, conservata tuttora dalle stesse Suore. In quei terribili momenti risplendette come una luce la Casa delle Suore e la lunga fila di profughi, di Lenola e dei paesi limitrofi, si diresse verso il Colle. Non c’era bisogno di farsi annunciare: il portone era aperto a tutti e gruppi di persone piangenti, cariche delle poche cose che, nell’angoscia dell’esodo, erano riuscite a raccattare, entrarono nel luogo ospitale accolte sempre con un sorriso. Dopo la resa dei tedeschi le nostre Suore diedero asilo a quelle donne, giovani, anziane e anche bambine, che erano state stuprate dalle truppe di colore, dando loro ogni cura e ogni conforto.

 

Tutto il bene che le Suore hanno operato ed operano in Lenola si deve anche alla sapiente e prudente direzione delle Madri Superiore che si sono succedute e delle religiose che hanno operato a Lenola. Tutte hanno sempre vissuto e vivono tuttora modestamente, con la carità del popolo; eppure quando capitano al Convento qualche mendicante o altri persone povere del paese le porte si spalancano in ossequi al vecchio detto popolare “chi riceve e poi da fa la vera carità”. Fin dal primo giorno del loro arrivo a Lenola si sono prodigate nel loro apostolato con spirito di amore, di carità e di sacrificio. Tutte le generazioni dal 1912 sono passate sotto lo sguardo delle Suore delle Scuole Cristiane della Misericordia: le famiglie hanno sempre avuto premura di mandare i bambini dalle Suore affinché ricevessero una ricchezza religiosa, morale e sociale. Come si può dimenticare l’opera di elevazione culturale e sociale donata con vero amore a portatori di handicap e a bambini orfani o abbandonati. Le suore curavano ed infondevano fiducia a queste persone che, divenute poi adulte, si sono ben inserite nella società diventando padri e madri esemplari.

 

Oggi le nostre Sorelle escono più frequentemente dal Convento, per continuare la loro missione di apostolato con l’insegnamento del Catechismo in parrocchia e a Valle Bernardo, con la visita agli ammalati e ai bisognosi di conforto. Ma le vediamo anche prodigarsi con amore ai gruppi di persone, giovani e meno giovani, che sempre più spesso vengono in ritiri spirituali nella loro Casa, come pure nella scuola materna, nella refezione e nel curare il decoro del Santuario della Madonna del Colle, il loro Santuario.  Le Suore di S. Maria Maddalena Postel a Lenola dicono un stretto rapporto con la Madonna del Colle e con tutti gli abitanti della cittadina mariana.

Casoria (Na). Nove suore dell’Istituto Brando emettono la professione perpetua

SAM_2710.JPGSarà il Segretario della Congregazione delle Cause dei Santi, sua eccellenza monsignor Marcello Bartolucci, arcivescovo, a presiedere la solenne liturgia eucaristica di domenica 8 settembre 2013, alle ore 17.00, nella Chiesa delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato (Sacramentine) in Casoria, durante la quale nove suore, tutte indonesiane, emetteranno i voti perpetui e si consacreranno definitivamente al Signore, nella Congregazione fondata dalla Beata Maria Cristina Brando, con i voti di povertà, castità ed obbedienza. Ad accogliere questo loro proposito di dedicare tutta la loro vita al servizio di Cristo e della Chiesa, sarà la Madre Generale, Carla Di Meo, che segue con particolare attenzione e cura l’evolversi e lo sviluppo della Congregazione delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato nei Paesi dell’Estremo Oriente, da dove proviene il maggior numero delle religiose che oggi compongono la loro famiglia religiosa. In prospettiva c’è una prossima apertura di una casa religiosa ed una comunità religiosa in Burkina Faso, in Africa, completamente dedita alla contemplazione e all’adorazione eucaristica. Le nove suore sono: Livia dei Sacri Cuori, Graziana del Santissimo Sacramento, Veronica del Crocifisso, Marta di Gesù, Adriana dell’Immacolata, Arianna del Santissimo Nome di Gesù, Maria Mercedes dell’Eucaristia, Ines dei Santi Angeli, Annachiara di San Francesco. Alla professione perpetua le suore si sono preparate con un corso di esercizi spirituali, predicato dal teologo morale, padre Antonio Rungi, missionario passionista, e tenuto nella Casa di spiritualità delle Suore di Gesù Redentore (Stella Maris) in Mondragone da sabato 31 agosto a venerdì 6 settembre 2013 sul tema “Un viaggio spirituale dentro la nostra vocazione e il nostro cuore per un sì definitivo a Dio nella vita consacrata”. La settimana di intensa spiritualità è stata così strutturata: ore 6.00 (Levata); ore 6,30 (Mattutino e Lodi); ore 7,30 (Santa Messa); ore 8,30 (Colazione); ore 9,30 (I Meditazione); ore 11,00 (Adorazione eucaristica); ore 12.00 (Ora Media); ore 13.00 (Pranzo); ore 15,30 (Confessioni o direzione spirituale); ore 17,00 (II Meditazione); ore 19,30 (Vespro); Ore 20,00 (Cena); ore 21,00 (Compieta). Le Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato sono un istituto religioso femminile di diritto pontificio: le suore di questa congregazione, dette popolarmente Sacramentine. La congregazione venne fondata a Napoli da madre Maria Cristina Brando (1856-1906). Già novizia presso il monastero napoletano delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento di San Giuseppe dei Ruffi, nel 1877 la religiosa fu costretta a lasciare il chiostro per problemi di salute. Su consiglio di padre Ludovico da Casoria, nel 1878 la Brando diede vita a un nuovo istituto, con lo stesso carisma dell’ordine delle monache Sacramentine ma dedito all’istruzione delle fanciulle. Le Vittime Espiatrici ottennero dalla Santa Sede il riconoscimento ecclesiastico di istituzione di diritto pontificio con il decreto di lode del 7 luglio 1903. Le loro costituzioni vennero approvate definitivamente il 23 marzo del 1911. Successivamente aggiornate dopo il Concilio Vaticano II, sono state approvate, dopo la revisione fatta durante il Capitolo generale straordinario del dicembre 2012, moderato da padre Antonio Rungi, dalla Santa Sede nel febbraio 2013. La fondatrice è stata beatificata da papa Giovanni Paolo II nel 2003. L’origine l’istituto era diviso in due rami, uno contemplativo (dedito all’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento) e uno di vita attiva, poi riuniti. Le suore si dedicano prevalentemente all’insegnamento catechistico e nelle scuole, ma anche all’organizzazione di ritiri spirituali e alla gestione di educandati e orfanotrofi. Oltre che in Italia, le suore Vittime Espiatrici sono presenti in Brasile, Colombia, Filippine e Indonesia. La loro casa madre è a Casoria., mentre la casa generalizia è attualmente a Mugnano di Napoli, presso il Santuario del Sacro Cuore di Gesù, dove ha operato la sorella di Madre Cristina, Suor Maria Pia Brando, che ebbe a cuore soprattutto i bambini orfani. Oggi i due istituti fondati dalle due “sante” sorelle sono uniti in una sola Congregazione sotto il titolo di Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato. Attualmente la Congregazione conta circa 400 religiose presenti in 30 case, in Italia, in Indonesia, Filippine e Sud America. Una Congregazione in crescente sviluppo ed aumento con la presenza di suore di origini indonesiane, che sono la parte più consistente dell’Istituto oggi in Italia.

La prima enciclica di Papa Francesco “Lumen fidei”

bf0cd5db490ea06a261021c0f7d5-grande.jpgE’ certamente l’unica  enciclica ad essere scritta a quattro mani, nel senso che vi hanno lavorato intorno a tale progetto due Pontefici, entrambi viventi: uno emerito, Papa Benedetto XVI, che ha avviato il progetto e, l’altro, il Papa in carica, Francesco, che lo ha completato e lo ha reso noto alla comunità cristiana di tutto il mondo, ufficializzando il documento e presentando a tutti coloro che, in questo anno della fede, che volge al termine, vogliono riscoprire il dono della fede ricevuto nel battesimo. Il titolo dell’enciclica è significativo ed espressivo per sé. Fa riferimento alla luce della fede, indicando con questo termine di luce, tutto ciò che rende chiaro all’uomo, nella grazia di Dio e nell’abbandono fiducioso in Lui, dei misteri della fede. Fare luce, significa mettere chiarezza dentro di se e incontrare la persona che questa luce la proietta sull’uomo, perché è il Dio della luce, che è Gesù Cristo, trasfigurato sul Monte Tabor, morto e risorto sul Monte Calvario.Fin dalla creazione di parla di luce. Dio disse e subito si fece luce. La storia esce dal suo buio e diventa la storia della salvezza, della luce. Una storia segnata dalle tenebre del peccato e dell’errore, a partire dal primo peccato, quello dei nostri progenitori, che noi definiamo originale. Da quel peccato e da quella disobbedienza a Dio, nasce anche la promessa della salvezza che Cristo porterà a tutti gli uomini. La luce della risurrezione è anche la luce della salvezza eterna. Il Dio della luce in cui noi crediamo è Colui che ci ha inviato la vera luce, che è Cristo. Nella notte di Pasqua, mentre la chiesa è tutta nel buio, il sacerdote che ha acceso il fuoco nuovo e il cero pasquale, ad un certo punto del suo cammino verso l’altare per tre volte canta ad alta voce: La luce di Cristo. Il popolo di Dio risponde: “Rendiamo grazie a Dio”. Da questo evento salvifico della redenzione operata da Cristo, nasce tutto il discorso della luce della fede. Il battesimo, sacramento della luce della fede. La cresima, il sacramento della luce della perfezione dello Spirito Santo. L’eucaristia, la luce della presenza del Cristo nella nostra vita, nel suo corpo e nel suo sangue, realmente presente nel pane e vino consacrati. La confessione, la luce della riconciliazione e del ritrovato perdono e della rinnovata amicizia e misericordia di Dio nei nostri riguardi. Il matrimonio, la luce dell’amore vero che si realizza nella coppia, di uomo e donna, aperta al dono della vita e della felicità. L’ordine sacro, la luce della pastoralità e della missionarietà che si accende in cui che è chiamato a servire la causa del Vangelo e della Chiesa. L’unzione degli inferni, la luce della forza per affrontare la croce e la sofferenza di tutti i giorni e a volte a preparare l’incontro con Gesù Cristo nella luce senza fine.La luce della parola di Dio che diventa il faro direzionale del cammino nel tempo e in vista dell’eternità.La luce della Chiesa, che santa e peccatrice, indica a tutti i suoi figli la strada maestra in cui incontrare Cristo.La luce della carità, che rende davvero, nella fede, i fratelli e le sorelle, amici per sempre, superando ogni barriera ed ogni pregiudizio.La luce della speranza che impegna l’uomo a costruire un mondo più giusto su questa terra, in attesa dei cieli nuovi e della terra nuova che il Signore darà, alla fine dei tempi. La luce della tenerezza e della bontà di Dio, non più visto come giudice, ma come Padre della misericordia, al quale è lecito chiedere sempre “Padre perdonami”, ben sapendo che Egli ci perdona, rispetto ad un mondo che non sa perdonare e cerca di perdonare.La luce della croce e del Crocifisso, issato sul calvario per essere punto di riferimento nella vita di tutti i giorni, quando la sofferenza è tanta e tale che solo abbracciandosi la croce per amore, si fa spazio nel nostro cuore all’amore del Redentore.La luce della pace, quella che cercano gli uomini e non la trovano mai. La luce della gioia, quella che, soprattutto nel nostro tempo, non fa più capolino nella vita di tanta gente, triste ed angosciata per un’esistenza senza senso.La luce eterna che risplende per nostri fratelli defunti che ci hanno preceduto nel regno dei cieli e che vedono il volto di Dio nel santo paradiso. La luce del Dio Uno e Trino, la luce di Maria Santissima, donna di fede e donna della luce, la luce degli arcangeli, angeli, santi e beati che da lassù dove tutto è luce, perché c’è Dio, un giorno arriveremo per riempierci di luce che non avrà più fine. Grazie Papa Benedetto XVI e Papa Francesco, perché attraverso l’enciclica “Lume fidei”, la luce della fede, avete apportato un’immensa luce nel nostro modo di pensare, ragionare, pregare, studiare, riflettere e soprattutto amare. Quella luce della fede ci porta ad amare come Cristo ci ha amato fino alla croce.

Padre Antonio Rungi

Mondragone (Ce). Ricordata la serva di Dio Victorine Le Dieu a 204 anni dalla nascita

150120132147.jpgMondragone (Ce). Il ricordo speciale della fondatrice delle Suore di Gesù Redentore

di Antonio Rungi

Il 22 maggio 1809 ad Avranches in Francia nasceva la Serva di Dio Madre Victorine Le Dieu, Fondatrice delle Suore di Gesù Redentore. Per ricordare il 204° compleanno di questa singolare donna di preghiera e di carità, la Congregazione da lei fondata ha voluto far memoria della loro madre con iniziative varie a livello spirituale, pastorale e culturale. A Mondragone, dopo il seminario di studio, dedicata alla Serva di Dio, oggi in tutte le parrocchie della città, la figura e l’opera di Madre Victorine è stata ricordata durante le celebrazioni mediante la testimonianza delle suore che compongono la comunità della Stella Maris. Per sabato, 25 maggio, presso il cinema-teatro cittadino, la compagnia teatrale “Victorine Le Dieu”, porterà in scena, al mattino per le scuole della città, e alla sera per tutta la cittadinanza, il recital “Quattro immagini per cantare una vita ed un carisma”. Si tratta di una sintesi della vita della fondatrice delle Suore di Gesù Redentore, fissata in alcune immagini, dialoghi, canti e altre forme espressive, partendo dalla prima scena, quella dell’approvazione dell’istituto ad opera di Pio IX il 15 gennaio 1863, quando il Papa firmò la bolla in Vaticano, alla presenza della stessa Victorine Le Dieu. Da allora la famiglia religiosa di Victorine Le Dieu si è diffusa in Italia, in Francia, in Europa ed altri continenti. Da poco è stato avviato anche il ramo maschile dell’Istituto con la professione di alcuni religiosi. La vita è l’opera di questa straordinaria donna di fede è ricca di avvenimenti e di tante difficoltà che Victorine seppe superare sempre con grande coraggio e fiducia in Dio, sull’esempio di Maria, con il suo continuo si alla volontà di Dio. Tutto questo fu Victorine Le Dieu de la Ruaudière (Maria Giuseppa di Gesù). 
Madre Victorine Le Dieu si trovò a lottare in difficoltà straordinarie, subì persecuzioni inaudite, rischiò di fallire più volte con la sua Congregazione, ma non si scoraggiò, la sua fede restava incrollabile. Il centro della Volontà di Dio di volere questa Istituzione, era papa Pio IX oggi beato; altre figure minori, ma pur sempre determinanti nel procurarle sofferenze, calunnie e persecuzioni, nulla poterono contro questa Volontà espressa nel tormento interiore dell’anima, così tribolata e santa di Victorine Le Dieu. Una delle sue massime riportate nel suo diario, concluso pochi giorni prima di morire: “L’amore di Dio può rinnovare la terra. Credo con una nuova fede, spero con una più forte speranza, voglio con una sincera carità, lavorare all’opera così giusta e necessaria della ‘Riconciliazione’ che Dio, nella Sua misericordia, ha riservato ai nostri tempi”. 
Victorine nacque il 22 maggio 1809 ad Avranches, città che sorge di fronte al celebre Monte di San Michele, da Felice Alessandro Le Dieu de la Ruaudière, ricevitore del Demanio e dalla nobile Maria Teresa di Cantilly. A 12 anni ricevé la Prima Comunione, sentendo sin da allora di essere chiamata alla vita religiosa, ma questa sua evidente inclinazione venne molto contrastata dai genitori, che misero in atto, tutti i tentativi per dissuaderla, come quello di mandarla a Reims, a studiare in un collegio laico. A 18 anni, coerente con le sue decisioni, fece privatamente i voti di castità e ubbidienza, che furono trasformati a 24 anni in pubblici e perpetui. Legata alla famiglia che non la lasciava scegliere, Victorine la segue nei trasferimenti da Avranches a Parigi e poi a Poitiers, resi necessari per mettersi al riparo dalle turbolenze politiche, che scuotevano la Francia nel periodo post-napoleonico e della Restaurazione. A Poitiers le muore il fratello Edoardo; in casa viene ospitato padre Mesnildot esule da Parigi, il quale diventa il direttore spirituale di tutta la famiglia, ma specialmente di Victorine, di cui ha notato l’inclinazione alla vita religiosa e prende a dirigerla con sapiente discrezione; nel contempo la salute della giovane destava preoccupazione alla famiglia.
Per aiutarla, le viene concesso di fare un ritiro al Carmelo ma al suo ritorno, nonostante il beneficio ricevuto, le viene ancora una volta negato il permesso di farsi suora; tuttavia tutte queste difficoltà non le impedirono di gettare le basi della sua futura fondazione che comprendeva, la riparazione eucaristica attraverso la Messa e l’adorazione.
Ebbe anche un’esperienza religiosa di sei mesi fra le Agostiniane di Parigi, alle quali si era rivolta di nascosto; ma sotto le pressioni dell’influente famiglia fu estromessa dall’Istituto.
A circa 27 anni quando ormai decisa, lascia la famiglia e con il consiglio di padre Mesnildot, entra nelle Suore di Santa Clotilde che non erano di clausura e dedite solo all’Istruzione Superiore, il 2 luglio 1836 avvenne la cerimonia della vestizione, senza la presenza dei genitori; poi avviene un precipitarsi di eventi, Victorine si ammalò gravemente e la madre le si riconcilia; rientrata a Le Havre la madre morì, e lei fu costretta a lasciare di nuovo il convento, per accudire il padre rimasto solo.
Alla fine del 1846 anche l’altro fratello Augusto, dopo una vita dissipata, muore riconciliato con Dio, con l’assistenza spirituale della sorella. Rimasta sola con il padre, ella soffre intimamente per questa sua vita non realizzata secondo le sue aspirazioni.
Si ammala gravemente forse di nostalgia e su consiglio dei medici, viene condotta in montagna a La Salette, dove il 19 settembre del 1846 la Vergine era apparsa a due pastorelli, diventando una meta di pellegrinaggi.
Durante il viaggio, i sintomi del male oscuro improvvisamente scompaiono, la stessa cosa si ripete per il pellegrinaggio dell’anno seguente; passando per Ars, incontra anche s. Giovanni Maria Vianney, il santo curato, con cui parla del suo progetto, ricevendo incoraggiamento. Riparare, riconciliare, adorare il Signore nell’Eucaristia, restaurare l’unità nell’amore e istituire Case per accogliere persone cadute o in pericolo nel mare burrascoso della vita.
Morto il padre e seguendo il consiglio del suo Direttore Spirituale e di s. Pietro Giuliano Eymard, chiede per prima cosa al vescovo, peraltro ammalato, di ottenere il SS Sacramento dell’Eucaristia per il suo oratorio considerato privato, ma la concessione non era possibile, per cui la Curia la indirizzò direttamente a Roma e così il 15 gennaio 1863 si reca da papa Pio IX, il quale dopo aver ascoltato le sue richieste di poter avere l’Eucaristia nell’Oratorio e di poter istituire la sua Opera di carità dovunque fosse possibile, le concede tali privilegi, l’Istituto avrà una Superiora Generale che non dipenderà da altri.
Dopo tale udienza l’iniziale programma di Victorine Le Dieu prende maggiore omogeneità, articolandosi in tre punti: Riparazione nei confronti dei bambini con opere di carità e di assistenza, di cui allora se ne sentiva fortemente il bisogno e che in seguito verrà considerevolmente allargata.
Prima di ritornare ad Avranches, Victorine ricevé l’abito religioso da padre Regis, procuratore dei Trappisti, iniziò così la Congregazione delle Suore del Patronato di S. Giuseppe, che muterà in seguito il nome in “Suore di Gesù Redentore”.
Si alternano opposizioni e difficoltà nell’andare avanti dalle Autorità diocesane, e solo il 2 febbraio 1864 suor Victorine e la sua prima compagna, fanno insieme la prima meditazione comunitaria; il nuovo vescovo Bravard ottenne dal Governo Francese la celebre Abbazia di Monte San Michele, che era stata trasformata in un orribile carcere e intenzionato a trasformarla nell’antico splendore, incontra in ciò lo stesso desiderio in madre Victorine e seppur titubante, visto l’esiguità del nuovo Istituto, le affida il gravoso compito.
Con le prime quattro compagne si mette all’opera per eliminare il diffuso squallore; il 19 marzo 1866 la fondatrice e una compagna emettono i voti e altre due giovani fanno la vestizione religiosa.
Victorine prenderà il nome di suor Marie Joseph de Jesus. L’antica abbazia comincia a diventare anche un orfanotrofio, perché man mano giungono fanciulli abbandonati e anche le suore aumentano di numero.
Nel contempo iniziano le incomprensioni fra lei e padre Robert, il superiore dei Missionari diocesani, che il vescovo ha istituito per il ripristino del culto e dei pellegrinaggi al Monte San Michele.
Gli opposti interessi procurano dissidi e infine madre Maria Giuseppa di Gesù, viene allontanata con la scusa di andare a fondare una nuova Casa a San Massimino nella diocesi di Frejus, le suore rimaste a Mont St. Michel non si piegano ai voleri di padre Robert e quindi raggiungono la fondatrice, ricostituendo la Comunità.
Ma a San Massimino devono vivere di elemosine, si caricano di debiti, vengono a mancare gli appoggi sia materiali che spirituali, per cui quasi tutte le suore alla fine la lasciano e il vescovo di Frejus la estromette come religiosa dalla diocesi.
Respinta anche dai parenti, si riduce a vivere in una mansarda con la sola compagnia di due suore, soffre la fame, è continuamente febbricitante per il grande freddo, vive chiedendo l’elemosina. A Parigi dove stanno, hanno il rifiuto del Vicario Generale di poter stabilire la loro Opera dell’Adorazione Riparatrice, non riconoscendola Superiora di due sole suore e senza un soldo.
Finché il 1° ottobre 1874, esse incaricate dal prefetto di Parigi, arrivano ad Aulnay nella periferia povera della città, per accudire i bambini poveri e gli orfanelli della zona, su richiesta del parroco locale; ma senza soldi anche qui sono costrette a chiedere l’elemosina.
Dopo un po’ vengono sfrattate e il sindaco offre dei locali nel suo castello, dove sia pur con un freddo gelido riescono con i bambini a superare l’inverno. Alcune offerte delle Autorità, le fanno aprire una seconda casa a Saint Cloud, il numero di orfanelli aumenta ma i soldi per sfamarli non ci sono, chi aveva promesso viene meno, il vescovo di Versailles a cui si era rivolta, le nega l’aiuto, perché prevenuto dalle calunnie pervenute da Monte San Michele.
Si reca di nuovo a Roma per trovare l’appoggio papale e per aprire una Casa nelle capitale; ma ritornata in Francia trova che la sua Congregazione e gli orfanotrofi stanno per essere assorbiti da altra Istituzione, ma un prodigio avvenuto al momento della firma, manda tutto all’aria.
Nel 1879 il conte di Aulnay vende loro una casa-mulino, dove tutti si trasferiscono; ma una nuova prova si abbatte su Victorine, una postulante comincia ad avere fenomeni strani e premonitori, è creduta dalle suore e dal parroco e quando dice che la superiora non è più adatta al compito, il parroco l’ascolta e sostituisce madre Victorine con suor Paola.
È costretta a lasciare la Comunità e continuano le calunnie, persecuzioni, le viene negata la Comunione e deve togliersi l’abito religioso, sotto minaccia di essere arrestata, è costretta a fare la mendicante, è investita da una carrozza; ma lei non si arrende e ancora una volta con l’aiuto di una suora fedele, ritorna a Roma e ottiene dal papa la residenza romana e con l’aiuto della marchesa Serlupi ha dei locali a disposizione; una suora dalla Francia la raggiunge, arriva qualche novizia.
L’Opera si trasferisce in una Casa di via Tasso e affluiscono molti bambini, nel contempo anche le offerte e gli aiuti in vivande arrivano più frequentemente; il cardinale Vicario di Roma segue con ammirazione e stima sia lei, che l’opera e alla fine acconsente a celebrare la Prima Messa nella nuova Cappella, dove resterà esposta l’Eucaristia per l’adorazione riparatrice.
Il 26 ottobre 1884 a 75 anni, madre Victorine muore con il nome di Gesù sulle labbra, perdonando tutti e raccomandando la cura dei bambini.

Mondragone (Ce). Seminario di studi su Victorine Le Dieu

DSC07165.JPG150120132147.jpgDSC07159.JPG150120132139.jpgSi svolgerà giovedì 16 maggio 2013, per l’intera giornata, un seminario di studi sulla figura e l’opera della serva di Dio Victorine Le Dieu, Fondatrice delle Suore di Gesù Redentore, che a Mondragone hanno una rinomata ed affermata struttura finalizzata all’accoglienza e all’ospitalità. E, infatti, presso la Stella Maris di Mondragone a pochi metri dal mare che giovedì prossimo si svolgerà questo importante convegno nell’anno della fede, voluto espressamente dalle suore della comunità e dall’assistente spirituale, padre Antonio Rungi, che sarà il moderatore del seminario di Studi. Importanti personalità del mondo ecclesiastico nazionale e locale prenderanno parte al seminario di studi. L’aspetto storico del tempo in cui visse ed operò Victorine Le Dieu verrà trattato, nella mattinata del 16 maggio 2013, dal passionista, Giuseppe Comparelli, uno studioso ed esperto dell’Ottocento. L’aspetto teologico e carismatico della figura della Serva di Dio Victorine Le Dieu verrà trattato, nella mattinata di giovedì prossimo, dall’arcivescovo di Potenza, mons. Agostino Superbo, già assistente nazionale dell’Azione Cattolica e Vice-presidente per l’Italia Meridionale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei). La presenza delle suore a Mondragone, le loro attività svolte e che continuano a svolgere veranno presentate da due comunicazioni nel pomeriggio, curate rispettivamente dal frate francescano, padre Berardo Buonanno, autore di numerose pubblicazioni di carattere storico e religioso su Mondragone e dal vicario foraneo, don Roberto Guttoriello. La giornata verrà aperta dal saluto del vicario episcopale per la vita consacrata della Diocesi di Sessa Aurunca, don Paolo Marotta e sarà conclusa con la celebrazione eucaristica, presieduta dal Vescovo di Sessa Aurunca, alle ore 19.00, nella Chiesa delle Suore della Stella Maris. Il seminario di studio è aperto a tutti, specialmente ai fedeli laici e a quanti vogliono sviluppare un approfondimento della loro fede sull’esempio della Serva di Dio, Victorine Le Dieu, avviata verso la beatificazione. Il seminario di studi promosso dalla comunità delle Suore di Gesù Redentore ha un significato particolare, in quanto l’Istituto fondato da Victorine Le Dieu celebra quest’anno i suoi 150 anni di riconoscimento dell’opera, approvata il 15 gennaio 1863 da Pio IX. L’Istituto che fina dalla sua nascita e nel corso degli anni si è incentrato soprattutto nel curare le ferite del corpo e dello spirito, specialmente dei bambini e dei sofferenti, oggi è presente in varie parti d’Italia e del mondo, continuando con rinnovato vigore l’opera della fondatrice. Al seminario di studio è attesa anche la nuova madre generale delle Suore di Gesù Redentore, Marilena Russo, con i vertici della Congregazione, che ha la sua sede generale a Fonte Nuova in Roma. Lì sono conservati le spoglie mortali di Victorine Le Dieu, considerata da tutti nella chiesa del suo tempo e del nostro tempo una donna straordinaria oer generosità e sacrifio per servire la causa degli ultimi e dei sofferenti nella Francia post-rivoluzionaria e nell’Europa del periodo napoleonico e post-napoleonico. Dalla Francia all’Italia il suo cammino di carità, di fede e speranza mai si interruppe, forte come era della grazia e della potenza che le venivano da Cristo, unico Redentore del mondo, sotto la cui protezione aveva messo la sua opera e la sua missione nella Chiesa.

Il Seminario di studi parlerà di questa singolare donna francese in un anno speciale come quello della fede che la cristianità sta vivendo a cavallo di due pontificati: quello del Papa emerito, Benedetto XVI, che ha indetto questo anno in occasione dei 50 anni dell’inizio del Concilio Vaticano II e continuato con particolare fervore da nuovo pontefice, Papa Francesco, che ha ripreso le catechesi sull’anno della fede in occasione delle udienze generali del mercoledì, sempre più affollate da credenti e non in una Piazza san Pietro che incomincia ad essere stretta e limitata per accogliere tutti i pellegrini che giungono a Roma per vedere il Papa e celebrare l’anno della fede, nella sede di Pietro.

Itri (Lt). Tesseramento Oratorio delle Suore OMR

IFoto1244.jpgtri (Lt). Oltre 200 bambine per il tesseramento all’Oratorio delle Suore Opus Mariae Reginae

 

di Antonio Rungi

 

Circa 200 bambine, ragazze e giovani,  dai sei anni alla maggiore età hanno aderito per l’anno 2013 al tesseramento per l’Oratorio promosso dalle Suore Opus Mariae Reginae, la cui casa generalizia è situata a Formia sulla Statale Appia. Alla cerimonia di tesseramento hanno partecipato le Suore delle tre comunità della zona: Itri, Fondi e Formia, guidate dalla Superiora Generale, Suor Rosina Di Russo, il parroco di Itri, don Guerino Piccioni e padre Antonio Rungi, missionario passionista, cappellano della comunità della casa generalizia delle Suore Opus Mariae Reginae di Formia.

A presiedere la solenne eucaristica della Domenica VI del Tempo di Pasqua è stato l’arcivescovo di Gaeta, monsignor Fabio Bernardo D’Onorio, che ha tenuto la breve, ma sentita omelia alle tante bambine, ragazze e giovani presenti nell’auditorium della casa religiosa di Itri (Lt), trasformato in tempio di preghiera e di raccoglimento. Il Vescovo, facendo tesoro della parola di Dio, si è soffermato, parlando con grande semplicità alle bambine presenti, dell’amore di Dio e come debba essere vissuto in famiglia, a scuola e nelle relazioni tra i compagni di classe e gli amici e coetanei.

A conclusione dell’omelia e prima della preghiera dei fedeli, incentrata sulla particolare circostanza, l’arcivescovo di Gaeta ha benedetto le tessere per tutte le iscritte all’oratorio, che ha una sua specificità, secondo il carisma del fondatore delle Suore Opus Mariae Reginae, esclusivamente aperto alle ragazze. Su di loro l’attività educativa delle Suore si concentrata attraverso l’impegno apostolico che tale istituto svolge nella Chiesa. Si tratta di un istituto di diritto diocesano, fondato dal sacerdote P.Mario Maria Merlin, riconosciuto con decreto dell’arcivescovo di Gaeta, monsignor Luigi Maria Carli, il 21 aprile 1979, con l’approvazione delle costituzioni. Queste sono state revisionate ed nuovamente approvate dall’arcivescovo Fabio Bernardo D’Onorio l’8 dicembre 2011. La Congregazione delle Suore dell’Opera di Maria Regina si propone come fine la santificazione dei suoi membri secondo lo spirito del Fiat della Vergine Maria e la formazione degli stessi al più autentico spirito evangelico nella professione dei voti religiosi. La natura specifica dell’istituto è affermata nell’articolo 3 delle nuove costituzioni, dove si legge: “Il fine si concretizza nell’apostolato rivolto in modo particolare alla donna affinché ella possa formarsi e prepararsi coscientemente al suo domani di responsabilità nella società, a seconda della specifica attitudine e vocazione personale”. Come dire che si tratta di un istituto particolarmente adatto al contesto sociale e culturale in cui viviamo, dove spesso la donna è offesa, vilipesa, maltrattata, violentata ed uccisa per una cultura di “femminicidio” assurda e da condannare con forza e coraggio in tutte le istituti e sedi. Da qui l’impegno nel campo della formazione delle donne mediante varie forme e soprattutto attraverso l’oratorio. Si legge, infatti, al n.46 delle nuove Costituzioni: “L’apostolato della Congregazione comprende molteplici forme di attività, tra cui principalmente oratori, incontri di preghiera, corsi di formazione, circoli culturali, sale di lettura, catechesi per i fanciulli e gli adolescenti”. In questo quadro normativo si comprende il perché ogni anno, durante il mese di maggio, dedicato alla Madonna, si svolge il tesseramento di quante, piccole, giovani e grandi, come donne fanno parte dell’oratorio e si formano mediante le attività da esso promosso.

La massiccia adesione per le sole tre comunità della zona (le altre sono presenti in varie regioni italiane del Nord e del Sud) con oltre 200 iscritti conferma la validità della formula oratoriana femminile che le Suore Opus Mariae Reginae portano avanti ininterrottamente da 42 anni.

La cerimonia del tesseramento non si è conclusa con la celebrazione eucaristica, ma ha fatto registrare altri significativi momenti di fraternità e di gioia. Nella sala giochi dell’istituto si è svolta, alla presenza dell’Arcivescovo, una ben organizzata manifestazione artistica con balli di tutte le tesserate, improntati all’Anno della Fede. Poi la consegna personale delle tessere a tutte le ragazze presenti, direttamente dalle mani dell’Arcivescovo. Grande la gioia ed evidente l’entusiasmo dalle più piccole alle più grandi. Infine un ulteriore momento di gioia, nel giardino esterno della struttura delle Suore che sorge nel cuore della città di Itri e continua alla Chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, in Piazza, con il volo dei palloncini e la merendina pomeridiana, molto apprezzata da tutti le bambine. La conclusione di tutta la manifestazione alle ore 18,45, dopo due ore di gioia spirituale e di autentica fraternità, sotto l’attenta regia delle Suore Opus Mariae Reginae, sempre più immerse nel loro apostolato territoriale, con una speciale attenzione verso le giovani, quelle che un domani avranno grande responsabilità in tanti settori e prima di tutto in quel dono meraviglioso dell’amore fecondo, aperto alla vita e alla maternità, sull’esempio della Vergine Santa, venerata in modo speciale sotto il titolo dell’Immacolata. E non senza motivo, visto che Pio IX, nel 1849, esiliato a Gaeta, salendo al Santuario della Civita, decise di proclamare solennemente il dogma dell’Immacolata Concezioni, che venne ufficializzato nel 1854. Una Congregazione, quindi al femminile, che si rivolge alla formazione della donna e che attinge la sua motivazione più profonda nel “Si” di Maria e su questo Si strutturare la propria vita di consacrati o fedeli laici.