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P.RUNGI. LA PREGHIERA PER LA PASQUA 2021 DEDICATA ALLA PANDEMIA
Preghiera per la Pasqua 2021
di padre Antonio Rungi
All’alba di questo giorno speciale,
come le donne e i tuoi discepoli
corriamo al tuo sepolcro
o Gesù benedetto,
per rinnovare la nostra fede
nella tua risurrezione.
È bello e gioioso constatare, Gesù, la tua tomba vuota,
dalla quale, non mani sacrileghe ti hanno portato via,
ma da essa Tu sei uscito vivo per potenza divina,
vincendo per sempre il duello con quella morte
che contrassegna da sempre la storia dell’umanità intera.
Gesù maestro, risorto dai morti,
come avevi promesso ai tuoi apostoli,
donaci la grazia, in questa Pasqua 2021,
segnata, ancora una volta dalla pandemia,
di riscoprire la gioia della vita, in questa vita e oltre la vita.
Tu vincitore della morte, donaci il coraggio e la forza
di vincere ogni germe di morte, abbattimento e scoraggiamento
che può annidarsi nella nostra mente e nel nostro cuore,
offuscando in noi la luce della tua risurrezione
e non scorgendo i segnali di vita e di rinascita
che accompagnano il nostro cammino quotidiano.
Signore, ascolta le nostre umili preghiere, in questa Pasqua 2021,
e rendi feconde e luminose le nostre vite,
per intercessione di Maria, tua e nostra Madre amatissima.
Amen.
DOMENICA DELLE PALME 2021 – CON LA SPERANZA NEL CUORE
Domenica delle Palme
Domenica 28 marzo 2021
Accogliere Cristo nella gioia e nella prova
Commento di padre Antonio Rungi
Con la domenica delle Palme o di Passione inizia la settimana santa, quella che nella liturgia cattolica è definita la settimana maggiore, la più grande, non per estensione temporale o spaziale, ma per i suoi aspetti spirituali, liturgici e religiosi. Grande della proposta di vita interiore che essa mette a nostra disposizione con i riti di questo giorno e con il triduo pasquale, molto intenso e stimolante per chi vuole approfondire la propria fede e viverla con sentimenti veri.
In questa settimana maggiore, infatti, ripercorriamo gli ultimi giorni della vita del Signore, partendo proprio dal suo ingresso trionfale in Gerusalemme, non con la violenza delle armi o del potere economico o militare, ma con il potere della croce e con la forza dell’amore che si fa dono.
E, infatti, il suo ingresso accolto con gioia dai semplici e dagli umili ed è avversato e contrastato dai potenti del tempo, al punto tale che lo condannano a morte, lui l’innocente per eccellenza.
Tale ingresso in Gerusalemme, la città santa, la città della pace, ma anche che uccide i profeti, avviene su un puledro come ci narra il Vangelo di Marco che spiega la liturgia della benedizione delle palme e introduce alla celebrazione eucaristica della Domenica di Passione.
Quest’anno, nonostante la pandemia, possiamo svolgere tutte le cerimonie religiose previste dal rituale, ma il tutto adeguandolo all’emergenza sanitaria e nel rispetto delle norme anti-covid-19.
Dopo la totale chiusura dello scorso anno delle chiese, quest’anno possiamo festeggiare, solo spiritualmente, l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e scambiarci anche se simbolicamente e a distanza la palma benedetta.
E’ noto a tutti il significato di questo ingresso del Messia nella città santa, dove egli arriva nella massima semplicità e con la consapevolezza di quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
Questa celebrazione è strettamente agganciata al Venerdì santo, quando si riprenderà il tema della passione di Cristo, che oggi viene introdotto con la proclamazione del testo specifico che narra gli ultimi momenti della vita di Cristo, che è condannato a morte e fatto morire sul legno della croce.
La lettura della “Passio” ovvero il racconto dettagliato e dialogato della Passione di Cristo, ci fa meditare sulla misericordia e sul perdono che Dio ha concesso a noi, mediante l’opera salvifica del suo Figlio.
La morte in croce di Gesù ci dona quella della pace, che dovrebbe essere preoccupazione costante di tutti i cristiani e degli uomini di buona volontà, non solo nel giorno delle palme o in specifiche giornate ed iniziative mondiali, ma sempre e specialmente in questi tempi di conflitti a vario livello, compreso quello della scienza e della politica per contrastare il coronavirus.
Lo scambio del ramoscello di ulivo benedetto, che non possiamo effettuare in presenza, anche in questo anno 2021, assume un significato più vero ed autentico da un punto di vista spirituale, se quello che esso rappresenta lo avvertiamo profondamente nel nostro essere di uomini e credenti ed agiamo di conseguenza.
Solo nella croce di Cristo l’umanità ritrova la pace ogni volta che essa è minacciata in tante parti del mondo e in tutte le situazioni del vivere quotidiano: nelle famiglie, nelle società civili, nella politica, tra gli stati, nell’economia e in ogni altro settore, in cui la guerra si fa quotidianamente per opprimere il più debole e il meno protetto.
L’anno della pandemia ci ha insegnato tante cose anche sul versante della sofferenza, della solidarietà, della ricerca di una pace sociale che non si traduce solo in pace fiscale e benefici economici elargiti per venire incontro a chi soffre per la mancanza del lavoro e di conseguenza per la privazione di beni essenziali, ma soprattutto in quella pace umanitaria che si manifesta nella solidarietà l’uno nei confronti degli altri.
L’arrivo della Pasqua e la liberazione da ogni forma di coercizione e di limitazioni delle libertà personali, soggettive e comunitarie imposte dalla pandemia non è questione solo di maggior libertà di movimento, di azione e di integrazione sociale, ma anche se, in tono difficilmente comprensibile oggi, è liberazione da ogni forma di schiavitù morale, che si identifica con il peccato. Per cui anche la Pasqua di quest’anno e questo giorno santo delle Palme assumono un valore spirituale enorme per ciascuno di noi ed hanno un peso specifico per quella ricerca di pace e di quella serenità della mente e del corpo, che manca, molte volte, nelle nostre famiglie e in tanti altri luoghi, perché ci agitiamo per troppe cose e non alziamo al cielo la palma vera, quella benedetta, della nostra fede, della nostra speranza e della nostra fiducia in colui che può tutto.
Perciò la Pasqua, la si deve preparare bene, iniziando proprio da questo speciale giorno che è la Domenica delle Palme o di Passione comprendo esattamente quali cambiamenti deve apportare in noi la celebrazione di questo particolare giorno, in passato, molto più sentito e vissuto rispetto allo stesso giorno di Pasqua.
D’altra parte simboli e segni hanno una validità per la trasmissione della fede e la testimonianza del proprio credo e della propria volontà di rinascere e risorgere, per ricominciare davvero un nuovo cammino pasquale, dopo aver completato il percorso quaresimale. E questi simboli sono la palma, la colomba, la gente che affluisce per incontrare Gesù che viene a noi, nonostante tutto, anche in questa Pasqua 2021. Assaporiamo la gioia di questo incontro e comprenderemo il perché di tante attese e speranze in quelle persone di Gerusalemme che andarono incontro a Gesù accogliendolo non solo con un gesto di rispetto e venerazione, ma come Messia, Salvatore e Redentore. E tra la gente festante per l’ingresso di Gesù c’era anche Maria, la sua e nostra Madre, che ha certamente seguito Gesù soprattutto in questo periodo ultimo della vita del suo Figlio. Maria, infatti, è citata da Giovanni ai piedi della croce, mentre Gesù muore su quel patibolo infamante e in quel momento consegna a noi la sua Madre, perché ci protegga in vita e in morte, come leggiamo nel racconto della passione di Cristo in questa domenica di gioia e di dolore.
ANNO 2020. PREGHIERA DI RINGRAZIAMENTO DI FINE ANNO DI PADRE ANTONIO RUNGI
Lettera a Gesù Bambino di padre Antonio Rungi, passionista. Natale 2020.
Lettera a Gesù Bambino di padre Antonio Rungi, passionista.
Natale 2020
Caro Gesù Bambino, inizio a scriverti, con lo stesso saluto che usavo da bambino, 65 anni fa, in occasione del Natale, quando scrivevo la mia letterina e la poggiavamo sotto il piatto di papà, prima di pranzare, nel giorno di Natale, che il genitore leggeva, perché sapeva leggere, e si commuoveva, si inteneriva il cuore, più degli altri giorni.
Con lui, essendo io il più piccolo dei tre fratelli, si commuovevano mamma, l’unica mia sorella e l’unico mio fratello, perché toccava i sentimenti più veri del mio cuore di bambino.
Oggi a distanza di 65 anni, senza più papà, mamma e mia sorella, provo a riscriverti la mia lettera di Natale, e la leggerai Tu ai miei cari, in un tempo difficile, come quello che stiamo vivendo, che è la pandemia e non solo da coronavirus, ma di altri virus più terribili, che solo l’egoismo, l’ipocrisia, l’arrivismo e il materialismo.
E allora, dopo questa premessa, eccomi a Te, Bambinello, tutto bello, con il prendere in mano, non più la penna e il quaderno, ma la tastiera del mio pc e scriverti, digitando tasti che in sequenza linguistica, producono quasi istintivamente un’armonia di sentimenti, che mi porto dentro da sempre.
Grazie della vita che mi hai dato e nonostante le tante sofferenze provate nel corso di questi anni, sono grato a Te, a mamma e a papà perché mi avete dato la possibilità di camminare in questo tempo della storia dell’umanità con tante speranze nel cuore, ma anche con tante delusioni generate da noi uomini.
Grazie Gesù che mi hai chiamato a vivere nella mia famiglia acquisita, quella passionista, che oggi ricorda i suoi 300 anni di storia, di cui una porzione l’ho vissuta anche io indossando l’abito di San Paolo della Croce.
Grazie Gesù, perché mi hai chiamato ad essere tuo ministro dell’altare e a celebrare l’eucaristia non solo nel tuo annuale natale del 25 dicembre, ma anche nella tua pasqua quotidiana, settimanale ed annuale e e nelle altre ricorrenze e solennità, in cui Tu sei stato il centro della mia vita sacerdotale.
Grazie Gesù per avermi dato tua Madre, come mia madre, soprattutto dopo aver perso la mia mamma naturale, che tanto mi amava e tanto ha sofferto per avermi visto partire per il convento a soli 13 anni, spinto dal desiderio di diventare missionario passionista nel cuore della mia terra e tra la mia gente e genti di lontane terre.
Grazie per avermi dato un papà laborioso, onesto e attaccato alla famiglia e come in buon san Giuseppe, di cui ricordiamo i 150 anni quel patrono della Chiesa universale, attento ai bisogni della famiglia, coadiuvato dalla mia generosa madre.
Grazie per avermi dato una sorella unica ed eccezionale, che ti sei portata via, troppo in fretta, lasciando nel mio cuore un vuoto incolmabile, come quello dei miei cari.
Grazie per il mio unico fratello, il solo rimasto del quintetto familiare di via Monteoliveto in Airola (Bn), dove abitavamo insieme alla Serva di Dio, Maria Concetta Pantusa.
Grazie per tutto e per tutti coloro che mi hanno accompagnato e mi accompagnano nella vita di tutti i giorni per continuare ad essere quel bambino di sempre, cresciuto in sapienza ed intelligenza, negli anni e nelle esperienze, ma sempre rimasto lo stesso con i sentimenti più veri, che fanno soffrire, proprio perché autentici, anche da vecchi.
Ed ora Gesù passo a chiederti perdono e scusa di tutto quello che non ho realizzato secondo i tuoi desideri ed insegnamenti, ma credimi, e tu sai benissimo il vero, non l’ho omesso di farlo per negligenza, ma per quella fragilità umana, che tocca la vita di ogni uomo che viene alla luce, segnato dal peccato d’origine, che lascia le tracce negative nella sua vita.
Ed ora continua tu Gesù a dispensare il perdono a quanti hanno offeso me e i tanti fratelli del mondo, uomini e donne, bambini, adolescenti, adulti, anziani ed ammalati, umiliati per vili interessi, nascondendosi dietro facciate di legalismo e affarismi.
Noi li abbiamo perdonati, perché sapevamo benissimo quello che stavano facendo e per questo motivo hanno bisogno della tua misericordia, che solo tu puoi donare a chi progetta e fa il male su questa terra, ma che si è pentito davvero.
Gesù è Natale, è il tuo Natale, anche in questo 2020 imbavagliato per una pandemia che non riusciamo a debellare, perché poco confidiamo nel tuo aiuto e nella tua grazia, e per questo Natale io ti prego per le persone a me care, vicine e lontane, soprattutto per gli ammalati, gli anziani, i bambini poveri e senza risorse umane per sopravvivere in questo tempo, segnato dalla globalizzazione dell’indifferenza.
Non può essere Natale, con o senza mascherina, se anche un solo bambino termina prematuramente la sua vita, perché non ha cure e cibo.
Ti prego Gesù aiuta chi soffre, è disperato, è solo, è senza domani, è senza amore e senza attenzione.
Tu per ognuno di loro dimentica noi che abbiamo tutto e non sappiamo neppure ringraziarti, tanto indaffarati, come siamo, a curare i nostri interessi, affari e perenni traguardi umani e sociali da raggiungere in fretta, facendoci spazio a forza di gomitate.
Ti prego Gesù, in questo Natale, mai vissuto prima come quello attuale, abbi uno sguardo di tenerezza per quanti hanno donato la vita per controbattere questa epidemia: i medici, gli infermieri, il personale sanitario, le forze dell’ordine, i volontari e quanti, compresi, vescovi, sacerdoti, religiosi e suore sono morti con la corona della gloria di servire Te nei crocifissi del nostro tempo.
Loro il Natale quest’anno lo faranno di certo meglio di noi, perché gusteranno il vero eterno presepe del cielo, come i pastori che si recarono alla tua grotta, nel lontano anno zero, quando Tu scendesti dal cielo, perché noi tutti toccassimo il cielo con le tue mani, i tuoi occhi, i tuoi sguardi e sorrisi, che donasti, appena nato, a persone semplici ed umili. Maestri di vita, di speranza i pastori di allora e i pastori di oggi laici e consacrati.
Buona Natale Gesù. E ricordati di me e di tutti, quando di nuovo, solo liturgicamente, Maria ti darà alla luce nella povera grotta di Betlemme, con la vicinanza del tuo padre putativo Giuseppe e con il riscaldamento naturale di un bue e un asinello.
Davanti a questo presepe vorrei starci per sempre, perché è il benessere pieno ed eterno.
Il tuo umile servo, padre Antonio Rungi.
Roma. Il Cardinale Pietro Parolin ha inaugurato l’anno giubilare dei passionisti.
TERAMO. E’ MORTO PADRE LORENZO VETRELLA PASSIONISTA
NUOVO LUTTO TRA I PASSIONISTI D’ITALIA
San Gabriele dell’Addolorata (Te). E’ morto padre Lorenzo Vetrella, sacerdote e missionario passionista. I funerali domani alle ore 17 a Macerata Campania.
di Antonio Rungi
All’età di 88 anni circa, nell’Ospedale di Teramo, dove era stato ricoverato in seguito ad una caduta, ieri mattina, 3 agosto 2020, alle tre della notte, è morto, per arresto cardiaco, padre Lorenzo dell’Immacolata (al secolo Giovanni Vetrella).
Padre Lorenzo viveva nell’Infermeria provinciale dei Passionisti d’Italia, a San Gabriele dell’Addolorata, dove il sacerdote, da alcuni anni, era stato ricoverato per motivi di salute.
Padre Lorenzo Vetrella era nato a Macerata Campania (Caserta), nell’Arcidiocesi di Capua, il 20 ottobre 1932 da Lorenzo e Concetta Merola. Padre Lorenzo aveva un fratello, Martino, morto, e tre sorelle di cui una suora, Paola, passionista di Signa, Marianna ed Addolorata, viventi.
Entrato tra i passionisti, il 20 settembre 1948, a Calvi Risorta, dopo il Noviziato svolto a Falvaterra, nell’anno 1951-52, con il maestro padre Marcellino Di Benedetto, professò i consigli evangelici di povertà, castità ed obbedienza nella Congregazione dei Passionisti, il 15 settembre 1952, insieme al voto di promuovere la Passione di Cristo presso i fedeli.
Dopo gli studi filosofici e teologici, svolti a Sora, Paliano e Ceccano, negli anni 1952-59, fu ordinato sacerdote ad Airola (Bn) il 9 agosto 1959 da monsignor Costantino Caminada, Vescovo di Sant’Agata dei Goti.
Trasferito a Napoli presso la Comunità passionista di Santa Maria ai Monti per completare gli studi, proseguì poi a Roma per la Sacra Eloquenza.
Impegnato da subito, per le sue spiccate doti intellettuali nell’insegnamento delle materie classiche nel Ginnasio interno dei passionisti di Calvi Risorta, una volta espletato questo compito culturale, si diede completamente all’attività apostolica e missionaria, predicando missioni popolari, novene, tridui, tenendo panegirici in varie parti d’Italia. Apprezzato per la spontaneità, l’immediatezza del suo parlare, era una persona affabile e di buona compagnia.
Tanti gli hobbies che coltivava nella sua vita anche di religioso, tra cui quello del giardinaggio e dell’orto. Da passionista assunse subito dal Fondatore, san Paolo della Croce, una spiccata tendenza alla missionarietà.
Di facile battuta, dal verso poetico immediato, trovava occasione in ogni circostanza per trasformare anche un momento di sofferenza in un momento di gioia, perché sapeva sorridere e sapeva far ridere.
E siccome la gioia viene da Dio, era una persona profondamente ancorata ai valori spirituali.
Con gli anni, padre Lorenzo aveva perso la su vivacità, per la sua salute molto precaria. Per il qual motivo i superiori maggiori furono obbligati a collocarlo nell’infermeria provinciale di San Gabriele dell’Addolorata, dove poteva essere, e di fatto lo è stato, meglio curato e seguito.
Fondamentalmente nella Congregazione ha svolto il ruolo di missionario e di docente, ma non ha ricoperto uffici particolari, per il suo impegno primario di missionario.
E’ stato in poche comunità dell’ex provincia religiosa dell’Addolorata del Basso Lazio e Campania, ed esattamente a Calvi Risorta, Forino e Itri Civita.
Ultima tappa della sua vita è stata quella di San Gabriele dell’Addolorata, di cui era particolarmente devoto, dopo la costituzione dell’unica provincia religiosa dei passionisti d’Italia, Francia e Portogallo, intitolata a Maria Presentata al Tempio.
I funerali si svolgeranno oggi 4 agosto 2020, nella chiesa Abaziale di San Martino, vescovo, in Macerata Campania (Ce), alle ore 17.00. Il feretro arriverà direttamente dall’Ospedale Giuseppe Mazzini di Teramo, alle ore 16,30.
DOMENICA XIV DEL TEMPO ORDINARIO – 7 LUGLIO 2019
XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Domenica 7 luglio 2019
No all’orgoglio del successo missionario, ma la gioia del servizio alla parola
Commento di padre Antonio Rungi
La sintesi della parola di Dio di questa XIV domenica del tempo ordinario la potremmo trovare in questa espressione o motto: “No all’orgoglio del successo missionario, ma la gioia del servizio alla parola”. Nel Vangelo di oggi, infatti, leggiamo che dopo aver espletato il loro lavoro missionario, gli apostoli ritornaroro a Gesù, riferendo tutto quello che era successo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
La vera gioia non sta nel successo raggiunto attraverso l’apostolato, l’attività missionaria, ma l’aver raggiunto e fatto raggiungere la meta finale, quella della salvezza eterna, sottolineata da Gesù in questa espressione finale del vangelo di oggi. Rallegrarsi nel sapere che i nostri nomi sono scritti in cielo e lì dobbiamo riconquistare pienamente la nostra identità di rendenti e di salvati. Per cui la missione non è la libearzione dalla possessione diabolica, ma il raggiungimento della propria salvezza eterna. E per raggiungere questo scopo i missionario, cioè i 72 inviati da Gesù per evangelizzare, devono essere poveri distaccanti e itineranti. Essi non possono fermarsi alle prime difficoltà o magari raggiunto l’apice del successo dire che ormai ghanno fatto tutto e non hanno bisogno di ricominciare.
Lo stesso Paolo, nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua lettera ai Galati, ci invita a porre il nostro vanto nella croce di Gesù e non nell’esaltazione di noi stessi e del nostro affermarci a tutti i livelli, anche nel mondo della Chiesa, per ostendere privilegi, onori e rispetti solo in ragione di quel che facciamo e non per quello che siamo. Molto vanto del cristiano di oggi e di sempre è quello attinente al successo in vari settori della stessa vita della Chiesa. Lasciarsi crocifiggere per amore di Cristo e portare in noi silenziosamente le stimmate del Signore, per essere testimoni della croce senza mettere sulle spalle degli altri ciò che ci spetta di portare in ragione della nostra missione e della nostra vocazione. Abbiamo, oggi, in mondo globalizzato la consapevolezza che «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai”! E gli operai del vangelo non sono solo i predicatori, i missionari, i preti, ma sono anche i genitori, primi educatori e missionari nella loro rispettiva famiglia. Dobbiamo si pregare che il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe, ma dobbiamo incominciare ad assumerci direttamente noi la nostra missione e il nostro compito di evangelizzare, partendo dalla famiglia. Papa Francesco nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium ricorda ai noi cristiani: “Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto”. Ed aggiunge, invitando “ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore»…Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!”.
Questo sguardo di gioia e di speranza prietatto nel fututo nell’eternità giustifica quanto abbiamo ascoltato dalla prima lettura di oggo, tratta dal profeta Isaia: Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto”. Non ci saranno più motivi per soffrire, in quanto «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi». Parole di conforto, di attesa e di totale fiducia riposta in colui che davvero è la nostra forza, il nostro sostegno la nostra gioia per sempre, Cristo nostro Redentore e Salvatore. Sia questa la nostra preghiera che rivolgiamo al Signore insieme al coro di tutti i credenti del mondo che oggi fanno festa con noi, in quanto ascoltano la parola, la meditazione e la mettono in pratica, vivendo davvero la propria vocazione e missione: “O Dio, che nella vocazione battesimale ci chiami ad essere pienamente disponibili all’annunzio del tuo regno, donaci il coraggio apostolico e la libertà evangelica, perché rendiamo presente in ogni ambiente di vita la tua parola di amore e di pace.
P.RUNGI. QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA 2019
V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)
Domenica 7 aprile 2019
Il perdono che spinge ad operare per non più peccare.
Commento di padre Antonio Rungi
La liturgia di questa quinta domenica di Quaresima si colloca all’interno di un sincero cammino di conversione, rinnovamento e ripresa spirituale e morale. Siamo prossimi alla Pasqua e il Signore ci viene incontro facendoci capire chi realmente siamo e come dobbiamo comportarci con noi stessi e con gli altri. Con noi stessi dobbiamo essere severi e consapevoli delle nostre debolezze e dei nostri peccati, verso gli altri dobbiamo usare misericordia e comprensione, senza legittimare ed appoggiare il male, ma semplicemente capire e perdonare, perché come ci ricorda Gesù nel brano del Vangelo di oggi, nessuno può ritenersi giusto e farsi passare per giusto, quando il realtà siamo tutti peccatori e bisogni del perdono di Dio. La donna colta in flagrante adulterio e che viene portata davanti a Gesù, per vedere cosa pensasse in merito ad una legge precisa che Mosè aveva inserito nelle norme di comportamento morale e sociale è un’occasione per fare lezione di perdono e di autocoscienza dei propri errori, propri nei confronti di chi pensava di essere più giusto e più perfetto della donna che aveva peccato di certo. Quelle espressioni di Gesù sono un macigno sulle coscienze di tutti: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Dove sono i santi, dove sono coloro che si pensano migliori e più perfetti degli altri. Non ci sono vanno via, perché tutti siamo peccatori e come tali abbiamo bisogno proprio di Gesù che getta nel mare della sua infinità misericordia tutti i nostri peccati. Quel dito puntato a terra sulla sabbia e che scrive, non si sa cosa abbia scritto, ci aiuta ad entrate nella indecifrabile nostro modo di vivere e di agire, che Gesù cerca di far capire a quanti stanno lì per lì a condannare alla lapidazione una donna peccatrice, come gli uomini fossero dei santi. Alla stregua della donna in peccato lo sono anche chi spinge al peccato e si fa correo dello stesso peccato dell’altro. La donna per essere peccatrice ha dovuto incontrare un uomo altrettanto o se non peggio peccatore come lei. E allora perché condannare solo e soltanto la donna alla lapidazione? A limite entrambi. Invece la cultura di allora e di sempre condanna la donna e mai l’uomo, almeno in ambito sessuale, dove quasi sia legittimato l’abuso, la violenza carnale o il desiderio smodato di piaceri che contrastano con la morale e l’etica cristiana.
La donna peccatrice ci richiama al peccato di ognuno di noi, perché nessuno è senza colpa. Gesù cerca di inculcare il concetto di misericordia e di perdono e non quello della condanna del giudizio o peggio quello di ritenersi più perfetti e santi degli altri. E’ tempo di convertici alla misericordia e al perdono e non al giudizio facile di condanna che circola in tutti gli ambienti, a partire da quell’ambiente religioso e cristiano che dovrebbe dare esempio di santità, ma con ci riesce.
La tristezza e il peso dei nostri peccati potrebbe bloccarci nel cammino verso la santità e la purificazione. Dobbiamo riappropriarci della speranza, della gioia di vivere, nonostante le nostre debolezze del passato o del presente. Ecco perciò che il profeta Isaia parlando ai suoi correligiosi e connazionali, in una situazione di esilio, raccomanda di «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Dio ci è sempre vicino e ci aiuta nel cammino di purificazione e di riscatto della persona dignità e libertà insieme a quello dell’intero popolo di Dio, come ci ricorda il brano della prima lettura di oggi tratto dal profeta Isaia. Il grande uomo di Dio vede un futuro roseo e di speranza per Israele esiliato in Babilonia e il ritorno alla patria è rivisto alla luce di quel primo grande esodo dall’Egitto alla Terra Promessa. Tutta la sofferenza bisogna metterla alle spalle, perché chi ci fa rimpiangere il passato, le cipolle dell’Egitto, è il Diavolo, che ci offusca la mente nel vedere le costanti possibilità per ognuno di uscire dalla miseria del peccato e da ogni schiavitù umana.
Non a caso san Paolo nel bellissimo testo della seconda lettura di questa domenica, tratta la celebre lettera ai Filippesi, scrive parole stupende circa la sua nuova condizione di apostolo di Cristo e non più persecutore della religione nuova, incentrata sull’amore, che Gesù aveva iniziato a diffondere e che aveva trovato forte opposizione in Israele: “Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura”. Ciò che non è Cristo e non porta a Cristo è davvero qualcosa da buttare vita, nella spazzatura, magari facendo un’opera di selezione di ciò che è più urgente e immediato da buttare via analizzando attentamente la nostra vita. Fare la differenziata anche per la nostra anima; via subito i peccati gravi e mortali e poi all’opera per raggiungere la perfezione, ma facile da perseguire in considerazione delle tante miserie umane. Perciò la santità è un lento difficile cammino che si può raggiungere mettendo ogni sforzo per farlo e farlo bene: “Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù”. E come l’Apostolo delle Genti dobbiamo sapere questo: dimenticando ciò che ci sta alle spalle e protesi verso ciò che ci sta di fronte, corriamo insieme e felici verso la mèta, verso quel premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù”. Quale migliore corsa dobbiamo fare per essere felici qui in terra e soprattutto eternamente in cielo e diciamo con fede: “Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi”. Amen.
P.RUNGI. LA RIFLESSIONE PER LA QUINTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – 10 FEBBRAIO 2019
V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Domenica 10 febbraio 2019
Ecco, Signore, manda me per annunciare il tuo Vangelo.
Commento di padre Antonio Rungi
La parola di Dio di questa quinta domenica del tempo ordinario ci aiuta a discernere bene la nostra vocazione cristiana e la nostra vocazione missionaria.
Tutti, in base al Battesimo, siamo inviati ad essere portatori della buona notizia del Vangelo, secondo il proprio stato di vita, dal semplice fedele laico, che vive nel mondo e a contatto con le cose del mondo, ai sacerdoti e religiosi, ai vescovi.
Tutti oggi veniamo interpellati dalla parola di Dio in merito all’impegno di essere profeti in mezzo al popolo, portando la gioia e la speranza nel cuore di ogni persona.
Nella prima lettura di oggi, il profeta Isaia racconta e descrive la sua chiamata ad essere profeta delle nazioni.
In una visione, di cui ce ne descrive i particolari, ci indica il contenuto stesso della sua chiamata ad essere profeta. “Vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali».
Al canto solenne del Santo fatto dai Serafini, “vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo”.
A questo punto il profeta si sente perduto e non si scorge degno ed adeguato alla missione alla quale è chiamato: “un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito”.
Continua la visione e Isaia descrive ciò che accadde subito dopo: “Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato».
La purificazione del cuore e delle labbra del profeta è ormai completata e lui può svolgere, ora, il suo compito e la sua missione.
Infatti, Isaia “udii la voce del Signore che gli diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». Non c’era disponibilità ad assumere questo difficile compito. Allora il profeta rispose: «Eccomi, manda me!».
Inizia così l’avventura profetica di Isaia a servizio della parola di Dio e annunciatore della volontà di Dio in mezzo ad un popolo dalle labbra impure.
Alla prima lettura di questa domenica gli fa eco il Vangelo di Luca che parla della missione della sequela di Cristo. In questo brano si racconta della pesca miracolosa e della successiva chiamata di Pietro e degli Apostoli a seguire Gesù. Sono citati, infatti, questi due eventi importanti riguardanti Gesù e i suoi discepoli per riportare all’attenzione di chi legge ed ascolta la potenza dell’amore di Cristo sulle persone disponibili e docili a seguirlo.
Un gruppetto di pescatori delusi da una notte intera di inutile fatica di una pesca infruttuosa, con l’intervento di Gesù si rimette in moto e riparte proprio da lì, dove si era fermato. Gesù, infatti, chiede a Pietro di fare tre cose: di scostarsi dalla riva e di buttare nuovamente le reti in mare; di non avere paura, promettendogli che sarà, da ora in poi, un pescatore di uomini e non più di pesci. E così, convito da Gesù. Pietro si affida totalmente a Lui: “Va bene, Maestro, sulla tua parola getterò le reti”.
Che cosa spinge Pietro a fidarsi di Gesù ciecamente? Una cosa è certa: nella persona di Gesù ha visto l’amore.
Pietro si è sentito amato, in quel momento di delusione e di sofferenza sente che la sua vita è al sicuro accanto a Gesù. Credendo alla parola del Signore, credendo all’amore di Dio, Pietro e il resto del gruppo dei pescatori che lavoravano con lui riceve una copiosa pesca, quale dono alla risposta affermativa data.
Simone davanti al tale prodigio si sente stordito, inadeguato. Lui esperto pescatore, deve alzare le mani davanti al Signore, che rende copioso ogni altro genere di pesca. Ecco perché si rivolge a Gesù e pronuncia parole di grande umiltà: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. Gesù, di fronte allo stupore di Pietro e al riconoscimento della sua pochezza umana e spirituale, lo incoraggia a non pensare più al suo passato e ai suoi peccati, ma a guardare avanti con fiducia e speranza al suo futuro, che inizia proprio da lì.
“Non temere, gli dice, d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Per cui, Pietro e gli altri, abbandonate le barche cariche del loro piccolo tesoro, proprio nel momento in cui avrebbe avuto senso restare, si mettono a seguire il Maestro verso un altro mare, senza neppure domandarsi dove li condurrà. Vanno dietro a lui. Vanno dove li porta il cuore.
Il grande e coraggioso gesto di abbandonare ogni cosa per seguire il richiamo di Dio ci fa da sprone ad abbandonare ogni cosa che ci porta lontano da Dio per farci ritornare a Lui con tutto il cuore e soprattutto con un cuore davvero pentito.
Anche l’apostolo Paolo segue la scia del Maestro, dopo la sua conversione, sulla via di Damasco. Anche per lui avviene un cambiamento radicale che lo porta a proclamare il Vangelo ai cristiani di Corinto, a quali raccomanda di restare saldi in esso e dal quale sono salvati, se lo mantengono integro nei contenuti e nella forma.
Il nucleo essenziale di questo vangelo che annuncia Paolo è lo stesso che egli ha ricevuto, e cioè “che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto”.
Di fronte a queste sublimi verità di fede, ma anche di storia della prima comunità cristiana di Gerusalemme, Paolo si sente come “il più piccolo tra gli apostoli”, anzi non si ritiene neppure degno “di essere chiamato apostolo perché ha perseguitato la Chiesa di Dio”. La coscienza del proprio passato lo tormenta, ma poi aggiunge che “per grazia di Dio, ora è quello che è, cioè completamente diverso dal passato, tanto è vero che la grazia di Dio in lui non è stata vana”. L’apostolo riconosce questo speciale intervento di Dio a suo favore per portarlo sulla retta via della santità e dell’ annuncio missionario della salvezza, a punto tale che afferma che egli ha fatto molto di più, come apostolo, non in senso stretto, rispetto ad altri che lo erano a pieno titolo. Evidenzia Paolo un santo orgoglio missionario ed apostolico che non si può negare a lui, essendo un fatto evidente e ben conosciuto presso i cristiani di allora.
Isaia, i 12 Apostoli, Paolo di Tarso sono una triade di riferimento biblico a fare dell’attività apostolica e missionaria l’impegno prioritario di ogni cristiano. Perciò a ben ragione possiamo elevare al Signore questa umile preghiera di inizio messa: “Dio di infinita grandezza, che affidi alle nostre labbra impure e alle nostre fragili mani il compito di portare agli uomini l’annunzio del Vangelo, sostienici con il tuo Spirito, perché la tua parola, accolta da cuori aperti e generosi, fruttifichi in ogni parte della terra. Amen.