Omelia di padre Antonio Rungi per la seconda domenica di Quaresima

SECONDA DOMENIA DI QUARESIMA

16 MARZO 2014

TRASFIGURATI DALLA TRASFIGURAZIONE DI CRISTO

di padre Antonio Rungi

 

La seconda domenica di Quaresima pone alla nostra attenzione il Vangelo della Trasfigurazione di Cristo sul Monte Tabor.

Possiamo dire che in questo giorno, come ad una lezione di spiritualità, siamo chiamati a fare esperienza di trasfigurazione, mediante la contemplazione del Cristo trasfigurato. Siamo, cioè, chiamati a trasfigurarci in Cristo, mediante un cammino di purificazione e di santificazione.

Vorrei in questa mia riflessione sottolineare un aspetto importante di questo mistero riguardante la vita di Gesù, un momento forte della sua vita terrena, quello di cambiare volto, vesti, aspetto esterno per comunicare ai tre discepoli, chiamati da Gesù stesso a seguirlo sul monte Tabor, la sua divinità.

La trasfigurazione è un’altra delle teofanie di Cristo, finalizzata a confermare la sua natura divina e la sua natura umana.

Non cambia la sua identità di Figlio di Dio, ma, nella trasfigurazione cambia l’aspetto esteriore.

Gesù trasfigurato, è lo stesso Gesù sfigurato nella passione.

La trasfigurazione è forte richiamo al mistero della santissima eucaristia.

Le specie rimangono uguali nella esteriorità, ma la sostanza cambiano.

Il pane diventa corpo del Signore, donato per noi, e il vino, il sangue di Cristo versato per noi sulla croce.

Gesù,  nella trasfigurazione davanti a tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, che vorrebbero restare lì per sempre, avendo sperimentato la gioia del paradiso in terra, ricorda che bisogna scendere da quel monte, per salire un altro monte, quello del Calvario, prima della glorificazione finale del Figlio di Dio, che è la risurrezione e l’ascensione al cielo.

La vita di ogni cristiano è un salire e scendere continuo, come è stata la vita di Cristo.

Gesù, nel Vangelo, lo incontriamo spesso sulla montagna, sulla collina, o in riva al mare, tra la gente. In solitudine o tra la folla, in preghiera o in azione, in momenti di gioia e in momenti di umana tristezza.

La contemplazione, esperienza forte di vita interiore, trova in Gesù trasfigurato sul Monte Tabor un esempio di come vivere noi la nostra trasfigurazione nella nostra quotidianità.

La base è la solitudine, il silenzio, la preghiera. Poi segue la parola di Dio, espressa qui attraverso l’apparizione di Mose ed Elia; poi il necessario approfondimento; poi il dialogo a tu a Tu con il Signore; poi il cambiamento della vita, che è sintetizzato nel cambiamento del volto di Cristo; infine, il cambiamento delle vesti, che indica il cambiamento del modo di agire, del nostro essere insieme agli altri.

Ad un’attenta lettura proprio del testo del Vangelo della Trasfigurazione, l’itinerario di ascesi e discesi lo comprendiamo perfettamente.

Non a caso durante la Quaresima, tempo forte dell’anno liturgico, a partire dal Papa e ad arrivare ai tantissimi fedeli, si avverte la necessità di una preghiera più profonda e silenziosa, di una preghiera del cuore, di una preghiera che trasformi davvero la nostra vita.

Gli esercizi spirituali che si moltiplicano in questi giorni, la necessità di una confessione più circostanziata dei propri peccati, mediante il sacramento della riconciliazione, una lettura più sistematica della parola di Dio e la meditazione continua di essa, la lectio divina ed altre forme di preghiera tradizionale o moderna non sono altro che normali strumenti della grazia ed aiuti concreti per assaporare il paradiso in terra.

La nostra trasfigurazione sull’esempio di Cristo avviene mediante questo salire sempre più in alto per assaporare la gioia di toccare il cielo con le mani, per essere davvero ad un passo dal cielo, per essere nel paradiso, al quale tutti aspiriamo di arrivare mediante una vita autenticamente cristiana, fatta anche di sofferenze e calvari, di patimenti e passioni da vivere, sull’esempio di Cristo, nostro maestro e guida.

Ascoltiamo il brano del vangelo della Trasfigurazione.

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.

Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».

All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

 

Sul tema della sofferenza è incentrata la seconda lettura di oggi, tratta dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo.

In questo sintetico brano, Paolo scrivendo al suo carissimo amico Timoteo, usa espressione di incoraggiamento nella lotta contro il male per essere autentico evangelizzatore, apostolo ed annunziatore della buona notizia della salvezza operata da Cristo sulla Croce:

“Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo”.

 

Cristo vincitore della morte, Cristo risorto è la base della fede di ogni cristiano. Il cristiano non è tale se non si mette alla sequela di Cristo. Non c’è cristiano senza la croce di Cristo, come ci ha ricordato continuamente, Papa Francesco, in questo primo anno del suo pontificato.

La nostra vita è davvero un uscire da noi stessi, dalle nostre certezze e sicurezze, affidarsi totalmente nella mani di Dio.

La Quaresima è questo itinerario di fede che è ben espresso dalla figura e dal cammino fatto da Abramo, quando il Signore gli chiede di lasciare tutto e seguire unicamente Lui.

Abramo senza esitazione, obbedì. E’ quella obbedienza della fede e della fiducia in Dio che spesso manca nella nostra vita, facendo sì che questa nostra esistenza terrena sia solo preoccupazione per le cose del mondo, mancando in noi la speranza, e non affidandoci alla provvidenza che viene dall’alto.

Leggiamo il brano della prima lettura di oggi, tratto dal libro della Genesi, dove ci viene presentata la chiamata di Abramo alla fede: “In quei giorni, il Signore disse ad Abram: «Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore”.

Ecco la nostra vita è un partire ed un patire continuo. Non si parte una sola volta, se non quando lasciamo questa terra per volare in cielo.

Le nostre partenze e ripartenze sono tante su questa terra. Bisogna capire chi ci chiama o spinge a partire: se Dio, Cristo, la fede o tutto ciò che non è Dio, Cristo o fede.

Quante volte ci mettiamo in marcia senza meta o allo sbando, o ci mettiamo in movimento per cose che non sono espressioni ed esigenza di fede.

Saliamo anche il Tabor, ma solo per assaporare la gioia. Poi non vogliamo scendere da questo luogo di felicità (e lo comprendiamo perfettamente), ben sapendo che ci aspettano, tantissime volte, prove di ogni genere.

Ci aspetta la passione e il dolore, come Gesù ci insegna oggi nel mistero della trasfigurazione. Noi non possiamo essere di meno del maestro, dobbiamo seguire le sue orme nella gioia e nel dolore, dobbiamo soprattutto metterci in sintonia con Lui ed ascoltarlo attentamente, specie se ci chiama a salire il monte del dolore, il monte della sua passione e morte in croce.

Sia questa la nostra preghiera: “O Padre, che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio, nutri la nostra fede con la tua parola e purifica gli occhi del nostro spirito, perché possiamo godere la visione della tua gloria”. Amen.

 

Omelia di padre Antonio Rungi per la seconda domenica di Quaresimaultima modifica: 2014-03-14T19:25:22+01:00da pace2005
Reposta per primo quest’articolo