SCUARI (LT). CATECHESI IN PREPARAZIONE ALLA PASQUA. MOSE’ IL LEGISLATORE

1424449_667721976591797_1278921107_n

PARROCCHIA SANT’ALBINA – SCAURI 

CATECHESI IN PREPARAZIONE ALLA PASQUA 2015

16-17-18 MARZO 2015 

A cura di padre Antonio Rungi, passionista 

1.Introduzione

In preparazione alla Pasqua 2015, all’indomani del grande annuncio di Papa Francesco dell’anno santo della misericordia, ci ritroviamo, in queste tre sere, qui insieme, nella parrocchia di Sant’Albina in Scauri, per tre catechesi, per tre tematiche diverse e per tre personaggi biblici diversi.

Sono tantissimi i personaggi della Bibbia che possono legittimamente essere classificai sotto queste tre categorie (legge, coscienza e amore), ma ho preferito scegliere questi tre personaggi, per uno stretto rapporto con il mistero pasquale, che è anche cammino esodale. Questi tre personaggi sono Mosé, Elia, Pietro.

La scelta non è casuale, ma ha un preciso riferimento al momento della trasfigurazione di Cristo sul Monte Tabor, davanti ai tre discepoli che Egli portò con sé sul monte: Pietro, Giacomo e Giovanni. Durante la trasfigurazione apparvero accanto a Gesù Mosè ed Elia che conversavano con Lui.

Mosé lo rapporto al concetto di legge; Elia al concetto di coscienza e Pietro al concetto dell’amore.

 

Dal vangelo di Matteo, 17,1-9

“Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. 9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

 

2. MOSE’ IL LEGISLATORE

IL RITRATTO DI UN GRANDE UOMO

 

Presentando Cristo, nuovo Mosè, come servo di Dio, il N.T. ha una certa tendenza a sottolineare le somiglianze e le prefigurazioni; ciò avviene più raramente quando si tratta di paragonare i due legislatori. Nei vari brani del NT, tuttavia, si sottolineano piuttosto le opposizioni, soprattutto nel clima di lotta contro i giudeo-cristiani.

D’altra parte, con questa opposizione si vuole dire che Cristo completa e porta a termine l’opera legislativa di Mosè.

Noi ci soffermiamo sulla figura di Mosé. Esistono tanti ritratti di Mosè quanti sono gli autori che gli hanno dedicato uno studio. Per cui, è difficile ritrovare i momenti qualificanti di un’esistenza che una ricca tradizione ci presenta sotto molteplici prospettive.

Se non si considera il nome stesso di Mosè, che è molto probabilmente di origine egizia, si conoscono poche cose sul personaggio e sull’inizio della sua esistenza. Certamente si potrebbe citare qui il capitolo 2 del libro dell’Esodo che rievoca brevemente la sua infanzia e la sua adozione da parte della figlia del Faraone (Es 2,1-10). Un tale racconto non fa che tradurre secondo le categorie di pensiero degli antichi il singolare destino di Mosè e il ruolo della provvidenza divina, oltre al fatto che l’esposizione si modella su racconti dell’infanzia come quello di Sargon di Akkad, re mesopotamico (2334-2279 a.C.) che la madre aveva affidato al fiume in una cesta di vimini.

 

Il seguito del testo biblico (Es 2,11-22) ci mostra un Mosè cresciuto e che prende iniziative a favore dei suoi fratelli di razza, ma questo cambia presto bruscamente. Mosè è costretto a lasciare l’Egitto e a fuggire in Madian, una terra straniera, nella quale si sposa. In violento contrasto con questa sua volontà di insediarsi come capo, il capitolo 3 dell’Esodo narra come, a partire dall’episodio del roveto ardente, Dio scelga Mosè per far uscire il popolo ebreo dall’Egitto, perché Dio ha inteso il grido del suo popolo. Mosè riceve da Dio una missione e nello stesso tempo si interroga per sapere come il popolo accetterà di seguirlo. Di fronte al progetto di Dio, Mosè è dapprima sensibile alle difficoltà e alle obiezioni che gli verranno da parte del popolo.

 

2.1.Capo del popolo e intercessore

 

In realtà, a più riprese, l’autorità di Mosè si scontra con le proteste e le lamentazioni del popolo per tutta la durata del cammino nel deserto. Nonostante l’uscita dall’Egitto che testimonia la potenza del suo Dio, la contestazione sembra aggravarsi, si diffonde. A partire da Es 15,22, il popolo mormora contro Mosè perché non ha acqua da bere e Mosè invoca Dio; poco più tardi Mosè ed Aronne sono accusati di avere trascinato gli Israeliti nel deserto per farli morire di fame (Es 16,3). Un’altra volta, in Es 17, 1-7, Mosè è accusato di far morire il popolo di sete. La situazione è così grave che Mosè invoca Dio e dice anche che il popolo ha intenzione di lapidarlo. Questa contestazione si ritrova anche nel libro dei Numeri che descrive la prosecuzione della marcia nel deserto, interrotta dopo Es 19. In questi racconti, Mosè si fa il portavoce del popolo presso Dio. A più riprese, quando la situazione è particolarmente grave, egli assume il ruolo di intercessore. È il ruolo che esercita in occasione dell’episodio dell’adorazione del vitello d’oro (Es 32). Mosè riceve i rimproveri di Dio e si sforza di placare la collera divina con una preghiera molto argomentata. In primo luogo, egli ricorda a Dio l’evento dell’uscita dall’Egitto in cui si è manifestata la sua potenza, e che Egli non può rinnegare, poi evoca, in caso di una punizione radicale, la reazione degli anziani: che cosa penseranno di questo Dio che fa morire coloro che ha fatto uscire dal paese d’Egitto? Infine si richiama alle promesse fatte da Dio ai patriarchi (Es 32,11-14); e Dio rinuncia a castigare il popolo.

 

Mosè interviene dunque presso Dio in favore del popolo e, pur riconoscendo la colpa del popolo, rimane solidale con coloro che Dio gli ha affidato: egli domanda a Dio di perdonare il peccato del popolo; se Dio non lo farà, esige che Dio lo faccia morire, anche se lui, Mosè, non ha partecipato alla costruzione del vitello d’oro (Es 32,32). Questo ruolo di intercessore – che i racconti gli attribuiscono con grande continuità – Mosè lo trova pesante da sopportare e non esita a dirlo a Dio. L’esempio più chiaro ci è dato quando il popolo nel deserto si lamenta di non avere carne da mangiare e di nutrirsi solamente della manna (Nm 11,49). Mosè sente il pianto del popolo e dichiara a Dio: «Perché hai trattato così male il tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi, tanto che tu mi hai messo addosso il carico di tutto questo popolo? O l’ho forse messo al mondo io, perché tu mi dica: Portatelo in grembo, come la balia porta il bambino lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri? Da dove prenderei la carne da dare a tutto questo popolo?… Io non posso da solo portare il peso di tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me. Se mi devi trattare così, fammi morire piuttosto…!» (Nm 11,11-15). Sbalorditiva la richiesta di Mosè che non esita a dichiarare che Dio stesso deve occuparsi personalmente di questo popolo! Attraverso le parole e le immagini usate, Dio è agli occhi di Mosè la madre del popolo e spetta a lui nutrirlo. Un intervento così forte di Mosè è raro; non ha paralleli, ma rivela la vivacità del dialogo posto sulle labbra di Mosè.

 

2.2.Mosè, il legislatore

 

Per Mosè, Dio rimane il vero capo del popolo, cosa che non toglie nulla all’autorità che gli è propria e che è grande. La prova migliore è che Mosè è l’uomo dell’Alleanza e l’uomo della Legge. Solo Mosè sale, chiamato da Dio, sulla montagna (Es 19) ed è lui che legge al popolo il rotolo dell’Alleanza e gli comunica tutte le parole dette da Dio (Es 24,3-8); è sempre lui che prende il sangue dei tori per versarne una metà sull’altare che rappresenta Dio e l’altra metà sul popolo dicendo: «Questo è il sangue dell’Alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole». Se si mette da parte il Decalogo, in cui Dio si rivolge direttamente al popolo (Es 20, 1-2), le leggi sono trasmesse da Mosè ai figli di Israele (Es 20,22; Lv 1,1; Nm 36,13; Dt 28,69). Da un capo all’altro della Torà, Mosè è colui che trasmette le parole dell’Alleanza o le parole della Legge. Queste parole concernono tutti i campi dell’esistenza, compreso quello del culto e della sua organizzazione, benché Mosè non sia sacerdote. Questo denota come, in un certo senso, Mosè prevalga su Aronne, il capostipite del sacerdozio israelita. In ogni caso, la tradizione iconografica presenta Mosè come colui che riceve da Dio la Legge.

 

2.3.Mosè, intimo di Dio

 

Al di là di tutto quello che si può dire su Mosè e sul ruolo che assume nella nascita del popolo di Israele, bisogna insistere sui suoi legami con Dio, che la tradizione ha tramandato in maniere diverse. In Es 33,7-11, si scopre un Mosè che entra nella Tenda del convegno per consultarvi Dio. Il testo insiste sul fatto che Dio «parlava con Mosè», gli «parlava faccia a faccia, come un uomo parla con un altro». Quando Miriam ed Aronne criticano Mosè a proposito del suo matrimonio con una donna etiope, il testo non dice nulla della reazione di Mosè, ma fornisce dapprima la riflessione di un redattore: «Mosè era molto più mansueto di ogni uomo che è sulla terra» (Nm 12,3). Poi viene la reazione di Dio nella Tenda del convegno alla presenza di Mosè, Aronne e Miriam in un brano che merita di essere riportato per intero: «Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui. Non così per il mio servo Mosè: egli è l’uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca io parlo con lui, in visione e non con enigmi ed egli guarda l’immagine del Signore. Perché non avete temuto di parlare contro il mio servo Mosè?» (Nm 12,6-8). Che cosa si può aggiungere ad una tale descrizione? Mosè è «l’uomo di Dio» (Dt 33,1) nel senso più completo dell’espressione; egli è più che un profeta, anche se spesso ha ricevuto questo titolo (Os 12,14; Dt 18,18). Alla fine del libro del Deuteronomio, dopo aver ricordato la morte di Mosè, si afferma con forza: «Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, lui con il quale il Signore parlava faccia a faccia» (Dt 34,10). Si ha in questa affermazione come la traccia della statura di questo Mosè di cui è difficile fare un ritratto.

 

2.4.Dio, Mosè e il popolo d’Israele

 

In Es 19,4,  del popolo di Israele, con una bellissima immagine, viene detto che è sollevato da Dio come su ali di aquila (Es 19,4 ) e portato al di là del mare, cioè al di là della malvagità e della sofferenza. Israele non è ancora un vero popolo, è un insieme di individui che dopo lunga schiavitù assaporano i primi passi nella libertà, ma si ritrovano incapaci di vivere in essa. Non fu sufficiente trarre il popolo dall’Egitto, fu necessario anche trarre l’Egitto dal cuore del popolo.

Leggiamo nel libro del profeta Osea al cap.11, 1- 9: 1 “Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. 2Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. 3A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. 4Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. 8Come potrei abbandonarti, Èfraim, come consegnarti ad altri, Israele?

Come potrei trattarti al pari di Adma, ridurti allo stato di Seboìm? Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. 9Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira”.

Il libro della sapienza mette in relazione i flagelli inflitti agli egiziani con i prodigi che sostennero il popolo lungo il suo peregrinare verso il Sinai (cfr. Sap. cap. 17-19). Dio educò il suo popolo a divenire tale a non essere più,  servi del faraone, ma servi del Signore. Diventare padroni di se stessi e quindi uomini liberi, significa per Israele riconoscersi servi del Signore.

Ecco allora che attraverso la sete, la fame, la paura, la nostalgia essi imparano ad abbandonarsi alle cure di Dio alla sua provvidenza, ad essere responsabili del mondo in cui vivono e del tempo di cui dispongono come talenti di Dio da trafficare per dargli rendergli lode e gloria nei secoli.

Attraverso il dono della manna essi imparano a non lavorare in giorno di Sabato e a non accumulare oltre il necessario. Col dono delle quaglie venute dal cielo e con l’acqua scaturita dalla roccia essi sperimentano la provvidenza di Dio. Nella guerra contro Amalek dove Mosè in preghiera aiutato da Aronne e Cur ottiene la vittoria del popolo, essi comprendono che non nei carri né nei cavalli, ma nel nome del Signore va riposta la propria fiducia.

Anche Mosè passo passo col popolo viene plasmato dal Signore. Egli diviene sempre più l’uomo di Dio. Il Signore incide nel suo cuore la legge divina perché la trasmetta ai suoi fratelli. Svolgendo questa funzione egli però rischierà di soccombere, prostrato dalla fatica, ma il Signore, attraverso Jetro suo suocero, gli suggerirà di condividere con gli anziani del popolo la responsabilità. Gli disse Jetro: «Tu sta’ davanti a Dio in nome del popolo e presenta le questioni a Dio. A loro spiegherai i decreti e le leggi; indicherai loro la via per la quale devono camminare e le opere che devono compiere. Invece sceglierai tra tutto il popolo uomini integri che temono Dio […] e li costituirai capi di migliaia, di cinquantine e di decine. Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà qualche questione importante la sottoporranno a te» (Es 19, 19-22). Nascono così i giudici che guideranno il popolo fino alla nascita della monarchia e lo aiuteranno ad applicare nel quotidiano la legge del Signore, la torah.

Tutto perciò nella vita di Mosè è in funzione del popolo, il quale diviene sempre più protagonista della sua storia d’amore con Dio. A differenza dei patriarchi, ad esempio, il testo sacro non si sofferma sull’esperienza matrimoniale di Mosè, anzi lascia trapelare l’idea che egli rinunciò a una storia d’amore personale in funzione della vera storia d’amore: quella di Dio con il suo popolo. Jetro si presenta a Mosè presso il monte di Dio con la moglie Zipporah e i due figli. Dal nome del secondo figlio, emblematico quanto il primo: Eliezer che significa: Il Dio di mio padre mi è venuto in aiuto e mi ha liberato dalla spada del faraone, capiamo che questo figlio è nato dopo (o durante) gli eventi della liberazione dall’Egitto, ma che comunque Mosè si vide costretto, a causa della sua missione presso il popolo a rimandare la moglie alla casa paterna (Es 18, 1- 12).

 

2.5.Gesù e Mosè a confronto: due legislatori, un solo progetto di salvezza e liberazione

 

Mosè pubblica la sua Legge sul Sinai.  

Una corrente posteriore fa uscire la Legge non dal Sinai, ma da Sion. 

Ma né dal Sinai, né da Sion, Cristo pubblica la sua nuova legge.

Come contratto bilaterale, la Legge esigeva dei testimoni-mediatori. 

La leggenda vi vedrà gli angeli. 

Ma la promessa, contratto unilaterale, non ha che Dio per mediatore-testimone.

Mosè istituisce il riposo del sabato; ma il giudaismo posteriore trasformò questo giorno dedicato alla gioia e al riposo in un giorno di soggezione legalistica dal quale Cristo ci libera “perché egli è più del sabato”.

Il colpevole era lasciato alla vendetta sovente esagerata della vittima.

Mosè autorizza sola una vendetta uguale al danno (taglione). 

Cristo si spinge più oltre, esigendo il perdono e la pazienza.

Mosè raccomandava di non disdire un giuramento; Cristo vuole che la lealtà cristiana non debba neppure più appoggiarsi sul giuramento.

Mosè raccomandava di non uccidere; Cristo chiede di amare anche il proprio nemico: l’omicida è colui che non ama il suo fratello.

Mosè proibiva l’adulteri; Cristo proibisce anche il peccato interiore.

Mosè voleva che la purezza dell’uomo si regolasse su una pretesa purezza del suo nutrimento; Cristo rivela che non c’è purezza se non nel cuore e nell’intenzione. Mosè ordina la circoncisione e la presentazione al tempio dei bambini, in segno della loro appartenenza all’Alleanza. 

Cristo si sottomette a questa legge, ma mostra che la sua vera circoncisione è nell’obbedienza al Padre.

Per dare valore alla Legge, Mosè proclama che essa è sorgente di vita; Cristo al contrario, fa della fede la sorgente di vita.

Mosè fa dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo due comandamenti distinti. 

Cristo ne fa uno solo: l’amore degli altri è il riflesso dell’amore di Dio per noi. 

Per questo deve andare fino all’amore dei nemici.

Mosè conosce qualche caso di protezione del povero; Cristo si preoccupa di farne l’applicazione.

Mosè permetteva il ripudio; Cristo difende la fedeltà coniugale.

Per non aver compreso Mosè, i Giudei non comprendono Cristo.

Agli occhi di Matteo la trasfigurazione  è l’avvenimento in cui Cristo appare come il nuovo Mosè. Cfr. l’irraggiare della sua faccia. Si noterà anche il fatto che Matteo contrariamente a Marco nomina in primo luogo Mosè.

La voce che parla nella nuvola ricorda quella del Sinai.

“Ascoltatelo” è l’ordine dato al popolo riguardo al nuovo Mosè.

La qualità di legislatore è ora congiunta al mistero pasquale di sofferenza e di morte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SCUARI (LT). CATECHESI IN PREPARAZIONE ALLA PASQUA. MOSE’ IL LEGISLATOREultima modifica: 2015-03-17T00:05:22+01:00da pace2005
Reposta per primo quest’articolo