Mese di maggio

IL PAPA A MILANO- I DISCORSI

Fedeli_Duomo04.jpgDIALOGO DEL SANTO PADRE CON LE FAMIGLIE

1. CAT TIEN (bambina dal Vietnam):

Ciao, Papa. Sono Cat Tien, vengo dal Vietnam.

Ho sette anni e ti voglio presentare la mia famiglia. Lui è il mio papà, Dan e la mia mamma si chiama Tao, e lui è il mio fratellino Binh.

Mi piacerebbe tanto sapere qualcosa della tua famiglia e di quando eri piccolo come me…

SANTO PADRE: Grazie, carissima, e ai genitori: grazie di cuore. Allora, hai chiesto come sono i ricordi della mia famiglia: sarebbero tanti! Volevo dire solo poche cose. Il punto essenziale per la famiglia era per noi sempre la domenica, ma la domenica cominciava già il sabato pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le letture della domenica, da un libro molto diffuso in quel tempo in Germania, dove erano anche spiegati i testi. Così cominciava la domenica: entravamo già nella liturgia, in atmosfera di gioia. Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto molta musica – Mozart, Schubert, Haydn – e quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo. E poi a casa era importante, naturalmente, il grande pranzo insieme. E poi abbiamo cantato molto: mio fratello è un grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava. Il papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili. Poi, naturalmente, abbiamo fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino ad un bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella: avventure, giochi eccetera. In una parola, eravamo un cuore e un’anima sola, con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. Ma questo amore reciproco che c’era tra di noi, questa gioia anche per cose semplici era forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose. Mi sembra che questo fosse molto importante: che anche cose piccole hanno dato gioia, perché così si esprimeva il cuore dell’altro. E così siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli. E, per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare «a casa», andando verso l’«altra parte del mondo».

2. SERGE RAZAFINBONY E FARA ANDRIANOMBONANA (Coppia di fidanzati dal Madagascar):

SERGE: Santità, siamo Fara e Serge, e veniamo dal Madagascar.

Ci siamo conosciuti a Firenze dove stiamo studiando, io ingegneria e lei economia. Siamo fidanzati da quattro anni e non appena laureati sogniamo di tornare nel nostro Paese per dare una mano alla nostra gente, anche attraverso la nostra professione.

FARA: I modelli famigliari che dominano l’Occidente non ci convincono, ma siamo consci che anche molti tradizionalismi della nostra Africa vadano in qualche modo superati. Ci sentiamo fatti l’uno per l’altro; per questo vogliamo sposarci e costruire un futuro insieme. Vogliamo anche che ogni aspetto della nostra vita sia orientato dai valori del Vangelo.

Ma parlando di matrimonio, Santità, c’è una parola che più d’ogni altra ci attrae e allo stesso tempo ci spaventa: il «per sempre»…

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per questa testimonianza. La mia preghiera vi accompagna in questo cammino di fidanzamento e spero che possiate creare, con i valori del Vangelo, una famiglia «per sempre». Lei ha accennato a diversi tipi di matrimonio: conosciamo il «mariage coutumier» dell’Africa e il matrimonio occidentale. Anche in Europa, per dire la verità, fino all’Ottocento, c’era un altro modello di matrimonio dominante, come adesso: spesso il matrimonio era in realtà un contratto tra clan, dove si cercava di conservare il clan, di aprire il futuro, di difendere le proprietà, eccetera. Si cercava l’uno per l’altro da parte del clan, sperando che fossero adatti l’uno all’altro. Così era in parte anche nei nostri paesi. Io mi ricordo che in un piccolo paese, nel quale sono andato a scuola, era in gran parte ancora così. Ma poi, dall’Ottocento, segue l’emancipazione dell’individuo, la libertà della persona, e il matrimonio non è più basato sulla volontà di altri, ma sulla propria scelta; precede l’innamoramento, diventa poi fidanzamento e quindi matrimonio. In quel tempo tutti eravamo convinti che questo fosse l’unico modello giusto e che l’amore di per sé garantisse il «sempre», perché l’amore è assoluto, vuole tutto e quindi anche la totalità del tempo: è «per sempre». Purtroppo, la realtà non era così: si vede che l’innamoramento è bello, ma forse non sempre perpetuo, così come è il sentimento: non rimane per sempre. Quindi, si vede che il passaggio dall’innamoramento al fidanzamento e poi al matrimonio esige diverse decisioni, esperienze interiori. Come ho detto, è bello questo sentimento dell’amore, ma deve essere purificato, deve andare in un cammino di discernimento, cioè devono entrare anche la ragione e la volontà; devono unirsi ragione, sentimento e volontà. Nel Rito del Matrimonio, la Chiesa non dice: «Sei innamorato?», ma «Vuoi», «Sei deciso». Cioè: l’innamoramento deve divenire vero amore coinvolgendo la volontà e la ragione in un cammino, che è quello del fidanzamento, di purificazione, di più grande profondità, così che realmente tutto l’uomo, con tutte le sue capacità, con il discernimento della ragione, la forza di volontà, dice: «Sì, questa è la mia vita». Io penso spesso alle nozze di Cana. Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente «secondo vino» è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare. E qui è importante anche che l’io non sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli amici. Questo, tutta la personalizzazione giusta, la comunione di vita con altri, con famiglie che si appoggiano l’una all’altra, è molto importante e solo così, in questo coinvolgimento della comunità, degli amici, della Chiesa, della fede, di Dio stesso, cresce un vino che va per sempre. Auguri a voi!

3. FAMIGLIA PALEOLOGOS (Famiglia greca)

NIKOS: Kalispera! Siamo la famiglia Paleologos. Veniamo da Atene. Mi chiamo Nikos e lei è mia moglie Pania. E loro sono i nostri due figli, Pavlos e Lydia.

Anni fa con altri due soci, investendo tutto ciò che avevamo, abbiamo avviato una piccola società di informatica.

Al sopravvenire dell’attuale durissima crisi economica, i clienti sono drasticamente diminuiti e quelli rimasti dilazionano sempre più i pagamenti. Riusciamo a malapena a pagare gli stipendi dei due dipendenti, e a noi soci rimane pochissimo: così che, per mantenere le nostre famiglie, ogni giorno che passa resta sempre meno. La nostra situazione è una tra le tante, fra milioni di altre. In città la gente gira a testa bassa; nessuno ha più fiducia di  nessuno, manca la speranza.

PANIA: Anche noi, pur continuando a credere nella provvidenza, facciamo fatica a pensare ad un futuro per i nostri figli.

Ci sono giorni e notti, Santo Padre, nei quali viene da chiedersi come fare a non perdere la speranza. Cosa può dire la Chiesa a tutta questa gente, a queste persone e famiglie senza più prospettive?

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per questa testimonianza che ha colpito il mio cuore e il cuore di noi tutti. Che cosa possiamo rispondere? Le parole sono insufficienti. Dovremmo fare qualcosa di concreto e tutti soffriamo del fatto che siamo incapaci di fare qualcosa di concreto. Parliamo prima della politica: mi sembra che dovrebbe crescere il senso della responsabilità in tutti i partiti, che non promettano cose che non possono realizzare, che non cerchino solo voti per sé, ma siano responsabili per il bene di tutti e che si capisca che politica è sempre anche responsabilità umana, morale davanti a Dio e agli uomini. Poi, naturalmente, i singoli soffrono e devono accettare, spesso senza possibilità di difendersi, la situazione com’è. Tuttavia, possiamo anche qui dire: cerchiamo che ognuno faccia il suo possibile, pensi a sé, alla famiglia, agli altri, con grande senso di responsabilità, sapendo che i sacrifici sono necessari per andare avanti. Terzo punto: che cosa possiamo fare noi? Questa è la mia questione, in questo momento. Io penso che forse gemellaggi tra città, tra famiglie, tra parrocchie, potrebbero aiutare. Noi abbiamo in Europa, adesso, una rete di gemellaggi, ma sono scambi culturali, certo molto buoni e molto utili, ma forse ci vogliono gemellaggi in altro senso: che realmente una famiglia dell’Occidente, dell’Italia, della Germania, della Francia… assuma la responsabilità di aiutare un’altra famiglia. Così anche le parrocchie, le città: che realmente assumano responsabilità, aiutino in senso concreto. E siate sicuri: io e tanti altri preghiamo per voi, e questo pregare non è solo dire parole, ma apre il cuore a Dio e così crea anche creatività nel trovare soluzioni. Speriamo che il Signore ci aiuti, che il Signore vi aiuti sempre! Grazie.

4. FAMIGLIA RERRIE (Famiglia statunitense)

JAY: Viviamo vicino a New York.

Mi chiamo Jay, sono di origine giamaicana e faccio il contabile.

Lei è mia moglie Anna ed è insegnante di sostegno.

E questi sono i nostri sei figli, che hanno dai 2 ai 12 anni. Da qui può ben immaginare, Santità, che la nostra vita, è fatta di perenni corse contro il tempo, di affanni, di incastri molto complicati…

Anche da noi, negli Stati Uniti, una delle priorità assolute è mantenere il posto di lavoro, e per farlo non bisogna badare agli orari,  e spesso a rimetterci sono proprio le relazioni famigliari.

ANNA: Certo non sempre è facile… L’impressione, Santità, è che le istituzioni e le imprese non facilitano la conciliazione dei tempi di lavoro coi tempi della famiglia.

Santità, immaginiamo che anche per lei non sia facile conciliare i suoi infiniti impegni con il riposo.

Ha qualche consiglio per aiutarci a ritrovare questa necessaria armonia? Nel vortice di tanti stimoli imposti dalla società contemporanea, come aiutare le famiglie a vivere la festa secondo il cuore di Dio?

SANTO PADRE: Grande questione, e penso di capire questo dilemma tra due priorità: la priorità del posto di lavoro è fondamentale, e la priorità della famiglia. E come riconciliare le due priorità. Posso solo cercare di dare qualche consiglio. Il primo punto: ci sono imprese che permettono quasi qualche extra per le famiglie – il giorno del compleanno, eccetera – e vedono che concedere un po’ di libertà, alla fine va bene anche per l’impresa, perché rafforza l’amore per il lavoro, per il posto di lavoro. Quindi, vorrei qui invitare i datori di lavoro a pensare alla famiglia, a pensare anche ad aiutare affinché le due priorità possano essere conciliate. Secondo punto: mi sembra che si debba naturalmente cercare una certa creatività, e questo non è sempre facile. Ma almeno, ogni giorno portare qualche elemento di gioia nella famiglia, di attenzione, qualche rinuncia alla propria volontà per essere insieme famiglia, e di accettare e superare le notti, le oscurità delle quali si è parlato anche prima, e pensare a questo grande bene che è la famiglia e così, anche nella grande premura di dare qualcosa di buono ogni giorno, trovare una riconciliazione delle due priorità. E finalmente, c’è la domenica, la festa: spero che sia osservata in America, la domenica. E quindi, mi sembra molto importante la domenica, giorno del Signore e, proprio in quanto tale, anche “giorno dell’uomo”, perché siamo liberi. Questa era, nel racconto della Creazione, l’intenzione originale del Creatore: che un giorno tutti siano liberi. In questa libertà dell’uno per l’altro, per se stessi, si è liberi per Dio. E così penso che difendiamo la libertà dell’uomo, difendendo la domenica e le feste come giorni di Dio e così giorni per l’uomo. Auguri a voi! Grazie.

5. FAMIGLIA ARAUJO (Famiglia brasiliana di Porto Alegre)

MARIA MARTA: Santità, come nel resto del mondo, anche nel nostro Brasile i fallimenti matrimoniali continuano ad aumentare.

Mi chiamo Maria Marta, lui è Manoel Angelo. Siamo sposati da 34 anni e siamo già nonni. In qualità di medico e psicoterapeuta familiare incontriamo tante famiglie, notando nei conflitti di coppia una più marcata difficoltà a perdonare e ad accettare il perdono, ma in diversi casi abbiamo riscontrato il desiderio e la volontà di costruire una nuova unione, qualcosa di duraturo, anche per i figli che nascono dalla nuova unione.

MANOEL ANGELO: Alcune di queste coppie di risposati vorrebbero riavvicinarsi alla Chiesa, ma quando si vedono rifiutare i Sacramenti la loro delusione è grande. Si sentono esclusi, marchiati da un giudizio inappellabile.

Queste grandi sofferenze feriscono nel profondo chi ne è coinvolto; lacerazioni che divengono anche parte del mondo, e sono ferite anche nostre, dell’umanità tutta.

Santo Padre, sappiamo che queste situazioni e che queste persone stanno molto a cuore alla Chiesa: quali parole e quali segni di speranza possiamo dare loro?

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per il vostro lavoro di psicoterapeuti per le famiglie, molto necessario. Grazie per tutto quello che fate per aiutare queste persone sofferenti. In realtà, questo problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi. E non abbiamo semplici ricette. La sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio. Io direi che molto importante sarebbe, naturalmente, la prevenzione, cioè approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; inoltre, l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino. E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e sentire questo amore. Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante. Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il vostro impegno.

SALUTO AI TERREMOTATI DELL’EMILIA

La festa delle famiglie del mondo non ha dimenticato il dramma delle persone colpite in questi giorni dal terremoto in Emilia. Nel corso del collegamento video con i bambini radunati davanti alla tendopoli di San Felice sul Panaro, il Papa ha rivolto loro questo saluto:

SANTO PADRE: Cari amici, voi sapete che noi sentiamo profondamente il vostro dolore, la vostra sofferenza; e, soprattutto, io prego ogni giorno che finalmente finisca questo terremoto. Noi tutti vogliamo collaborare per aiutarvi: siate sicuri che non vi dimentichiamo, che facciamo ognuno il possibile per aiutarvi – la Caritas, tutte le organizzazioni della Chiesa, lo Stato, le diverse comunità – ognuno di noi vuole aiutarvi, sia spiritualmente nella nostra preghiera, nella nostra vicinanza di cuore, sia materialmente e prego insistentemente per voi. Dio vi aiuti, ci aiuti tutti!

 

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO
E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE
(1-3 GIUGNO 2012)

INCONTRO CON LE AUTORITÀ

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Sala del Trono dell’Arcivescovado di Milano
Sabato, 2 giugno 2012

 

Illustri Signori!

Vi sono sinceramente grato per questo incontro, che rivela i vostri sentimenti di rispetto e di stima verso la Sede Apostolica e, in pari tempo, consente a me, in qualità di Pastore della Chiesa Universale, di esprimere a voi apprezzamento per l’opera solerte e benemerita che non cessate di promuovere per un sempre maggiore benessere civile, sociale ed economico delle laboriose popolazioni milanesi e lombarde. Grazie al Cardinale Angelo Scola che ha introdotto questo momento. Nel rivolgere il mio deferente e cordiale saluto a voi, il mio pensiero corre a colui che è stato vostro illustre predecessore, sant’Ambrogio, governatore – consularis – delle province della Liguria e dell’Aemilia, con sede nella città imperiale di Milano, luogo di transito e di riferimento – diremmo oggi – europeo. Prima di essere eletto, in modo inaspettato e assolutamente contro il suo volere perché si sentiva impreparato, Vescovo di Mediolanum, egli ne era stato il responsabile dell’ordine pubblico e vi aveva amministrato la giustizia. Mi sembrano significative le parole con cui il prefetto Probo lo invitò come consularis a Milano; gli disse, infatti: «Va’ e amministra non come un giudice, ma come un vescovo». Ed egli fu effettivamente un governatore equilibrato e illuminato che seppe affrontare con saggezza, buon senso e autorevolezza le questioni, sapendo superare contrasti e ricomporre divisioni. Vorrei proprio soffermarmi brevemente su alcuni principi, che egli seguiva e che sono tuttora preziosi per quanti sono chiamati a reggere la cosa pubblica.

Nel suo commento al Vangelo di Luca, sant’Ambrogio ricorda che «l’istituzione del potere deriva così bene da Dio, che colui che lo esercita è lui stesso ministro di Dio» (Expositio Evangelii secundum Lucam, IV, 29). Tali parole potrebbero sembrare strane agli uomini del terzo millennio, eppure esse indicano chiaramente una verità centrale sulla persona umana, che è solido fondamento della convivenza sociale: nessun potere dell’uomo può considerarsi divino, quindi nessun uomo è padrone di un altro uomo. Ambrogio lo ricorderà coraggiosamente all’imperatore scrivendogli: «Anche tu, o augusto imperatore, sei un uomo» (Epistula 51,11).

Un altro elemento possiamo ricavare dall’insegnamento di sant’Ambrogio. La prima qualità di chi governa è la giustizia, virtù pubblica per eccellenza, perché riguarda il bene della comunità intera. Eppure essa non basta. Ambrogio le accompagna un’altra qualità: l’amore per la libertà, che egli considera elemento discriminante tra i governanti buoni e quelli cattivi, poiché, come si legge in un’altra sua lettera, «i buoni amano la libertà, i reprobi amano la servitù» (Epistula 40, 2). La libertà non è un privilegio per alcuni, ma un diritto per tutti, un diritto prezioso che il potere civile deve garantire. Tuttavia, libertà non significa arbitrio del singolo, ma implica piuttosto la responsabilità di ciascuno. Si trova qui uno dei principali elementi della laicità dello Stato: assicurare la libertà affinché tutti possano proporre la loro visione della vita comune, sempre, però, nel rispetto dell’altro e nel contesto delle leggi che mirano al bene di tutti.

D’altra parte, nella misura in cui viene superata la concezione di uno Stato confessionale, appare chiaro, in ogni caso, che le sue leggi debbono trovare giustificazione e forza nella legge naturale, che è fondamento di un ordine adeguato alla dignità della persona umana, superando una concezione meramente positivista dalla quale non possono derivare indicazioni che siano, in qualche modo, di carattere etico (cfr Discorso al Parlamento Tedesco, 22 settembre 2011). Lo Stato è a servizio e a tutela della persona e del suo «ben essere» nei suoi molteplici aspetti, a cominciare dal diritto alla vita, di cui non può mai essere consentita la deliberata soppressione. Ognuno può allora vedere come la legislazione e l’opera delle istituzioni statuali debbano essere in particolare a servizio della famiglia, fondata sul matrimonio e aperta alla vita, e altresì riconoscere il diritto primario dei genitori alla libera educazione e formazione dei figli, secondo il progetto educativo da loro giudicato valido e pertinente. Non si rende giustizia alla famiglia, se lo Stato non sostiene la libertà di educazione per il bene comune dell’intera società.

In questo esistere dello Stato per i cittadini, appare preziosa una costruttiva collaborazione con la Chiesa, senza dubbio non per una confusione delle finalità e dei ruoli diversi e distinti del potere civile e della stessa Chiesa, ma per l’apporto che questa ha offerto e tuttora può offrire alla società con la sua esperienza, la sua dottrina, la sua tradizione, le sue istituzioni e le sue opere con cui si è posta al servizio del popolo. Basti pensare alla splendida schiera dei Santi della carità, della scuola e della cultura, della cura degli infermi ed emarginati, serviti e amati come si serve e si ama il Signore. Questa tradizione continua a dare frutti: l’operosità dei cristiani lombardi in tali ambiti è assai viva e forse ancora più significativa che in passato. Le comunità cristiane promuovono queste azioni non tanto per supplenza, ma piuttosto come gratuita sovrabbondanza della carità di Cristo e dell’esperienza totalizzante della loro fede. Il tempo di crisi che stiamo attraversando ha bisogno, oltre che di coraggiose scelte tecnico-politiche, di gratuità, come ho avuto modo di ricordare: «La “città dell’uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione» (Enc. Caritas in veritate, 6).

Possiamo raccogliere un ultimo prezioso invito da sant’Ambrogio, la cui figura solenne e ammonitrice è intessuta nel gonfalone della Città di Milano. A quanti vogliono collaborare al governo e all’amministrazione pubblica, sant’Ambrogio richiede che si facciano amare. Nell’opera De officiis egli afferma: «Quello che fa l’amore, non potrà mai farlo la paura. Niente è così utile come farsi amare» (II, 29). D’altra parte, la ragione che, a sua volta, muove e stimola la vostra operosa e laboriosa presenza nei vari ambiti della vita pubblica non può che essere la volontà di dedicarvi al bene dei cittadini, e quindi una chiara espressione e un evidente segno di amore. Così, la politica è profondamente nobilitata, diventando una elevata forma di carità.

Illustri Signori! Accogliete queste mie semplici considerazioni come segno della mia profonda stima per le istituzioni che servite e per la vostra importante opera. Vi assista, in questo vostro compito, la continua protezione del Cielo, della quale vuole essere pegno ed auspicio la Benedizione Apostolica che imparto a voi, ai vostri collaboratori e alle vostre famiglie. Grazie.

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO
E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE
(1-3 GIUGNO 2012)

INCONTRO CON I CRESIMANDI

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Stadio “Meazza”, San Siro
Sabato, 2 giugno 2012

[Video]

 

Cari ragazzi e ragazze!

E’ una grande gioia per me potervi incontrare durante la mia visita alla vostra Città. In questo famoso stadio di calcio, oggi i protagonisti siete voi! Saluto il vostro Arcivescovo, il Cardinale Angelo Scola, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. Grazie anche a Don Samuele Marelli. Saluto il vostro amico che, a nome di tutti voi, mi ha rivolto il benvenuto. Sono lieto di salutare i Vicari episcopali che, a nome dell’Arcivescovo, vi hanno amministrato o amministreranno la Cresima. Un grazie particolare alla Fondazione Oratori Milanesi che ha organizzato questo incontro, ai vostri sacerdoti, a tutti i catechisti, agli educatori, ai padrini e alle madrine, e a quanti nelle singole comunità parrocchiali si sono fatti vostri compagni di viaggio e vi hanno testimoniato la fede in Gesù morto e risorto, e vivo.

Voi, cari ragazzi, vi state preparando a ricevere il Sacramento della Cresima, oppure l’avete ricevuto da poco. So che avete compiuto un bel percorso formativo, chiamato quest’anno «Lo spettacolo dello Spirito». Aiutati da questo itinerario, con diverse tappe, avete imparato a riconoscere le cose stupende che lo Spirito Santo ha fatto e fa nella vostra vita e in tutti coloro che dicono «sì» al Vangelo di Gesù Cristo. Avete scoperto il grande valore del Battesimo, il primo dei Sacramenti, la porta d’ingresso alla vita cristiana. Voi lo avete ricevuto grazie ai vostri genitori, che insieme ai padrini, a nome vostro hanno professato il Credo e si sono impegnati a educarvi nella fede. Questa è stata per voi – come anche per me, tanto tempo fa! – una grazia immensa. Da quel momento, rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo, siete entrati a far parte della famiglia dei figli di Dio, siete diventati cristiani, membri della Chiesa.

Ora siete cresciuti, e potete voi stessi dire il vostro personale «sì» a Dio, un «sì» libero e consapevole. Il sacramento della Cresima conferma il Battesimo ed effonde su di voi con abbondanza lo Spirito Santo. Voi stessi ora, pieni di gratitudine, avete la possibilità di accogliere i suoi grandi doni che vi aiutano, nel cammino della vita, a diventare testimoni fedeli e coraggiosi di Gesù. I doni dello Spirito sono realtà stupende, che vi permettono di formarvi come cristiani, di vivere il Vangelo e di essere membri attivi della comunità. Ricordo brevemente questi doni, dei quali già ci parla il profeta Isaia e poi Gesù:

– il primo dono è la sapienza, che vi fa scoprire quanto è buono e grande il Signore e, come dice la parola, rende la vostra vita piena di sapore, perché siate, come diceva Gesù, «sale della terra»;

– poi il dono dell’intelletto, così che possiate comprendere in profondità la Parola di Dio e la verità della fede;

– quindi il dono del consiglio, che vi guiderà alla scoperta del progetto di Dio sulla vostra vita, vita di ognuno di voi;

– il dono della fortezza, per vincere le tentazioni del male e fare sempre il bene, anche quando costa sacrificio;

– viene poi il dono della scienza, non scienza nel senso tecnico, come è insegnata all’Università, ma scienza nel senso più profondo che insegna a trovare nel creato i segni le impronte di Dio, a capire come Dio parla in ogni tempo e parla a me, e ad animare con il Vangelo il lavoro di ogni giorno; capire che c’è una profondità e capire questa profondità e così dare sapore al lavoro, anche quello difficile;

– un altro dono è quello della pietà, che tiene viva nel cuore la fiamma dell’amore per il nostro Padre che è nei cieli, in modo da pregarLo ogni giorno con fiducia e tenerezza di figli amati; di non dimenticare la realtà fondamentale del mondo e della mia vita: che c’è Dio e che Dio mi conosce e aspetta la mia risposta al suo progetto;

– il settimo e ultimo dono è il timore di Dio – abbiamo parlato prima della paura -; timore di Dio non indica paura, ma sentire per Lui un profondo rispetto, il rispetto della volontà di Dio che è il vero disegno della mia vita ed è la strada attraverso la quale la vita personale e comunitaria può essere buona; e oggi, con tutte le crisi che vi sono nel mondo, vediamo come sia importante che ognuno rispetti questa volontà di Dio impressa nei nostri cuori e secondo la quale dobbiamo vivere; e così questo timore di Dio è desiderio di fare il bene, di fare la verità, di fare la volontà di Dio.

Cari ragazzi e ragazze, tutta la vita cristiana è un cammino, è come percorrere un sentiero che sale su un monte – quindi non è sempre facile, ma salire su un monte è una cosa bellissima – in compagnia di Gesù; con questi doni preziosi la vostra amicizia con Lui diventerà ancora più vera e più stretta. Essa si alimenta continuamente con il sacramento dell’Eucaristia, nel quale riceviamo il suo Corpo e il suo Sangue. Per questo vi invito a partecipare sempre con gioia e fedeltà alla Messa domenicale, quando tutta la comunità si riunisce insieme a pregare, ad ascoltare la Parola di Dio e prendere parte al Sacrificio eucaristico. E accostatevi anche al Sacramento della Penitenza, alla Confessione: è un’incontro con Gesù che perdona i nostri peccati e ci aiuta a compiere il bene; ricevere il dono, ricominciare di nuovo è un grande dono nella vita, sapere che sono libero, che posso ricominciare, che tutto è perdonato. Non manchi poi la vostra preghiera personale di ogni giorno. Imparate a dialogare con il Signore, confidatevi con Lui, ditegli le gioie e le preoccupazioni, e chiedete luce e sostegno per il vostro cammino.

Cari amici, voi siete fortunati perché nelle vostre parrocchie ci sono gli oratori, un grande dono della Diocesi di Milano. L’oratorio, come dice la parola, è un luogo dove si prega, ma anche dove si sta insieme nella gioia della fede, si fa catechesi, si gioca, si organizzano attività di servizio e di altro genere, si impara a vivere, direi. Siate frequentatori assidui del vostro oratorio, per maturare sempre più nella conoscenza e nella sequela del Signore! Questi sette doni dello Spirito Santo crescono proprio in questa comunità dove si esercita la vita nella verità, con Dio. In famiglia, siate obbedienti ai genitori, ascoltate le indicazioni che vi danno, per crescere come Gesù «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,51-52). Infine, non siate pigri, ma ragazzi e giovani impegnati, in particolare nello studio, in vista della vita futura: è il vostro dovere quotidiano e una grande opportunità che avete per crescere e per preparare il futuro. Siate disponibili e generosi verso gli altri, vincendo la tentazione di mettere al centro voi stessi, perché l’egoismo è nemico della vera gioia. Se gustate adesso la bellezza di far parte della comunità di Gesù, potrete anche voi dare il vostro contributo per farla crescere e saprete invitare gli altri a farne parte. Permettetemi anche di dirvi che il Signore ogni giorno, anche oggi, qui, vi chiama a cose grandi. Siate aperti a quello che vi suggerisce e se vi chiama a seguirlo sulla via del sacerdozio o della vita consacrata, non ditegli di no! Sarebbe una pigrizia sbagliata! Gesù vi riempirà il cuore per tutta la vita!

Cari ragazzi, care ragazze, vi dico con forza: tendete ad alti ideali: tutti possono arrivare ad una alta misura, non solo alcuni! Siate santi! Ma è possibile essere santi alla vostra età? Vi rispondo: certamente! Lo dice anche sant’Ambrogio, grande Santo della vostra Città, in una sua opera, dove scrive: «Ogni età è matura per Cristo» (De virginitate, 40). E soprattutto lo dimostra la testimonianza di tanti Santi vostri coetanei, come Domenico Savio, o Maria Goretti. La santità è la via normale del cristiano: non è riservata a pochi eletti, ma è aperta a tutti. Naturalmente, con la luce e la forza dello Spirito Santo, che non ci mancherà se estendiamo le nostre mani e apriamo il nostro cuore! E con la guida di nostra Madre. Chi è nostra Madre? E’ la Madre di Gesù, Maria. A lei Gesù ci ha affidati tutti, prima di morire sulla croce. La Vergine Maria custodisca allora sempre la bellezza del vostro «sì» a Gesù, suo Figlio, il grande e fedele Amico della vostra vita. Così sia!

 

 

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO
E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE
(1-3 GIUGNO 2012)

CELEBRAZIONE DELL’ORA MEDIA CON CLERO,
SEMINARISTI E CONSACRATI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Duomo di Milano
Sabato, 2 giugno 2012

 

Cari Fratelli e Sorelle!

Ci siamo raccolti in preghiera, rispondendo all’invito dell’Inno ambrosiano dell’Ora Terza: «E’ l’ora terza. Gesù Signore sale ingiuriato la croce». E’ un chiaro riferimento all’amorosa obbedienza di Gesù alla volontà del Padre. Il mistero pasquale ha dato principio a un tempo nuovo: la morte e risurrezione di Cristo ricrea l’innocenza nell’umanità e vi fa scaturire la gioia. Prosegue, infatti, l’inno: «Di qui inizia l’epoca della salvezza di Cristo – Hinc iam beata tempora coepere Christi gratia». Ci siamo radunati nella Basilica Cattedrale, in questo Duomo che è veramente il cuore di Milano. Da qui il pensiero si estende alla vastissima Arcidiocesi ambrosiana, che nei secoli ed anche in tempi recenti ha dato alla Chiesa uomini insigni nella santità della vita e nel ministero, come sant’Ambrogio e san Carlo, e alcuni Pontefici di non comune statura, come Pio XI e il Servo di Dio Paolo VI, e i Beati Cardinali Andrea Carlo Ferrari e Alfredo Ildefonso Schuster.

Sono molto lieto di sostare un poco con voi! Rivolgo un affettuoso pensiero di saluto a tutti e a ciascuno in particolare, e vorrei farlo arrivare in modo speciale a quelli che sono malati o molto anziani. Saluto con viva cordialità il vostro Arcivescovo, il Cardinale Angelo Scola, e lo ringrazio per le sue amabili parole; saluto con affetto i vostri Pastori emeriti, i Cardinali Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, con gli altri Cardinali e Vescovi presenti.

In questo momento viviamo il mistero della Chiesa nella sua espressione più alta, quella della preghiera liturgica. Le nostre labbra, i nostri cuori e le nostre menti, nella preghiera ecclesiale, si fanno interpreti delle necessità e degli aneliti dell’intera umanità. Con le parole del Salmo 118 abbiamo supplicato il Signore a nome di tutti gli uomini: «Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti … Venga a me, Signore, la tua grazia». La preghiera quotidiana della Liturgia delle Ore costituisce un compito essenziale del ministero ordinato nella Chiesa. Anche attraverso l’Ufficio divino, che prolunga nella giornata il mistero centrale dell’Eucaristia, i presbiteri sono in modo particolare uniti al Signore Gesù, vivo e operante nel tempo. Il Sacerdozio: quale dono prezioso! Voi cari Seminaristi che vi preparate a riceverlo imparate a gustarlo fin da ora e vivete con impegno il tempo prezioso nel Seminario! L’Arcivescovo Montini, durante le Ordinazioni del 1958 così diceva proprio in questo Duomo: «Comincia la vita  sacerdotale: un poema, un dramma, un mistero nuovo … fonte di perpetua meditazione …sempre oggetto di scoperta e di meraviglia; [il Sacerdozio] – disse – è sempre novità e bellezza per chi vi dedica amoroso pensiero … è riconoscimento dell’opera di Dio in noi» (Omelia per l’Ordinazione di 46 Sacerdoti, 21 giugno 1958).

Se Cristo, per edificare la sua Chiesa, si consegna nelle mani del sacerdote, questi a sua volta si deve affidare a Lui senza riserva: l’amore per il Signore Gesù è l’anima e la ragione del ministero sacerdotale, come fu premessa perché Egli assegnasse a Pietro la missione di pascere il proprio gregge: «Simone …, mi ami più di costoro? … Pasci i miei agnelli (Gv 21,15)». Il Concilio Vaticano II ha ricordato che Cristo «rimane sempre il principio e la fonte della unità di vita dei presbiteri. Per raggiungerla, essi dovranno perciò unirsi a Lui nella scoperta della volontà del Padre e nel dono di sé per il gregge loro affidato. Così, rappresentando il Buon Pastore, nell’esercizio stesso della carità pastorale troveranno il vincolo della perfezione sacerdotale che realizzerà l’unità nella loro vita e attività» (Decr. Presbyterorum Ordinis, 14). Proprio su questa questione si è espresso: nelle occupazioni diverse, da ora ad ora, come trovare l’unità della vita, l’unità dell’essere sacerdote proprio da questa fonte dell’amicizia profonda con Gesù, dell’interiore essere insieme con Lui. Non c’è opposizione tra il bene della persona del sacerdote e la sua missione; anzi, la carità pastorale è elemento unificante di vita che parte da un rapporto sempre più intimo con Cristo nella preghiera per vivere il dono totale di se stessi per il gregge, in modo che il Popolo di Dio cresca nella comunione con Dio e sia manifestazione della comunione della Santissima Trinità. Ogni nostra azione, infatti, ha come scopo condurre i fedeli all’unione con il Signore e a fare così crescere la comunione ecclesiale per la salvezza del mondo. Le tre cose: unione personale con Dio, bene della Chiesa, bene dell’umanità nella sua totalità, non sono cose distinte od opposte, ma una sinfonia della fede vissuta.

Segno luminoso di questa carità pastorale e di un cuore indiviso sono il celibato sacerdotale e la verginità consacrata. Abbiamo cantato nell’Inno di sant’Ambrogio: «Se in te nasce il Figlio di Dio, conservi la vita incolpevole». «Accogliere Cristo – Christum suscipere» è un motivo che torna spesso nella predicazione del Santo Vescovo di Milano; cito un passo del suo Commento a san Luca: «Chi accoglie Cristo nell’intimo della sua casa viene saziato delle gioie più grandi» (Expos. Evangelii sec. Lucam, V, 16). Il Signore Gesù è stato la sua grande attrattiva, l’argomento principale della sua riflessione e predicazione, e soprattutto il termine di un amore vivo e confidente. Senza dubbio, l’amore per Gesù vale per tutti i cristiani, ma acquista un significato singolare per il sacerdote celibe e per chi ha risposto alla vocazione alla vita consacrata: solo e sempre in Cristo si trova la sorgente e il modello per ripetere quotidianamente il «sì» alla volontà di Dio. «Con quali legami Cristo è trattenuto?» – si chiedeva sant’Ambrogio, che con intensità sorprendente predicò e coltivò la verginità nella Chiesa, promuovendo anche la dignità della donna. Al quesito citato rispondeva: «Non con i nodi di corde, ma con i vincoli dell’amore e con l’affetto dell’anima» (De virginitate, 13, 77). E proprio in un celebre sermone alle vergini egli disse: «Cristo è tutto per noi: se desideri risanare le tue ferite, egli è medico; se sei angustiato dall’arsura della febbre, egli è fonte; se ti trovi oppresso dalla colpa, egli è giustizia; se hai bisogno di aiuto, egli è potenza; se hai paura della morte, egli è vita; se desideri il paradiso, egli è via; se rifuggi le tenebre, egli è luce; se sei in cerca di cibo, egli è nutrimento» (Ibid., 16, 99).

Cari Fratelli e Sorelle consacrati, vi ringrazio per la vostra testimonianza e vi incoraggio: guardate al futuro con fiducia, contando sulla fedeltà di Dio, che non mancherà mai, e la potenza della sua grazia, capace di operare sempre nuove meraviglie, anche in noi e con noi. Le antifone della salmodia di questo sabato ci hanno condotto a contemplare il mistero della Vergine Maria. In essa possiamo, infatti, riconoscere il «genere di vita verginale e povera che Cristo Signore si scelse per sé e che la Vergine Madre sua abbracciò» (Lumen gentium, 46), una vita in piena obbedienza alla volontà di Dio.

Ancora l’Inno ci ha richiamato le parole di Gesù sulla croce: «Dalla gloria del suo patibolo, Gesù parla alla Vergine: “Ecco tuo figlio, o donna”; “Giovanni, ecco tua madre”». Maria, Madre di Cristo, estende e prolunga anche in noi la sua divina maternità, affinché il ministero della Parola e dei Sacramenti, la vita di contemplazione e l’attività apostolica nelle molteplici forme perseverino, senza stanchezza e con coraggio, a servizio di Dio e a edificazione della sua Chiesa.

In questo momento, mi è caro rendere grazie a Dio per le schiere di sacerdoti ambrosiani, di religiosi e religiose che hanno speso le loro energie al servizio del Vangelo, giungendo talvolta fino al supremo sacrificio della vita. Alcuni di essi sono stati proposti al culto e all’imitazione dei fedeli anche in tempi recenti: i Beati sacerdoti Luigi Talamoni, Luigi Biraghi, Luigi Monza, Carlo Gnocchi, Serafino Morazzone; i Beati religiosi Giovanni Mazzucconi, Luigi Monti e Clemente Vismara, e le religiose Maria Anna Sala ed Enrichetta Alfieri. Per la loro comune intercessione chiediamo fiduciosi al Datore di ogni dono di rendere sempre fecondo il ministero dei sacerdoti, di rafforzare la testimonianza delle persone consacrate, per mostrare al mondo la bellezza della donazione a Cristo e alla Chiesa, e di rinnovare le famiglie cristiane secondo il disegno di Dio, perché siano luoghi di grazia e di santità, terreno fertile per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Amen. Grazie.

 

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE (1-3 GIUGNO 2012)

CONCERTO IN ONORE DEL SANTO PADRE E DELLE DELEGAZIONI UFFICIALI DELL’INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Teatro alla Scala di MilanoVenerdì, 1° giugno 2012

 

Signori Cardinali,Illustri Autorità,Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,Care Delegazioni del VII Incontro Mondiale delle Famiglie!

In questo luogo storico vorrei innanzitutto ricordare un evento: era l’11 maggio del 1946 e Arturo Toscanini alzò la bacchetta per dirigere un concerto memorabile nella Scala ricostruita dopo gli orrori della guerra. Narrano che il grande Maestro appena giunto qui a Milano si recò subito in questo Teatro e al centro della sala cominciò a battere le mani per provare se era stata mantenuta intatta la proverbiale acustica e sentendo che era perfetta esclamò: «E’ la Scala, è sempre la mia Scala!». In queste parole, «E’ la Scala!», è racchiuso il senso di questo luogo, tempio dell’Opera, punto di riferimento musicale e culturale non solo per Milano e per l’Italia, ma per tutto il mondo. E la Scala è legata a Milano in modo profondo, è una delle sue glorie più grandi e ho voluto ricordare quel maggio del 1946 perché la ricostruzione della Scala fu un segno di speranza per la ripresa della vita dell’intera Città dopo le distruzioni della Guerra. Per me allora è un onore essere qui con tutti voi e avere vissuto, con questo splendido concerto, un momento di elevazione dell’animo. Ringrazio il Sindaco, Avvocato Giuliano Pisapia, il Sovrintendente, Dott. Stéphane Lissner, anche per aver introdotto questa serata, ma soprattutto l’Orchestra e il Coro del Teatro alla Scala, i quattro  Solisti e il maestro Daniel Barenboim per l’intensa e coinvolgente interpretazione di uno dei capolavori assoluti della storia della musica. La gestazione della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven fu lunga e complessa, ma fin dalle celebri prime sedici battute del primo movimento, si crea un clima di attesa di qualcosa di grandioso e l’attesa non è delusa.

Beethoven pur seguendo sostanzialmente le forme e il linguaggio tradizionale della Sinfonia classica, fa percepire qualcosa di nuovo già dall’ampiezza senza precedenti di tutti i movimenti dell’opera, che si conferma con la parte finale introdotta da una terribile dissonanza, dalla quale si stacca il recitativo con le famose parole «O amici, non questi toni, intoniamone altri di più attraenti e gioiosi», parole che, in un certo senso, «voltano pagina» e introducono il tema principale dell’Inno alla Gioia. E’ una visione ideale di umanità quella che Beethoven disegna con la sua musica: «la gioia attiva nella fratellanza e nell’amore reciproco, sotto lo sguardo paterno di Dio» (Luigi Della Croce). Non è una gioia propriamente cristiana quella che Beethoven canta, è la gioia, però, della fraterna convivenza dei popoli, della vittoria sull’egoismo, ed è il desiderio che il cammino dell’umanità sia segnato dall’amore, quasi un invito che rivolge a tutti al di là di ogni barriera e convinzione.

Su questo concerto, che doveva essere una festa gioiosa in occasione di questo incontro di persone provenienti da quasi tutte le nazioni del mondo, vi è l’ombra del sisma che ha portato grande sofferenza su tanti abitanti del nostro Paese. Le parole riprese dall’Inno alla gioia di Schiller suonano come vuote per noi, anzi, sembrano non vere. Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti. Anche l’ipotesi che sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza.

In quest’ora, le parole di Beethoven, «Amici, non questi toni …», le vorremmo quasi riferire proprio a quelle di Schiller. Non questi toni. Non abbiamo bisogno di un discorso irreale di un Dio lontano e di una fratellanza non impegnativa. Siamo in cerca del Dio vicino. Cerchiamo una fraternità che, in mezzo alle sofferenze, sostiene l’altro e così aiuta ad andare avanti. Dopo questo concerto molti andranno all’adorazione eucaristica – al Dio che si è messo nelle nostre sofferenze e continua a farlo. Al Dio che soffre con noi e per noi e così ha reso gli uomini e le donne capaci di condividere la sofferenza dell’altro e di trasformarla in amore. Proprio a ciò ci sentiamo chiamati da questo concerto.

Grazie, allora, ancora una volta all’Orchestra e al Coro del Teatro alla Scala, ai Solisti e a quanti hanno reso possibile questo evento. Grazie al Maestro Daniel Barenboim anche perché con la scelta della Nona Sinfonia di Beethoven ci permette di lanciare un messaggio con la musica che affermi il valore fondamentale della solidarietà, della fraternità e della pace. E mi pare che questo messaggio sia prezioso anche per la famiglia, perché è in famiglia che si sperimenta per la prima volta come la persona umana non sia creata per vivere chiusa in se stessa, ma in relazione con gli altri; è in famiglia che si comprende come la realizzazione di sé non sta nel mettersi al centro, guidati dall’egoismo, ma nel donarsi; è in famiglia che si inizia ad accendere nel cuore la luce della pace perché illumini questo nostro mondo. E grazie a tutti voi per il momento che abbiamo vissuto assieme. Grazie di cuore!

 

VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANOE VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE(1-3 GIUGNO 2012)

INCONTRO CON LA CITTADINANZA

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Piazza Duomo, MilanoVenerdì, 1° giugno 2012

 

Signor Sindaco,Distinte Autorità,Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio,Cari fratelli e sorelle dell’Arcidiocesi di Milano!

Saluto cordialmente tutti voi qui convenuti così numerosi, come pure quanti seguono questo evento attraverso la radio e la televisione. Grazie per la vostra calorosa accoglienza! Ringrazio il Signor Sindaco per le cortesi espressioni di benvenuto che mi ha indirizzato a nome della comunità civica. Saluto con deferenza il Rappresentante del Governo, il Presidente della Regione, il Presidente della Provincia, nonché gli altri rappresentanti delle Istituzioni civili e militari, ed esprimo il mio apprezzamento per la collaborazione offerta per i diversi momenti di questa visita. E grazie a lei, Eminenza, per il cordiale saluto!

Sono molto lieto di essere oggi in mezzo a voi e ringrazio Dio, che mi offre l’opportunità di visitare la vostra illustre Città. Il mio primo incontro con i Milanesi avviene in questa Piazza del Duomo, cuore di Milano, dove sorge l’imponente monumento simbolo della Città. Con la sua selva di guglie esso invita a guardare in alto, a Dio. Proprio tale slancio verso il cielo ha sempre caratterizzato Milano e le ha permesso nel tempo di rispondere con frutto alla sua vocazione: essere un crocevia – Mediolanum – di popoli e di culture. La città ha così saputo coniugare sapientemente l’orgoglio per la propria identità con la capacità di accogliere ogni contributo positivo che, nel corso della storia, le veniva offerto. Ancora oggi, Milano è chiamata a riscoprire questo suo ruolo positivo, foriero di sviluppo e di pace per tutta l’Italia. Il mio «grazie» cordiale va, ancora una volta, al Pastore di questa Arcidiocesi, il Cardinale Angelo Scola, per l’accoglienza e le parole che mi ha rivolto a nome dell’intera Comunità diocesana; con lui saluto i Vescovi Ausiliari e chi lo ha preceduto su questa gloriosa e antica Cattedra, il Cardinale Dionigi Tettamanzi e il Cardinale Carlo Maria Martini.

Rivolgo un particolare saluto ai rappresentanti delle famiglie – provenienti da tutto il mondo – che partecipano al VII Incontro Mondiale. Un pensiero affettuoso indirizzo poi a quanti hanno bisogno di aiuto e di conforto, e sono afflitti da varie preoccupazioni: alle persone sole o in difficoltà, ai disoccupati, agli ammalati, ai carcerati, a quanti sono privi di una casa o dell’indispensabile per vivere una vita dignitosa. Non manchi a nessuno di questi nostri fratelli e sorelle l’interessamento solidale e costante della collettività. A tale proposito, mi compiaccio di quanto la Diocesi di Milano ha fatto e continua a fare per andare incontro concretamente alle necessità delle famiglie più colpite dalla crisi economico-finanziaria, e per essersi attivata subito, assieme all’intera Chiesa e società civile in Italia, per soccorrere le popolazioni terremotate dell’Emilia Romagna, che sono nel nostro cuore e nelle nostre preghiere e per le quali invito, ancora una volta, ad una generosa solidarietà.

Il VII Incontro Mondiale delle Famiglie mi offre la gradita occasione di visitare la vostra Città e di rinnovare i vincoli stretti e costanti che legano la comunità ambrosiana alla Chiesa di Roma e al Successore di Pietro. Come è noto, sant’Ambrogio proveniva da una famiglia romana e ha mantenuto sempre vivo il suo legame con la Città Eterna e con la Chiesa di Roma, manifestando ed elogiando il primato del Vescovo che la presiede. In Pietro – egli afferma – «c’è il fondamento della Chiesa e il magistero della disciplina» (De virginitate, 16, 105); e ancora la nota dichiarazione: «Dove c’è Pietro, là c’è la Chiesa» (Explanatio Psalmi 40, 30, 5). La saggezza pastorale e il magistero di Ambrogio sull’ortodossia della fede e sulla vita cristiana lasceranno un’impronta indelebile nella Chiesa universale e, in particolare, segneranno la Chiesa di Milano, che non ha mai cessato di coltivarne la memoria e di conservarne lo spirito. La Chiesa ambrosiana, custodendo le prerogative del suo rito e le espressioni proprie dell’unica fede, è chiamata a vivere in pienezza la cattolicità della Chiesa una, a testimoniarla e a contribuire ad arricchirla.

Il profondo senso ecclesiale e il sincero affetto di comunione con il Successore di Pietro, fanno parte della ricchezza e dell’identità della vostra Chiesa lungo tutto il suo cammino, e si manifestano in modo luminoso nelle figure dei grandi Pastori che l’hanno guidata. Anzitutto san Carlo Borromeo: figlio della vostra terra. Egli fu, come disse il Servo di Dio Paolo VI, «un plasmatore della coscienza e del costume del popolo» (Discorso ai Milanesi, 18 marzo 1968); e lo fu soprattutto con l’applicazione ampia, tenace e rigorosa delle riforme tridentine, con la creazione di istituzioni rinnovatrici, a cominciare dai Seminari, e con la sua sconfinata carità pastorale radicata in una profonda unione con Dio, accompagnata da una esemplare austerità di vita. Ma, insieme con i santi Ambrogio e Carlo, desidero ricordare altri eccellenti Pastori più vicini a noi, che hanno impreziosito con la santità e la dottrina la Chiesa di Milano: il beato Cardinale Andrea Carlo Ferrari, apostolo della catechesi e degli oratori e promotore del rinnovamento sociale in senso cristiano; il beato Alfredo Ildefonso Schuster, il «Cardinale della preghiera», Pastore infaticabile, fino alla consumazione totale di se stesso per i suoi fedeli. Inoltre, desidero ricordare due Arcivescovi di Milano che divennero Pontefici: Achille Ratti, Papa Pio XI; alla sua determinazione si deve la positiva conclusione della Questione Romana e la costituzione dello Stato della Città del Vaticano; e il Servo di Dio Giovanni Battista Montini, Paolo VI, buono e sapiente, che, con mano esperta, seppe guidare e portare ad esito felice il Concilio Vaticano II. Nella Chiesa ambrosiana sono maturati inoltre alcuni frutti spirituali particolarmente significativi per il nostro tempo. Tra tutti voglio oggi ricordare, proprio pensando alle famiglie, santa Gianna Beretta Molla, sposa e madre, donna impegnata nell’ambito ecclesiale e civile, che fece splendere la bellezza e la gioia della fede, della speranza e della carità.

Cari amici, la vostra storia è ricchissima di cultura e di fede. Tale ricchezza ha innervato l’arte, la musica, la letteratura, la cultura, l’industria, la politica, lo sport, le iniziative di solidarietà di Milano e dell’intera Arcidiocesi. Spetta ora a voi, eredi di un glorioso passato e di un patrimonio spirituale di inestimabile valore, impegnarvi per trasmettere alle future generazioni la fiaccola di una così luminosa tradizione. Voi ben sapete quanto sia urgente immettere nell’attuale contesto culturale il lievito evangelico. La fede in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, vivente in mezzo a noi, deve animare tutto il tessuto della vita, personale e comunitaria, pubblica e privata, privata e pubblica, così da consentire uno stabile e autentico “ben essere”, a partire dalla famiglia, che va riscoperta quale patrimonio principale dell’umanità, coefficiente e segno di una vera e stabile cultura in favore dell’uomo. La singolare identità di Milano non la deve isolare né separare, chiudendola in se stessa. Al contrario, conservando la linfa delle sue radici e i tratti caratteristici della sua storia, essa è chiamata a guardare al futuro con speranza, coltivando un legame intimo e propulsivo con la vita di tutta l’Italia e dell’Europa. Nella chiara distinzione dei ruoli e delle finalità, la Milano positivamente “laica” e la Milano della fede sono chiamate a concorrere al bene comune.

Cari fratelli e sorelle, grazie ancora per la vostra accoglienza! Vi affido alla protezione della Vergine Maria, che dalla più alta guglia del Duomo maternamente veglia giorno e notte su questa Città. A tutti voi, che stringo in un grande abbraccio, dono la mia affettuosa Benedizione. Grazie!

Giorno per giorno con il Sacro Cuore di Gesù.

normal_l29.jpgIl sacro Cuore di Gesù
 
Una delle devozioni più diffuse tra il popolo cristiano è la devozione al sacro Cuore di Gesù. Non si tratta tuttavia di una devozione fra tante, perché è stata rivestita dalla Chiesa di una dignità tutta particolare e si situa al centro della rivelazione cristiana.
Il documento guida in materia è certamente l’enciclica di Pio XII, Haurietis aquas (Attingerete alle acque) del 15 maggio 1956, testo che andrebbe letto e meditato per intero. Questa devozione – contenuta in germe nella Sacra Scrittura, approfondita dai santi Padri, dai Dottori della Chiesa e dai grandi mistici medioevali – ha avuto un particolare incremento e la sua configurazione odierna in seguito alle apparizioni di Gesù Cristo a santa Margherita Maria Alacoque, nel monastero di Paray-le-Monial, a partire dal 27 dicembre 1673.
Da allora, superate numerose difficoltà teologiche e liturgiche, si è diffusa rapidamente fra tutte le categorie del popolo cristiano, mentre la Chiesa la ha elevata alla dignità liturgica di «solennità». In effetti essa rappresenta il centro della spiritualità cristiana e la chiave di comprensione insieme più semplice e più profonda di tutta quanta la storia della salvezza.
 Non è un caso che le apparizioni a santa Margherita Maria si situino nel momento cruciale di affermazione del mondo moderno e che il simbolo del sacro Cuore sia apparso sempre come il più caratteristico in tutti i movimenti di resistenza alle correnti anticristiane della modernità.
Pio XII sottolinea che – nonostante l’importanza di Paray-le-Monial per il suo sviluppo – l’origine della devozione è nella Scrittura. E’ lo stesso Gesù che per primo presenta il suo Cuore come fonte di ristoro e di pace: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11,28-30).
In san Giovanni si legge come venne trafitto il Cuore di Cristo, l’uscita da esso del sangue e dell’acqua e il particolarissimo significato simbolico che il quarto evangelista attribuisce al fatto (Gv 19,33-37). Anche nell’Apocalisse Gesù è presentato come un Agnello «ucciso», cioè «trafitto» (cfr. Apoc 5,6; 1,7).
Detto questo le apparizioni a santa Margherita Maria conservano un’importanza eccezionale. Si dovrebbe anzi dire che nella storia della Chiesa nessun’altra comunicazione divina – al di fuori della Bibbia – ha ricevuto tante approvazioni e incoraggiamenti dal magistero della Chiesa come le rivelazioni del Cuore di Cristo a Paray-le-Monial.
In esse sono particolarmente famose «le dodici promesse». Come nella Bibbia, Dio lega il suo intervento a delle «promesse». Se l’Alleanza in Gesù Cristo si è fatta definitiva, essa è tuttavia ancora aperta nella storia, perché continuamente offerta alla libertà dell’uomo, finché dura il tempo in cui si può meritare. Al «vero devoto» del sacro Cuore, cioè a chi è ben convinto di essere, con i propri peccati, colui che ha «trafitto» il Cuore di Gesù e, consapevole del suo amore immenso, vive la propria vita nella prospettiva della riparazione, queste promesse sono di nuovo offerte. E «Dio è fedele» (1 Cor 10,13). Eccole, secondo la prima antica lettura:
 
Le dodici promesse
 
1. Darò loro (alle persone devote del mio Cuore) tutte le grazie necessarie al loro stato.
 2. Metterò la pace nelle loro famiglie.
3. Le consolerò in tutte le loro afflizioni.
4. Sarò il loro rifugio in vita e soprattutto nella loro morte.
5. Benedirò le loro imprese.
6. I peccatori troveranno misericordia.
7. I tiepidi diventeranno ferventi.
8. I ferventi saliranno presto a grande perfezione.
9. Benedirò il luogo dove l’immagine del mio Cuore sarà esposta e onorata. 10. Darò loro le grazie di toccare i cuori più duri.
11. Le persone che propagano questa devozione avranno il loro nome scritto nel mio Cuore e non sarà mai cancellato.
12. Io prometto nell’eccesso grande di misericordia del mio Cuore che il suo amore onnipotente accorderà a tutti coloro che si comunicheranno il primo venerdì del mese, per nove mesi consecutivi, la grazia della penitenza finale e non morranno in mia disgrazia né senza ricevere i sacramenti e il mio Cuore sarà per essi un asilo sicuro negli ultimi momenti.

La storia della dovozione. Come nasce e come si sviluppa e si diffonde!

Sacro Cuore di Gesù, confido in Te!;
Dolce Cuore del mio Gesù, fa ch’io t’ami sempre più!;
O Gesù di amore acceso, non Ti avessi mai offeso!.
Queste sono alcune delle tante amorose e devote giaculatorie, che nei secoli sono state e sono pronunciate dai cattolici in onore del Sacro Cuore di Gesù, che nella loro semplice poesia, esprimono la riconoscenza per l’amore infinito di Gesù dato all’umanità e nello stesso tempo la volontà di ricambiare, delle tante anime infiammate e innamorate di Cristo.
Al Sacro Cuore di Gesù, la Chiesa Cattolica, rende un culto di “latria” (adorazione solo a Dio, Gesù Cristo, l’Eucaristia), intendendo così onorare: I – il Cuore di Gesù Cristo, uno degli organi simboleggianti la sua umanità, che per l’intima unione con la Divinità, ha diritto all’adorazione; II – l’amore del Salvatore per gli uomini, di cui è simbolo il Suo Cuore.
Questa devozione già praticata nell’antichità cristiana e nel Medioevo, si diffuse nel secolo XVII ad opera di S. Giovanni Eudes (1601-1680) e soprattutto di S. Margherita Maria Alacoque (1647-1690). La festa del Sacro Cuore fu celebrata per la prima volta in Francia, probabilmente nel 1685.
Santa Margherita Maria Alacoque, suora francese, entrò il 20 giugno 1671 nel convento delle Visitandine di Paray-le-Monial (Saone-et-Loire), visse con grande semplicità e misticismo la sua esperienza di religiosa e morì il 17 ottobre 1690 ad appena 43 anni.
Sotto questa apparente uniformità, si nascondeva però una di quelle grandi vite del secolo XVII, infatti nel semplice ambiente del chiostro della Visitazione, si svolsero le principali tappe dell’ascesa spirituale di Margherita, diventata la messaggera del Cuore di Gesù nell’epoca moderna.
Ella già prima di entrare nel convento, era dotata di doni mistici che si accentuarono con la sua nuova condizione di religiosa; ebbe numerose manifestazioni mistiche, ma nel 1673 cominciarono le grandi visioni che resero famoso il suo nome; esse furono quattro rivelazioni principali, oltre numerose altre di minore importanza.
La prima visione avvenne il 27 dicembre 1673, festa di s. Giovanni Evangelista, Gesù le apparve e Margherita si sentì “tutta investita della divina presenza”; la invitò a prendere il posto che s. Giovanni aveva occupato durante l’Ultima Cena e le disse: “Il mio divino Cuore è così appassionato d’amore per gli uomini, che non potendo più racchiudere in sé le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le spanda. Io ti ho scelta per adempiere a questo grande disegno, affinché tutto sia fatto da me”.
Una seconda visione le apparve agli inizi del 1674, forse un venerdì; il divin Cuore si manifestò su un trono di fiamme, più raggiante del sole e trasparente come cristallo, circondato da una corona di spine simboleggianti le ferite inferte dai nostri peccati e sormontato da una croce, perché dal primo istante che era stato formato, era già pieno d’ogni amarezza.
Sempre nel 1674 le apparve la terza visione, anche questa volta un venerdì dopo la festa del Corpus Domini; Gesù si presentò alla santa tutto sfolgorante di gloria, con le sue cinque piaghe, brillanti come soli e da quella sacra umanità uscivano fiamme da ogni parte, ma soprattutto dal suo mirabile petto che rassomigliava ad una fornace e essendosi aperto, ella scoprì l’amabile e amante Cuore, la vera sorgente di quelle fiamme.
Poi Gesù lamentando l’ingratitudine degli uomini e la noncuranza rispetto ai suoi sforzi per far loro del bene, le chiese di supplire a questo. Gesù la sollecitò a fare la Comunione al primo venerdì di ogni mese e di prosternarsi con la faccia a terra dalle undici a mezzanotte, nella notte tra il giovedì e il venerdì.
Vennero così indicate le due principali devozioni, la Comunione al primo venerdì di ogni mese e l’ora santa di adorazione.
La quarta rivelazione più meravigliosa e decisiva, ebbe luogo il 16 giugno 1675 durante l’ottava del Corpus Domini. Nostro Signore le disse che si sentiva ferito dalle irriverenze dei fedeli e dai sacrilegi degli empi, aggiungendo: “Ciò che mi è ancor più sensibile è che sono i cuori a me consacrati che fanno questo”.
Gesù chiese ancora che il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini, fosse dedicato a una festa particolare per onorare il suo Cuore e con Comunioni per riparare alle offese da lui ricevute. Inoltre indicò come esecutore della diffusione di questa devozione, il padre spirituale di Margherita, il gesuita san Claude de la Colombiere (1641-1682), superiore della vicina Casa dei Gesuiti di Paray-le-Monial.
Margherita Maria Alacoque proclamata santa il 13 maggio 1920 da papa Benedetto XV, ubbidì all’appello divino fatto attraverso le visioni e divenne l’apostola di una devozione che doveva trasportare all’adorazione dei fedeli al Cuore divino, fonte e focolaio di tutti i sentimenti che Dio ci ha testimoniati e di tutti i favori che ci ha concessi.
Le prime due cerimonie in onore del Sacro Cuore, presente la santa mistica, si ebbero nell’ambito del Noviziato di Paray il 20 luglio 1685 e poi il 21 giugno 1686, a cui partecipò tutta la Comunità delle Visitandine.
A partire da quella data, il movimento non si sarebbe più fermato, nonostante tutte le avversità che si presentarono specie nel XVIII secolo circa l’oggetto di questo culto.
Nel 1765 la Sacra Congregazione dei Riti affermò essere il cuore di carne simbolo dell’amore; allora i giansenisti intesero ciò come un atto di idolatria, ritenendo essere possibile un culto solo al cuore non reale ma metaforico.
Papa Pio VI (1775-1799) nella bolla “Auctorem fidei”, confermava l’espressione della Congregazione notando che si adora il cuore “inseparabilmente unito con la Persona del Verbo”.
Il 6 febbraio 1765 papa Clemente XIII (1758-1769) accordò alla Polonia e all’Arciconfraternita romana del Sacro Cuore la festa del Sacro Cuore di Gesù; nel pensiero del papa questa nuova festa doveva diffondere nella Chiesa, i passi principali del messaggio di s. Margherita, la quale era stata lo strumento privilegiato della diffusione di un culto, che era sempre esistito nella Chiesa sotto diverse forme, ma dandogli tuttavia un nuovo orientamento.
Con lei non sarebbe più stata soltanto una amorosa contemplazione e un’adorazione di quel “Cuore che ha tanto amato”, ma anche una riparazione per le offese e ingratitudini ricevute, tramite il perfezionamento delle nostre esistenze.
Diceva la santa che “l’amore rende le anime conformi”, cioè il Signore vuole ispirare nelle anime un amore generoso che, rispondendo al suo, li assimili interiormente al divino modello.
Le visioni e i messaggi ricevuti da s. Margherita Maria Alacoque furono e resteranno per sempre un picco spirituale, dove venne ricordato al mondo, l’amore appassionato di Gesù per gli uomini e dove fu chiesta a loro una risposta d’amore, di fronte al “Cuore che si è consumato per essi”.
La devozione al Sacro Cuore trionfò nel XIX secolo e il convento di Paray-le-Monial divenne meta di continui pellegrinaggi; nel 1856 con papa Pio IX la festa del Sacro Cuore divenne universale per tutta la Chiesa Cattolica.
Sull’onda della devozione che ormai coinvolgeva tutto il mondo cattolico, sorsero dappertutto cappelle, oratori, chiese, basiliche e santuari dedicati al Sacro Cuore di Gesù; ricordiamo uno fra tutti il Santuario “Sacro Cuore” a Montmartre a Parigi, iniziato nel 1876 e terminato di costruire dopo 40 anni; tutte le categorie sociali e militari della Francia, contribuirono all’imponente spesa.
Proliferarono quadri e stampe raffiguranti il Sacro Cuore fiammeggiante, quasi sempre posto sul petto di Gesù che lo indica agli uomini; si organizzò la pia pratica del 1° venerdì del mese, i cui aderenti portano uno scapolare con la raffigurazione del Cuore; si composero le meravigliose “Litanie del Sacro Cuore”; si dedicò il mese di giugno al suo culto.
Affinché il culto del Cuore di Gesù, iniziato nella vita mistica delle anime, esca e penetri nella vita sociale dei popoli, iniziò, su esortazione di papa Pio IX del 1876, tutto un movimento di “Atti di consacrazione al Cuore di Gesù”, a partire dalla famiglia a quella di intere Nazioni ad opera di Conferenze Episcopali, ma anche di illuminati e devoti governanti; cito per tutti il presidente dell’Ecuador, Gabriel Garcia Moreno (1821-1875).
Fu tanto il fervore, che per tutto l’Ottocento e primi decenni del Novecento, fu dedicato al culto del Sacro Cuore, che di riflesso sorsero numerose congregazioni religiose, sia maschili che femminili, tra le principali vi sono: “Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore” fondata nel 1874 dal beato Leone Dehon (Dehoniani); “Figli del Sacro Cuore di Gesù” o Missioni africane di Verona, congregazione fondata nel 1867 da san Daniele Comboni (Comboniani); “Dame del Sacro Cuore” fondate nel 1800 da santa Maddalena Sofia Barat; “Ancelle del Sacro Cuore di Gesù” fondate nel 1865 dalla beata Caterina Volpicelli, diversi Istituti femminili portano la stessa denominazione.
Attualmente la festa del Sacro Cuore di Gesù viene celebrata il venerdì dopo la solennità del Corpus Domini, visto che detta ricorrenza è stata spostata alla domenica; il sabato che segue è dedicato al Cuore Immacolato di Maria, quale segno di comune devozione ai Sacri Cuori di Gesù e Maria, inscindibili per il grande amore donato all’umanità.
In un papiro egiziano di circa 4000 anni fa, troviamo l’espressione della comune nostalgia d’amore: “Cerco un cuore su cui appoggiare la mia testa e non lo trovo, non ci sono più amici!”.
Lo sconosciuto poeta egiziano era dolente per ciò, ma noi siamo più fortunati, perché l’abbiamo questo cuore e questo amico, al pari di s. Giovanni Evangelista che poggiò fisicamente il suo capo sul petto e cuore di Gesù.
Possiamo avere piena fiducia in un simile amico, Egli vivendo in perfetta intimità col Padre, sa e può rivelarci tutto ciò che serve per il nostro bene.

 

La devozione al Sacro Cuore oggi. Il mese di giugno in suo onore!

Oggi 1 giugno 2012 inizia il mese in onore del Sacro Cruore di Gesù, la cui festa ricorre quest’anno il 15 giugno. Coincide con il primo venerdi del mese in onore del Sacro Cuore che tutti abbiamo fatto e che oggi, dopo nove mesi, si concludono per riprendere a giugno.

Intendendo aiutarvi nel cammino spirituale in questo mese dedicato al Sacro Cuore, dopo averlo fatto con il mese di maggio, ecco qui alcuni pensieri spirituali sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù che spero sia forte in ciascuno di voi. Leggeteli, meditateci sopra ed impegnatevi a corrispondervi ogni giorno della vostra vita.

“Dimora di continuo nel Sacro Cuore di Gesù: pregalo incessantemente ad investirti tuttissima dello spirito suo, e ad animarti dei di Lui sentimenti: digli che Ti accenda coll’amor suo, Ti purifichi, Ti consumi”.

“Volete dunque la vera pace, una soda felicità? Cercatela nel Cuore adorabilissimo di Gesù Cristo che è la sede dell’amore”.

“Prega e fa pregare l’Adorabile Cuore di Gesù per bisogni della S. Chiesa; prega e fa pregare per l’Istituto, onde i suoi membri siano in tutto conformati a quel Cuore divino tutto acceso di carità verso Dio e verso gli uomini”.

“Prega molto il Sacro Cuore di Gesù che si degni amar molto questa sua Congregazione: che mandi molti soggetti, e tutti investiti del Suo spirito: che si formino affatto secondo II Cuore Adorabile di Gesù”.

“Se vuoi gioia vera e vera felicità non la troverai che in Dio solo e nel suo amore; noi siamo fatti per Dio, e Dio solo ci può siddisfare, tutto il resto è meno di noi e ci avvilisce…”.  

“Andate alla sorgente dell’amore divino per riempirvi dello stesso amore, gettatevi nel S. Cuore e amate coll’amor suo, Egli sta aperto per ricevervi e vi brama amanti come lui è amante…”

“Beate voi, beata la Società! Una sola di voi così ripiena dello spirito del S. Cuore, e del divino Amore, conterà più e opererà con più efficacia che dieci, che cento, ancor mo ripiene di se stesse”.

“Voi che avete lo Spirito dell’Istituto e per conseguenza lo spirito del S. Cuore, ricorrete a Lui con figliale e tenera confidenza”.

“Figlie carissime! aprite l’anima vostra e il vostro cuore, per ricevere lo Spirito di Gesù Cristo che Egli vi comunica”.

“Animo e coraggio o Figlie carissime! Figlie predilette del sacro Cuore! Fissate di colpo e attentamente l’occhio vostro nello Sposo; specchiatevi in quel Divino Modello onde a Lui uniformarvi, in Lui trasformarvi, vi in Lui!”

“…Abbiate in Gesù una confidenza illimitata, amorosa, inalterabile, grande, se fosse possibile, com’è grande il suo Cuore di Gesù”.

“Le figlie del S. Cuore devono ardere, verso i loro prossimi, della carità stessa di Gesù Cristo che in Esse ha trasmessa dall’istante che se Le scelse a Spose, a Figlie del  Cuor suo Divino.”

“Gesù Sacramentato sia il vostro tesoro. Egli formi il gaudio, la gioia, la felicità, il Paradiso vostro”.

“Onorate nel SS.mo Cuore la parte più nobile dell’umanità sacrosanta di G.C. e la Sede dell’amore di quell’amore infinito con cui ama Dio quanto e come merita e amandolo lo onora infinitamente”.

“Il Cuore di Gesù Cristo è sede di tutte le virtù, emporio di tutte le grazie: ogni virtù in Lui è perfettissima, è divina, come divino è il suo Cuore”.

“Qualunque sia il vostro bisogno, e quantunque grande e grave, nel Cuore di Gesù troverete  un rimedio traboccante, essendo quel Cuore Divino, un abisso in cui ogni cosa si trova”.

La devozione al Sacro Cuore di Gesù

Non c’è nulla nella devozione al Sacro Cuore di Gesù, che non sia già contenuta in nuce nel Vangelo di San Giovanni, il privilegiato che poté davvero posare fisicamente il capo sul petto del Maestro durante la sua vita terrena e che restandogli sempre accanto, meritò l’onore di custodirne la Madre.

Che tale esperienza dovesse coincidere con un trattamento speciale è implicito non solo nei Vangeli, ma in tutta la tradizione proto cristiana, prendendo a fondamento il famoso passo episodio in cui Gesù investì della dignità papale Pietro, lasciando discosto Giovanni (Gv. 21, 19-23)

Da questo fatto e dalla sua eccezionale longevità, (morì ultra centenario) nacque la convinzione che l’amore e la confidenza nutrita nei confronti del Maestro costituissero una specie di canale privilegiato per giungere direttamente a Dio, indipendentemente dall’osservazione degli altri precetti. In realtà nulla giustifica questa convinzione negli scritti dell’Apostolo e soprattutto nel suo Vangelo, che giunge tardivo, dietro esplicita ed insistente domanda dei discepoli e vuol essere un approfondimento, non una modifica di quanto già affermato dai sinottici. Casomai l’amore per Cristo rappresenta un incentivo ad osservare più scrupolosamente le leggi, in modo da divenire appunto tempio vivente di quel Verbo che rappresenta l’unica luce del mondo, come spiega l’indimenticabile Prologo.

Per millecinquecento anni la devozione al Cuore come idealizzazione dell’Amore Divino restò dunque una realtà implicita alla vita mistica, che nessuno provò la necessità di promuovere come una pratica a se’ stante. Innumerevoli sono i riferimenti presenti in San Bernardo di Chiaravalle (990-1153), che tra l’altro introduce la simbologia della rosa rossa come trasfigurazione del sangue, mentre S.Ildegarde di Bingen (1098-1180) “vede” il Maestro e ne ha la consolante promessa della prossima nascita degli ordini Francescano e Domenicano, atti ad ostacolare il diffondersi delle eresie.

Nel XII sec. il centro di questa devozione è senza dubbio il monastero benedettino di Helfta, in Sassonia (Germania) con santa Lutgarda, Santa Matilde di Hackeborn, che lascia alle consorelle un piccolo diario delle sue esperienze mistiche, in cui compaiono delle preghiere al Sacro Cuore. Quasi certamente Dante si riferisce a lei quando parla di “Matelda”. Nello stesso monastero di Helfta giunge nel 1261 una bimba di cinque anni che mostra già una precoce inclinazione per la vita religiosa: Geltrude. Morirà agli inizi del nuovo secolo, dopo aver ricevuto le sacre stimmate. Con tutta la prudenza che la Chiesa consiglia di fronte alle rivelazioni private, va segnalato il fatto che la santa si intratteneva in sacre conversazioni con l’Evangelista Giovanni, a cui chiese perché non si rivelasse agli uomini quale porto sicuro fosse il Sacro Cuore di Gesù contro le insidie del peccato… le fu risposto che questa devozione era riservata agli ultimi tempi.

Ciò non impedisce una maturazione teologica della devozione stessa, che attraverso la predicazione degli ordini mendicanti francescano e domenicano diffonde anche fra i laici una spiritualità radicale. Si concretizza così una svolta: se fino allora il cristianesimo era stato trionfante, con lo sguardo fisso alla gloria del Cristo Risorto, ora si verifica una crescente attenzione all’Umanità del Redentore, alla sua vulnerabilità, dall’infanzia alla passione. Nascono così le pie pratiche del Presepio e della Via Crucis, innanzitutto come rappresentazioni collettive atte a far rivivere i grandi momenti della vita di Cristo, poi come devozioni domestiche, incrementando l’uso di quadri ed immagini sacre di vario tipo. Purtroppo l’arte sacra ed i suoi costi daranno scandalo a Lutero, che insorgerà contro la “banalizzazione” della fede ed insisterà per un più rigoroso ritorno alla Bibbia. La Chiesa Cattolica pur difendendo la tradizione si vedrà dunque costretta a disciplinarla, fissando i canoni delle rappresentazioni sacre e delle devozioni domestiche.

Apparentemente dunque la confidenza libera che aveva ispirato tanta fede laica negli ultimi due secoli veniva frenata, se non addirittura colpevolizzata.

Ma un’inaspettata reazione era nell’aria: di fronte alla paura del demonio, così come esplode con l’eresia luterana e le relative guerre di religione, quella “devozione al Sacro Cuore” che doveva consolare le anime negli ultimi tempi diventa finalmente un patrimonio universale.

Il teorizzatore fu san Giovanni Eudes, vissuto fra il 1601 ed il 1680, che si concentra sull’identificazione con l’Umanità del Verbo Incarnato, fino ad imitarne intenzioni, voleri e sentimenti.e naturalmente l’affetto per Maria. Il santo non avverte nessuna necessità di separare la vita contemplativa dall’impegno sociale, che era un po’ il vessillo delle chiese riformate. Al contrario invita a cercare proprio nella fiducia ai Sacri Cuori la forza per operare meglio nel mondo. Nel 1648 riesce ad ottenere l’approvazione di un Ufficio Liturgico ed una Messa scritti in onore del Sacro Cuore della Vergine, nel 1672 quelli del Cuore di Gesù. La principessa Francesca di Lorena, badessa delle benedettine di San Pietro a Montmartre, riesce a coinvolgere nella devozione vari membri della famiglia reale.

La sera del 27 dicembre 1673, festa di S. Giovanni Evangelista, Gesù in carne ed ossa appare a Margherita Maria, al secolo Alacoque, una giovane suora dell’ordine delle Visitandine di Paray, che in quel momento esercitava le funzioni d’aiuto infermiera. Il Maestro la invita a prendere il posto di San Giovanni durante l’Ultima Cena “il Mio Divino Cuore” dice “è così appassionato d’amore per gli uomini… che non potendo più racchiudere in se’ le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le spanda… io ti ho scelta come un abisso d’indegnità e d’ignoranza per adempiere a questo grande disegno, affinché tutto sia fatto da me.”

Qualche giorno dopo la visione si ripete ancora, molto più impressionante: Gesù è seduto su un trono di fiamme, più raggiante del sole e trasparente come il cristallo, il suo cuore è circondato da una corona di spine simboleggianti le ferite inferte dai peccati e sormontato da una croce. Margherita contempla sconvolta e non osa far parola a nessuno con ciò che le accade.

Finalmente il primo venerdì dopo la festa del Corpus Domini, durante l’adorazione, Gesù rivela il suo progetto di salvezza: chiede la comunione riparatrice il primo venerdì di ogni mese ed un’ora di meditazione sull’agonia nell’orto dei Gezemani, ogni giovedì sera, tra le 23 e mezzanotte. Domenica 16 giugno 1675 fu chiesta una festa particolare per onorare il Suo cuore, il primo venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini, in quest’occasione si offriranno preghiere riparatrici per tutti gli oltraggi ricevuti nel Santissimo Sacramento dell’altare.

Margherita alterna stati di fiducioso abbandono a momenti di crudele depressione. Le comunioni frequenti e la libera meditazione personale non rientrano nello spirito della sua regola, in cui le ore sono scandite dagli impegni comunitari e come se non bastasse la sua delicata costituzione rende la superiora, Madre Saumaise, molto avara di permessi. Quando quest’ultima chiede un primo parere alle autorità ecclesiastiche di Paray il responso è scoraggiante: “nutrite meglio sorella Alacoque” le viene risposto “e le sue inquietudini spariranno!” Se fosse davvero vittima d’illusioni demoniache? Ed anche ammettendo la verità delle apparizioni, come conciliare il dovere dell’umiltà e del raccoglimento claustrale con il progetto di diffondere la nuova devozione nel mondo? L’eco delle guerre di religione non è ancora spento e la Borgogna è tanto più vicina a Ginevra che a Parigi! Nel marzo del 1675 giunge in qualità di confessore del convento il beato padre Claudio de la Colombière, superiore della comunità religiosa dei Gesuiti, che rassicura pienamente le suore sulla verità delle rivelazioni avute. Da questo momento la devozione è proposta con prudenza anche al mondo esterno, soprattutto ad opera dei Gesuiti, dato che la santa era in clausura e la sua salute resterà malferma per tutta la vita. Tutto quello che sappiamo di lei è ricavato dall’autobiografia realizzata dal 1685 al 1686 su consiglio di padre Ignazio Rolin, il gesuita che fu il suo direttore spirituale in quel periodo e dalle numerose lettere che la santa inviava a padre Claudio de la Colombière una volta che questi fu trasferito, nonché alle altre suore dell’ordine.

Le così dette “dodici promesse” del Sacro Cuore con cui fin dapprincipio si è sintetizzato il messaggio, sono tratte tutte appunto dall’epistolario della santa, perché nell’Autobiografia non ci sono consigli pratici:

ai devoti del mio Sacro Cuore darò tutte le grazie e gli aiuti necessari al loro stato (lett. 141)

stabilirò e manterrò la pace nelle loro famiglie (lett. 35)

li consolerò in tutte le loro afflizioni (lett. 141)

sarò per loro sicuro rifugio in vita e soprattutto nell’ora della morte (lett. 141)

spargerò abbondanti benedizioni su tutte le loro fatiche ed imprese (lett. 141)

i peccatori troveranno nel mio Cuore una inesauribile fonte di misericordia (lett. 132)

le anime tiepide diventeranno ferventi con la pratica di questa devozione (lett. 132)

le anime ferventi saliranno rapidamente ad un’alta perfezione (lett. 132)

la mia benedizione rimarrà nei luoghi in cui verrà esposta e venerata l’immagine del Sacro Cuore (lett. 35)

a tutti coloro che opereranno per la salvezza delle anime, darò le grazie per poter convertire i cuori più induriti (lett. 141)

le persone che diffonderanno questa devozione avranno i loro nomi scritti per sempre nel mio Cuore (lett. 141)

a tutti coloro che si comunicheranno nei primi venerdì di nove mesi consecutivi, darò la grazia della perseveranza finale e della salvezza eterna (lett. 86)

In particolare nella corrispondenza con Madre Saumaise, la sua prima superiora e confidente, dobbiamo i particolari più interessanti. A lei è diretta infatti la “lettera 86” in cui si parla della perseveranza finale, tema allora scottante nel fervore del confronto coi protestanti, e cosa anche più notevole dalla fine di febbraio al 28 agosto del 1689, si elabora appunto il testo di quello che potrebbe sembrare un vero e proprio messaggio di Gesù al re Sole: “quello che mi consola” dice appunto “è che spero che in cambio delle amarezze che questo Divino Cuore ha sofferto nei palazzi dei grandi con le ignominie della sua Passione, questa devozione ve lo farà ricevere con magnificenza… e quando io gli presento le mie piccole richieste, relative a tutti i dettagli che mi sembrano tanto difficili da realizzare, mi sembra di sentire queste parole: – Credi che io non possa farlo? Se tu credi vedrai la potenza del mio Cuore nella magnificenza del mio amore! –”

Fin qui potrebbe trattarsi più d’un desiderio della santa, che di una precisa rivelazione di Cristo… tuttavia in un’altra lettera il discorso si fa più preciso:

“… ecco le parole che ho inteso a proposito del nostro re: – Fai sapere al figlio primogenito del mio Sacro Cuore, che come la sua nascita temporale è stata ottenuta grazie alla devozione alla mia Santa Infanzia, allo stesso modo otterrà la nascita alla grazia ed alla gloria eterna attraverso la consacrazione che farà di se stesso al mio cuore adorabile, che vuole trionfare sul suo, e con la sua mediazione raggiungere quelli dei grandi della terra. Vuole regnare sul suo palazzo, essere dipinto sui suoi stendardi, stampato sulle insegne, per renderlo vincitore su tutti i nemici, abbattendo ai suoi piedi le teste orgogliose e superbe, per farlo trionfare su tutti i nemici della Santa Chiesa – Voi avrete motivo di ridere, mia buona Madre, della semplicità con cui scrivo tutto questo, ma seguo l’impulso che mi è stato dato nello stesso istante”

Questa seconda lettera dunque fa pensare ad una rivelazione specifica, che la santa s’affretta a scrivere per conservare il più possibile la memoria di quanto ha udito e più avanti, il 28 agosto, sarà ancora più precisa:

“il Padre Eterno volendo riparare alle amarezze ed all’angoscia che l’Adorabile Cuore del Suo Figlio divino ha sofferto nelle case dei principi della terra attraverso le umiliazioni e gli oltraggi della sua passione, vuole stabilire il suo impero nella corte del nostro grande monarca, di cui vuol servirsi per l’esecuzione del proprio disegno, che deve compiersi in tal modo: far costruire un edificio dove sarà sistemato un quadro del Sacro Cuore per ricevervi la consacrazione e gli omaggi del re e di tutta la corte. E per di più, volendo il Divino Cuore rendersi protettore e difensore della sua sacra persona contro tutti i suoi amici visibili ed invisibili, da cui vuole difenderlo, e mettere la sua salute al sicuro attraverso questo mezzo … l’ha scelto come suo fedele amico per far autorizzare la messa in suo onore dal Seggio Apostolico ed ottenere tutti gli altri privilegi che devono accompagnare questa devozione al Sacro Cuore, attraverso la quale vuole distribuire i tesori delle sue grazie di santificazione e di salute, spandendo con abbondanza le sue benedizioni su tutte le sue imprese, che farà riuscire a sua maggior gloria, garantendo una felice vittoria alle sue armate, per farle trionfare sulla malizia dei suoi nemici. Sarà dunque felice se prenderà gusto a questa devozione, che gli stabilirà un regno eterno d’onore e di gloria nel Sacro Cuore di Nostro Signore Gesù Cristo, il quale si prenderà cura d’elevarlo e di renderlo grande in Cielo davanti a Dio suo Padre, nella misura in cui questo grande monarca vorrà innalzarlo di fronte agli uomini dagli obbrobri e dall’annientamento che questo Divino Cuore ha sofferto, procurandogli gli onori, l’amore e la gloria che si aspetta…”

Come esecutori del piano suor Margherita indica Padre La Chaise e la superiora di Chaillot, contattata appunto dalla Saumaise.

Più tardi, il 15 settembre 1689 il piano torna in una lettera indirizzata invece a Padre Croiset, il gesuita che pubblicherà l’opera essenziale sulla devozione al Sacro Cuore:

“…c’è ancora un’altra cosa che mi preme… che questa devozione corra nei palazzi dei re e dei principi della terra… servirebbe di protezione alla persona del nostro re e potrebbe condurre alla gloria le sue armi, procurandogli grandi vittorie. Ma non è a me che spetta dirlo, bisogna lasciare agire la potenza di questo adorabile Cuore”

Il messaggio dunque c’era, ma per espressa volontà di Margherita non fu mai presentato in questi termini. Non si trattava d’un patto fra Dio ed il re, che garantisse la vittoria in cambio della consacrazione, quanto piuttosto la certezza, da parte della santa, che ogni tipo di grazia sarebbe giunta al re in cambio d’una libera e disinteressata devozione, volta solo a risarcire il Cuore di Gesù delle offese patite da parte dei peccatori.

Inutile dire che il re non aderì mai alla proposta, tutto fa pensare anzi che nessuno gliela illustrasse, per quanto padre La Chaise, indicato da Margherita nella sua lettera, fosse effettivamente il suo confessore dal 1675 al 1709 e conoscesse bene anche padre La Colombière, che egli stesso aveva inviato a Paray le Monial.

D’altra parte le sue vicende personali e familiari erano in quel momento ad un punto molto delicato. Sovrano assoluto ed arbitro d’Europa fino al 1684, il re aveva radunato la nobiltà nel famoso palazzo di Versailles, facendo dell’aristocrazia turbolenta d’un tempo una corte disciplinata: una convivenza di diecimila persone che seguivano un’etichetta rigorosa, interamente dominata dal re. In questo piccolo mondo a parte tuttavia le incomprensioni della coppia reale, la convivenza del re con una favorita che gli aveva dato ben sette figli e lo “scandalo dei veleni” una tenebrosa vicenda che aveva visto colpevoli i più alti dignitari della corte, aveva aperto grosse voragini.

La morte della regina, nel 1683, permise al re di sposare segretamente la devotissima Madame Maintenon e da allora condusse una vita austera e ritirata, dedicandosi a numerose opere pie. Rientra in questo nuovo orientamento della sua vita anche la revoca dell’editto di Nantes, nel 1685 e l’appoggio al re cattolico Giacomo II d’Inghilterra, accolto in Francia nel 1688, cui fece seguito lo sfortunato tentativo di restaurare il cattolicesimo sull’isola. Si tratta sempre e comunque di gesti gravi, ufficiali, lontani dall’abbandono mistico al Sacro Cuore suggerito da Margherita. La stessa Madame Maintenon, che a quattordici anni aveva lasciato il protestantesimo d’adozione per convertirsi alla religione cattolica, professava una fede severa, colta, attenta ai testi, che lasciava poco spazio ad una nuova forma di devozione e s’avvicinava in realtà più al Giansenismo che al cattolicesimo vero e proprio.

Con fine intuito Margherita, che pur non sapeva nulla della vita di corte, aveva colto l’immenso potenziale umano rappresentato da Versailles; se all’arido culto del Re Sole si fosse sostituito quello del Sacro Cuore le diecimila persone che vivevano nell’ozio si sarebbero veramente trasformate nei cittadini della Gerusalemme Celeste, ma nessuno poteva imporre un cambiamento del genere da fuori, doveva maturare da solo.

Purtroppo la gigantesca macchina che il re s’era costruito attorno per difendere il suo potere, finì per soffocarlo e l’eccezionale proposta che gli era stata fatta non giunse mai al suo orecchio!

A questo punto, poiché s’è parlato d’immagini e stendardi, è necessario aprire una parentesi, perché siamo abituati ad identificare il Sacro Cuore con l’ottocentesca immagine di Gesù a mezzo busto, col cuore in mano o dipinto sul petto. Ai tempi delle apparizioni una proposta del genere avrebbe sfiorato l’eresia. Di fronte alla serrata critica luterana le immagini sacre s’erano fatte molto ortodosse e soprattutto spoglie d’ogni concessione ai sensi. Margherita pensa di concentrare la devozione su un’immagine stilizzata del cuore stesso, atta a concentrare il pensiero sull’amore divino e sul sacrificio della croce.

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La prima immagine a nostra disposizione rappresenta il Cuore del Salvatore davanti alla quale furono resi i primi omaggi collettivi, il 20 luglio 1685, per iniziativa delle Novizie nel giorno dell’onomastico della loro maestra. Le fanciulle volevano infatti fare una piccola festa terrena, ma Margherita disse che l’unico che la meritasse veramente era il Sacro Cuore. Le suore più anziane furono un po’ turbate dalla devozione improvvisata, che apparve un po’ troppo audace. In ogni caso si conserva l’immagine: un piccolo disegno a penna su carta probabilmente tracciato dalla santa stessa con una “matita copiativa”.

Rappresenta appunto l’immagine del Cuore sormontato da una croce, dalla sommità del quale sembrano scaturire delle fiamme: tre chiodi circondano la piaga centrale, che lascia sfuggire gocce di sangue ed acqua; in mezzo alla piaga è scritta la parola “Charitas”. Una larga corona di spine circonda il Cuore, ed i nomi della Santa Famiglia sono scritti tutt’intorno: in alto a sinistra Gesù, in mezzo Maria, a destra Giuseppe, in basso a sinistra Anna e a destra Gioacchino.

L’originale è attualmente conservato nel convento della visitazione di Torino, a cui il monastero di Paray lo cedette il 2 ottobre 1738. È stata più volte riprodotta ed è oggi una delle più diffuse.

L’11 gennaio 1686, circa sei mesi dopo, la madre Greyfié, superiora della visitazione di Semur, fece pervenire a margherita Maria una riproduzione miniata del quadro del Sacro Cuore venerato nel proprio monastero, (un quadro ad olio dipinto probabilmente da un pittore locale) accompagnata da dodici piccole immagini a penna: “… invio questo biglietto per posta, alla cara madre di Charolles, perché non stiate in pensiero, aspettando che io mi sia un po’ liberata del cumulo di documenti che devo fare per l’inizio dell’anno, dopodiché, mia cara bambina, io vi scriverò in lungo ed in largo, per quanto possa ricordare il tenore delle vostre lettere. Nell’attesa vedrete da quella che ho scritto alla Comunità a Capodanno come abbiamo solennizzato la festa presso l’oratorio dov’è il quadro del Sacro Cuore del Nostro Divino Salvatore, di cui v’invio un disegno in miniatura. Ho fatto fare una dozzina d’immaginette solo col Cuore divino, la piaga, la croce ed i tre chiodi, circondato dalla corona di spine, per fare un regalino alle nostre care sorelle” lettera dell’11 gennaio 1686 tratto da Vita ed Opere, Parigi, Poussielgue, 1867, vol. I

Margherita Maria le risponderà piena di gioia:

“…quando ho visto la rappresentazione dell’unico oggetto del nostro amore che m’avete inviato, m’è sembrato di cominciare una nuova vita […] non posso dire la consolazione che m’avete dato, tanto inviandomi la rappresentazione di questo amabile Cuore, quanto aiutandoci ad onorarlo con tutta la vostra comunità. Ciò mi procura una gioia mille volte maggiore che se mi donaste il possesso di tutti i tesori della terra” lettera XXXIV alla madre Greyfié di Semur (gennaio 1686) in Vita ed opere, vol. II

Ben presto seguirà una seconda lettera della madre Greyfié, datata 31 gennaio:

“ecco la lettera promessa attraverso il biglietto che vi aveva fatto pervenire la cara madre di Charolles, dove vi avevo rivelato ciò che provo per voi: amicizia, unione e fedeltà, in vista dell’unione dei nostri cuori con quello del nostro adorabile Maestro. Ho inviato delle immaginette per le vostre novizie ed ho immaginato che non vi dispiacerebbe averne una tutta per voi, da conservare sul vostro cuore. La troverete qui, con l’assicurazione che farò del mio meglio perché da parte mia, come da parte vostra ci sia l’impegno di diffondere la devozione al Cuore Sacro del nostro Salvatore, perché si senta amato ed onorato dai nostri amici ed amiche…” lettera del 31 gennaio 1686 alla madre Greyfié di Semur in Vita ed opere, vol. I.

La riproduzione della miniatura inviata dalla Madre Greyfié fu esposta da suor Maria Maddalena des Escures il 21 giugno 1686 su un piccolo altare improvvisato nel coro, invitando le suore a rendere omaggio al Sacro Cuore. Questa volta la sensibilità nei confronti della nuova devozione era cresciuta e tutta la Comunità rispose all’appello, tanto che dalla fine di quell’anno l’immagine fu sistemata in una piccola nicchia nella galleria del convento, nella scala che conduce alla torre del Noviziato. Questo piccolo oratorio sarà in pochi mesi decorato ed abbellito dalle novizie, ma la cosa più importante fu la sua apertura al pubblico, avvenuta il 7 settembre 1688 e solennizzata da una piccola processione popolare, organizzata dai sacerdoti di Paray le Monial. Purtroppo la miniatura andò perduta durante la Rivoluzione Francese.

Nel settembre del 1686 fu realizzata una nuova immagine, che fu inviata da Margherita Maria alla Madre Soudeilles di Moulins: “Mi fa grande piacere” scriveva “o cara Madre, fare una piccola rinuncia a vostro favore, inviandovi, con l’approvazione della nostra onorabilissima Madre, il libro del ritiro del Padre De La Colombière e due immagini del sacro Cuore di Nostro Signore Gesù Cristo che ci hanno regalato. La più grande è da mettere ai piedi del vostro Crocifisso, la più piccola potrete tenerla su di voi.” Lettera n. 47 del 15 settembre 1686.

Solo la più grande delle immagini si è conservata: dipinta sulla velina, forma un tondo di 13 cm di diametro, dai margini ritagliati, al centro del quale si vede il Sacro Cuore circondato da otto piccole fiamme, trafitto da tre chiodi e sormontato da una croce, la piaga del Cuore Divino lascia scappare delle gocce di sangue e d’acqua che formano, a sinistra, una nuvola sanguinante. In mezzo alla piaga è scritta la parola “carità” in lettere d’oro. Intorno al Cuore una piccola corona a nodi intrecciati, poi una corona di spine. L’intreccio delle due corone forma dei cuori.

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L’originale si trova oggi al monastero di Nevers. Per iniziativa di Padre Hamon si è fatta nel 1864 una cromolitografia di dimensioni ridotte, accompagnata dal fac-simile della “piccola consacrazione” a cura dell’editore M. Bouasse-Lebel a Parigi. Insieme all’immagine consevata a Torino è forse la più conosciuta.

Dal mese di marzo 1686 Margherita Maria invita la madre Saumaise, allora superiora del monastero di Dijon, di riprodurre in gran numero le immagini del Sacro Cuore: “… come voi siete stata la prima a cui Egli ha voluto che trasmettessi il suo desiderio ardente d’essere conosciuto, amato e glorificato dalle sue creature… io mi sento spinta a dirvi da parte Sua che desidera che voi facciate una tavola dell’immagine di questo Sacro Cuore affinché tutti quelli che vorranno rendergli omaggio possano averne delle immagini nelle loro case e di piccoline da portare addosso…” lettera XXXVI alla M. Saumaise inviata a Dijon il 2 marzo 1686.

Tutti. Margherita Maria era cosciente del fatto che la devozione fosse uscita dalla sfera del convento per diffondersi nel mondo… anche se forse ignorava l’aspetto di protezione concreta, quasi magica, che aveva assunto per le persone comuni.

Alla sua morte, avvenuta il 16 ottobre 1690, il convento su quasi invaso da frotte di devoti che chiedevano qualche suo oggetto personale in ricordo… e non si poté accontentare nessuno perché era vissuta nella più assoluta povertà, del tutto dimentica delle esigenze terrene. Parteciparono comunque tutti alla veglia ed al funerale, piangendo come per una pubblica calamità ed al processo del 1715 si raccontarono molti miracoli che la Santa aveva ottenuto per questa gente semplice con la sua intercessione.

La suora dell’ordine delle Visitandine di Paray che aveva visto il Sacro Cuore era ormai un personaggio famoso e la devozione da lei proposta era al centro dell’attenzione pubblica. Il 17 marzo 1744 la superiora della Visitazione di Paray, madre Marie-Hélène Coing, che tuttavia essendo entrata in convento nel 1691 non aveva mai conosciuto personalmente la santa, scrisse al vescovo di Sens: “…d’una predizione della nostra Venerabile Sorella Alacoque, che assicurava la vittoria se Sua Maestà avesse ordinato di mettere sulle proprie bandiere la rappresentazione del divino Cuore di Gesù…” dimenticando completamente quella volontà di riparazione che invece è l’anima del messaggio.

Dobbiamo dunque ai posteri, forse allo stesso vescovo di Sens, che tra l’altro fu un discreto biografo della Santa, la diffusione d’una versione sostanzialmente inesatta, che ha favorito un’interpretazione in chiave nazionalista. D’altra parte anche fuori dalla Francia la devozione si stava diffondendo con una netta connotazione magico-sentimentale, anche per la netta opposizione che incontrava nella sfera dei cristiani colti.

Particolarmente importante diventa perciò l’elaborazione del culto sviluppata a Marsiglia da una giovanissima religiosa dell’ordine della Visitazione, suor Anna Maddalena Remuzat, (1696-1730) che fu gratificata da visioni celesti e ricevette dal Gesù l’incarico di continuare la missione di Santa Margherita Maria Alacoque. Nel 1720 la suora, che aveva 24 anni, previde che una rovinosa epidemia di peste avrebbe colpito Marsiglia e quando il fatto si avverò disse alla propria superiora: “Madre, mi avete domandato di pregare Nostro Signore perché si degni di farci conoscere i motivi. Egli desidera che noi onoriamo il Suo Sacro Cuore per ottenere la fine della peste che ha devastato la città. Io l’ho pregato, prima della Comunione, di far uscire dal suo cuore adorabile una virtù che non guarisse solo i peccati dell’anima mia, ma che mi informasse della richiesta che l’ho obbligato a fare. Egli mi ha indicato che voleva purificare la chiesa di Marsiglia dagli errori del Giansenismo, che l’aveva infettata. In lui si scoprirà il suo cuore adorabile, fonte di ogni verità; egli domanda una festa solenne il giorno che Lui stesso ha scelto per onorare il Suo Sacro Cuore e che mentre attende che a Lui si renda questo onore, è necessario che ciascun fedele dedichi una preghiera per onorare il Sacro Cuore del Figlio di Dio. Tutti quelli che saranno devoti al Sacro Cuore non mancheranno mai dell’aiuto divino, perché mai mancherà di alimentare il nostro cuore del suo stesso amore” La superiora, convinta, ottenne l’attenzione del vescovo Belzunce, che nel 1720 consacrò la città al Sacro Cuore, stabilendone la festa il 1 novembre. La peste cessò immediatamente, ma il problema si ripresentò due anni dopo e la Remuzat disse che bisognava estendere la consacrazione all’intera diocesi; l’esempio fu seguito da molti altri vescovi e la peste cessò, come promesso.

In quest’occasione venne riprodotto e diffuso lo Scudo del Sacro Cuore come lo conosciamo oggi:

immagine nostra

Nel 1726, sull’onda di questi eventi, venne avanzata una nuova richiesta di approvazione del culto del Sacro Cuore. I vescovi di Marsiglia e Cracovia, ma anche i Re di Polonia e di Spagna, la patrocinarono presso la Santa Sede. L’anima del movimento era il gesuita Giuseppe de Gallifet ( 1663-1749) discepolo e successore di san Claudio de la Colombière, che aveva fondato la Confraternita del Sacro Cuore.

Purtroppo la Santa Sede preferì rinviare ogni decisione per timore d’urtare i sentimenti dei cattolici colti, ben rappresentati dal cardinale Prospero Lambertini, che vedevano in questa forma devozionale un ritorno a quell’irrazionalità sentimentale che aveva prestato il fianco a tante critiche. Anche il processo di canonizzazione della santa, iniziato nel 1715 alla presenza di una vera e propria folla di testimoni diretti, fu sospeso ed archiviato. Più tardi il cardinale fu eletto papa col nome di Benedetto XIV e si mantenne sostanzialmente fedele a questa linea, nonostante sia la regina di Francia, la pia Maria Leczinska (di origine polacca), che il patriarca di Lisbona lo sollecitassero a più riprese ad istituire la festa. A titolo d’accondiscendenza fu tuttavia donata alla regina una preziosa immagine del Cuore Divino. La regina Maria Leczinska convinse il Delfino (suo figlio) ad erigere a Versailles una cappella dedicata al Sacro Cuore, ma l’erede morì prima di salire al trono e la consacrazione stessa dovette attendere il 1773. Successivamente la principessa Maria Giuseppa di Sassonia trasmise questa devozione al figlio, il futuro Luigi XVI, ma questi indugiò incerto, senza prendere una decisione ufficiale. Nel 1789, un secolo esatto dal famoso messaggio al Re Sole, scoppiò la Rivoluzione Francese. Solo nel 1792, prigioniero dei rivoluzionari, il deposto Luigi XVI si ricordò della famosa promessa e si consacrò personalmente al Sacro Cuore, promettendo, in una lettera tuttora conservata, la famosa consacrazione del regno e la costruzione di una basilica se si fosse salvato… come disse Gesù stesso a Suor Lucia di Fatima era troppo tardi, la Francia fu devastata dalla Rivoluzione e tutti i religiosi dovettero ritirarsi a vita privata.

Si apre qui una dolorosa frattura fra ciò che poteva maturare un secolo prima e la realtà d’un re prigioniero. Dio resta sempre e comunque vicino ai suoi devoti e non nega a nessuno la Grazia personale, ma è del tutto evidente che una consacrazione pubblica presuppone un’autorità assoluta ormai inesistente. Il culto si diffonde dunque sempre più, ma come devozione personale e privata anche perché, in mancanza di una veste ufficiale, la pietà delle numerosissime confraternite del Sacro Cuore, pur articolandosi nei temi proposti da Margherita Maria (adorazione, ora santa il giovedì sera e comunione riparatrice nei primi venerdì del mese) si nutriva in realtà di testi medievali, sia pur riproposti dai Gesuiti, che essendo stati ideati in clausura mancavano di una dimensione sociale, anche se ora si accentuò l’aspetto riparatore. Il servo di Dio Pierre Picot de Clorivière (1736 – 1820) rifondò la Compagnia di Gesù e curò la formazione spirituale delle “vittime del Sacro Cuore” dedicate ad espiare i crimini della rivoluzione.

In quest’epoca infatti, dopo gli orrori della Rivoluzione Francese, la devozione viene proposta come sinonimo di un ritorno ai valori cristiani, che spesso si colorano di valenze politiche conservatrici. Inutile dire che queste pretese non hanno nessun fondamento dottrinale… anche se forse fan parte d’un disegno più vasto per portare gli ideali cristiani sulla bocca di tutti, anche di coloro che non sanno nulla di religione. Quel che è certo è che compare finalmente una dimensione sociale, sia pure un po’ populistica, come immediatamente faranno notare i detrattori. Ora la devozione al Sacro Cuore è decisamente una caratteristica dei laici, tanto che si lega alla consacrazione delle famiglie e dei luoghi di lavoro. Nel 1870, quando la Francia viene duramente sconfitta dalla Germania e crolla il Secondo Impero, sono proprio due laici: Legentil e Rohaul de Fleury a suggerire la costruzione di una grande basilica dedicata al culto del Sacro Cuore che rappresentasse un “voto nazionale” manifestando il desiderio del popolo francese di compiere quell’omaggio che i loro capi si erano rifiutati di rivolgere al Redentore. Nel gennaio del 1872 l’arcivescovo di Parigi, Monsignor Hippolite Guibert, autorizzò la raccolta di fondi per la costruzione della basilica riparatrice, stabilendone il luogo di costruzione sulla collina di Montmatre, appena fuori Parigi, dove furono uccisi i martiri cristiani francesi… ma anche la sede del convento benedettino che aveva diffuso la devozione del Sacro Cuore nella capitale. L’adesione fu rapida ed entusiasta: l’Assemblea Nazionale non era ancora dominata dalla maggioranza apertamente anticristiana che si formerà subito dopo, tanto che un piccolo gruppo di deputati si consacrò al Sacro Cuore sulla tomba di Margherita Maria Alacoque (all’epoca non era ancora santa) impegnadosi a promuovere la costruzione della basilica. Il 5 giugno 1891 l’imponente basilica del Sacro Cuore di Montmatre venne finalmente inaugurata; in essa venne stabilita la perpetua adorazione del Cuore Eucaristico di Gesù. Sul suo frontale venne incisa questa significativa iscrizione: “Sacratissimo Cordi Christi Jesu, Gallia poenitens et devota” (al Santissimo Cuore di Gesù Cristo, dedicato dalla Francia penitente e devota).

Nell’ottocento matura anche una nuova immagine: non più il cuore soltanto, ma Gesù rappresentato a mezzo busto, col cuore in mano o visibile al centro del petto, nonché statue di Cristo in piedi sul mondo definitivamente conquistato dal Suo Amore.

Il suo culto infatti è proposto soprattutto ai peccatori e rappresenta un valido strumento di salvezza, anche per chi non ha i mezzi o la salute di compiere grandi gesti: Madre Maria di Gesù Deluil-Martiny ha una parte importantissima nella diffusione della devozione fra i laici.

Nacque il 28 maggio 1841 venerdì pomeriggio alle tre ed è la pronipote di suor Anna Maddalena Remuzat. Portava un altro cognome perché discendeva dall’ava da parte di madre ed era la prima figlia di un avvocato di grido. Per la prima comunione fu condotta al monastero della sua ava, dove si conservava ancora con devozione di sapore medievale, il cuore della Venerabile, la salute non le permise di partecipare al ritiro di gruppo con le sue compagne ed il 22 dicembre 1853, finalmente guarita, fece la prima comunione tutta sola.

Il 29 gennaio successivo, festa di San Francesco di Sales, il vescovo Mazenod, amico di famiglia, le impartì il sacramento della cresima e profetizzò entusiasta alle suore: – Vedrete che avremo presto una santa Maria di Marsiglia! –

La città nel frattempo era profondamente mutata: vigeva il più acceso anticlericalismo, i Gesuiti erano tollerati a stento e la festa del Sacro Cuore non si celebrava quasi più. È evidente la speranza del vescovo di restaurare la devozione antica, ma non si trattava d’un percorso semplice! A diciassette anni la giovane fu ammessa con la sorella Amelia alla scuola della Ferrandière. Fece un ritiro col famoso Gesuita Bouchaud e cominciò a pensare di farsi religiosa, riuscì persino ad incontrare il famoso curato d’Ars… ma con sua grande meraviglia il santo le disse che avrebbe dovuto recitare ancora molti “Veni sancte” prima di conoscere la propria vocazione! Che succedeva? Che aveva visto il santo?

Appena partite le figlie madame Deluil-Martiny fu colta da un grave esaurimento nervoso; i medici dissero che l’ultima gravidanza l’aveva prostrata, inoltre la nonna paterna in breve tempo perse la vista e cominciò ad avere gravi difetti all’udito: Maria fu richiamata a casa ad assistere le ammalate. Era l’inizio di un lungo calvario: se la madre accanto a lei riacquistò la salute, morirono invece uno dopo l’altro, i parenti. La prima fu la sorella Clementina, affetta da un incurabile disturbo cardiaco, poi tutt’e due le nonne ed inaspettatamente il fratello Giulio s’ammalò tanto gravemente da non riuscire quasi a terminare gli studi; non restava che inviare in convento la piccola Margherita, perché rimanesse lontana da tante tristezze, mentre Maria restava sola a governate la casa e ad occuparsi dei genitori desolati.

Non si poteva più parlare di ritirarsi! Maria rivolse la sua devozione verso traguardi più laici: divenne una zelatrice delle Guardi d’Onore del Sacro Cuore. L’associazione, rivoluzionaria per l’epoca, nasceva da un’idea di Sr. Maria del S. Cuore (oggi Beata) monaca a Bourg: si trattava di creare una catena di anime adoranti che scegliendo un’ora di adorazione al giorno costituissero una specie di “servizio permanente” attorno all’Altare del Santissimo. Più persone entravano a far parte del gruppo e più l’adorazione aveva garanzie d’essere veramente ininterrotta. Ma come poteva una monaca di clausura raccogliere le adesioni che servivano per realizzare un’impresa del genere in una Francia sempre più laica ed anticlericale? Ed ecco entrare in gioco Maria, che divenne la Prima Zelatrice. Maria bussò alle porte di tutte le case religiose, parlò con tutti i parroci di Marsiglia e da lì la scintilla si sparse ovunque. Fece conoscere l’Opera a Vescovi e Cardinali fino ad arrivare alla fondazione ufficiale, nel 1863. L’opera non sarebbe mai riuscita a vincere gli ostacoli che la minacciavano senza il suo concorso attivo ed intelligente ed anche un’organizzazione attenta: nei primi tre anni di vita essa contava iscritti 78 Vescovi, più di 98.000 fedeli e l’erezione canonica in 25 diocesi.

Organizzò inoltre pellegrinaggi a Paray le Monial, la Salette e Nostra Signora della Guardia, proprio sopra Marsiglia, attività che poteva agevolmente condurre con sua madre ed infine difese per quanto poté la causa dei Gesuiti, coadiuvata dal padre avvocato. Quando i genitori le organizzarono un matrimonio spiegò tuttavia che non era interessata al progetto: la sua permanenza a casa era provvisoria. Fondamentalmente sognava ancora il convento. Ma quale? Gli anni passavano ed il semplice progetto di ritirarsi tra le visitandine, che veneravano la prozia le pareva sempre meno attuabile, anche perché l’avrebbe separata da un’attività forse anche più urgente in un mondo armato contro la Chiesa!

Scelta difficile. L’ultimo venerdì del 1866 conobbe padre Calège, un gesuita che sarebbe diventato il suo direttore spirituale. Per completare la sua formazione la indirizzò agli scritti di sant’Ignazio di Loyola e San Francesco di Sales, che Maria poteva leggere in casa propria, senza privare i suoi familiari del proprio sostegno… e ce n’era bisogno! Il 31 marzo 1867 anche la sorella Margherita moriva.

Dopo la disfatta di Napoleone III del 1870 Marsiglia cadde nelle mani degli anarchici. Il 25 settembre i Gesuiti di vennero arrestati ed il 10 ottobre, dopo un processo sommario, furono banditi dalla Francia. Ci volle tutta l’autorità e l’abilità professionale dell’avvocato Deluil-Martiny per trasformare la proscrizione in un semplice scioglimento dell’ordine. Padre Calège fu ospitato per otto lunghi mesi, un po’ a Marsiglia, un po’ nella loro casa di villeggiatura, alla Servianne. Parlare del Sacro Cuore di Gesù era sempre più difficile!

Nel settembre del 1872 Maria ed i suoi genitori sono invitati in Belgio, a Bruxelles, dove monsignor Van den Berghe la mette in contatto con alcune giovani devote come lei. Solo con l’anno nuovo padre Calège illustra alla famiglia il vero progetto: Maria fonderà un nuovo ordine di suore, con una regola ispirata alle attività condotte ed agli studi compiuti; per far questo deve stabilirsi a Berchem Les Anvers, dove non c’è opposizione ai Gesuiti e la nuova regola potrà essere elaborata in pace.

Naturalmente tornerà a casa ogni anno e resterà disponibile in ogni momento per eventuali emergenze… l’ascendente del buon padre è tale che dopo un’iniziale resistenza i genitori concedono la loro benedizione. Per la festa del Sacro Cuore del 20 giugno 1873 Sr. Maria di Gesù, che ha ricevuto il velo il giorno prima, è già nella sua nuova casa, con quattro postulanti ed altrettante religiose, rivestite dell’abito da lei stessa ideato: un semplice vestito di lana bianca, con un velo che scende appena sulle spalle ed una grande scapolare, sempre bianco, dove sono ricamati due cuori rossi circondati di spine. Perché due?

È la prima importante variazione introdotta da Maria.

I tempi sono troppo duri e noi siamo troppo deboli per poter avviare una vera devozione al Cuore di Gesù prescindendo dall’aiuto di Maria! Un cinquantennio più tardi le Apparizioni di Fatima confermeranno anche questa intuizione. Per la regola vera e propria bisogna aspettare ancora due anni. Ma è veramente un piccolo capolavoro: innanzi tutto l’obbedienza “ab cadaver” al Papa ed alla Chiesa, come voleva Ignazio di Loyola. La rinuncia alla propria volontà personale sostituisce gran parte delle austerità monastiche tradizionali, che secondo Maria sono troppo dure per la salute fragile dei contemporanei. Poi tutte le rivelazioni di Santa Margherita Maria Alacoque ed il suo programma d’amore e di riparazione fanno parte integrante della regola. Esposizione e culto dell’immagine di Gesù, ora santa, comunione riparatrice, adorazione perpetua, devozione del primo venerdì del mese, festa del Sacro Cuore sono attività abituali, per cui non solo le giovani consacrate possono praticare agevolmente la regola, ma anche i laici trovano nei loro conventi un punto sicuro d’appoggio per la loro devozione personale. Infine un’attenta imitazione della vita di Maria, associata perennemente al Sacrificio.

Il consenso che trova la nuova regola, non solo tra i religiosi, ma fra gli stessi laici che s’associano alle devozioni più importanti, è immenso.

Finalmente anche il vescovo di Marsiglia legge ed approva la regola ed il 25 febbraio del 1880 si gettano le fondamenta della nuova casa, che sorgerà in un terreno di proprietà dei Deluil-Martiny: la Servianne, un angolo di paradiso affacciato al mare, da cui si può contemplare il famoso santuario di Nostra Signora della Guardia!

Trova un posto speciale all’interno della nuova famiglia religiosa anche una piccola, ma significativa devozione: l’uso dello Scapolare del Cuore agonizzante di Gesù e del Cuore compassionevole di Maria suggerito direttamente da Gesù nel 1848 ad una santa persona, figlia spirituale di Padre Calage e più tardi di padre Roothan, Generale della Compagnia di Gesù. Il Divino Maestro le aveva rivelato che lo avrebbe impreziosito dei meriti delle sofferenze interiori dei Cuori di Gesù e di Maria e del suo Sangue Prezioso, facendone un antidoto sicuro contro lo scisma e le eresie degli ultimi tempi, sarebbe una difesa contro l’inferno; attirerebbe grandi grazie su coloro che lo porteranno con fede e pietà.

In qualità di Superiora delle Figlie del Cuore di Gesù le fu facile parlarne al vescovo di Marsiglia, monsignor Robert ed insieme lo fecero pervenire al Cardinale Mazella S.J., protettore della Società, il quale ne ottenne l’approvazione col Decreto del 4 aprile 1900.

Leggiamo dallo stesso decreto: “…lo Scapolare è formato, come d’uso, di due parti di lana bianca, tenute insieme da una fettuccia o cordoncino. Una di queste parti rappresenta due Cuori, quello di Gesù con le insegne proprie e quello di Maria Immacolata, trafitto da una spada. Sotto i due Cuori ci sono gli strumenti della Passione. L’altra parte dello Scapolare porta l’immagine della Santa Croce in stoffa rossa.”

Bisogna anzi rilevare che mentre l’approvazione era stata chiesta per le Figlie del Cuore di Gesù e per le persone aggregate al loro Istituto, il papa volle estenderla a tutti i fedeli della Sacra Congregazione dei Riti.

Un piccolo trionfo… ma suor Maria non doveva goderlo. Nel settembre del 1883 lascia Berchem per tornare a Marsiglia. Non si fa illusioni. Sa che le municipalità provvisorie si succedono, senza riuscire a ristabilire la pace. In una lettera del 10 gennaio aveva confidato alle consorelle che si offriva volentieri come vittima per salvare la sua città. La sua generosa offerta fu subito accolta. Il 27 febbraio un giovane anarchico le sparava e se l’opera poté continuare fu proprio grazie alla casa madre fondata in Belgio! Nel 1903 tutte le famiglie religiose furono espulse dalla Francia e papa Leone XIII assegnò loro una sede vicino a Porta Pia. Oggi le figlie del Sacro Cuore operano in tutt’Europa.

Quasi contemporanea è a Maria è la più famosa Santa Teresa del Bambin Gesù, nata il 2 gennaio del 1873, che percorre apparentemente una strada più convenzionale e riesce ad ottenere da papa Leone XIII il permesso d’entrare in monastero il 9 aprile 1888, poco dopo aver compiuto i quindici anni! Vi morirà il 30 settembre 1897, due anni dopo si raccoglieva già la documentazione sui primi miracoli, tanto che nel 1925 si procedeva già alla sua canonizzazione, di fronte ad una folla di 500.000 pellegrini accorsi in suo onore.

I suoi scritti propongono la via più semplice di tutte: una confidenza piena, completa, assoluta in Gesù e naturalmente nel materno appoggio di Maria. L’offerta di tutta la propria vita va rinnovata di giorno in giorno e non necessita, secondo la santa, di nessuna formazione particolare. Anzi si dichiara convinta che la cultura, per quanto ci si sforzi, sia sempre una grossa tentazione. Il maligno è sempre all’erta e si nasconde anche negli affetti più innocenti, nelle attività più umanitarie. Ma non bisogna farsi prendere dallo scoramento o da un eccesso di scrupolo… persino la pretesa di essere buoni può essere sotto sotto una tentazione.

La salvezza al contrario consiste proprio nella coscienza della propria assoluta incapacità di compiere il bene e quindi nell’abbandono a Gesù, proprio con l’atteggiamento di un bambino piccolo. Ma proprio perché siamo così piccoli e fragili è del tutto impensabile di poter instaurare da soli un contatto del genere.

La stessa fiducia umile dunque dev’essere rivolta alle autorità terrene, ben sapendo che Dio non può fare a meno di rispondere a chi lo chiama e che il modo più sicuro di percepire il suo volto è vederlo rispecchiato in coloro che ci circondano. Questo atteggiamento non va confuso con un vuoto sentimentalismo: Teresa, al contrario, è ben cosciente che le simpatie e le attrattive umane sono un ostacolo alla perfezione. Per questo consiglia di concentrarci sempre sulle difficoltà: se una persona ci è antipatica, un lavoro riesce male, un compito è gravoso, dobbiamo avere la certezza che proprio quella è la nostra croce.

Ma le modalità effettive di comportamento vanno chieste con umiltà all’autorità terrena: il padre, il confessore, la madre badessa… grave peccato di superbia sarebbe infatti aver la pretesa di “risolvere” la questione da soli, d’affrontare la difficoltà con un atteggiamento di sfida attiva. Non esistono difficoltà esterne. Solo nostri obbiettivi difetti d’adattamento. Bisogna dunque sforzarci di notare nella persona che ci è antipatica, nel compito che riesce male, nel lavoro che pesa, il riflesso dei nostri difetti e cercare di superarli con piccoli e gioiosi sacrifici.

Per quanto una creatura possa fare è sempre ben poco rispetto al potere di Dio.

Per quanto possa soffrire una persona non è nulla di fronte alla passione di Cristo.

La coscienza della nostra piccolezza deve aiutarci a progredire con fiducia.

Confessa candidamente d’aver desiderato tutto: visioni paradisiache, successi missionari, il dono della parola, un martirio glorioso… ed ammette di non saper fare, con le proprie forze, quasi nulla! La soluzione? Una sola: affidarsi all’Amore!

Il Cuore è il centro di tutti gli affetti, il motore di ogni azione.

Amare Gesù è già, di fatto, riposare sul Suo Cuore.

Essere al centro dell’azione.

Il carattere pubblico ed Ecumenico di questi pensieri fu subito intuito dalla Chiesa, che nominò Santa Teresa Dottore della Chiesa e le attribuì la protezione delle missioni. Ma questo cattolicesimo ottocentesco, finalmente in pace con se stesso dopo le aspre contestazioni dell’Illuminismo, doveva subire presto una nuova difficile prova: la Grande Guerra.

Il 26 novembre del 1916 una giovane francese, Claire Ferchaud (1896-1972) vede il Cuore di Cristo stritolato dalla Francia e sente un messaggio di salvezza: “ …ti comando di scrivere in mio nome a chi è al governo. L’immagine del mio cuore deve salvare la Francia. Tu la invierai a loro. Se la rispetteranno sarà la salvezza, se la pestano sotto i piedi le maledizioni del Cielo schiacceranno il popolo…” le autorità, inutile dirlo, tentennano, ma numerosi devoti decidono d’aiutare la veggente a diffondere il proprio messaggio: tredici milioni d’immagini del Sacro Cuore e centomila bandiere raggiungono il fronte e si diffondono fra le trincee come una specie di contagio.

Il 26 marzo 1917 a Paray le Monial si provvede alla benedizione solenne delle bandiere nazionali della Francia, Inghilterra, Belgio, Italia, Russia, Serbia, Romania, tutte con lo scudo del Sacro Cuore; la cerimonia si tiene nella Cappella della Visitazione, sopra le reliquie di Margherita Maria. Il cardinale Amette pronuncia la consacrazione dei soldati cattolici.

Dal maggio di quello stesso anno il diffondersi della notizia delle apparizioni di Fatima dona impulso al cattolicesimo e persino negli Stati Uniti si organizzano giornate di preghiera.

Ma con grande meraviglia di tutti la Francia si oppone nettamente a questa linea: a Lione la polizia perquisisce la libreria cattolica della vedova Paquet, requisisce tutte le insegne del Sacro Cuore e proibisce di procurarsene altre. Il 1 giugno i prefetti proibiscono l’applicazione dell’emblema del Sacro Cuore alle bandiere, il 7 il ministro della guerra, Painlevé proibisce attraverso una circolare la consacrazione dei soldati. La motivazione addotta è la neutralità religiosa attraverso la quale è possibile la collaborazione con paesi di fedi diverse.

I cattolici però non si fanno intimidire. Al fronte si fondano vere e proprie leghe per la circolazione clandestina di gagliardetti in speciali pacchi per biancheria e conserve, che i soldati richiedono avidamente, mentre a casa si consacrano le famiglie.

La basilica di Montmartre raccoglie tutte le testimonianze di miracoli che avvengono al fronte. Dopo la vittoria dal 16 al 19 ottobre 1919 si effettua una seconda consacrazione a cui sono presenti tutte le autorità religiose, anche se mancano quelle civili. Il 13 maggio 1920 papa Benedetto XV canonizza finalmente, nello stesso giorno, Margherita Maria Alacoque e Giovanna d’Arco. Il suo successore, Pio XI dedica alla devozione al Sacro Cuore l’enciclica “Miserentissimus Redemptor” che ne diffonde ormai la conoscenza in tutto il mondo cattolico.

Il 22 febbraio 1931 infine Gesù appare di nuovo a Suor Faustina Kowalska, nel convento di Plok, in Polonia, chiedendo espressamente di far dipingere la sua immagine esattamente come appariva e d’istituire la festa della Divina Misericordia, la prima domenica dopo Pasqua.

Con questa devozione di Cristo Risorto, in veste bianca, torniamo più che mai ad un cattolicesimo del cuore prima che della mente; un’immagine di Chi ci ha amato per primo, in cui confidare completamente, viene posta accanto a capezzale degli ammalati, mentre la coroncina della Misericordia, quanto mai ripetitiva e mnemonica, ripropone una preghiera semplice, priva di ogni ambizione intellettuale. La nuova data tuttavia suggerisce discretamente un “ritorno” ai tempi liturgici, sottolineando al massimo il valore della principale festa cristiana e quindi è un’offerta di dialogo anche a coloro che preferiscono fondare la propria fede sui testi.

CORONCINA AL SACRO CUORE DI GESÙ

 

1. O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, chiedete ed otterrete, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto!”, ecco che io picchio, io cerco, io chiedo la grazia…
· Recitare: un Padre Nostro, Ave Maria e Gloria
· Infine: Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in te.

 

2. O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, qualunque cosa chiederete al Padre mio nel mio nome, Egli ve la concederà!”, ecco che al Padre tuo, nel tuo nome, io chiedo la grazia…
· Recitare: un Padre Nostro, Ave Maria e Gloria
· Infine: Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in te.

 

3. O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, passeranno il cielo e la terra, ma le mie parole mai!”, ecco che, appoggiato all’infallibilità delle tue sante parole, io chiedo la grazia…
· Recitare: un Padre Nostro, Ave Maria e Gloria
· Infine: Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in te.

 

O Sacro Cuore di Gesù, cui è impossibile non avere compassione degli infelici, abbi pietà di noi miseri peccatori, ed accordaci le grazie che ti domandiamo per mezzo dell’Immacolato Cuore di Maria, tua e nostra tenera Madre.
· S. Giuseppe, padre putativo del S. Cuore di Gesù, prega per noi.
Recitare Salve o Regina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alcune preghiere mariane scritte dal Beato Giovanni Paolo II

00017.jpgFoto-0440.jpgLE PREGHIERE MARIANE DEL BEATO GIOVANNI PAOLO II
A CURA DI PADRE ANTONIO RUNGI, PASSIONISTA

PREGHIERA PER LA GIORNATA DEL MALATO 11 FEBBRAIO 2005
Maria, Vergine Immacolata,
Donna del dolore e della speranza,
sii benigna verso ogni persona che soffre
e ottieni a ciascuno pienezza di vita.

Volgi il tuo sguardo materno
specialmente su coloro che in Africa
sono nell’estremo bisogno,
perché colpiti dall’AIDS o da altra malattia mortale.

Guarda le mamme che piangono i loro figli;
guarda i nonni privi di risorse sufficienti
per sostenere i nipoti rimasti orfani.

Stringi tutti al tuo cuore di Madre.

Regina dell’Africa e del mondo intero,
Vergine Santissima, prega per noi!       

PREGHIERA A CONCLUSIONE DEL ROSARIO
Ave Maria, Donna povera ed umile,
benedetta dall’Altissimo!
Vergine della speranza, profezia dei tempi nuovi,
noi ci associamo al tuo cantico di lode
per celebrare le misericordie del Signore,
per annunciare la venuta del Regno
e la piena liberazione dell’uomo.

Ave Maria, umile serva del Signore,
gloriosa Madre di Cristo!
Vergine fedele, dimora santa del Verbo,
insegnaci a perseverare nell’ascolto della Parola,
ad essere docili alla voce dello Spirito,
attenti ai suoi appelli nell’intimità della coscienza
e alle sue manifestazioni negli avvenimenti della storia.

Ave Maria, Donna del dolore,
Madre dei viventi!
Vergine sposa presso la Croce, Eva novella,
sii nostra guida sulle strade del mondo,
insegnaci a vivere e a diffondere l’amore di Cristo,
a sostare con Te presso le innumerevoli croci
sulle quali tuo Figlio è ancora crocifisso.

Ave Maria, Donna della fede,
prima dei discepoli!
Vergine Madre della Chiesa, aiutaci a rendere sempre
ragione della speranza che è in noi,
confidando nella bontà dell’uomo e nell’amore del Padre.
Insegnaci a costruire il mondo dal di dentro:
nella profondità del silenzio e dell’orazione,
nella gioia dell’amore fraterno,
nella fecondità insostituibile della Croce.

Santa Maria, Madre dei credenti,
Nostra Signora di Lourdes,
prega per noi.
Amen.

PREGHIERA MARIANA PER L’EUROPA
Maria, Madre della speranza,
cammina con noi!
Insegnaci a proclamare il Dio vivente;
aiutaci a testimoniare Gesù, l’unico Salvatore;
rendici servizievoli verso il prossimo,
accoglienti verso i bisognosi,
operatori di giustizia,
costruttori appassionati
di un mondo più giusto;
intercedi per noi che operiamo nella storia
certi che il disegno del Padre si compirà.

Aurora di un mondo nuovo,
mostrati Madre della speranza e veglia su di noi!
Veglia sulla Chiesa in Europa:
sia essa trasparente al Vangelo;
sia autentico luogo di comunione;
viva la sua missione
di annunciare, celebrare e servire
il Vangelo della speranza
per la pace e la gioia di tutti.

Regina della pace
Proteggi l’umanità del terzo millennio!
Veglia su tutti i cristiani:
proseguano fiduciosi sulla via dell’unità,
quale fermento
per la concordia del Continente.
Veglia sui giovani,
speranza del futuro,
rispondano generosamente
alla chiamata di Gesù.
Veglia sui responsabili delle nazioni:
si impegnino a costruire una casa comune,
nella quale siano rispettati
la dignità e i diritti di ciascuno.

Maria, donaci Gesù!
Fa’ che lo seguiamo e lo amiamo!
Lui è la speranza della Chiesa,
dell’Europa e dell’umanità.
Lui vive con noi, in mezzo a noi,
nella sua Chiesa.
Con Te diciamo
« Vieni, Signore Gesù » (Ap 22, 20):
Che la speranza della gloria
infusa da Lui nei nostri cuori
porti frutti di giustizia e di pace!

PREGHIERA SOLENNITA’ DELLA MADRE DI DIO 2011
Vergine Santissima, Alba dei tempi nuovi,
aiutaci a guardare con fede
la storia passata e l’anno che inizia.
Stella del terzo millennio,
guida i nostri passi verso Cristo,
il Vivente “ieri, oggi e sempre”,
e rendi la nostra umanità,
che trepidante avanza nel nuovo millennio,
sempre più fraterna e solidale.

PREGHIERA ALLA MADRE DI CRISTO
O Madre Santa, Figlia dell’Altissimo,
Vergine Madre del Salvatore e Madre nostra,
volgi il tuo tenero sguardo sulla Chiesa
che il tuo Figlio ha piantato sul suolo d’Asia.
Siile guida e modello, mentre continua la missione
di amore e di servizio del Figlio tuo in Asia.

Tu hai accettato pienamente e liberamente
l’invito del Padre ad essere Madre di Dio;
insegnaci a svuotare
il cuore da tutto ciò che non è di Dio,
sì da essere riempiti anche noi
di Spirito Santo dall’alto.
Tu hai contemplato i misteri della volontà di Dio
nel silenzio del tuo cuore;
aiutaci nel cammino di discernere
i segni della potente mano di Dio.
Tu ti sei prontamente recata a visitare Elisabetta
per aiutarla nei giorni dell’attesa;
ottieni per noi lo stesso spirito zelante e servizievole
nel compito dell’evangelizzazione.
Tu hai levato la voce
per cantare le lodi del Signore;
guidaci nel gioioso annuncio della fede
in Cristo Salvatore.
Tu hai avuto compassione
di quanti erano nel bisogno
ed hai implorato a loro nome il Figlio tuo;
insegnaci a non temere di parlare
del mondo a Gesù
e di Gesù al mondo.
Tu eri ai piedi della Croce,
quando tuo Figlio esalò l’ultimo respiro;
sii al nostro fianco mentre cerchiamo di essere uniti
nello spirito e nel servizio con quanti soffrono.
Tu hai pregato con i discepoli nel Cenacolo;
aiutaci ad attendere il dono dello Spirito,
per andare ovunque Egli ci conduce.

Proteggi la Chiesa da ogni potere che la minaccia.
Aiutala ad essere immagine vera
della Trinità Santissima.
Prega affinché,
mediante il servizio reso con amore dalla Chiesa,
tutti i popoli dell’Asia possano giungere a conoscere
il Figlio tuo Gesù Cristo,
unico Salvatore del mondo,
ed assaporare così la gioia della vita
nella sua pienezza.
O Maria, Madre della nuova creazione
e Madre dell’Asia
prega per noi, figli tuoi, ora e sempre. AMEN

Invocazione alla Vergine Maria per le persone consacrate
Maria, figura della Chiesa,
Sposa senza ruga e senza macchia,
che imitandoti «conserva verginalmente integra la fede,
salda la speranza, sincera la carità»,
sostieni le persone consacrate
nel loro tendere all’eterna e unica Beatitudine.
A Te,
Vergine della Visitazione,
le affidiamo,
perché sappiano correre incontro
alle necessità umane,
per portare aiuto, ma soprattutto per portare Gesù.
Insegna loro a proclamare le meraviglie
che il Signore compie nel mondo,
perché i popoli tutti magnifichino il suo nome.
Sostienile nella loro opera a favore dei poveri,
degli affamati, dei senza speranza,
degli ultimi e di tutti coloro
che cercano il Figlio tuo con cuore sincero.
A te, Madre,
che vuoi il rinnovamento spirituale e apostolico
dei tuoi figli e figlie nella risposta d’amore.
e di dedizione totale a Cristo,
rivolgiamo fiduciosi la nostra preghiera.
Tu che hai fatto la volontà del Padre,
pronta nell’obbedienza, coraggiosa nella povertà,
accogliente nella verginità feconda,
ottieni dal tuo divin Figlio
che quanti hanno ricevuto il dono
di seguirlo nella vita consacrata
lo sappiano testimoniare
con una esistenza trasfigurata,
camminando gioiosamente,
con tutti gli altri fratelli e sorelle,
verso la patria celeste
e la luce che non conosce tramonto.
Te lo chiediamo,
perché in tutti e in tutto sia glorificato,
benedetto e amato il Sommo Signore
di tutte le cose
che è Padre, Figlio e Spirito Santo.

PREGHIERA ALLA MADONNA PER LA DIFESA DELLA VITA UMANA
O Maria,
aurora del mondo nuovo,
Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato
di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere,
di uomini e donne vittime di disumana violenza,
di anziani e malati uccisi dall’indifferenza
o da una presunta pietà.
Fa’ che quanti credono nel tuo Figlio
sappiano annunciare con franchezza e amore
agli uomini del nostro tempo
il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo
come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine
in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo
con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà,
la civiltà della verità e dell’amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.

MARIA REGINA DEI MARTIRI
Maria, Regina dei martiri,
associata al Figlio in un unico martirio,
accompagni ciascuno di noi
nelle piccole e grandi occasioni
in cui è richiesta
la nostra fedele testimonianza evangelica.
Ci conforti con il suo amore di Madre
nel quotidiano impegno a seguire Cristo,
specialmente nelle situazioni complesse e difficili.

L’amore per Cristo,
che animò il martire Stefano,
alimenti come linfa vitale
la nostra esistenza di ogni giorno.

PREGHIERA MARIANA DEL PAPA A LORETO
O Maria, ci rivolgiamo a Te,
nella tua Santa Casa di Loreto,
memoria del mistero
di Dio fatto uomo
nel tuo seno purissimo
per opera dello Spirito Santo.
Adoriamo il prodigioso evento,
segno stupendo dell’amore di Dio per noi:
il tuo esempio ci incoraggia
ad affidarci al tuo amato Figlio nell’edificare la nostra vita
sulla parola del Vangelo.
Madre di misericordia,
ottienici da Gesù
il perdono e la liberazione dal male;
ottieni per l’intera umanità,
ancora dominata dall’odio e dall’egoismo,
la salvezza e la pace.
Sulle orme degli innumerevoli pellegrini,
che da sette secoli accorrono in questa Casa,
veniamo a deporre nelle tue mani
il nostro impegno di vera e profonda conversione.
Possa la tua Casa di Nazaret
diventare per le nostre case
modello di fede vissuta
e di intrepida speranza, affinché,
nelle chiese domestiche cresca la Santa Chiesa
e dappertutto si diffonda l’amore di Cristo.
O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.

ALLA MADONNA DELLE LACRIME
O Madonna delle Lacrime,
guarda con materna bontà
al dolore del mondo!
Asciuga le lacrime dei sofferenti,
dei dimenticati, dei disperati,
delle vittime di ogni violenza.

Ottieni a tutti lacrime di pentimento
e di vita nuova,
che aprano i cuori
al dono rigenerante dell’amore di Dio.
Ottieni a tutti lacrime di gioia
dopo aver visto la profonda tenerezza del tuo cuore.
 

VERGINE DELLA CONSOLAZIONE
Vergine Santissima,
ci consola il saperti al nostro fianco.
Tu con mano sicura
ci guidi a Cristo tuo Figlio.
A Te, in questa provvidenziale circostanza,
la Chiesa che è in Lecce
affida i suoi progetti di bene,
le fatiche apostoliche
e l’impegno della testimonianza evangelica
in mezzo a queste genti laboriose e fedeli.

Ti salutiamo, Vergine benedetta,
nei Santuari che la pietà popolare
Ti ha elevato in terra salentina:
quello della Madonna di Roca, in riva al mare;
quello della Madonna della cultura, di Paràbita;
e, in particolare, tra i molti altri
quello di Santa Maria “de finibus terrae”, di Leuca.

Ti preghiamo, Vergine fedele,
da questa terra,
che ama invocarti
anche come Odigitria,
assisti i credenti nel quotidiano sforzo
di trovare vie d’incontro
e di mutua comprensione.
Qui, dove l’Oriente e l’Occidente
si sono scambiati preziosi doni
di fede e di civiltà,
Ti sentiamo vicina, Madre dell’unità.

Alimenta in tutti i cristiani
il desiderio di giungere presto
a proclamare in piena sintonia la fede degli Apostoli,
per poter celebrare all’unica mensa
il sacrificio del Corpo e del Sangue del Signore.
Apri il loro cuore
alla fiducia e al dialogo,
perché possano essere nel mondo
testimoni credibili del Vangelo di salvezza.

La nostra preghiera si innalza fervente
per tutte le famiglie,
in quest’anno particolarmente a loro dedicato.
Tu conosci le difficoltà
a cui sono esposte,
le insidie che ne minacciano la stabilità,
le proposte che ne stravolgono
la fisionomia voluta dal Creatore.

Tu sai quanto abbiamo insistito,
unendo gli sforzi dei credenti
a quelli di tutti gli uomini di buona volontà,
perché la recente Conferenza Internazionale del Cairo
riconoscesse nella famiglia
il santuario della comunione
e della vita e ne assicurasse la tutela
contro ogni tentativo
di sconvolgerne la struttura naturale. Ci rivolgiamo a Te,
che hai dato al mondo il Redentore,
perché non sia ulteriormente indebolita
questa primordiale cellula della società,
culla della vita dell’essere umano
e “via” della Chiesa.

Ti raccomandiamo i giovani,
specialmente quelli delle Puglie,
proiettati verso un avvenire di speranza;
le donne, chiamate ad offrire un grande contributo
all’edificazione di una società più accogliente per tutti;
i deboli, gli anziani, gli ammalati e i sofferenti,
bisognosi di più attenta solidarietà.

Veglia su ciascuno con assidua premura,
e su tutti effondi l’abbondanza dei tuoi doni,
o Regina senza macchia di peccato,
o Madre di tutte le grazie, o Vergine Maria!

PREGHIERA A CONCLUSIONE DEL SINODO DEI VESCOVI
Maria, Madre e Vergine,
umile ancella del Signore
e Regina di tutti i Santi,
i frutti dei lavori del Sinodo.
Li affidiamo a Te,
Regina del santo Rosario,
Regina di questa bella preghiera
che ci ha sostenuto
di giorno in giorno
nell’arco di tutto il mese.

Ottienici che questi frutti,
per un singolare scambio di doni,
giovino anche alla causa della famiglia,
assecondando il disegno della divina Provvidenza,
che ha voluto si celebrasse il Sinodo
sulla vita consacrata durante l’Anno della Famiglia.
Ti lodano, Signore, le persone consacrate.
Ti lodano le famiglie cristiane del mondo intero.
Ti loda la Chiesa per il dono del Sinodo.
“Magnificat anima mea Dominum” (Lc 1, 46).

PREGHIERA ALLA MADONNA ASSUNTA
Oggi, nella solennità della tua Assunzione, o Maria,
volgiamo lo sguardo verso Te,
“Piena di grazia”,
Vergine che ci indichi il cielo,
la meta a cui siamo tutti incamminati.

Ti presenti in questo giorno
come “nuova creatura”,
che, ai piedi della Croce,
quando sembrava che trionfasse la morte,
hai “creduto nell’adempimento
delle parole del Signore” (Lc 1, 45)
ed hai raccolto la promessa della resurrezione.

Ti sentiamo vicina,
Madre dei redenti,
che insegni a superare ogni turbamento;
che conforti il popolo di Dio
nella quotidiana lotta
contro il “principe di questo mondo” (Gv 12, 31),
pronto a sradicare dai cuori
il senso di gratitudine e di rispetto
per l’originale e straordinario dono divino
che è la vita dell’uomo.

Tu ci precedi, Vergine celeste,
nel nostro pellegrinaggio di fede.
Sostieni, o Maria,
la nostra speranza;
incoraggia la Chiesa
a proseguire sulla via della fedeltà al suo Signore,
fidando unicamente
nella potenza redentrice della santa Croce.

PREGHIERA MARIANA PER UN AMORE FECONDO
Vergine Santa,
tu hai vissuto come nessun’altra donna al mondo
il mistero sublime della maternità.
Mentre la fede
ti rendeva accogliente alla Parola del Signore,
il tuo corpo si faceva spazio fecondo
per la sua incarnazione.

Accompagnaci, o Madre,
verso una percezione sempre più profonda
della dignità di ogni essere umano.
Fa’ che ne abbiano lucida coscienza
specialmente gli uomini e le donne
chiamati all’eccelsa vocazione
della paternità e della maternità,
perché siano sempre
“santuario della vita”
mediante il prodigio della generazione,
da Dio affidato
all’autenticità del loro amore fedele
e alla loro vigile responsabilità.

MARIA REGINA DEI MARTIRI
Madre dei Martiri –
Madre della Chiesa.
Da ambo le parti di quel sentiero mariano
si trova il Popolo di Dio,
vive la Chiesa.
Da una parte,
nei nostri fratelli e sorelle ortodossi
del Patriarcato di Mosca e di tutta la Russia;
dall’altra, nei figli e nelle figlie
delle Confessioni cristiane
nate dalla Riforma. Non è forse eloquente il fatto
che durante il pellegrinaggio attraverso i Paesi baltici
siamo stati spesso insieme?
Abbiamo pregato insieme.
Abbiamo guardato insieme
il nostro passato
alla luce della preghiera di Cristo per l’unità.
Questa preghiera ci indica la strada
per l’avvenire e non possiamo non seguirla.

A chi la preghiera di Cristo per l’unità
è stata più vicina se non a Te,
Madre di Dio: Theotokos?
Questa è la preghiera
per il Corpo del tuo Figlio!
La Chiesa è Corpo di Cristo.
In quanto Corpo deve costituire unità.

Madre dei Santuari del Baltico!
Madre dei Santuari in terra russa,
in terra rutena!
Madre dei Santuari oltre gli Urali!
Prega con noi ai piedi della Croce di Cristo,
prega con noi,
memori del sangue dei Martiri!
Prega con noi per l’unità!
Da questa unità
Cristo ha fatto dipendere
la fede del mondo intero:
“Siano anch’essi in noi una cosa sola,
perché il mondo creda che tu (Padre) mi hai mandato” (Gv 17, 21).

Madre di tutti i Santuari
sparsi nel mondo, prega con noi per l’unità:
perché il mondo creda!

PREGHIERA MARIANA PER LA GIORNATA DELLA GIOVENTU’
Maria, tu sei la “figura della Chiesa,
…nell’ ordine cioè della fede, della carità
e della perfetta unione con Cristo”
(Lumen Gentium, 63). Hai accettato liberamente la volontà di Dio,
che ti è stata rivelata nell’Annunciazione.
Hai portato in grembo
il Verbo fatto carne,
che ha dimorato tra di noi
come tuo Figlio.
L’hai visto crescere
“in sapienza, età e grazia” (Lc 2, 52)
 nella casa di Nazareth.
La tua via nel seguirlo
ti ha portato perfino ai piedi della croce,
dove Gesù ti ha reso Madre
di tutti i suoi seguaci (cfr. Gv 19, 27).

Maria tu sei la Madre del Signore della vita,
Colei che stava sotto l’Albero della vita.
Presso la Croce sei diventata
nostra Madre spirituale
e, dal cielo, continui a intercedere per noi
che stiamo ancora percorrendo
la via presso la casa del Padre (cfr. Lumen Gentium, 62).

Maria, Madre della Chiesa,
in unione con te
ringraziamo la Santissima Trinità
per tutto ciò che questa Giornata Mondiale della Gioventù
ha portato nella vita dei giovani
che hanno seguito la Croce dell’Anno Santo a Denver.

Maria, Vergine Immacolata,
prega per questi giovani
affinché “abbiano la vita
e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).
Accompagnali mentre si preparano
ad essere messaggeri di quella Vita divina
che sola può soddisfare
la fame del cuore umano!
Come te, possano vedere
nella Croce di Cristo
la chiamata dell’Amore Divino
che trasforma la morte in vita,
 la disperazione in speranza,
la tristezza in gioia senza fine.

Madre Benedetta,
assisti tutti i giovani
che si stanno sforzando di dare
un “Sì” definitivo e responsabile
alla chiamata del Signore al sacerdozio,
alla vita religiosa,
o a una consacrazione speciale nella Chiesa.
Ottieni per loro il coraggio e la speranza
di cui hanno bisogno
per superare tutti gli ostacoli
e seguire da vicino il cammino del tuo Figlio Divino.

Ti chiediamo di vegliare su tutti noi
qui riuniti mentre continuiamo il nostro pellegrinaggio
verso la vera fonte di vita.
Perché questo pellegrinaggio deve continuare!
Deve continuare nelle nostre vite.
Deve continuare nella vita della Chiesa
mentre guarda al Terzo Millennio Cristiano.
Deve continuare come “un nuovo Avvento”,
un momento di speranza e di attesa,
fino al ritorno del Signore nella gloria.
La nostra celebrazione
di questa Giornata Mondiale della Gioventù
è stata una sosta lungo il cammino,
un momento di preghiera e di ristoro,
ma il nostro viaggio deve condurci ancora avanti.

Oggi desidero annunciare
che la prossima Giornata Mondiale della Gioventù
avrà luogo all’inizio del 1995 a Manila nelle Filippine.
In questo modo il nostro pellegrinaggio
ci porterà nel vasto e vitale continente asiatico.
La Croce dell’Anno Santo
ci condurrà a un incontro
con il popolo generoso e pieno di fede delle Filippine.

Maria del Nuovo Avvento,
imploriamo la tua protezione
per i preparativi del prossimo Incontro
che cominceranno adesso.

Maria, “piena di grazia”,
ti affidiamo la prossima Giornata Mondiale della Gioventù!

Maria, Assunta in cielo,
ti affidiamo i giovani di tutto il mondo!

ATTO DI AFFIDAMENTO – FATIMA 13 MAGGIO 1991
 “Santa Madre del Redentore,
Porta del cielo, Stella del mare,
soccorri il tuo Popolo che anela a risorgere”.
Ancora una volta ci rivolgiamo a Te,
Madre di Cristo e della Chiesa,
raccolti ai tuoi piedi nella Cova da Iria,
per ringraziarti di quanto Tu hai fatto in
questi anni difficili
per la Chiesa, per ciascuno di noi e per l’intera umanità.

“Monstra te esse Matrem!”,
quante volte Ti abbiamo invocato!
Ed oggi siamo qui a ringraziarti,
perché sempre ci hai ascoltato.
Tu ti sei mostrata Madre:
Madre della Chiesa, missionaria sulle vie della terra
verso l’atteso terzo Millennio cristiano;
Madre degli uomini, per la costante protezione
che ci ha evitato sciagure e distruzioni irreparabili,
e ha favorito il progresso e le moderne conquiste sociali.
Madre delle Nazioni, per i mutamenti insperati che hanno ridato fiducia a popoli troppo a lungo oppressi e umiliati;
Madre della vita, per i molteplici segni con cui ci hai accompagnati difendendoci dal male e dal potere della morte;
Madre mia da sempre,
e in particolare in quel 13 maggio del 1981,
in cui ho avvertito accanto a me la tua presenza soccorritrice;
Madre di ogni uomo, che lotta per la vita che non muore.
Madre dell’umanità riscattata dal sangue di Cristo.
Madre dell’amore perfetto, della speranza e della pace, Santa Madre del Redentore.

 “Monstra te esse Matrem!”
Sì, continua a mostrarti Madre per tutti,
perché il mondo ha bisogno di Te.
Le nuove situazioni dei popoli e della Chiesa
sono ancora precarie ed instabili.
Esiste il pericolo di sostituire il marxismo
con un’altra forma di ateismo,
che adulando la libertà tende a distruggere
le radici dell’umana e cristiana morale.
Madre della speranza, cammina con noi!
Cammina con l’uomo di quest’ultimo scorcio del secolo ventesimo,
con l’uomo di ogni razza e cultura, d’ogni età e condizione.
Cammina con i popoli verso la solidarietà e l’amore,
cammina con i giovani, protagonisti di futuri giorni di pace.
Hanno bisogno di Te le Nazioni che di recente
hanno riacquistato spazi di libertà
ed ora sono impegnate a costruire il loro avvenire.
Ha bisogno di Te l’Europa che dall’Est all’Ovest
non può ritrovare la sua vera identità
senza riscoprire le comuni radici cristiane.
Ha bisogno di Te il mondo per risolvere
i tanti e violenti conflitti che ancora lo minacciano.

“Monstra te esse Matrem!”
Mostrati Madre dei Poveri,
di chi muore di fame e di malattia,
di chi patisce torti e soprusi,
di chi non trova lavoro, casa e rifugio,
di chi è oppresso e sfruttato,
di chi dispera o invano ricerca la quiete lontano da Dio.
Aiutaci a difendere la vita, riflesso dell’amore divino,
aiutaci a difenderla sempre, dall’alba al suo naturale tramonto.
Mostrati Madre di unità e di pace.
Cessino ovunque la violenza e l’ingiustizia,
crescano nelle famiglie la concordia e l’unità,
e tra i popoli il rispetto e l’intesa;
regni sulla terra la pace, la pace vera!
Maria, dona al mondo Cristo, nostra pace.
Non riaprano i popoli nuovi fossati di odio e di vendetta,
non ceda il mondo alle lusinghe di un falso benessere
che mortifica la dignità della persona
e compromette per sempre le risorse del creato.
Mostrati Madre della speranza!
Veglia sulla strada che ancora ci attende.
Veglia sugli uomini e sulle nuove situazioni dei popoli
ancora minacciati da rischi di guerra.
Veglia sui responsabili delle Nazioni
e su quanti reggono le sorti dell’umanità.
Veglia sulla Chiesa
sempre insidiata dallo spirito del mondo.
Veglia, in particolare, sulla prossima Assemblea speciale
del Sinodo dei Vescovi, tappa importante del cammino
della nuova evangelizzazione in Europa.
Veglia sul mio ministero petrino,
al servizio del Vangelo e dell’uomo
verso i nuovi traguardi dell’azione missionaria della Chiesa.
Totus tuus!

5. In collegiale unità con i Pastori
in comunione con l’intero Popolo di Dio,
sparso in ogni angolo della terra,
anche oggi rinnovo a Te
l’affidamento filiale del genere umano.
A Te con fiducia tutti ci affidiamo.
Con Te intendiamo seguire Cristo, Redentore dell’uomo:
la stanchezza non ci appesantisca,
né la fatica ci rallenti, le difficoltà non spengano il coraggio,
né la tristezza la gioia nel cuore.
Tu, Maria, Madre del Redentore,
continua a mostrarti Madre per tutti,
veglia sul nostro cammino,
fa’ che pieni di gioia vediamo il tuo Figlio nel Cielo.
Amen.

 

 

Atto di affidamento alla Madonna a conclusione del mese di maggio

DSCN3379_JPG.jpgATTO DI AFFIDAMENTO ALLA MADONNA
DEL BEATO GIOVANNI PAOLO II

(parzialmente rivisto da padre Antonio Rungi, passionista e adattato alla circostanza)

Santa Madre del Redentore, Porta del cielo, Stella del mare,  soccorri il tuo Popolo che anela a risorgere.
Ancora una volta ci rivolgiamo a Te, Madre di Cristo e della Chiesa, raccolti ai tuoi piedi  in questo luogo santo, per ringraziarti di quanto Tu hai fatto in questi giorni per la Chiesa, per ciascuno di noi e per l’intera umanità.

Vergine purissima, quante volte Ti abbiamo invocato!  Ed oggi siamo qui a ringraziarti, perché sempre ci hai ascoltato.
Tu ti sei mostrata Madre: Madre della Chiesa, missionaria sulle strade del mondo, in cammino verso il  secondo e definitivo avvento di Cristo sulla terra.
Madre degli uomini, per la tua costante protezione  ci hai evitato sciagure e distruzioni irreparabili e hai favorito il progresso e le moderne conquiste sociali.
Madre delle Nazioni, tanti mutamenti insperati hanno ridato fiducia a popoli troppo a lungo oppressi e umiliati. Madre della vita, per i molteplici segni con cui ci hai accompagnati difendendoci dal male e dal potere della morte. Madre nostra da sempre, e in particolare in questo momento, in cui ti sentiamo nostra soccorritrice. Madre di ogni uomo, che lotta per la vita che non muore.
Madre dell’umanità riscattata dal sangue di Cristo. Madre dell’amore perfetto, della speranza e della pace, Santa Madre del Redentore.

Vergine Santa, continua a mostrarti Madre per tutti, perché il mondo ha bisogno di Te. Le nuove situazioni dei popoli e della Chiesa sono ancora precarie ed instabili. Esiste il pericolo di nuove forme di ateismo, che in nome di una falsa libertà tendono a distruggere le radici dell’umana e cristiana morale.
Madre della speranza, cammina con noi! Cammina con l’uomo del terzo millennio dell’era cristiana, con l’uomo di ogni razza e cultura, d’ogni età e condizione. Cammina con i popoli verso la solidarietà e l’amore, cammina con i giovani, protagonisti di futuri giorni di pace. Di Te hanno bisogno le Nazioni di tutto il mondo in perenne conflitto tra loro. Umile ancella del Signore, mostrati Madre dei poveri, di chi muore di fame e di malattia, di chi patisce torti e soprusi, di chi non trova lavoro, casa e rifugio, di chi è oppresso e sfruttato, di chi soffre per tanti problemi quotidiani, di chi dispera o invano ricerca la quiete lontano da Dio.

Aiutaci a difendere la vita, riflesso dell’amore divino, aiutaci a difenderla sempre, dall’alba al suo naturale tramonto.
Mostrati Madre di unità e di pace.
Cessino ovunque la violenza e l’ingiustizia, crescano nelle famiglie la concordia e l’unità, e tra i popoli il rispetto e l’intesa; regni sulla terra la pace, la pace vera!
Maria, dona al mondo Cristo, nostra pace.
Non riaprano i popoli nuovi fossati di odio e di vendetta, non ceda il mondo alle lusinghe di un falso benessere che mortifica la dignità della persona e compromette per sempre le risorse del creato.

Mostrati Madre della speranza! Veglia sulla strada che ancora ci attende. Veglia sugli uomini e sulle nuove situazioni dei popoli ancora minacciati da rischi di guerra.
Veglia sui responsabili delle Nazioni e su quanti reggono le sorti dell’umanità.
Veglia sulla Chiesa, sempre insidiata dallo spirito del mondo e dal male che si annida in tante situazioni.
Veglia sul Papa, i vescovi, i sacerdoti, sulle anime consacrate e sui fedeli laici. Veglia in modo speciale su quanti ti venerano e ti onorano con speciale devozione. Per tutti mostrati quale sei, Madre di bontà e misericordia.

Madre dolcissima, affidiamo a te tutti noi stessi, le nostre famiglie, i nostri cari, i nostri amici ed anche i nostri nemici. Affidiamo a te tutto quello che è nostro, le nostre attività e quello che possediamo, perché tu possa renderlo utile per il bene di tutti. 
Con Te intendiamo seguire Cristo, Redentore dell’uomo: la stanchezza non ci appesantisca,
né la fatica ci rallenti, le difficoltà non spengano il coraggio, né la tristezza la gioia nel cuore, né la delusione la voglia di vivere.
Tu, Maria, Madre del Redentore, continua a mostrarti Madre per tutti. Veglia sul nostro cammino, fa’ che pieni di gioia vediamo il tuo Figlio nel Cielo, dove sei ad attenderci, per una felicità eterna. Amen.

I discorsi del Papa per la solennità della Pentecoste. Diffidenza, sospetto ci rendono pericolosi l’uno verso l’altro!

11.jpgCAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Domenica, 27 maggio 2012

 

Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di celebrare con voi questa Santa Messa, animata oggi anche dal Coro dell’Accademia di Santa Cecilia e dall’Orchestra giovanile – che ringrazio -, nella Solennità di Pentecoste. Questo mistero costituisce il battesimo della Chiesa, è un evento che le ha dato, per così dire, la forma iniziale e la spinta per la sua missione. E questa «forma» e questa «spinta» sono sempre valide, sempre attuali, e si rinnovano in modo particolare mediante le azioni liturgiche. Stamani vorrei soffermarmi su un aspetto essenziale del mistero della Pentecoste, che ai nostri giorni conserva tutta la sua importanza. La Pentecoste è la festa dell’unione, della comprensione e della comunione umana. Tutti possiamo constatare come nel nostro mondo, anche se siamo sempre più vicini l’uno all’altro con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, e le distanze geografiche sembrano sparire, la comprensione e la comunione tra le persone sia spesso superficiale e difficoltosa. Permangono squilibri che non di rado portano a conflitti; il dialogo tra le generazioni si fa faticoso e a volte prevale la contrapposizione; assistiamo a fatti quotidiani in cui ci sembra che gli uomini stiano diventando più aggressivi e più scontrosi; comprendersi sembra troppo impegnativo e si preferisce rimanere nel proprio io, nei propri interessi. In questa situazione, possiamo trovare veramente e vivere quell’unità di cui abbiamo bisogno?

La narrazione della Pentecoste negli Atti degli Apostoli, che abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr At 2,1-11), contiene sullo sfondo uno degli ultimi grandi affreschi che troviamo all’inizio dell’Antico Testamento: l’antica storia della costruzione della Torre di Babele (cfr Gen 11,1-9). Ma che cos’è Babele? E’ la descrizione di un regno in cui gli uomini hanno concentrato tanto potere da pensare di non dover fare più riferimento a un Dio lontano e di essere così forti da poter costruire da soli una via che porti al cielo per aprirne le porte e mettersi al posto di Dio. Ma proprio in questa situazione si verifica qualcosa di strano e di singolare. Mentre gli uomini stavano lavorando insieme per costruire la torre, improvvisamente si resero conto che stavano costruendo l’uno contro l’altro. Mentre tentavano di essere come Dio, correvano il pericolo di non essere più neppure uomini, perché avevano perduto un elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di accordarsi, di capirsi e di operare insieme.

Questo racconto biblico contiene una sua perenne verità; lo possiamo vedere lungo la storia, ma anche nel nostro mondo.  Con il progresso della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare forze della natura, di manipolare gli elementi, di fabbricare esseri viventi, giungendo quasi fino allo stesso essere umano. In questa situazione, pregare Dio sembra qualcosa di sorpassato, di inutile, perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma non ci accorgiamo che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele. E’ vero, abbiamo moltiplicato le possibilità di comunicare, di avere informazioni, di trasmettere notizie, ma possiamo dire che è cresciuta la capacità di capirci o forse, paradossalmente, ci capiamo sempre meno? Tra gli uomini non sembra forse serpeggiare un senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco, fino a diventare perfino pericolosi l’uno per l’altro? Ritorniamo allora alla domanda iniziale: può esserci veramente unità, concordia? E come?

La risposta la troviamo nella Sacra Scrittura: l’unità può esserci solo con il dono dello Spirito di Dio, il quale ci darà un cuore nuovo e una lingua nuova, una capacità nuova di comunicare. E questo è ciò che si è verificato a Pentecoste. In quel mattino, cinquanta giorni dopo la Pasqua, un vento impetuoso soffiò su Gerusalemme e la fiamma dello Spirito Santo discese sui discepoli riuniti, si posò su ciascuno e accese in essi il fuoco divino, un fuoco di amore capace di trasformare. La paura scomparve, il cuore sentì una nuova forza, le lingue si sciolsero e iniziarono a parlare con franchezza, in modo che tutti potessero capire l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto. A Pentecoste dove c’era divisione ed estraneità, sono nate unità e comprensione.

Ma guardiamo al Vangelo di oggi, nel quale Gesù afferma: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv 16,13). Qui Gesù, parlando dello Spirito Santo, ci spiega che cos’è la Chiesa e come essa debba vivere per essere se stessa, per essere il luogo dell’unità e della comunione nella Verità; ci dice che agire da cristiani significa non essere chiusi nel proprio «io», ma orientarsi verso il tutto; significa accogliere in se stessi la Chiesa tutta intera o, ancora meglio, lasciare interiormente che essa ci accolga. Allora, quando io parlo, penso, agisco come cristiano, non lo faccio chiudendomi nel mio io, ma lo faccio sempre nel tutto e a partire dal tutto: così lo Spirito Santo, Spirito  di unità e di verità, può continuare a risuonare nei nostri cuori e nelle menti degli uomini e spingerli ad incontrarsi e ad accogliersi a vicenda. Lo Spirito, proprio per il fatto che agisce così, ci introduce in tutta la verità, che è Gesù, ci guida nell’approfondirla, nel comprenderla: noi non cresciamo nella conoscenza chiudendoci nel nostro io, ma solo diventando capaci di ascoltare e di condividere, solo nel «noi» della Chiesa, con un atteggiamento di profonda umiltà interiore. E così diventa più chiaro perché Babele è Babele e la Pentecoste è la Pentecoste. Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce.

La contrapposizione tra Babele e Pentecoste riecheggia anche nella seconda lettura, dove l’Apostolo dice: “Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne” (Gal 5,16). San Paolo ci spiega che la nostra vita personale è segnata da un conflitto interiore, da una divisione, tra gli impulsi che provengono dalla carne e quelli che provengono dallo Spirito; e noi non possiamo seguirli tutti.  Non possiamo, infatti, essere contemporaneamente egoisti e generosi, seguire la tendenza a dominare sugli altri e provare la gioia del servizio disinteressato. Dobbiamo sempre scegliere quale impulso seguire e lo possiamo fare in modo autentico solo con l’aiuto dello Spirito di Cristo. San Paolo elenca – come abbiamo sentito – le opere della carne, sono i peccati di egoismo e di violenza, come inimicizia, discordia, gelosia, dissensi; sono pensieri e azioni che non fanno vivere in modo veramente umano e cristiano, nell’amore. E’ una  direzione che porta a perdere la propria vita. Invece lo Spirito Santo ci guida verso le altezze di Dio, perché possiamo vivere già in questa terra il germe di vita divina che è in noi. Afferma, infatti, san Paolo: «Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace» (Gal 5,22).  E notiamo che l’Apostolo usa il plurale per descrivere le opere della carne, che provocano la dispersione dell’essere umano, mentre usa il singolare per definire l’azione dello Spirito, parla di «frutto», proprio come alla dispersione di Babele si contrappone l’unità di Pentecoste.

Cari amici, dobbiamo vivere secondo lo Spirito di unità e di verità, e per questo dobbiamo pregare perché lo Spirito ci illumini e ci guidi a vincere il fascino di seguire nostre verità, e ad accogliere la verità di Cristo trasmessa nella Chiesa. Il racconto lucano della Pentecoste ci dice che Gesù prima di salire al cielo chiese agli Apostoli di rimanere insieme per prepararsi a ricevere il dono dello Spirito Santo. Ed essi si riunirono in preghiera con Maria nel Cenacolo nell’attesa dell’evento promesso (cfr At 1,14). Raccolta con Maria, come al suo nascere, la Chiesa anche quest’oggi prega: «Veni Sancte Spiritus! – Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!». Amen.

 

SOLENNITÀ DI PENTECOSTE

BENEDETTO XVI REGINA CÆLI

Piazza San Pietro
Domenica, 27 maggio 2012

Cari fratelli e sorelle!

Celebriamo oggi la grande festa di Pentecoste, che porta a compimento il Tempo di Pasqua, cinquanta giorni dopo la Domenica della Risurrezione. Questa solennità ci fa ricordare e rivivere l’effusione dello Spirito Santo sugli Apostoli e gli altri discepoli, riuniti in preghiera con la Vergine Maria nel Cenacolo (cfr At 2,1-11). Gesù, risorto e asceso al cielo, invia alla Chiesa il suo Spirito, affinché ogni cristiano possa partecipare alla sua stessa vita divina e diventare suo valido testimone nel mondo. Lo Spirito Santo, irrompendo nella storia, ne sconfigge l’aridità, apre i cuori alla speranza, stimola e favorisce in noi la maturazione interiore nel rapporto con Dio e con il prossimo.

Lo Spirito, che «ha parlato per mezzo dei profeti», con i doni della sapienza e della scienza continua ad ispirare donne e uomini che si impegnano nella ricerca della verità, proponendo vie originali di conoscenza e di approfondimento del mistero di Dio, dell’uomo e del mondo. In questo contesto, sono lieto di annunciare che il prossimo 7 ottobre, all’inizio dell’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, proclamerò san Giovanni d’Avila e santa Ildegarda di Bingen Dottori della Chiesa universale. Questi due grandi testimoni della fede vissero in periodi storici e ambienti culturali assai diversi. Ildegarda fu monaca benedettina nel cuore del Medioevo tedesco, autentica maestra di teologia e profonda studiosa delle scienze naturali e della musica. Giovanni, sacerdote diocesano negli anni del rinascimento spagnolo, partecipò al travaglio del rinnovamento culturale e religioso della Chiesa e della compagine sociale agli albori della modernità. Ma la santità della vita e la profondità della dottrina li rendono perennemente attuali: la grazia dello Spirito Santo, infatti, li proiettò in quell’esperienza di penetrante comprensione della rivelazione divina e di intelligente dialogo con il mondo che costituiscono l’orizzonte permanente della vita e dell’azione della Chiesa.

Soprattutto alla luce del progetto di una nuova evangelizzazione, alla quale sarà dedicata la menzionata Assemblea del Sinodo dei Vescovi, e alla vigilia dell’Anno della Fede, queste due figure di Santi e Dottori appaiono di rilevante importanza e attualità. Anche ai nostri giorni, attraverso il loro insegnamento, lo Spirito del Signore risorto continua a far risuonare la sua voce e ad illuminare il cammino che conduce a quella Verità che sola può renderci liberi e dare senso pieno alla nostra vita.

Pregando ora insieme il Regina Caeli, invochiamo l’intercessione della Vergine Maria affinché ottenga alla Chiesa di essere potentemente animata dallo Spirito Santo, per testimoniare Cristo con franchezza evangelica e aprirsi sempre più alla pienezza della verità.

 

Formia (Lt). Molta partecipazione alla novena di Sant’Erasmo

884268250.jpgDa mercoledì scorso, 23 maggio, è in corso la predicazione della Novena in onore di Sant’Erasmo nell’omonima chiesa parrocchiale al Castellone di Formia, dove da secoli si venera il santo vescovo e martire, patrono della città e dell’arcidiocesi di Gaeta. Tantissimi i fedeli che stanno frequentando la chiesa in questi giorni per seguire le prediche di padre Antonio Rungi, missionario passionista, che è ritornato a predicare la novena di Sant’Erasmo dopo 15 anni. Sono circa 300 i fedeli che ogni sera riempiono la bellissima ed artistica chiesa, nella cui cripta sono state rinvenute le spoglie mortali del vescovo martire. Oggi sono in corso lavori di sistemazione per presentare tutto il percordo del martirio che hanno subito i santi confessori della fede sotto la persecuzione di Diocleziano. Sant’Erasmo secondo fondi attendibile fu martirizzato il 2 giugno del 303 a Formia e per secoli sono state conservate le spoglie nella chiesa di Sant’Erasmo per poi essere traslate nella cattedrale di Gaeta.

In questi giorni di preparazione alla festa, orginazzata dal comitato sotto la guida del parroco don Alfredo Micalusi, padre Rungi sta sviluppando importanti tematiche di ordine teologico, spirituale e pastorale. Nella giornata del 24 maggio ha parlato dell’educazione alla fede nella famiglia, ieri 25 maggio ha parlato del gioia cristiana, stasera, 26 maggio ha parlato della chiamata alla santità. Il tutto riferito sempre al grande martire e santo, patrono della città di Formia.

Dopo alcuni anni si regista in chiesa a detta dei piàù una buona partecipazione dei fedeli alla novena in onore del santo. Segno evidente di una rinnovata fede e devozione verso il santo patrono di Formia e dei naviganti.

Certo vedere la chiesa piena di fedeli è una soddisfazione sia per chi predica e sia per chi ha fatto tanti sforzi per preparare degnamente il percorso liturgico e spirituale per la festa di Sant’Erasmo. Domani sera, domenica della Pentecoste presiede la messa delle 19, don Gianni, parrocco di San Giovanni, il compatrono della città di Formia, la cui festa è imminente, celebrandosi il 24 giugno. Il 2 giugno invece festa grande per sant’Erasmo con la processione e il panegirico conclusivo di padre Rungi, predicatore ufficiale della novena, che già riscuotendo grandi successi a gloria di Dio e ad onore del santo Patrono, da tutti i formiani onorato con grande devozione ed amore.

Serva di Dio, Victorine Le Dieu. Conclusi i festeggiamenti.

Foto-0342.jpgDSC04605.JPGMartedì 22 maggio 2012, si sono concluse presso le Suore di Gesù Redentore le quattro giornate eucaristiche in occasione della festa annuale della fondatrice, la Serva di Dio Madre Victorine Le Dieu. Sono stati giorni bellissimi da un punto di vista spirituale guidati da vari sacerdoti ed in particolare dall’ assistente spirituale delle Suore della Stella Maris, padre Antonio Rungi, passionista della comunità di Itri (Lt). Martedì sera, alle 20,30 la solenne concelebrazione presieduta dallo stesso padre Rungi e concelebrata dal parroco di San Giuseppe Artigiano, padre Bernard Majele, passionista originario del Congo, e da don Emilio Fusco, parroco di Falciano del Massico, assistente spirituale dell’Apostolato della Preghiera e  già alunno della Stella Maris. Una celebrazione intensa, come intensa e vibrante è stata l’omelia tenuta da padre Rungi sulla memoria di tre grandi eventi: la celebrazione eucaristica, memoriale della Pasqua di Cristo, con la transustanziazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Gesù,  la memoria liturgica di Santa Rita da Cascia e la memoria della nascita della  fondatrice delle Suore di Gesù Redentore, Victorine Le Dieu, che veniva alla luce il 22 maggio 1809 a Avranches in Francia. A conclusione della messa da tutti i presenti è stata recitata la supplica in onore di Santa Rita da Cascia e padre Rungi ha benedetto le rose in onore di Santa Rita. Poi la preghiera di intercessione per la beatificazione della serva di Dio, Victorine Le Dieu, ed infine la distribuzione delle rose, una per famiglia, ai fedeli presenti. E’ stata la superiora della Stella Maris, suor Maria Paola a distribuire le rose benedette. La messa è stata animata dalla musica e dai canti di Myriam Cerqua e Fausto. All’inizio della celebrazione la superiora ha rivolto ai presenti il suo saluto e ringraziamento. L’offertorio è stato garantito da quattro suore della comunità che hanno portato all’altare: il pane e il vino; la Bibbia; la Regola della Congregazione delle Suore di Gesù Redentore e una lampada, deposta davanti all’immagine della serva di Dio. Madre Victorine Le Dieu, esposta solennemente nella chiesa delle Suore della Stella Maris. Diversi i fedeli presenti provenienti da varie parti della città di Mondragone che hanno voluto condividere con le religiose la festa della loro Fondatrice. Un ringraziamento speciale è stato espresso a conclusione di tutta la funzione dal sacerdote celebrante, a nome delle religiose “a tutti coloro che hanno contribuito alla buona riuscita della celebrazione ed in particolare ai sacerdoti che  hanno accompagnati in questa avventura spirituale le Suore e i fedeli della Stella Maris: padre Antonio Rungi, don Paolo Marotta, padre Bernard Majele, don Roberto Gutturiello e don Emilio Fusco.
Il triduo di predicazione, di adorazione eucaristica si è svolto da sabato 19 maggio al 21 maggio in tarda serata. Si succeduti nel presiedere le tre giornate eucaristiche, don Paolo Marotta, vicario episcopale per la vita consacrata della Diocesi di Sessa Aurunca, che ha tratatto il tema “il pane del’ospitalità”. Domenica 20 maggio è stata la volta del parroco di San Giuseppe Artigiano, il passionista di origine congolese, padre Bernard Majele, che ha trattato il tema “Il pane donato”. Lunedì 21 maggio è stato il turno di padre Antonio Rungi, assistente spirituale delle Suore della Stella Maris, che ha parlato di “Maria e il pane”.  La tre giorni eucaristica di preparazione è stata così strutturata: al mattino santa messa alle ore 8.00, poi esposizione eucaristica per tutta la giornata, con breve pausa durante le prime ore pomeridiane. Dalle 15 alle 21 esposizione continuata con cenacolo di preghiera. La festa della fondatrice è molto sentita dalle suore della Stella Maris che da anni la organizzano con molto impegno e con grandi frutti spirituali, in quanto a partecipare ai vari momenti liturgici sono i fedeli del territorio, specilamente quelli che frequentano il cenacolo di preghiera mensile, il ritiro mensile, il rosario settimanale e tante altre attività spirituali che si tengono alla Stella Maris per l’intero anno e soprattutto d’estate quando l’afflusso dei fedeli è maggiore, per la presenza dei turisti e villeggianti, alcuni dei quali sono ospiti alla Stella Maris e condividono l’esperienza della preghiera, della parola di Dio e dell’eucaristica con le Suore. La comunità oggi composta da sei religiose è molto attiva da un punto di vista di animazione spirituale.

 

Il Messaggio del Papa per la giornata mondiale delle comunicazioni

11.jpgMESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA XLVI GIORNATA MONDIALE
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI  
 

“Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione”

[Domenica, 20 maggio 2012]

 

Cari fratelli e sorelle,

all’avvicinarsi della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2012, desidero condividere con voi alcune riflessioni su un aspetto del processo umano della comunicazione che a volte è dimenticato, pur essendo molto importante, e che oggi appare particolarmente necessario richiamare. Si tratta del rapporto tra silenzio e parola: due momenti della comunicazione che devono equilibrarsi, succedersi e integrarsi per ottenere un autentico dialogo e una profonda vicinanza tra le persone. Quando parola e silenzio si escludono a vicenda, la comunicazione si deteriora, o perché provoca un certo stordimento, o perché, al contrario, crea un clima di freddezza; quando, invece, si integrano reciprocamente, la comunicazione acquista valore e significato.

Il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto. Nel silenzio ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi, nasce e si approfondisce il pensiero, comprendiamo con maggiore chiarezza ciò che desideriamo dire o ciò che ci attendiamo dall’altro, scegliamo come esprimerci. Tacendo si permette all’altra persona di parlare, di esprimere se stessa, e a noi di non rimanere legati, senza un opportuno confronto, soltanto alle nostre parole o alle nostre idee. Si apre così uno spazio di ascolto reciproco e diventa possibile una relazione umana più piena. Nel silenzio, ad esempio, si colgono i momenti più autentici della comunicazione tra coloro che si amano: il gesto, l’espressione del volto, il corpo come segni che manifestano la persona. Nel silenzio parlano la gioia, le preoccupazioni, la sofferenza, che proprio in esso trovano una forma di espressione particolarmente intensa. Dal silenzio, dunque, deriva una comunicazione ancora più esigente, che chiama in causa la sensibilità e quella capacità di ascolto che spesso rivela la misura e la natura dei legami. Là dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti, il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio. Una profonda riflessione ci aiuta a scoprire la relazione esistente tra avvenimenti che a prima vista sembrano slegati tra loro, a valutare, ad analizzare i messaggi; e ciò fa sì che si possano condividere opinioni ponderate e pertinenti, dando vita ad un’autentica conoscenza condivisa. Per questo è necessario creare un ambiente propizio, quasi una sorta di “ecosistema” che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni.

Gran parte della dinamica attuale della comunicazione è orientata da domande alla ricerca di risposte. I motori di ricerca e le reti sociali sono il punto di partenza della comunicazione per molte persone che cercano consigli, suggerimenti, informazioni, risposte. Ai nostri giorni, la Rete sta diventando sempre di più il luogo delle domande e delle risposte; anzi, spesso l’uomo contemporaneo è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte. Il silenzio è prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo, proprio per riconoscere e focalizzare le domande veramente importanti. Nel complesso e variegato mondo della comunicazione emerge, comunque, l’attenzione di molti verso le domande ultime dell’esistenza umana: chi sono? che cosa posso sapere? che cosa devo fare? che cosa posso sperare? E’ importante accogliere le persone che formulano questi interrogativi, aprendo la possibilità di un dialogo profondo, fatto di parola, di confronto, ma anche di invito alla riflessione e al silenzio, che, a volte, può essere più eloquente di una risposta affrettata e permette a chi si interroga di scendere nel più profondo di se stesso e aprirsi a quel cammino di risposta che Dio ha iscritto nel cuore dell’uomo.

Questo incessante flusso di domande manifesta, in fondo, l’inquietudine dell’essere umano sempre alla ricerca di verità, piccole o grandi, che diano senso e speranza all’esistenza. L’uomo non può accontentarsi di un semplice e tollerante scambio di scettiche opinioni ed esperienze di vita: tutti siamo cercatori di verità e condividiamo questo profondo anelito, tanto più nel nostro tempo in cui “quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali” (Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2011).

Sono da considerare con interesse le varie forme di siti, applicazioni e reti sociali che possono aiutare l’uomo di oggi a vivere momenti di riflessione e di autentica domanda, ma anche a trovare spazi di silenzio, occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio. Nella essenzialità di brevi messaggi, spesso non più lunghi di un versetto biblico, si possono esprimere pensieri profondi se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità. Non c’è da stupirsi se, nelle diverse tradizioni religiose, la solitudine e il silenzio siano spazi privilegiati per aiutare le persone a ritrovare se stesse e quella Verità che dà senso a tutte le cose. Il Dio della rivelazione biblica parla anche senza parole: “Come mostra la croce di Cristo, Dio parla anche per mezzo del suo silenzio. Il silenzio di Dio, l’esperienza della lontananza dell’Onnipotente e Padre è tappa decisiva nel cammino terreno del Figlio di Dio, Parola incarnata. (…) Il silenzio di Dio prolunga le sue precedenti parole. In questi momenti oscuri Egli parla nel mistero del suo silenzio” (Esort. ap. postsin. Verbum Domini, 30 settembre 2010, 21). Nel silenzio della Croce parla l’eloquenza dell’amore di Dio vissuto sino al dono supremo. Dopo la morte di Cristo, la terra rimane in silenzio e nel Sabato Santo, quando “il Re dorme e il Dio fatto carne sveglia coloro che dormono da secoli” (cfr Ufficio delle Letture del Sabato Santo), risuona la voce di Dio piena di amore per l’umanità.

Se Dio parla all’uomo anche nel silenzio, pure l’uomo scopre nel silenzio la possibilità di parlare con Dio e di Dio. “Abbiamo bisogno di quel silenzio che diventa contemplazione, che ci fa entrare nel silenzio di Dio e così arrivare al punto dove nasce la Parola, la Parola redentrice” (Omelia, S. Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale, 6 ottobre 2006). Nel parlare della grandezza di Dio, il nostro linguaggio risulta sempre inadeguato e si apre così lo spazio della contemplazione silenziosa. Da questa contemplazione nasce in tutta la sua forza interiore l’urgenza della missione, la necessità imperiosa di “comunicare ciò che abbiamo visto e udito”, affinché tutti siano in comunione con Dio (cfr 1 Gv 1,3). La contemplazione silenziosa ci fa immergere nella sorgente dell’Amore, che ci conduce verso il nostro prossimo, per sentire il suo dolore e offrire la luce di Cristo, il suo Messaggio di vita, il suo dono di amore totale che salva.

Nella contemplazione silenziosa emerge poi, ancora più forte, quella Parola eterna per mezzo della quale fu fatto il mondo, e si coglie quel disegno di salvezza che Dio realizza attraverso parole e gesti in tutta la storia dell’umanità. Come ricorda il Concilio Vaticano II, la Rivelazione divina si realizza con “eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto” (Dei Verbum, 2). E questo disegno di salvezza culmina nella persona di Gesù di Nazaret, mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione. Egli ci ha fatto conoscere il vero Volto di Dio Padre e con la sua Croce e Risurrezione ci ha fatti passare dalla schiavitù del peccato e della morte alla libertà dei figli di Dio. La domanda fondamentale sul senso dell’uomo trova nel Mistero di Cristo la risposta capace di dare pace all’inquietudine del cuore umano. E’ da questo Mistero che nasce la missione della Chiesa, ed è questo Mistero che spinge i cristiani a farsi annunciatori di speranza e di salvezza, testimoni di quell’amore che promuove la dignità dell’uomo e che costruisce giustizia e pace.

Parola e silenzio. Educarsi alla comunicazione vuol dire imparare ad ascoltare, a contemplare, oltre che a parlare, e questo è particolarmente importante per gli agenti dell’evangelizzazione: silenzio e parola sono entrambi elementi essenziali e integranti dell’agire comunicativo della Chiesa, per un rinnovato annuncio di Cristo nel mondo contemporaneo. A Maria, il cui silenzio “ascolta e fa fiorire la Parola” (Preghiera per l’Agorà dei Giovani a Loreto, 1-2 settembre 2007), affido tutta l’opera di evangelizzazione che la Chiesa compie tramite i mezzi di comunicazione sociale.

 

Dal Vaticano, 24 gennaio 2012, Festa di san Francesco di Sales

 

Itri (Lt). Festa grande per padre Mario Petrillo, missionario in Brasile

DSC05285.JPGDSC05329.JPGFesta grande per padre Mario Petrillo in occasione dei suoi 50 anni di ordinazione sacerdotale, oggi, domenica 13 maggio 2012. Circondato dall’affetto dei suoi cari, dagli amici, dai confratelli e dal primo cittadino della città di Itri, padre Mario oggi ha reso grazie al Signore e alla Madonna della Civita per il suo giubileo d’oro di sacerdozio. Missionario in Brasile da una vita continua la sua attività apostolica, nonostante i suoi 76 anni, che ha compiuto oggi, con lo stesso entusiasmo di quando partire missionario per terre lontane, da dove ritorna periodicamente per salutare i parenti, sparsi anche in Canada.

Stamattina la chiesa di Santa Maria Maggiore in Itri era piena, tra cui molti parenti e conoscenti del sacerdote. Ha presieduto padre Mario ed ha concelebrato padre Antonio Rungi, religioso della comunità di Itri, che al festeggiato ha rivolto il saluto iniziale della messa e quello conclusivo della celebrazione, a personale, del Superiore-parroco, padre Luigi Donati e della comunità passionista di Itri, dove padre Mario è ospite in questi giorni di permanenza in Italia. Padre Mario nell’omelia ha ripercorso le tappe più importanti della sua vita ed in particolare quella più dolorosa della malattia, da cui è uscito guarito per grazia ricevuta dalla Madonna della Civita. La santa messa è stata animata da Ernesto e dal gruppo liturgico della parrocchia.

A conclusione della messa ha rivolto al festeggiato un breve e sentito saluto il primo cittadino della città, il Sindaco, dottor Giuseppe De Santis, che ha apprezzato l’impegno di padre Mario per far conoscere nel mondo il buon nome di Itri e la devozione alla Madonna della Civita. Una targa ricordo a nome dell’amministrazione comunale della città originaria del padre missionario passionista in terra brasiliana è stata consegnata dal Sindaco a padre Mario.

Padre Mario è stato festeggiato insieme ai parenti e amici stretti, nonché dalle autorità civile in un ristorante della zona, condividendo con i presenti un momenti di vera gioia e fraternità. Il religioso farà rientro nelle terre di missioni all”inizio del mese di giugno, dopo la breve parentesi di vacanza e festa trascorsa in Italia nel suo paese natio e tra i confratelli della comunità di Itri e i parenti e conoscenti del religioso che vivono ancora in città o che sono partiti per altri lidi, come partì padre Mario chamato da Dio ad un impegno missionario oltre i confini dell’Italia e dell’Europa nel nome di San Paolo della Croce.

Trentuno racconti moderni ed attuali per il mese di maggio

madonna.jpgTrentuno racconti moderni ed attuali per il mese di maggio

Selezionati da padre Antonio Rungi, passionista

1. Apri la finestra della speranza
Un uomo disperava dell’amore di Dio.
Un giorno, mentre errava sulle colline che attorniano la sua città, incontrò un pastore.
“Che cosa ti turba, amico?”.
“Mi sento immensamente solo”.
“Anch’io sono solo, eppure non sono triste”.
“Forse perché Dio ti fa compagnia”.
“Hai indovinato”.
“Io invece non ho la compagnia di Dio. Non riesco a credere nel suo amore. Com’è possibile che ami me?”.
“Vedi laggiù la nostra città?”, gli chiese il pastore. “Vedi le case? Vedi le finestre?”.
“Vedo tutto questo”, rispose il pellegrino.
“Allora non devi disperare. Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più piccola e la più nascosta, ogni giorno viene baciata dal sole. Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra”. (Anonimo indiano)

2. La storia della matita
Il bambino guardava la nonna scrivere una lettera.
Ad un certo punto, chiese: “Stai scrivendo una storia su di noi? E’ per caso una storia su di me?”.
La nonna smise di scrivere, sorrise e disse al nipote: “In effetti, sto scrivendo su di te. Tuttavia, più importante delle parole, è la matita che sto usando. Mi piacerebbe che tu fossi come lei, quando sarai grande.”
Il bimbo osservò la matita, incuriosito e non vide niente di speciale.
“Ma è identica a tutte le matite che ho visto in vita mia!”.
“Tutto dipende dal modo in cui guardi le cose. Ci sono 5 qualità in essa che, se tu riuscirai a mantenere, faranno sempre di te un uomo in pace con il mondo.
Prima qualità: tu puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una mano che guida i tuoi passi: questa mano noi la chiamiamo Dio e Lui ti dovrà sempre indirizzare verso la Sua volontà.
Seconda qualità: di quando in quando io devo interrompere ciò che sto scrivendo ed usare il temperino. Questo fa sì che la matita soffra un poco, ma alla fine essa sarà più affilata. Pertanto, sappi sopportare un po’ di dolore, perché ciò ti renderà una persona migliore.
Terza qualità: la matita ci permette sempre d’usare una gomma per cancellare gli sbagli. Capisci che correggere qualcosa che abbiamo fatto non è necessariamente un male, ma qualcosa di fondamentale per mantenerci sulla retta via.
Quarta qualità: ciò che è davvero importante nella matita non è il legno o la forma esteriore, ma la grafite che è all’interno. Dunque fai sempre attenzione a quello che succede dentro di te.
Infine la quinta qualità della matita: lascia sempre un segno. Ugualmente, sappi che tutto ciò che farai nella vita lascerà tracce e cerca d’essere conscio d’ogni singola azione. (Paulo Coelho)

3. Le tre massime del pettirosso
Un uomo trovò un pettirosso bloccato fra gli spini e lo catturò, dicendo: “Che bellezza, me lo porto a casa e me lo faccio allo spiedo”. Al che il pettirosso gli parlò: “Che ben magro pasto faresti col mio corpicino minuto! Se invece mi lasci libero, in cambio ti dirò tre massime di grande valore”.
“Si, d’accordo, – rispose l’uomo – ma prima dimmi le massime e poi ti lascerò andare”.
“E come posso fidarmi? Facciamo cosi: io ti dico la prima massima mentre mi hai ancora in mano. Se ti va, mi lasci andare e io volo su quel ramoscello vicino, da dove ti dico la seconda massima, e dove mi puoi anche raggiungere con un salto. Poi volerò sulla cima dell’albero, e da li ti dirò la terza massima”.
Cosi fu convenuto e l’uccellino cominciò: “Non ti lamentare mai di ciò che hai perso, tanto non serve a nulla”.
“Bene, – disse l’uomo – mi piace”, e liberò il pettirosso che dal ramoscello vicino disse la seconda massima: “Non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare di persona”.
Dopo di che il pettirosso spiccò il volo, e mentre raggiungeva la cima dell’albero gridò tra i gorgheggi: “Uomo sciocco e stupido! Nel mio corpo è nascosto un bracciale tutto d’oro, tempestato di diamanti e rubini. Se mi avessi aperto, a quest’ora saresti un uomo ricco”.
Al che l’uomo, disperato, si buttò a terra stracciandosi le vesti e gridando: “Povero me: in cambio di tre massime ho perduto un tesoro favoloso! Me disgraziato, perché ho dato retta al pettirosso! Perché questo insulso scambio per tre sole massime …. Ma, un momento! Ehi pettirosso: me ne hai detto solo due; dimmi almeno anche la terza!”
E il pettirosso rispose: “Uomo sciocco, tre volte sciocco: ti ho pur detto come prima massima di non lamentarti per ciò che hai perso, tanto è inutile. Ed ecco che sei per terra a lamentarti. Poi ti ho detto di non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare di persona, ed ecco che tu credi a quel che ti ho detto senza averne la benché minima prova. Ti sembra forse che il mio piccolo corpo possa racchiudere un grosso bracciale? Se non sai fare uso delle prime due massime, come puoi pretendere di averne una terza?” E volò via. (Francesco Piras s.j.)

4. Il sacchetto dei chiodi
C’era una volta un ragazzo con un pessimo carattere. Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno sul muro del giardino ogni volta che avrebbe perso la pazienza e avrebbe litigato con qualcuno.
Il primo giorno ne piantò 37 nel muro. Le settimane successive, imparò a controllarsi, ed il numero di chiodi piantati diminuì giorno dopo giorno: aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare chiodi.
Infine, arrivò un giorno in cui il ragazzo non piantò nessun chiodo sul muro. Allora andò da suo padre e gli disse che quel giorno non aveva piantato nessun chiodo.
Suo padre gli disse allora di togliere un chiodo dal muro per ogni giorno in cui non avesse mai perso la pazienza.
I giorni passarono e infine il giovane poté dire a suo padre che aveva levato tutti i chiodi dal muro. Il padre condusse il figlio davanti al muro e gli disse:
“Figlio mio, ti sei comportato bene, ma guarda tutti i buchi che ci sono sul muro. Non sarà mai come prima. Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di cattivo, gli lasci una ferita come questa. Puoi piantare un coltello in un uomo e poi tirarglielo via, ma gli resterà sempre una ferita. Poco importa quante volte ti scuserai, la ferita resterà. E una ferita verbale fa male tanto quanto una fisica.

5. La lezione della farfalla
Un giorno, apparve un piccolo buco in una crisalide. Un uomo, che passava di lì per caso, si fermò ad osservare la farfalla che, per varie ore, si sforzava per uscire da quel piccolo buco.
Dopo molto tempo, sembrava che essa si fosse arresa ed il buco fosse sempre della stessa dimensione. Sembrava che la farfalla ormai avesse fatto tutto quello che poteva, e che non avesse più la possibilità di fare niente altro.
Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino ed aprì il bozzolo. La farfalla uscì immediatamente. Però il suo corpo era piccolo e rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento.
L’uomo continuò ad osservare, perché sperava che, da un momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero e fossero capaci di sostenere il corpo, e che essa cominciasse a volare.
Non successe nulla! E la farfalla passò il resto della sua esistenza trascinandosi per terra con un corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate. Non fu mai capace di volare.
Ciò che quell’uomo, con il suo gesto di gentilezza e con l’intenzione di aiutare non capiva, era che passare per lo stretto buco del bozzolo era lo sforzo necessario affinché la farfalla potesse trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che essa potesse volare. Era il modo in cui Dio la faceva crescere e sviluppare.
A volte, lo sforzo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita.
« Chiesi la forza… e Dio mi ha dato le difficoltà per farmi forte. Chiesi la Sapienza… e Dio mi ha dato problemi da risolvere. Chiesi l’amore… e Dio mi ha dato persone con problemi da poter aiutare. Non ho ricevuto niente di quello che chiesi… Però ho ricevuto tutto quello di cui avevo bisogno. »
Vivi la vita senza paura, affronta tutti gli ostacoli e dimostra che puoi superarli.

6. Solo se si ha sete
Un discepolo andò dal suo maestro e gli disse: “Maestro, voglio trovare Dio”.
E il maestro sorrise. E siccome faceva molto caldo, invitò il giovane ad accompagnarlo a fare un bagno nel fiume.
Il giovane si tuffò e il maestro fece altrettanto. Poi lo raggiunse e lo agguantò, tenendolo a viva forza sott’acqua. Il giovane si dibatte alcuni istanti, finche il maestro lo lasciò tornare a galla.
Quindi, gli chiese che cosa avesse desiderato di più mentre si trovava sott’acqua.
Il discepolo rispose: “L’aria, evidentemente”.
“Desideri Dio allo stesso modo e la sua parola allo stesso modo?” gli chiese il maestro.
“Se lo desideri così, non mancherai di trovare lui e la sua parola. Ma se non hai in te questa sete ardentissima, a nulla ti gioveranno i tuoi sforzi e i tuoi libri. Non potrai trovare la fede, se tu non la desideri come l’aria per respirare”.
Quando affiora il problema di Dio, vorremmo una risposta immediata, possibilmente che non ci chieda fatica e sforzo. In questo caso non ci sarà risposta.
Per arrivare a una soluzione, essa esige umiltà, perseveranza nella ricerca, il superamento degli ostacoli che impediscono di vederne i pericoli, e di operare rettamente, decisione senza compromessi e mezze misure. (Francesco Piras s.j.).

7. Come il caffè
Una figlia si lamentava con suo padre circa la sua vita e di come le cose le risultavano tanto difficili.
Non sapeva come fare per proseguire e credeva di darsi per vinta. Era stanca di lottare.
Sembrava che quando risolveva un problema, ne apparisse un altro. Suo padre, uno chef di cucina, la portò al suo posto di lavoro.
Lì riempì tre pentole con acqua e le pose sul fuoco.
Quando l’acqua delle tre pentole stava bollendo, in una collocò carote, in un’altra collocò uova e nell’ultima collocò grani di caffè.
Lasciò bollire l’acqua senza dire parola.
La figlia aspettò impazientemente, domandandosi cosa stesse facendo il padre.
Dopo venti minuti il padre spense il fuoco.
Tirò fuori le carote e le collocò in una scodella.
Tirò fuori le uova e le collocò in un altro piatto.
Finalmente, colò il caffè e lo mise in un terzo recipiente.
Guardando sua figlia le disse:
“Cara figlia mia, carote, uova o caffè?” fu la sua domanda.
La fece avvicinare e le chiese che toccasse le carote, ella lo fece e notò che erano soffici, dopo le chiese di prendere un uovo e di romperlo, mentre lo tirava fuori dal guscio, osservò l’uovo sodo.
Dopo le chiese che provasse il caffè, ella sorrise mentre godeva del suo ricco aroma.
Umilmente la figlia domandò: “Cosa significa questo, padre?”
Egli le spiegò che i tre elementi avevano affrontato la stessa avversità, “l’acqua bollente”, ma avevano reagito in maniera differente.
La carota arrivò all’acqua forte, dura, superba; ma dopo avere passato per l’acqua, bollendo era diventata debole, facile da disfare.
L’uovo era arrivato all’acqua fragile, il suo guscio fine proteggeva il suo interno molle, ma dopo essere stato in acqua, bollendo, il suo interno si era indurito.
Invece, i grani di caffè, erano unici: dopo essere stati in acqua, bollendo, avevano cambiato l’acqua.
“Quale sei tu figlia?” le disse.
“Quando l’avversità suona alla tua porta; come rispondi?”
“Sei una carota che sembra forte ma quando l’avversità ed il dolore ti toccano, diventi debole e perdi la tua forza?”
“Sei un uovo che comincia con un cuore malleabile e buono di spirito, ma che dopo una morte, una separazione, un licenziamento, una pietra durante il tragitto diventa duro e rigido?
Esternamente ti vedi uguale, ma sei amareggiata ed aspra, con uno spirito ed un cuore indurito?
“O sei come un grano di caffè? Il caffè cambia l’acqua, l’elemento che gli causa dolore.
Quando l’acqua arriva al punto di ebollizione il caffè raggiunge il suo migliore sapore.”
“Se sei come il grano di caffè, quando le cose si mettono peggio, tu reagisci in forma positiva, senza lasciarti vincere, e fai si che le cose che ti succedono migliorino, che esista sempre una luce che illumina la tua strada davanti all’avversità e quella della gente che ti circonda.”
Per questo motivo non mancare mai di diffondere con la tua forza e positività il “dolce aroma della bontà e della speranza nel domani” (Anonimo)

8. Paradiso e inferno
Dopo una lunga e coraggiosa vita, un valoroso samurai giunse nell’aldilà e fu destinato al paradiso.
Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un’occhiata anche all’inferno.
Un angelo lo accontentò.
Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt’intorno, erano smunti, pallidi, lividi e scheletriti da far pietà.
“Com’è possibile?” chiese il samurai alla sua guida.
“Con tutto quel ben di Dio davanti!”
“Ci sono posate per mangiare, solo che sono lunghe più di un metro e devono essere rigorosamente impugnate all’estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca”
Il coraggioso samurai rabbrividì.
Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppure una briciola sotto ai denti.
Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.
Qui lo attendeva una sorpresa.
Il paradiso era un salone assolutamente identico all’inferno!
Dentro l’immenso salone c’era un’infinita tavolata di gente seduta davanti ad un’identica sfilata di piatti deliziosi.
Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi più di un metro, da impugnare all’estremità per portarsi il cibo alla bocca.
C’era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia.
“Ma com’è possibile?”, chiese stupito il coraggioso samurai.
L’angelo sorrise:
“All’inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché così si sono sempre comportati nella loro vita. Qui al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino”. Paradiso e inferno sono nelle tue mani. Oggi (Fiaba cinese)

9. L’amicizia
Un uomo, il suo cavallo ed il suo cane camminavano lungo una strada.
Mentre passavano vicino ad un albero gigantesco, un fulmine li colpì, uccidendoli all’istante.
Ma il viandante non si accorse di aver lasciato questo mondo e continuò a camminare, accompagnato dai suoi animali. A volte, i morti impiegano qualche tempo per rendersi conto della loro nuova condizione…
Il cammino era molto lungo; dovevano salire una collina, il sole picchiava forte ed erano sudati e assetati. A una curva della strada, videro un portone magnifico, di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d’oro, al centro della quale s’innalzava una fontana da cui sgorgava dell’acqua cristallina.
Il viandante si rivolse all’uomo che sorvegliava l’entrata.
“Buongiorno”
“Buongiorno” rispose il guardiano.
“Che luogo è mai questo, tanto bello?”
“E’ il cielo”
“Che bello essere arrivati in cielo, abbiamo tanta sete!”
“Puoi entrare e bere a volontà”.
Il guardiano indicò la fontana.
“Anche il mio cavallo ed il mio cane hanno sete”
“Mi dispiace molto”, disse il guardiano, “ma qui non è permesso l’entrata agli animali”.
L’uomo fu molto deluso: la sua sete era grande, ma non avrebbe mai bevuto da solo.
Ringraziò il guardiano e proseguì.
Dopo avere camminato a lungo su per la collina, il viandante e gli animali giunsero in un luogo il cui ingresso era costituito da una vecchia porta, che si apriva su un sentiero di terra battuta, fiancheggiato da alberi.
All’ombra di uno di essi era sdraiato un uomo che portava un cappello; probabilmente era addormentato.
“Buongiorno” disse il viandante.
L’uomo fece un cenno con il capo.
“Io, il mio cavallo ed il mio cane abbiamo molta sete”.
“C’è una fonte fra quei massi”, disse l’uomo, indicando il luogo, e aggiunse: “Potete bere a volontà”. L’uomo, il cavallo ed il cane si avvicinarono alla fonte e si dissetarono.
Il viandante andò a ringraziare.
“Tornate quando volete”, rispose l’uomo.
“A proposito, come si chiama questo posto?”
“Cielo”
“Cielo? Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era quello là!”
“Quello non è il cielo, è l’inferno”.
Il viandante rimase perplesso.
“Dovreste proibire loro di utilizzare il vostro nome! Di certo, questa falsa informazione causa grandi confusioni!”
“Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché là si fermano tutti quelli che non esitano ad abbandonare i loro migliori amici….” (Paulo Coelho).

10. Una singolare  espressione di perdono
Si racconta che san Francesco era in punto di morte e tutti i suoi discepoli si erano radunati intorno a lui per ascoltare le ultime parole del santo che per tutta la vita aveva viaggiato a dorso d’asino, da un paese all’altro, per condividere le sue esperienze con la gente. Le ultime parole, quelle che un uomo dice in punto di morte, sono sempre le più significative, perché contengono l’intera esperienza di una vita. Ma i discepoli non riuscirono a credere alle proprie orecchie: san Francesco non stava parlando con loro ma con il suo asino!
Il santo disse: “Fratello asino, sento di aver un gran debito con te. Mi hai sempre trasportato da un paese all’altro, senza mai lamentarti, senza mai protestare. Desidero solo che tu mi perdoni, prima che io lasci questo mondo, perché mi sono comportato in modo disumano con te”.
Queste furono le ultime parole di san Francesco. Occorre una sensibilità enorme per poter chiamare il proprio asino: “Fratello asino”, chiedendo il suo perdono. Noi oltre a non chiedere perdono alle persone che offendiamo, non chiediamo neppure perdono a Dio che ci ha creati e redenti.

11. I primi e gli ultimi
Un re si recò un giorno a far visita ad un Maestro e assistette, in qualità di osservatore, alla riunione presieduta dal Saggio.
Più tardi, durante il pranzo, il re disse al Maestro:
“Maestro dell’Epoca! Quando presiedi l’assemblea, i tuoi discepoli sono seduti in semicerchio secondo una disposizione che somiglia molto a quella che di solito si adotta alla mia corte: ha per caso un significato?”.
Egli rispose:
“Re del Mondo! Come sono disposti i tuoi cortigiani? Dimmelo, e ti descriverò come sono disposte le file dei cercatori”.
“Il primo cerchio”, spiegò il re, “si compone di quelli che, per ragioni particolari, godono dei miei favori, in modo da essere i più vicini. Il secondo cerchio è riservato ai dignitari più importanti e potenti del regno, come pure agli ambasciatori. Quanto al cerchio esterno, esso è composto da gente di minore importanza”.
“In questo caso”, disse il Saggio, “l’ordine nel quale le persone sono qui disposte è ben lungi dal rispondere alle preoccupazioni che hai espresso. Coloro che sono seduti vicino a me sono i sordi; così possono sentire. Il gruppo intermedio è costituito dagli ignoranti; così possono prestare attenzione all’insegnamento. Quelli più lontani sono gli Illuminati; questa forma di vicinanza per loro non ha alcuna importanza”.

12. Sii te stesso
C’era una volta una coppia con un figlio di 12 anni e un asino. Decisero di viaggiare, di lavorare e di conoscere il mondo. Così partirono tutti e tre con il loro asino.
Arrivati nel primo paese, la gente commentava: “Guardate quel ragazzo quanto è maleducato…lui sull’asino e i poveri genitori, già anziani, che lo tirano”. Allora la moglie disse a suo marito: “Non permettiamo che la gente parli male di nostro figlio.” Il marito lo fece scendere e salì sull’asino.
Arrivati al secondo paese, la gente mormorava: “Guardate che svergognato quel tipo…lascia che il ragazzo e la povera moglie tirino l’asino, mentre lui vi sta comodamente in groppa.” Allora, presero la decisione di far salire la moglie, mentre padre e figlio tenevano le redini per tirare l’asino.
Arrivati al terzo paese, la gente commentava: “Pover’uomo! dopo aver lavorato tutto il giorno, lascia che la moglie salga sull’asino. E povero figlio, chissà cosa gli tocca, con una madre del genere! “Allora si misero d’accordo e decisero di sedersi tutt’e tre sull’asino per cominciare nuovamente il pellegrinaggio.
Arrivati al paese successivo, ascoltarono cosa diceva la gente del paese: “Sono delle bestie, più bestie dell’asino che li porta. Gli spaccheranno la schiena!”
Alla fine, decisero di scendere tutti e camminare insieme all’asino. Ma, passando per il paese seguente, non potevano credere a ciò che le voci dicevano ridendo: “Guarda quei tre idioti; camminano, anche se hanno un asino che potrebbe portarli!”
Conclusione: ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa andare bene come sei.
Quindi: vivi come credi. Fai cosa ti dice il cuore… ciò che vuoi… una vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Canta, ridi, balla, ama… e vivi intensamente ogni momento della tua vita… prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi (Charlie Chaplin)

13. Ho pranzato con Dio
Un bambino desiderava incontrare Dio. Sapeva che c’era tanta strada da fare, per incontrarlo, così riempì lo zainetto con merendine e aranciata e cominciò il suo viaggio.
Dopo circa tre isolati, s’imbatté in una vecchia, che se ne stava lì al parco, seduta su una panchina a fissare i piccioni. Il bambino le si sedette accanto ed aprì lo zainetto per prendersi qualcosa da bere, quando notò che la vecchia sembrava affamata, così le offrì una merendina.
Lei l’accettò e gli sorrise con gratitudine. Il suo sorriso era così bello che il bambino lo voleva vedere ancora, così le offrì un’aranciata. La vecchia gli sorrise di nuovo, e il bambino ne era entusiasta!
Se ne restarono lì seduti per tutto il pomeriggio, a mangiare e sorridere, ma senza mai scambiarsi una sola parola. Poi si fece buio, e il bambino si rese conto di essere molto stanco, così si alzò per andarsene ma, dopo appena pochi passi, si voltò, corse verso la vecchia, e l’abbraccio forte-forte.
Lei lo ricambiò con il più grande sorriso che si sia mai visto.
Poco dopo, quando il bambino aprì la porta di casa sua, sua madre era stupita, tanta era la gioia che gli si poteva leggere in volto. Gli domandò: “Cos’hai fatto, oggi, che t’ha reso così felice?” Il bambino rispose: “Ho pranzato con Dio.” Poi, prima ancora che sua madre potesse rispondere, aggiunse: “Sai una cosa? Dio ha il più bel sorriso che abbia mai visto!”
Nel frattempo, la vecchia, pure lei raggiante di gioia, fece ritorno a casa sua. Suo figlio era sbalordito, nel vederla così in pace, e le domandò: “Mamma, cosa hai fatto oggi che ti ha resa così felice?” e lei rispose: “Ho mangiato merendine al parco con Dio.”. Poi, senza lasciare al figlio il tempo di rispondere, aggiunse: “Sai una cosa? Dio è molto più giovane di quel che mi aspettassi.”
Troppo spesso sottovalutiamo l’importanza di un tocco, di un sorriso, di una parola gentile, di un orecchio che ci presta ascolto; l’importanza anche del più piccolo gesto che dimostra affetto; tutte cose, queste, che potrebbero cambiarci la vita.
Le persone arrivano nella nostra vita per una ragione, per una stagione, o per tutta la vita. Abbracciamole tutte!
Ricorda: faglielo sempre sapere, alle persone che ti hanno toccato il Cuore, quanto sono importanti! (Anonimo).

14. Amore, ricchezza e successo
Rientrando a casa, una donna vide tre uomini dalle lunghe barbe bianche seduti nel cortile. Disse loro: “Non ci conosciamo, ma avete l’aria affamata: entrate, che vi offro qualcosa da mangiare.”
“Tuo marito è in casa?”, le domandarono.
“No. È uscito.”
“Allora non possiamo entrare.”
Quella sera, rincasato suo marito, la donna gli spiegò cos’era successo. Lui le rispose:
“Beh, adesso sono qua: va’ da loro, digli che son tornato, e falli entrare.”
“Non entriamo tutti nella stessa casa”, rispose l’uomo a sinistra.
“Perché?”, domandò la donna.
L’uomo in mezzo, indicando i suoi due compagni, spiegò: “Il suo nome è Ricchezza, e il suo è Successo. Io sono Amore.”, poi aggiunse: “Adesso rientra in casa, e decidi con tuo marito chi di noi desideri in casa tua.”
La donna entrò e ripeté a suo marito ciò che le era stato detto. Lui era entusiasta: “Che bello! Be’, visto che le cose stanno così, invitiamo Ricchezza, e che riempia la nostra casa di ricchezza!”
Sua moglie non era d’accordo: “Ma, caro, perché non invitiamo Successo?”
La loro bambina, che aveva ascoltato tutto da un’altra stanza, li raggiunse proponendo invece di invitare Amore: “Così la nostra casa sarà piena d’amore.”
I genitori si sorrisero, e decisero di darle ascolto. Così la donna uscì, e domandò: “Chi di voi è Amore? Vieni, entra, e sii nostro ospite.”
Amore si alzò e cominciò a camminare verso la casa. A quel punto anche gli altri due si alzarono, e lo seguirono.
Esterrefatta, la donna domandò loro: “Io ho invitato Amore: come mai venite anche voi?”
I due vecchi risposero all’unisono: “Se tu avessi invitato Ricchezza o Successo, gli altri due sarebbero rimasti fuori. Ma visto che hai invitato Amore, ovunque lui vada noi lo seguiamo: dove c’è Amore, c’è sempre sia Ricchezza che Successo.” (Anonimo).

15. La consapevolezza
C’era una volta un povero frate. Tutto il santo giorno lavorava e pregava come i suoi confratelli e si sentiva l’animo in pace. Ma quando veniva l’ora di coricarsi, lo assalivano terribili visioni, demoni lussuriosi che lo tentavano con promesse e minacce.
Il povero frate cercava di allontanare le visioni, si flagellava, pregava, si prostrava davanti al crocefisso, ma a nulla valevano le sue pratiche: le visioni continuavano a tormentarlo. Si rivolse al priore che gli consigliò di recitare 20 Ave Maria e chiedere protezione alla Madonna. Così fece, ma le visioni restavano. Allora andò dalla Madonna, c’era una bella statua nella chiesa del convento. La Madonna, sorridente ma triste, gli consigliò di recitare 200 Pater noster e chiedere la protezione del Signore.Di nuovo, il povero fraticello seguì il santo consiglio, ma  le visioni restarono a tentarlo. Disperato, il fraticello corse ad inginocchiarsi davanti al crocefisso, e rimirando le sacre ferite, si appellò al Cristo per avere protezione dalle tentazioni. Cristo lo rimirò a lungo e alla fine parlò: “Se proprio ci tieni, io posso allontanare le malefiche visioni e le tentazioni, ma se lo faccio la tua anima non si rafforzerà mai. Sei proprio sicuro di volerlo?
Allora dimmi, replicò il frate, come posso resistere e rafforzare la mia anima? Non combatterle, non temerle, lascia che si pascino del tuo corpo senza muoverti o parlare. Se riuscirai a resistere per tre notti di seguito, la tua anima sarà salva e le visioni spariranno. Così fece il povero frate, e dopo tre notti tremende di tormenti le visioni scomparvero e la sua anima trovò pace.

16. Soluzioni possibili
Un uomo si sentiva perennemente oppresso dalle difficoltà della vita e se ne lamentò con un famoso maestro di spirito.
“Non ce la faccio più! Questa vita mi è insopportabile”.
Il maestro prese una manciata di cenere e la lasciò cadere in un bicchiere pieno di limpida acqua da bere che aveva sul tavolo, dicendo: “Queste sono le tue sofferenze”.
Tutta l’acqua del bicchiere si intorbidì e s’insudiciò. Il maestro la buttò via.
Il maestro prese un’altra manciata di cenere, identica alla precedente, la fece vedere all’uomo, poi si affacciò alla finestra e la buttò nel mare.
La cenere si disperse in un attimo e il mare rimase esattamente come prima.
“Vedi?” spiegò il maestro “ogni giorno devi decidere se essere un bicchiere d’acqua o il mare”.
Troppi cuori piccoli, troppi animi esitanti, troppe menti ristrette e braccia rattrappite. Una delle mancanze più serie del nostro tempo è il coraggio. Non la stupida spavalderia, la temerarietà incosciente, ma il vero coraggio che di fronte ad ogni problema fa dire tranquillamente: “Da qualche parte certamente c’è una soluzione e io la troverò”.

17. Una vecchia storiella
«Nella vecchia Russia, in uno scompartimento di treno, si trovarono casualmente a viaggiare insieme un vecchio ebreo e un soldato russo. Il viaggio era lungo e dopo qualche centinaio di chilometri il vecchio trasse fuori un cartoccio che aveva con sé con dentro tre pesci e consumò il suo magro pranzo. Ma non buttò via le teste. Anzi, le riavvolse con cura e le ripose nella valigia. Il soldato lo guardava con un misto di disprezzo e curiosità.
Dopo una decina di minuti il soldato chiese: “Dimmi un po’ vecchio, come mai voi giudei siete così intelligenti?”. Gli occhi del vecchio brillarono, ma si schermì. Dopo qualche minuto di silenzio però rispose: “Beh, una ragione c’è, ma non potrei dirtela, visto che si tratta di un segreto che custodiamo gelosamente. Ma tu sei un giovane simpatico. Perciò te lo dico. Noi ebrei siamo intelligenti perché mangiamo le teste di pesce”.
Il soldato lo guardò tra l’incredulo e lo speranzoso, ma non disse nulla. Dopo un altro silenzio, inframmezzato dallo sferragliare del treno, il soldato disse:
“Ehi, vecchio, ho visto che hai messo via tre teste di pesce: non me le venderesti?”. L’ebreo si fece pregare un pò, ma infine la transazione fu fatta. E il soldato entrò in possesso delle teste di pesce per tre rubli.
Dopodiché, vincendo il disgusto, se le mangiò una dietro l’altra. Poi s’attaccò a una bottiglia di vodka per digerirle e purificare la bocca dal saporaccio. Dopo qualche istante, ancora deglutendo disgustato, il soldato si rivolse al vecchio: “Maledetto giudeo, ti ho pagato tre rubli tre teste di pesce quando tutti e tre i pesci interi costeranno sì e no trenta copechi”. “Vedi che funziona?” rispose il vecchio».

18. Era tutto risolto
Il prete del villaggio era un santo, tanto che tutte le volte che aveva bisogno di aiuto, la gente si rivolgeva a lui. Allora egli si ritirava in un angolo segreto della foresta e formulava una preghiera speciale. Dio non mancava mai di esaudire la sua supplica e tutto era risolto.
Dopo la sua morte, la gente, quando aveva bisogno di aiuto, ricorreva al suo successore, il quale non era un santo, ma conosceva sia l’angolo segreto della foresta, sia la preghiera speciale. Egli diceva cosi’: “Signore, tu sai che non sono un santo, ma questo non ti impedirà di aiutare la mia gente, vero? Ascolta la mia supplica e vieni in nostro aiuto”. E ogni volta Dio esaudiva la sua preghiera e tutto era risolto.
Quando anch’egli morì, se la gente aveva bisogno di aiuto si rivolgeva al suo successore, il quale conosceva la preghiera speciale, ma non l’angolo segreto della foresta. Queste erano le sue parole:  “Che importanza ha per te un luogo piuttosto che un altro, Signore? Non è forse la tua presenza che rende santo ogni luogo? Ascolta dunque la mia supplica e vieni in nostro aiuto”. E ogni volta Dio esaudiva la sua preghiera e tutto era risolto.
Anche costui morì e la gente, quando aveva bisogno di aiuto, ricorreva al suo successore, il quale non conosceva, ne’ la preghiera speciale, ne’ l’angolo segreto della foresta e diceva:  “Non è la formula che conta, Signore, ma il grido di dolore di chi soffre. Ascolta quindi la mia supplica e vieni in nostro aiuto”. E anche allora Dio esaudiva la preghiera e tutto era risolto.
Dopo la sua morte la gente, quando aveva bisogno di aiuto, ricorreva al suo successore. Questo prete aveva piu’ dimestichezza con il denaro che con la preghiera e quindi diceva a Dio: “Che razza di Dio sei tu se, pur essendo perfettamente capace di risolvere i problemi che tu stesso hai provocato, ti ostini a non alzare un dito finche’ non ci vedi piangere e strepitare? Ebbene, comportati con la gente come ti pare”. E subito tornava alle sue faccende. Anche in quel caso Dio esaudiva la sua preghiera e tutto era risolto. (Anthony De Mello).

19. Il villaggio della felicità
Tre individui partono per raggiungere il villaggio della felicità.
A metà cammino trovano la strada sbarrata da un altissimo muro di granito: impossibile aggirarlo, da entrambe le parti c’è il precipizio.
Il primo individuo si abbatte scoraggiato, piange lacrime disperate e si arrende, in un mare di lamenti, all’ingiustizia del suo destino.
Il secondo individuo accetta la situazione affrontandola. Si rende conto di non poter scavalcare il muro, inutile lamentarsi. Pianta invece delle bougainville e osserva la loro crescita. Gioisce nel vederle spuntare, germogliare; il muro diventa il loro sostegno e lentamente esse lo ricoprono. Materialmente il muro esiste ancora, ma non ha più presa negativa sulla psiche del secondo individuo, il quale, malgrado l’ostacolo, raggiunge la felicità nel più profondo di se stesso.
Il terzo, tipo sportivo ed intraprendente, tesse una corda di liana, si costruisce un gancio e con un lancio da pescatore l’aggancia alla cima del muro, si tira su e ridiscende dall’altra parte.
In ciascuno dei tre viandanti il muro ha provocato una reazione diversa, il muro non era né buono né cattivo, era semplicemente un muro – una sfida – e ciascuno dei tre ha reagito secondo la propria indole, positivamente o negativamente. Oggetti, circostanze e fatti hanno l’importanza che noi gli diamo. L’ostacolo è una creazione mentale e, cosi come l’abbiamo creato, lo possiamo distruggere.
Ci sono due metodi: quello di volerlo distruggere fisicamente, annientarlo, e quello di volerlo vincere mentalmente, interiormente.
Nel primo caso, appena vittoriosi, ci troviamo già dinnanzi al prossimo ostacolo.
Nel secondo caso, avendo vinto la nostra battaglia interiore, non ci saranno altri ostacoli, solo sfide, dure e difficili forse, ma meravigliose e inebrianti, come lo è l’ardua scalata di una parete rocciosa.

20. La scatola dei baci natalizi
La storia ha inizio tempo fa, quando un uomo punisce sua figlia di 5 anni… per la perdita di un oggetto di valore, ed il denaro in quel periodo era poco.
Era il periodo di Natale, la mattina successiva alla punizione la bambina portò un regalo al padre dicendogli: “Papà, è per te”.
Il padre era visibilmente imbarazzato, ma la sua arrabbiatura aumentò quando, aprendo la scatola, vide che dentro non c’era nulla.
Disse in modo brusco: “Non lo sai che quando si fa un regalo, si presuppone che nella scatola ci sia qualcosa?”.
La bimba lo guardò dal basso verso l’alto e con le lacrime agli occhi disse: “Papà,…non è vuoto. Ho messo dentro tanti baci fino a riempirlo”.
Il padre si sentì annientato. Si inginocchiò mise le braccia al collo della sua bimba e le chiese perdono.
Passò del tempo e una disgrazia portò via la bambina. Per tutto il resto della sua vita, il padre tenne sempre la scatola vicino al suo letto e, quando si sentiva scoraggiato o in difficoltà, apriva la scatola e tirava fuori 1 bacio immaginario ricordando l’amore che la bambina ci aveva messo dentro.

21. Le apparenze ingannano
Due angeli viaggiatori si fermarono per passare la notte nella casa di una ricca famiglia…
Era una famiglia di persone molto avare che si rifiutarono di far dormire i due angeli nella camera degli ospiti.
Infatti concessero agli angeli solo un piccolo spazio fuori, sul duro e freddo pavimento del pergolato davanti alla casa.
Mentre si preparavano come potevano un giaciglio per terra, il più vecchio degli angeli vide un buco nel muro e lo riparo’.
Quando l’angelo giovane gli chiese perché lui rispose soltanto: “Le cose non sono sempre quello che sembrano” .
La notte dopo…
La coppia di angeli cercò riparo nella casa di una poverissima, ma molto ospitale, famiglia, dove furono accolti da un contadino e sua moglie.
Dopo aver condiviso con gli angeli il poco cibo che avevano, i contadini cedettero loro anche i propri letti, dove finalmente i viaggiatori ebbero la possibilità di riposare comodamente. Al sorgere del sole, la mattina dopo, gli angeli trovarono l’uomo e sua moglie in lacrime. La loro unica mucca, la sola loro fonte di sostentamento, giaceva morta nel campo. Il giovane angelo ne fu infuriato e chiese al più vecchio come avesse potuto lasciare accadere una cosa del genere: “Al primo uomo, che pure aveva tutto, hai fatto un favore”, lo accusò, “Questa famiglia così indigente ha condiviso con noi il poco che aveva, e tu hai lasciato che la mucca morisse!”…
“Le cose non sono sempre quello che sembrano” replicò l’angelo: “Quando eravamo nel cortile della villa ho notato dell’oro nascosto nel muro, che si poteva scoprire a causa di quel piccolo buco. Siccome quell’uomo era così avaro e ossessionato dal denaro io ho riparato quel buco, così non troveranno mai quella ricchezza.”
“Poi la notte scorsa quando dormimmo nel letto del contadino, l’angelo della morte si presentò per sua moglie. Io, invece di lei, gli ho dato la mucca.
Le cose non sono sempre quello che sembrano.”

22. La ricerca
A Bagdad c’era un uomo molto povero. Viveva di stenti, nella miseria più nera, e non faceva che lamentarsi della sua condizione.
«Signore, aiutami! Dimmi cosa fare! Sai che sono un tuo servo fedele, soltanto un po’ sfortunato. Ho lavorato sodo, ma non sono mai riuscito a guadagnare abbastanza. E ora sto morendo di fame. Ti prego, non mi abbandonare!»
La stessa notte, l’uomo fece un sogno. Una voce sconosciuta gli diceva: «Va’ in Egitto, non perdere tempo. Nel luogo tal dei tali c’è un tesoro nascosto. Potrai risolvere tutti i tuoi problemi».
Il poveruomo si svegliò, eccitato. Senza esitare, partì subito per l’Egitto.
«Sono certo che la voce non mente. Il tesoro esiste, e lo prenderò».
Ma, al confine, fu fermato dai poliziotti egiziani, che lo perquisirono minuziosamente. Stavano cercando un ladro e pensavano si trattasse dell’uomo di Bagdad.
Nonostante le sue ripetute rimostranze, i poliziotti lo trattennero.
«Potresti essere la persona che cerchiamo. Dovrai restare a disposizione finché non arriverà il derubato. Se non ti denuncerà come suo assalitore, sarai immediatamente rilasciato».
L’uomo di Bagdad fremeva, temendo di perdere il tesoro.
Poiché la vittima tardava ad arrivare, le guardie cominciarono a interrogarlo.
«Ammettiamo pure che non sei il ladro. Perché sei venuto in Egitto? E qual è il tuo alibi, se ne hai uno?».
«Voglio dirvi tutto» rispose l’uomo di Bagdad «tanto so che non mi crederete. D’altra parte, perché mentire? La verità è sempre la cosa migliore. Sono qui perché ho sognato che avrei trovato un tesoro!».
«Sì, un tesoro! Sei capitato in un bel guaio, invece. Ma che vuoi dire? Sei venuto in Egitto solo perché vi hai sognato un tesoro?».
«Proprio così. Mi sono fidato di una voce sconosciuta che me lo ha sussurrato in sogno. Che ne pensate?».
«Che sei un credulone! Fidarsi dei sogni!».
Un altro poliziotto si fece avanti, e disse: «Anch’io ho avuto un’esperienza simile. In sogno mi è apparsa una figura che non avevo mai visto, indicandomi un certo luogo di Bagdad dove avrei trovato dei gioielli, o qualcosa del genere».
L’uomo di Bagdad s’interessò molto al racconto.
«E… che tipo di posto era?»
«Non ricordo bene, forse all’ingresso della città. Sì, proprio così: la seconda casa dopo la porta maestra. Una molto vecchia, mi sembra».
L’uomo di Bagdad era stupefatto. Quell’uomo stava indicando la sua casa! Senza tradire l’emozione, rimase in silenzio. Le guardie non sapevano che fosse di Bagdad e mancarono di notarne la reazione.
«Naturalmente, non mi sono preoccupato di cercare il tesoro. Non ho creduto a una sola parola. Nei sogni, dovresti saperlo, non c’è verità» concluse il poliziotto.
L’uomo di Bagdad era assorto nei suoi pensieri. Strano che la guardia avesse accennato alla sua abitazione: non poteva essere una coincidenza.
Finalmente il derubato arrivò. E si affrettò a discolpare l’uomo ingiustamente accusato.
«Tutte le nostre scuse, amico. Ma, come puoi capire, abbiamo fatto il nostro dovere» disse il capoguardia.
L’uomo di Bagdad non lo ascoltava. Lasciò il posto di blocco, e fece per avventurarsi in Egitto. Ma, dopo pochi passi, si fermò. “Si,” pensò “è inutile cercare il tesoro di un sogno”.
Tornò a Bagdad, e, mentre rincasava, fu colto da uno strano presentimento. Sentì che doveva rimuovere un certo mattone dal muro e…
Uno scrigno di monete d’oro gli cadde sulle ginocchia.
Era andato in Egitto a cercare ciò che aveva in casa!

23. L’arroganza
Un uomo andò a visitare un asceta, e gli disse: “Voglio discutere con te del mio problema”. “E io non voglio discuterne”, rispose l’asceta.
“Come puoi essere così categorico, dato che non lo conosci?”, disse il visitatore, contrariato.
L’asceta sorrise. “A che pro sottopormi un problema, se non lo conosco e non ho una percezione maggiore degli altri?”.
Ora il visitatore era al tempo stesso sconcertato e desideroso di saperne di più.
“Allora, dimmi qual è il mio problema, e questo mi convincerà”.
“Oh, essere umano!”, disse l’asceta. “Sei quasi completamente fuori strada. Se ti dimostrassi di sapere ciò che ti preoccupa, svierei la tua attenzione verso il ‘miracoloso’, e invece del Servizio – che è il mio vero compito – farei una messinscena”.  “Allora dammi soltanto la soluzione del mio problema, così risponderai alle esigenze del Servizio”.
“Questo l’ho già fatto”, disse l’asceta.
“Non ci capisco più nulla.”, esclamò il visitatore. “Non mi risulta che tu mi abbia fornito la benché minima soluzione”.
“E allora va’ a cercare la risposta altrove!”.
Per mesi quest’uomo viaggiò per il paese intrattenendosi con molte persone, alle quali non mancava mai di raccontare il suo incontro con l’asceta.
Un giorno cominciò a intravedere che il suo problema era stato l’egocentrismo, e che l’asceta glielo aveva indicato.
Il suo vero problema era questo, e non quello che aveva immaginato.
Qualche tempo dopo, in una città lontana dal luogo del loro incontro, si ritrovò a faccia a faccia con l’asceta.
“Ora”, gli disse, “ho preso coscienza della saggezza delle tue parole, e vorrei ricompensarti per il servizio che mi hai reso”.
“Lo hai già fatto.”, disse l’asceta. “Parlando a tutti della nostra conversazione hai contribuito, senza volerlo, alla trasmissione dell’insegnamento: non eri forse l’esempio vivente dell’ignoranza e della perplessità?
“Sì, eri come un uomo che cammina con una freccia conficcata nel cranio che tutti possono vedere eccetto lui, e che è l’unico ad attribuire il suo mal di testa allo sforzo che ha fatto per pensare profondamente.
“Ecco come hai servito. Tu credevi, e sembravi voler servire te stesso, ma in realtà servivi la saggezza, come ti ho spiegato. La saggezza, dunque, si è manifestata in parte per consentirti di vederti un po’ meglio.
“Tuttavia, non soltanto hai servito la saggezza, ma anche la tua auto ossessione, non te. A dire il vero, chiunque può incitarti a servire chiunque o qualsiasi cosa. Per questo basta che ti persuada che puoi servire te stesso adottando una certa linea di condotta, che in realtà serve ad altri fini! Chi è che ci guadagna, in tutto ciò?”.

24. La tranquillità
«Un economo era impiegato in un palazzo, in India. Mori’, ed il figlio, molto giovane, dovette subentrare al suo lavoro. Era un giovane intelligente, ben istruito, attratto dalla vita spirituale. Aveva studiato la lingua del proprio paese. Si era ben preparato per la ricerca spirituale.

Pur obbligato a lavorare nel palazzo, trascorreva ogni giorno al tempio, vi pregava e, quindi, ritornava nella dimora. Erano nate, nei suoi riguardi, delle difficoltà nel palazzo perché la regina si era innamorata di lui. Egli non cercava attaccamenti di quel genere; ciò lo turbava e costituiva la ragione per la quale egli trascorreva lunghe ore nel tempio.
Un giorno, scorse, nell’angolo del tempio un uomo assorbito nella meditazione. Era la prima volta che notava quella persona. Si sentì pieno di curiosità, mentre, tra l’altro, provava un forte desiderio di ricevere un consiglio spirituale. Si sedette, di conseguenza, davanti a quello. Le ore trascorsero: mezzanotte, l’una, le due, le tre. Dopo circa quattro ore, il santo aprì gli occhi. Vide un giovane seduto davanti a lui, e se ne stupì: “Figlio mio, perché ti trovi qui? – gli domandò. “Signore, vorrei ricevere un vostro consiglio spirituale. “Resta tranquillo” – fu la sola risposta».

25. Il pettegolezzo
«Un giorno, un uomo andò a trovare Socrate il grande filosofo e pedagogo greco e gli disse: “Socrate, devo raccontarti una cosa su un tuo giovane allievo. Vedi, il fatto è che lui…”
Ma il grande filosofo interruppe il pettegolo: “Non continuare, prima vorrei farti tre semplici domande su quello che hai da dirmi”.
“Tre domande? Quali domande, Socrate?”.
“La prima domanda si chiama verità. Puoi giurare che quello che vuoi raccontarmi è l’assoluta verità?”.
“No, ma ne parlavano al mercato, e pensavo che tu…”
“Quindi tu personalmente non sai se ciò che vuoi dirmi è vero.
La seconda domanda si chiama bontà. Quello che vorresti dirmi è buono?”.
“Veramente no, perché sembra che quel tipo.. “
“Quindi vorresti dirmi qualcosa di cattivo, anche se non sei sicuro che sia vero?”.
“Io credevo che…”.
“Resta la terza domanda, l’utilità. Mi sarà utile sapere ciò che vorresti dirmi?”.
“Non saprei…”.
“Allora perché vorresti riferirmi una cosa che ha almeno il 50% di probabilità di essere falsa, cattiva e inutile?”.
Sentendo questo, il pettegolo si vergognò di se stesso e se ne andò con la coda tra le gambe».

26. Tre uomini ed un santo
Una notte un grande santo giaceva prono a terra con le braccia in avanti e le mani giunte, immerso in profonda meditazione, come se dormisse.
Allorché un ladro si avvicinò e si chiese “Chi è quel tale sdraiato a terra?”. Osservandolo da vicino, subito arrivò alla sua conclusione: “Deve essere un ladro. Deve aver rubato qualche casa nel vicinato e deve aver corso per tutta la strada fino a qui. Ora dorme preso da una forte stanchezza. La polizia potrebbe arrivare da un momento all’altro, è meglio che mi allontani per non farmi trovare vicino a lui!”. E così si allontano di fretta.
Dopo un po’, un altro uomo si avvicinò barcollante per aver bevuto un po’ troppo. Appena vide il santo, disse: “Bene, bene, bene! Chi è questo gentiluomo che sta campeggiando qui in mezzo alla strada nel cuore della notte?”
“Eh mio caro! devi aver alzato un po’ troppo il gomito per essere caduto in questo fosso…”
“Eh eh eh! Posso camminare stabilmente molto meglio di quello che sai fare tu… sic… e non andrò a fare un capitombolo come te… ciao ciao!”. E così anche l’ubriaco si allontanò.
Subito dopo, un saggio passò per quella via e immediatamente si avvicinò all’uomo sdraiato per vedere se avesse bisogno di aiuto. Osservandolo da vicino si rese conto che il viso dell’uomo era assolutamente sereno e che le sue mani erano giunte come in preghiera. “Dev’essere un grande santo assorto in meditazione!”, subito pensò.
Così il saggio cominciò a massaggiare con delicatezza le gambe del santo, dicendo fra sé e sé: “Tu giaci su una strada polverosa, ma il tuo cuore è così pieno di gioia e amore per Dio… tu sei un vero santo!”.

27. La luna nel pozzo.
“Un monaco aveva a lungo studiato e meditato per raggiungere il nirvana. Ma senza successo. Convinto di aver fallito il suo scopo, una notte si recò al pozzo per attingere l’acqua con un vecchio secchio di legno.
Tornando indietro, si accorse che l’immagine della luna si rifletteva nell’acqua del secchio. Si fermò ad ammirarla come in uno specchio. All’improvviso il manico si spezzò, il secchio cadde a terra e l’acqua si disperse, e, con essa, scomparve l’immagine della luna. Non più acqua, non più luna … il monaco ebbe un’intuizione della verità”.
Spesso pensiamo che i nostri sforzi non ci portino da nessuna parte, che l’obbiettivo del nostro cercare non si raggiunga mai e sperimentiamo, come il monaco, un senso di fallimento. Questo è il risultato della tensione continua verso un obbiettivo e di un eccessivo attaccamento ai frutti delle nostre azioni. Quando però smettiamo di cercare e viviamo pienamente il presente, ecco che veniamo “cercati” e si apre a noi la vera natura della realtà: scompare la luna, l’acqua, il secchio, e con essi anche l’immagine distorta che avevamo di noi stessi, ed in un istante luminoso ci appare la verità. Lo studio e la meditazione ci preparano a questo incontro con la grazia di Dio. (F. Piras s.j.).

28. Un padre ed un figlio.
C’era una volta un padre che era continuamente disturbato nel lavoro dal proprio bambino. Per salvarsi, prese dal vecchio atlante un foglio dove c’era tutto il mondo con gli stati e le città, lo fece in piccoli pezzi che consegnò al figlioletto perché li rimettesse a posto.
“Ci metterà molto tempo”, pensò. Ma dopo poco tempo, il piccolo tornò con il mondo messo insieme perfettamente!
“Come hai fatto così in fretta?” “Semplice, papà: sul rovescio era disegnato un uomo, ho messo in ordine prima quello e il mondo è andato a posto da sé”.29. Il valore della preghiera
“Dei pescatori pescarono una bottiglia dall’abisso. Dentro c’era una carta e sulla carta queste parole: “Aiuto, salvatemi! L’oceano mi ha gettato su un’isola disabitata. Sto sulla costa e aspetto aiuto. Fate in fretta. Sono Qui!”
Il primo pescatore disse: “Manca la data. Certo ormai è troppo tardi. La bottiglia può aver viaggiato in mare a lungo”. E il secondo aggiunse: “Il luogo non è indicato. Persino l’oceano non si sa quale sia“. Ma il terzo replicò: “Non è troppo tardi, né troppo lontano. L’isola Qui è ovunque”. L’atmosfera si fece imbarazzata. Cadde il silenzio. Questa è Proprio una delle verità universali”.

30. L’aiuto di Dio e la nostra collaborazione
Un uomo di preghiera era in viaggio con uno dei suoi discepoli. Il discepolo doveva occuparsi del cammello. Arrivarono di notte, stanchi, ad un caravanserraglio. Era compito del discepolo legare il cammello, ma egli non se ne preoccupò e lasciò il cammello all’aperto. Si limitò a pregare Dio: “Occupati tu del cammello”, e si addormentò.
Al mattino, il cammello non c’era più. O era stato rubato, o si era perso, qualcosa doveva pur essere successa. L’uomo chiese al giovane: “Dov’è il cammello?”. E il discepolo rispose: “Non lo so. Chiedilo a Dio. Ho detto al Signore di prendersi cura del cammello, io ero troppo stanco, non so che cosa sia successo. E non ne sono nemmeno responsabile perché l’ho detto a Dio, e in modo molto chiaro! E tu insegni sempre a fidarsi di Dio ed io mi sono fidato”. 
L’uomo  disse al giovane: “Fidati di Dio sempre, ma prima lega il tuo cammello, perché Dio non ha altre mani che le tue”.

31. C’è sempre tempo per imparare
Un giovane, ma scrupoloso studente, si avvicinò al suo padre spirituale e gli domandò: “Se lavoro duramente e mi applico con diligenza, quanto impiegherò a pregare seriamente? Il Maestro rifletté sulla domanda, ed infine rispose: “Dieci anni”.
Lo studente allora disse: “Ma se mi applico molto, molto duramente, e mi sforzo veramente al massimo per imparare velocemente, quanto tempo?”
Il Maestro rispose: “Bene, allora vent’anni”.
“Ma se veramente mi impegno con ogni mia forza, quanto tempo?” Insistette il discepolo.
“Allora trent’anni” replicò il Maestro.
“Ma io non capisco – disse lo studente deluso – ogni volta che dico che lavorerò più duramente, Voi rispondete che impiegherò più tempo. Perché dite così?”
Il Maestro rispose: “Quando tieni un occhio rivolto al traguardo, hai solo un occhio rivolto al sentiero”.