Commento alla liturgia della Domenica in Albis – 27 aprile 2014

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DOMENICA IN ALBIS – 27 APRILE 2014 

Mettere le mani nelle piaghe di Cristo e dell’umanità 

di padre Antonio Rungi 

La domenica in Albis è la domenica di San Tommaso, l’apostolo scettico e dubbioso sull’effettiva risurrezione di Gesù. E’ anche la domenica della divina misericordia, perché dal Cristo Risorto, vincitore della morte e del peccato arriva la tenerezza di Dio Padre, che si commuove e perdona l’umanità, redenta dal sangue prezioso di Gesù. E’, quest’anno 2014, la domenica dei due Papi Santi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, che in questa giornata, con la pronuncia solenne di Papa Francesco, verranno annoverati tra i santi della Chiesa cattolica. Una domenica speciale, da vari punti di vista, che tutti riconducono al mistero centrale della nostra fede: Cristo ci ha salvati e redenti con la sua passione, morte e risurrezione. E’ questo il messaggio che la chiesa è chiamata ad annunciare, senza paura e indecisioni, anche agli uomini del terzo millennio dell’era cristiana, dopo averlo fatto per 2000 anni. Annunciare la misericordia di Dio, mediante una fede robusta e coraggiosa e attraverso una testimonianza di vita che ci indica la strada più giusta in quel brano del vangelo di Giovanni, che oggi ascoltiamo, dopo tantissime volte, con la stessa carica emotiva e con altrettanto impegno concreto che da esso ne deriva: “La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”.

Mettere le mani nelle piaghe del costato di Cristo. E’ questa la richiesta di Tommaso, che viene esaudita dal Signore, quando riappare otto giorni dopo, la prima apparizione agli apostoli, durante la quale era assente il discepolo del dubbio e dell’incertezza. Tommaso ha messo in dubbio, ma poi si è ricreduto, ha fatto la sua professione di fede con maggiore coscienza e consapevolezza. Tuttavia, la fede è qualcosa che Gesù stesso evidenzia come totale fiducia in Dio e che non ha bisogno di verifiche. Le uniche verifiche ammissibili sono quelle di salire al livello del Risorto, che porta sul suo corpo le piaghe della passione. Significa passare attraverso l’amore, quell’amore per il quale Cristo si è donato all’umanità. L’amore è la manifestazione della fede, ben sapendo che la fede senza le opere è morta, non dice nulla, esprime solo un concetto e un’idea, ma non rappresenta il vero volto di Dio nella storia di tutti i giorni. Solo piegandosi con amore sulle sofferenze dei fratelli, comprendiamo così significhi la preghiera iniziale di questa domenica speciale: “Signore Dio nostro, che nella tua grande misericordia ci hai rigenerati a una speranza viva mediante la risurrezione del tuo Figlio, accresci in noi, sulla testimonianza degli apostoli, la fede pasquale, perché aderendo a lui pur senza averlo visto riceviamo il frutto della vita nuova”. I frutti della Pasqua sono una vita nuova, una vita al di fuori degli schemi dell’egoismo e dell’interesse personale, una vita che sa leggere la propria ed altrui vita nell’orizzonte del Risorto, ma con i segni della Passione. Ecco perché oggi la Chiesa, nella Domenica della Divina Misericordia, ci invita a fare esperienza di perdono, chiedendolo a Dio, ma anche di fare esperienza di chiedere perdono ai fratelli, molte volte umiliati ed offesi nella loro dignità, nelle loro fragilità fisiche, nelle loro debolezze morali, invece di toccare con mano la sofferenza e il dolore della gente. Mettiamo le mani nelle piaghe di quanti hanno ferite gravi dovute alla cattiveria umana, causate dall’odio, dal risentimento, dall’indifferenza, dalla privazione della libertà, dalla violazione dei diritti fondamentali della persona, a partire dai più piccoli per arrivare ai grandi. Non c’è misericordia di Dio che possa rasserenare le nostre coscienze, se non recuperiamo l’amore fraterno, se non ci facciamo prossimo, a quanti sono nella sofferenza e nel dubbio, a quanti si sono allontanati dalla fede, anche per la mancanza di fede in noi, per le nostre infedeltà al vangelo. Il nostri stile di vita, sia lo stesso di quello che fu della prima comunità cristiana di Gerusalemme, di cui ci narrano gli Atti degli Apostoli e che oggi ascoltiamo nel testo della prima lettura della liturgia della parola:  “[Quelli che erano stati battezzati] erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati”.

I primi cristiani erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione. Noi quale tipologia di perseveranza coltiviamo come cristiani. Siamo costanti nella partecipazione all’eucaristia, nella preghiera, nell’ascolto della parola di vita? Sentiamo il bisogno di stare insieme agli altri e di condividere con loro ciò che possediamo? Siamo gioiosi, semplici, parsimoniosi e generosi. Vogliamo più ricevere, piuttosto che dare? Sono alcune delle domande fondamentali che noi possiamo dedurre dal brano degli Atti degli apostoli, considerato la magna charta della comunione e della koinonia ecclesiale. E a conferma di quanto abbiamo ascolta, viene in nostro aiuto anche il brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla prima lettera di san Pietro apostolo, in cui il responsabile del collegio apostolico, ringrazia Dio per quanto ha ricevuto ed abbiamo ricevuto. Un testo di grande apertura alla gioia, alla speranza, alla vera vita, quella che non tramonta mai, e nella quale ci attende Colui che è Risorto: “Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo. Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.

L’atteggiamento del cristiano è quello della speranza, della gioia, del superamento di ogni paura ed angoscia dell’esistenza umana. D’altra parte, tutto passa e Dio solo resta nella nostra vita. I due Santi che oggi la Chiesa porta agli onori degli altari, e che molti di noi hanno conosciuto personalmente, ci siamo di esempio di come coniugare la fede, la speranza, la carità, il coraggio, la gioia, la sofferenza e  tutto quello che Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II ci hanno insegnato nel corso della loro vita e con la loro testimonianza di vita.

“Perciò – ci ricorda San Pietro-  siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove”. La fede è passare attraverso le piaghe gloriose di Cristo e toccare con mano le piaghe dolorosissime di questa afflitta e stanca umanità.

 

Commento alla liturgia della Domenica in Albis – 27 aprile 2014ultima modifica: 2014-04-23T22:57:04+02:00da pace2005
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