LA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 22 MARZO 2009

QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA 

 

22 Marzo 2009

 

Chi è di Cristo sceglie la strada della verità e della gioia.

 

di padre Antonio Rungi

 

Celebriamo oggi la quarta domenica di Quaresima definita della gioia, in latino “laetare”. Prende infatti il nome dall’antifona d’ingresso alla celebrazione eucaristica che riporta una citazione del profeta Isaia: Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione. (cf. Is 66,10-11). Ci avviamo verso la Pasqua e la Quaresima è abbastanza avanti nel tempo. Ciò significa che anche la parola di Dio ci orienta al senso più vero dell’annuale celebrazione della Pasqua, che è la festa della gioia per eccellenza, in quanto Cristo Risorto, più dello stesso Cristo Incarnato è motivo di profonda gioia e speranza per l’umanità, espressa in quella Gerusalemme di cui parla il profeta Isaia, che nella sua stessa terminologia indica la città della pace e della gioia. Per un cristiano la gioia di cui deve andare orgoglioso è quella che viene da Dio, da quella fede nel Cristo, Redentore dell’umanità che ha aperto gli spazi di una gioia che va oltre il tempo e la contingenza.

San Giovanni Evangelista nel brano di oggi punta direttamente al cuore del tema del Redentore e ci illumina sul senso del nostro essere di Cristo. “In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Dio manda nel mondo il suo Figlio per salvarci e non per condannarci. Aver fiducia nella misericordia di Dio è credere sul valore della salvezza operata da Cristo sulla Croce. Disperare della salvezza, significa non riconoscere Cristo come salvatore. Certo la Luce che è Cristo non sempre è accolta, anzi il mondo preferisce vivere nelle tenebre e nel peccato, perché scegliere Cristo, significa liberarsi da tutte le zavorre del male e del maligno. Il credente è colui che ripone la piena fiducia nel redentore ed accetta di essere illuminato e guidato da Lui.  Lontani da Cristo è come il popolo ebraico lontano dalla patria con la nostalgia del ritorno, con la sofferenza di un ritorno ritardato per mancanza di disponibilità alla conversione radicale del cuore e della mente per il Signore. . Il Salmo 136 ci fa toccare con mano questa nostalgia di un popolo deportato e lontano dalla propria patria: “Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre. Perché là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, allegre canzoni, i nostri oppressori: «Cantateci canti di Sion!». Come cantare i canti del Signore in terra straniera? Se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra. Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia”.

Da parte sua, l’Apostolo Paolo nel brano della lettera agli Efesini che oggi ascoltiamo come secondo testo della parola di Dio ci dice esattamente cosa significhi per noi uomini credenti il mistero del Cristo Redentore “Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo”.

L’apostolo ci riporta al centro della scelta fondamentale della nostra vita, che è la scelta della fede, senza la quale non si dà senso all’esistenza umana. Noi infatti veniamo salvati mediante questa fede, che è accettare Cristo, il suo messaggio e conformarsi a Lui nel modo più totale possibile. Alla fede devono corrispondere le opere buone che sono espressione di un raccordo tra ciò che professiamo e ciò che facciamo, ciò che siamo e ciò che operiamo. Non si può dire di aver fede per poi vivere concretamente come se la fede non ci fosse. Una sintonia tra il pensiero e l’azione è necessario ricuperarla nella vita di ogni giorno, anche se ci chiede sacrifici e sforzi di ogni genere.

Se la fede non la si vive, se non diventa un vissuto, rimane una lettera morta, solo scritta. Lo sapevano bene gli israeliti che lungo la loro storia hanno dovuto costatare sulla loro pelle e sulle loro vicende interne ed esterne come l’aversi allontanata dalla fede dei padri abbia poi determinato una crisi generale. Quanto sono attuali oggi queste cose anche per noi popolo cristiano o umanità che pensa di poter fare a meno di Dio e trovare soluzione dei suoi drammi al di fuori di un riferimento soprannaturale e divino.

Rileggendo il testo del libro delle Cronache, che è la prima lettura di oggi ci rendiamo perfettamente conto cosa abbia significato per Israele, anche storicamente, il suo deviare continuo dalla legge di Dio. “In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme. Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi. Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni». Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».

Ancora oggi il Signore parla all’umanità e soprattutto alla sua chiesa profeti che indicano la strada retta che conduce alla libertà Ed anche oggi come allora molti si beffano di tali profeti (penso al Papa, Benedetto XVI, alle tante persone che quotidianamente vivono nell’assoluta fedeltà alla parola di Dio e alla Chiesa) si beffano delle loro parole, li scherniscono, li attaccano, li criticano pesantemente, li offendono, cercano di screditarne l’operato e il messaggio. Con quali risultati? Con uno smarrimento morale, sociale, mondiale, perché senza Dio non si può né sopravvivere nel vivere nella pace e nella gioia che nasce da un cuore disponibile ai progetti di Dio.

Sia questa la nostra preghiera conclusiva sia della celebrazione dell’eucaristia e sia della nostra preghiera personale: “O Dio, che illumini ogni uomo che viene in questo mondo, fa’ risplendere su di noi la luce del tuo volto, perché i nostri pensieri siano sempre conformi alla tua sapienza e possiamo amarti con cuore sincero”.

 

 

LA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 22 MARZO 2009ultima modifica: 2009-03-21T15:19:00+01:00da pace2005
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