Paradiso

COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI – 2 NOVEMBRE 2015

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COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

Lunedì 2 Novembre 2015

La morte: il nostro natale per l’eternità

Commento di padre Antonio Rungi

Per i cristiani la morte è il transito all’eterno è il dies natalis, cioè della vera nascita, quella per l’eternità celebriamo una volta e per sempre nel giorno in cui il Signore ci chiama a far parte del suo Regno eterno nel santo Paradiso. Oggi, commemorazione annuale di Tutti i Fedeli Defunti, noi come credenti riflettiamo sul senso della vita, piuttosto che sul senso della morte, in quanto la morte, pur essendo un fatto biologico, naturale, in realtà essa non riguarda l’essere umano, perché, in base alla sua anima spirituale ed immortale, egli non è soggetto alla morte eterna e se pure attraversa la morte corporale per lui esiste anche una risurrezione finale. In poche parole, la morte non è l’ultimo atto di una storia umana individuale e personale, ma l’inizio di una nuova vita, quella di comunione con Dio. E noi in questo giorno di riflessione e di preghiera per i nostri fratelli defunti, quelli più stretti a noi da vincoli di affetto e di sangue, a quelli sconosciuti e dimenticati da tutti, vogliamo rendere lode al Signore che ci ha aperto, attraverso la sua morte in Croce e risurrezione il varco per un’eternità beata. Oggi celebriamo la nostra pasqua, quella del vero passaggio dalla morte alla vita, perché, per quanti hanno operato il bene ed hanno risposto in pienezza al messaggio evangelico la morte non è altro il giorno della vita, della nascita, della felicità per sempre. Oggi, infatti, come Natale e Pasqua i sacerdoti hanno la facoltà di celebrare tre sante messe, con altrettanti formulari di preghiera e di testi biblici, che ne costituiscono l’ossatura e la struttura di celebrazione eucaristica. Noi in questa meditazione sulla giornata di Commemorazione ci soffermiamo a riflettere sui testi delle letture della prima messa, anche perché è quella che apre la giornata eucaristica per ogni sacerdote, che celebra l’eucaristia nella prima mattinata, come è prassi. E il primo pensiero meditativo va proprio all’antifona d’ingresso della prima messa dei defunti: “Gesù è morto ed è risorto; così anche quelli che sono morti in Gesù Dio li radunerà insieme con lui. E come tutti muoiono in Adamo, così tutti in Cristo riavranno la vita”. (1Ts 4,14; 1Cor 15,22). Il riferimento alla risurrezione è evidente in questo primo passo nella commemorazione dei defunti. Si piange per la perdita dei propri cari, ma si gioisce, nella speranza che un giorno ci rivedremo tutti insieme nell’eternità, con un corpo trasformato e destinato alla vita eterna. Noi crediamo infatti alla risurrezione finale anche del nostro corpo mortale, perché Gesù ha portato nella gloria del paradiso la nostra umanità, ascendendo al cielo in anima e corpo e confermando questa prospettiva di un’eternità beata, anche per la nostra corporeità, con l’Assunzione al Cielo della Vergine Santissima, Madre di Dio e Madre nostra. Questa verità di fede in cui noi crediamo, la esprimiamo oggi anche nella preghiera iniziale della messa dei defunti: “Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del Signore risorto, e conferma in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova”.
Tale vita nuova, a cui aspiriamo, piangenti e gementi in questa valle di lacrime, è il Paradiso, è il Regno eterno di Dio. Ce lo ricorda il testo della prima lettura di oggi, tratto dal Libro di Giobbe, che in un canto di lode al Signore, in un impeto di gioia e speranza nel Signore, scrive: “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro». La  consapevolezza dell’eternità della felicità, dell’incontro con il Risorto, è questo il dono della fede che esprimiamo anche nel Credo con quella espressione, credo nella “risurrezione della carne e la vita eterna”. Credere nella risurrezione e nella vita eterna, significa camminare sulla strada che hanno percorso i santi, i quali hanno perseguito questo obiettivo avendo chiaro nella loro vita quello che l’Apostolo Paolo ci indica nel brano della sua Lettera ai Romani che oggi ascoltiamo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.  A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita”. Noi, quindi, siamo uomini di speranza, anzi di certezze di fede che attingiamo dalla parola di Dio, che è vita e sostegno al nostro cammino nel tempo presente, assegnando a noi, nella quantità e nella qualità che solo il Signore sa. D’altra parte, la volontà di Dio, espressa in tanti modi mediante la vita, le opere di Cristo è ben espressa nel vangelo di Giovanni, che è il primo testo del vangelo che oggi ci accompagna in questa giornata di riflessione sulla morte-vita, qual è la Commemorazione dei Fedeli Defunti. “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Con animo pieno di fiducia nel Signore, anche in questa giornata, e non solo in questa, vogliamo elevare la nostra umile preghiera in suffragio di tutti i fratelli che hanno lasciato questo mondo per l’eternità e lo facciamo con la stessa preghiera che Papa Francesco ha recitato il giorno 2 novembre 2014, durante l’Angelus, pregando con queste parole: «Dio di infinita misericordia, affidiamo alla tua immensa bontà quanti hanno lasciato questo mondo per l’eternità, dove tu attendi l’intera umanità, redenta dal sangue prezioso di Cristo, tuo Figlio, morto in riscatto per i nostri peccati. Non guardare, Signore, alle tante povertà, miserie e debolezze umane, quando ci presenteremo davanti al tuo tribunale, per essere giudicati per la felicità o la condanna. Volgi su di noi il tuo sguardo pietoso, che nasce dalla tenerezza del tuo cuore, e aiutaci a camminare sulla strada di una completa purificazione. Nessuno dei tuoi figli vada perduto nel fuoco eterno dell’inferno, dove non ci può essere più pentimento. Ti affidiamo Signore le anime dei nostri cari, delle persone che sono morte senza il conforto sacramentale, o non hanno avuto modo di pentirsi nemmeno al temine della loro vita. Nessun abbia da temere di incontrare Te, dopo il pellegrinaggio terreno, nella speranza di essere accolto nelle braccia della tua infinita misericordia. Sorella morte corporale ci trovi vigilanti nella preghiera e carichi di ogni bene fatto nel corso della nostra breve o lunga esistenza. Signore, niente ci allontani da Te su questa terra, ma tutto e tutti ci sostengano nell’ardente desiderio di riposare serenamente ed eternamente in Te. Amen» (P. Antonio Rungi, passionista, Preghiera dei defunti).

 

SOLENNITA’ DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO 2014. IL COMMENTO DI P.RUNGI

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GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

DOMENICA 23 NOVEMBRE 2014

 Eredi del Regno di Cristo 

Commento di padre Antonio Rungi 

L’ultima domenica dell’anno liturgico è dedicata alla solennità di Gesù Cristo, Re dell’universo. E’ una domenica speciale questa, in quanto è la conclusione di un cammino spirituale ed interiore che abbiamo fatto nel corso dell’anno alla scuola della parola di Dio, che ogni domenica abbiamo ascoltato e commentato e ci auguriamo di aver messo in pratica. E’ un cammino di amore e carità quello che annualmente siamo chiamati a percorrere con l’anno liturgico, una vera miniera di grazia e benedizione per quanti vogliono seriamente pensare alla salvezza della propria anima, che, poi, è la cosa più importante della nostra vita, rispetto a quanti si affaticano per conquistare altri beni, terreni o di altro genere, che non hanno valenza davanti al Re dei cieli. In fondo, anche in questa domenica, ci viene nuovamente riproposto il tema dell’amore Dio, dal quale deve scaturire l’amore verso i fratelli. Un amore concreto, operativo, fatto di gesti e di empatia, caratterizzato dalla questa forte tensione verso l’altro, specie di chi si trova nella difficoltà. Questo Re che oggi adoriamo, Cristo Signore, sarà un giudice dal cuore misericordioso e buono, ma ci chiederà solo alcune fondamentali cose, se le abbiamo fatte o meno nella nostra vita. Certo a Lui tutto è presente e tutto Lui conosce, ma l’incontro con Cristo, nell’eternità, avrà un momento (se così lo possiamo definire) di un tu a tu con Dio. Un confronto che è decisivo, in quanto sarà per la felicità o la condanna. Certo il Figlio di Dio, venuto sulla terra, incarnandosi per opera dello Spirito santo nel grembo verginale di Maria, è venuto a portare la salvezza ed assicurare a ciascuna creatura umana un’eredità di un valore infinito, di un valore eterno, in quanto è la gioia di partecipare al Regno di Dio per sempre, nel Santo Paradiso.

Il testo del Vangelo di oggi, su cui abbiamo meditato nella domenica del 2 novembre scorso, in occasione dell’annuale commemorazione dei defunti, ci riporta alla realtà di una vita eterna che passa attraverso la scelta della carità. Un giudizio di Dio sul nostro operato e quello dell’intera umanità ci sarà e sarà espresso secondo questi criteri e parametri evangelici:”In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Vorrei sottolineare in questa meditazione ed omelia questo ultima versetto del vangelo di Matteo sul giudizio universale: “E se ne andranno: questi al supplizi eterno, i giusti invece alla vita eterna”. L’eternità e il nostro destino futuro lo costruiamo noi con le nostre mani, con le mani e il cuore dell’amore o dell’odio. Tutti abbiamo sperimentato nella vita l’amore e l’odio. Sono due forze contrastanti che si eliminano a vicenda. Chi segue la via dell’amore, sceglie anche per il suo futuro la gioia del regno di Dio, entrerà a far parte di coloro che saranno felici per sempre e davvero. La via dell’amore e della felicità è la via del dono, dell’accoglienza, dell’attenzione, della misericordia, del servizio umile e disinteressato verso i poveri e i bisognosi del mondo.

Da questo vangelo dell’amore che Papa Francesco ogni giorno coglie l’occasione per richiamare all’attenzione dei credenti il loro fondamentale impegno di amare e donare, di servire e rendersi disponibile. Ricordiamo queste parole di Gesù nella catechesi di oggi: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Con l’ulteriore esplicitazione del concetto e soprattutto dell’azione in queste parole:“In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Un Re che ci chiede di fare il bene agli altri, non chiede per se stesso nulla. Anzi è stato Lui stesso a dare tutto per noi, morendo sulla croce, sacrificandosi per noi. Una regalità speciale, fuori dai canoni delle regalità e dei regni di questa terra, che hanno altre prospettive di soggiogare le persone e il mondo alle proprie idee e posizioni. Nella prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi, che oggi ascoltiamo, ci viene proprio evidenziata la missione di Cristo. Una missione che si concentra sul tema della morte e risurrezione, sulla Pasqua. Ci istruisce a tal proposito l’Apostolo delle Genti: “Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte.

E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti”.

Gesù Cristo quindi, al centro della redenzione “consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza”. Per cui, “è necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte”. Una regalità per la vita e non per la morte. La morte, infatti, è la negazione della vita, è l’opposto e l’opposizione della vita. Cristo è per la vita e la vita oltre la vita, senza la quale non possiamo parlare di vera vita.

Questo Re, inoltre, si indentifica con il pastore umile, buono ed accorto, perché tutte le sue pecorelle possano trovare conforto e gioia in Lui, e che nessuna di essanon avverta la solitudine dell’esistenza o dello smarrimento, ma solo l’amore che è ricerca e attenzione, come ci rammenta il brano della prima lettura di questa solennità, tratto dal Profeta Ezechiele: “Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia. A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri”.

Il nostro Dio, il nostro Re, è un Dio che va alla ricerca e soffre se anche una sola delle sue pecore dovesse perdersi, smarrirsi, non ritrovare la strada del paradiso. In questa sua affannosa ricerca, se gli uomini non rispondono a questo amore, alla fine c’è la separazione, c’è il giudizio, tra pecore e pecora e tra montoni e capri. Segno evidente che Dio non può fare a meno di emettere il suo verdetto sul nostro comportamento, se non va verso il pentimento, verso la conversione permanente.

Sia questa allora la nostra umile preghiera in questo giorno di lode e ringraziamento al Re dei Re: O Padre, che hai posto il tuo Figlio come unico re e pastore di tutti gli uomini, per costruire nelle tormentate vicende della storia il tuo regno d’amore, alimenta in noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l’ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l’opera della sua redenzione, perché tu sia tutto in tutti”.

Concludo questa mia riflessione con una delle espressioni più belle che hanno accompagnato il canto e la preghiera della Chiesa nei secoli: Christus vincit, Christus regnat, Christus, Christus imperat.

E con un saluto finale che fino a non molti anni fa tutti utilizzavamo per salutare i sacerdoti, i parroci: “Cristo, regni!”. “Sempre”.

Regni sempre nella nostra mente, nei nostri pensieri, nel nostro agire, nel nostro vivere quotidiano nella gioia e nella sofferenza che tante volte può interessare la nostra vita e la vita degli altri. Regni il Signore, perché il suo Regno è un Regno d’amore e di gioia, comunque e sempre. Amen

 

 

P.RUNGI. IL COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014

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XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

16 NOVEMBRE 2014 

Vigilanza e sobrietà in vista dell’eternità 

Commento di padre Antonio Rungi 

Le ultime domeniche dell’anno liturgico sono un forte appello, nella parola di Dio, a guardare avanti e a fissare il nostro sguardo nell’eternità, dove siamo diretti, camminando nel tempo ed aspettando il giorno in cui il Signore ci chiamerà a rendere conto della nostra vita, subito dopo la morte. Poi ci sarà anche il giudizio finale, quello che noi chiamiamo universale in quanto riguarderà tutti e tutto. Nell’attesa gioiosa e non ansiosa di quanto dovrà accadere, noi siamo chiamati a vigilare su noi stessi, vivendo un vita di sobrietà, senza eccessi di nessun genere. Diciamolo con chiarezza, noi non sappiamo né il momento e né l’ora in cui il Signore verrà; per cui dobbiamo essere sempre pronti a rispondere il nostro sì per l’eternità, dal momento che abbiamo detto i tanti nostri sì in questo mondo, scegliendo di vivere dalla parte di Dio e seguendo la morale della nostra fede cristiana. E’ San Paolo Apostolo nella bellissima prima lettera scritta ai Tessalonicesi, in cui tratta appunto il tema della venuta del Signore, a farci riflettere seriamente sul nostro futuro e sul mondo che verrà. Egli scrive: “Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri”. La venuta ultima del Signore è paragonato ad un ladro che va a rubare di notte nelle case delle persone. Non c’è preavviso, ma tutto succede all’improvviso. E quanto più pensiamo di essere al sicuro ed avere certezze di futuro su questa terra, allora dobbiamo maggiormente preoccuparci che non è poi proprio così. L’atteggiamento migliore è quello di attendere la venuta del Signore in uno stato di grazia, uscendo dalle tenebre del peccato e della presunzione di stare a posto e di non aver bisogno di purificazione e conversione. Dobbiamo vivere sempre come figli della luce, perché non apparteniamo alla notte, ma al giorno; non apparteniamo alle tenebre, ma alla luce, perché Dio è luce e in questa luce che noi viviamo e a questa luce dobbiamo aspirare nell’eternità.

E sempre sul tema del secondo avvento del Signore nella storia dell’uomo che si focalizza il testo del Vangelo di oggi, tratto dall’evangelista Matteo, nel quale è riportata la parabola dei talenti che devono fruttificare produce opere buone e di santità, opere di eternità. Che sia poco o che sia molto che abbiamo ricevuto dal Signore, questo non può restare inoperoso, non può non produrre qualcosa, anche il minimo deve rendere, a costo di affidare questo talento alla custodia o all’iniziativa degli altri. L’impegno per il regno di Dio e per la santificazione della nostra vita deve essere costante e personale, deve passare attraverso atti decisionali che non ammettano scusanti o giustificazioni di sorta. Bisogna operare e basta come hanno fatto i servi che hanno ricevuto cinque e due talenti che raddoppiarono nel rendimento. Non è bello e non esprime amore verso il Signore e verso se stessi se, pur avendo ricevuto il minimo, espresso dall’unico talento, invece di farlo fruttificare lo mettiamo a tacere, lo atterriamo, lo nascondiamo e non lo rendiamo visibile agli altri mediante un retto operare. Leggiamolo questo bellissimo brano del Vangelo di questa penultima domenica del tempo ordinario. “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.  Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Il premio della salvezza eterna, Dio ce lo concederà se ci siamo sforzati a far fruttificare tutti  doni ricevuti e poi concretamente fatti crescere e potenziale per il giardino del paradiso.

In altri termini dobbiamo essere come la donna attenta ed oculata di cui ci parla il libro dei Proverbi, nel quale vediamo all’opera la donna volenteroso di operare per la gloria del Signore e per la felicità della propria famiglia. Il programma di santità per donne ed uomini che temono ed amano il Signore sta appunto in questo testo: “Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Gli dà felicità e non dispiacere

per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani.

Stende la sua mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero. Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città”. Fedeltà, carità, timore ed amore di Dio, operosità per il Regno di Dio sono gli standard minimi per essere sulla giusta strada che conduce alla felicità vera e duratura. Non è la bellezza esteriore, né il fascino umano, ma è la bellezza del cuore ed il fascino interiore a rendere l’uomo e la donna capace di parlare il linguaggio verso dell’eternità e di operare in vista di essa. Con queste profonde convinzioni spirituali, possiamo elevare a Dio la nostra supplica, insieme a tutti i fedeli che si raccoglieranno in preghiera nella casa del Signore, in questa domenica penultima dell’anno liturgico: “O Padre, che affidi alle mani dell’uomo tutti i beni della creazione e della grazia, fa’ che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della tua provvidenza; rendici sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo giorno, nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli, e così entrare nella gioia del tuo regno”. Amen

LA SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI – 1 NOVEMBRE 2014

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SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI

SABATO 1 NOVEMBRE 2014

Una moltitudine di santi che ci insegnano la vita della santità

Commento di padre Antonio Rungi

Gli ultimi santi di questi mesi, quelli elevati agli onori degli altari e quindi da poter venerare, ci dicono quanto sia possibile a tutti raggiungere quella che è la meta e il traguardo più importante della nostra vita: il santo paradiso. Papi, Vescovi, sacerdoti, religiosi laici, di tutte le età, condizioni sociali, nazionalità fanno parte della schiera ufficiale dei santi riconosciuti. Nonostante il numero elevato, se fossero soltanto e semplicemente loro i santi, allora il paradiso sarebbe davvero molto vuoto ed anche triste. Invece i santi sono tutti quelli che anche la parola di Dio di questa solennità annuale con data fissa ci fa considerare ed anche pregare. Nella visione della Gerusalemme celeste, San Giovanni Evangelista ci descrive quella consolante realtà del cielo, dove tutti quanti aspiriamo ad arrivare, non senza fatica e dolore: “E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele. Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello». I santi sono i salvati, coloro che hanno risposto con amore all’Amore, fino a dare la vita per il Signore. Quel Signore, Gesù Cristo, morto sulla croce, che ha dato la sua vita per noi, proprio per riportarci all’amicizia eterna con Dio. E allora chi sono i santi? «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello». La santità è purificazione ed oblazione, è capacità di accettare la volontà di Dio e fare della sua volontà il proprio cibo spirituale. Santi, allora, non è soltanto Giovanni Paolo II, Giovanni XXIII e tutti i santi riconosciuti dalla Chiesa, ma sono tutti coloro che si sono salvati, perché si sono purificati dalle loro macchie, dal peccato, da tutto che allontana il cuore dell’uomo da Dio. Santi sono e saranno su questa terra, quanti sono poveri in spirito, secondo quanto afferma Gesù nel celebre discorso della montagna che passa come le Beatitudini. Santi sono coloro che sono nella sofferenza di ogni genere e che accettano tutto per amore di Dio, salendo con Cristo il calvario del dolore, ma soprattutto dell’amore che si fa dono. Santi sono i miti che come il mite Agnello, Gesù Cristo, vanno alla morte senza proferire parole, si donano nel silenzio e nel sacrificio di ogni giorno. Santi sono quelli che lottano per la giustizia e la pace e che questi motivi vengono massacri ed uccisi. Santi sono coloro che sanno perdonare, anche di fronte alle offese, calunnie, infamie e maldicenze ricevute. Santi sono coloro che nutrono nel cuore alti valori morali, spirituali e sentimentali e che non vedono ombra di malizia e peccato in nessuna parte. Santi sono i pacifisti e pacificatori che credono e lottano per un modo in cui l’uomo sia all’uomo non un lupo, ma un agnello mansueto. Santi sono anche tutti coloro che da sempre ed oggi rischiano la loro vita per difendere i diritti dei poveri e degli ultimi. La sostanza del vangelo sta, infatti, in questa opzione preferenziale per i poveri e nessuno deve umiliarli o maltrattarli. Santi sono coloro che portano avanti nel mondo il pluralismo della fede, rivendicando giustamente il rispetto della fede cristiana. Quanti martiri anche oggi per questo motivo in varie parti del mondo.

La consapevolezza di essere in un posto speciale dell’immenso cuore di Dio Padre, noi possiamo di dire con l’Apostolo Giovanni di avere una identità che nessuno potrà mai toglierci e una verità assoluta che non può essere messa in discussione: “Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”. Figli di Dio e la che dopo la morte saremo simili a Lui, perché lo vedremo faccia a faccia. Il Paradiso dei santi a cui aspiriamo è guardare e contemplare in eterno il volto d’amore di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito Santo, il volto della Santissima Trinità, il volto più bello e perfetto che ha incarnato sulla terra il volto di Dio, Maria Santissima, che ci attende in paradiso. Pensare al paradiso non è, come qualcuno afferma, drogarsi nella vita, illudersi senza avere certezze di alcuni tipo. Pensare al paradiso è pensare all’essenza dell’uomo, che è stato fatto per la felicità con una identità poco meno inferiore degli angeli.  E’ avere una speranza che non delude, ma rende puri, come ricorda l’evangelista Giovanni nel testo della sua prima lettera: Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

Preghiamo tutti i nostri santi, i nostri protettori e in questo giorno di festa in cielo, sia anche festa in terra, nei nostri cuori, nelle nostre famiglie, nelle nostre nazioni, tra tutte le persone che amano Dio e l’uomo nella sincerità del loro cuore, per cui sono in festa, in quanto nell’amore c’è la gioia e la santità vera.

Airola (Bn). E’ morta Suor Agnese Liguori, monaca clarissa

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Airola (Bn). E’ morta Suor Agnese Liguori, monaca clarissa

di Antonio Rungi

E’ di ieri, lunedì 13 ottobre 2014, la notizia della morte di Suor Agnese Liguori, monaca Clarissa del Monastero “Regina Coeli” di Airola che molti airolani hanno avuto la gioia di conoscere personalmente, in quanto le Monache Clarisse sono molto presenti nella vita della città, pur vivendo nel monastero, in assoluta clausura.

Suor Agnese era nata a Santa Maria a Vico 91 anni fa. Il primo segnale di vocazione l’avverte a 5 anni, quando è guidata da una sua parente, anche lei monaca clarissa, a conoscere il carisma di Francesco d’Assisi e di Santa Chiara. Entra tra le monache clarisse di Airola a 19 anni, dopo gli anni propedeutici e di discernimento. Settantadue anni di vita religiosa e claustrale, tutti vissuti in questo storico monastero del Sannio, unico in tutto il Meridione d’Italia, dopo quello di Santa Chiara a Napoli. Pochissime le uscite dal monastero per motivi di salute, per qualche intervento chirurgico e per il civile dovere delle votazioni.

Madre badessa per diversi anni ha guidato la comunità monastica con equilibrio, saggezza e stile materno. In poche parole una santa religiosa che prese a cuore seriamente la chiamata del Signore. Una donna di preghiera e di alta spiritualità, con un carattere estremamente affabile. Sempre affettuosa, dolcissima, buona e tenera come una mamma, Suor Agnese è una delle tante suore che hanno fatto della vita di preghiera, di carità il centro della loro esistenza di persone consacrate nel secondo ordine francescano. Un esempio per consacrati e laici.

I funerali solenni si svolgeranno, martedì 14 ottobre 2014 alle ore 15,30 nel monastero delle clarisse di Airola, dove ha vissuto per 72 e dove è santamente spirata nella mattinata del 13 ottobre, dopo aver ricevuto i sacramenti, l’unzione degli infermi e aver fatta per l’ultima volta la Comunione sacramentale.

A presiedere i solenni funerali  ci sarà il vescovo di Cerreto-Telese-Sant’Agata dei Goti, monsignor Michele De Rosa, con la partecipazione del Ministro Provinciale dei Frati Minori della Provincia Sannito-Irpina, fra Sabino Iannuzzi, di altri religiosi francescani e passionisti, che hanno seguito l’itinerario spirituale di Suor Agnese. Saranno  tantissimi i  fedeli di Airola che parteciperanno ai funerali di Suor Agnese, avendola conosciuta e avendo apprezzato la vita di questa santa monaca clarissa, che ha lasciato un segno speciale nel cuore dei piccoli, dei giovani e dei grandi.  Riposi in pace.

Il Commento alla liturgia della parola di Dio di domenica 27 luglio 2014

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DOMENICA XVII DEL TEMPO ORDINARIO

27 LUGLIO 2014

Il Regno di Dio è una novità infinita

di padre Antonio Rungi

Il Vangelo di questa XVII domenica del tempo ordinario ci presenta altre tre brevi parabole, dette da Gesù, per far capire il senso ed il valore del Regno di Dio, che Egli stesso instaura con la sua venuta nel mondo e che Egli stesso fa conoscere e diffonde mediante la predicazione della buona novella. Tanti esempi che Gesù apporta per il suo uditorio stabile o occasionale, per far comprendere la necessità di incrociare questo Regno nella sua persona, attraverso un atto di fede e di accettazione della sua missione. Gesù non chiede altro che la disponibilità del cuore dell’uomo di lasciarsi prendere dall’amore e dalla passione per il Regno di Dio, un regno tutto particolare per natura, costituzione e finalità. Il regno è un tesoro nascosto che se lo si scopre si fa in modo di acquisirlo subito a qualsiasi prezzo. E sul valore del regno è l’altro esempio delle pietre preziose che il mercante compra, una volta trovatele per caso o per ricerca personale. Come pure, il terzo esempio della rete gettata nel mare che raccoglie ogni genere di pesci, per poi fare la selezione per scegliere quelli buoni dai cattivi. Quelli adatti e maturi al Regno, quelli che non ancora hanno raggiunto la maturità ed il sapore adatto per entrare a far parte della tavola imbandita del Regno di Dio. E su questo terzo esempio che Gesù si sofferma in modo particolare e fa le sue giuste considerazioni e riflessioni, per spingere i suoi ascoltatori e soprattutto i suoi discepoli che erano esperti di mare e di cernita di pesci, a guardare avanti, altrove, oltre il tempo e a fissare lo sguardo nell’eternità. Dice, infatti, Gesù che  “così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”. Ritorna qui, il Maestro divino, sul tema della separazione tra i buoni e i cattivi, alla fine dei tempi. Ritorna a parlare, detto in termini più immediati ed accessibili a tutti, del Paradiso e dell’Inferno, cioè delle massime eterne che sono la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso. Proprio, perché preso dalla necessità di essere un Maestro ed istruire saggiamente i suoi ascoltatori e discepoli Gesù, alla fine chiede ai presenti: “Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». In poche parole trasforma la sua esistenza in novità di vita, pur non dimenticando il bene ed il valore del suo passato, perché in ogni storia personale, anche problematica e drammatica, c’è sempre un filo di bontà che va saggiamente valorizzato. Armonizzare passato e futuro, attraverso un’operazione di presa di coscienza del presente che non sempre è ben chiara nella mente del credente. A volte si ha nostalgia del passato e si pensa solo al futuro, ma non si sa valorizzare ciò che il Signore ci dona nell’oggi. Egli è l’eterno oggi, che rende vivo e interessante ogni passo dell’uomo in cammino verso l’eternità. Chiediamo al Signore, come il Re Salomone, di cui ci racconta la prima lettura di oggi, tratta dal primo libro dei Re, la docilità del cuore e la saggezza nell’amministrare le cose di Dio e le cose degli uomini. Virtù come l’equilibrio, la giustizia, la docilità ad ascoltare, la disponibilità a risolvere i problemi  sono patrimonio di tutti, ma non tutti vi accedono in modo sincero. Salomone dal Signore viene accontentato nelle richieste, perché non aveva chiesto nulla per sé, né potenza di alcun genere o bene di qualsiasi consistenza. E’ quello che dovremmo chiedere nelle nostre umili preghiere di tutti i giorni, quando ci rivolgiamo a Colui che tutto sa e tutto può e che ci dona le cose necessarie al nostro vero bene, ma noi non le sappiamo comprendere o valorizzare appieno. San Paolo Apostolo nel breve brano della Lettera ai Romani di oggi, seconda lettura della liturgia della parola di questa domenica, ha chiara questa consapevolezza e la propone come via di interpretazione per differenziare il cammino del bene, rispetto a quello del male. Egli scrive: “Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno”. E’ evidente che il cammino di conformazione a Cristo, chiede ad ogni credente una presa di coscienza della propria identità di cristiano, con i vari aspetti che caratterizzano la vita presente e soprattutto quella futura. Il tema della predestinazione è qui sottolineato in ragione di un cammino che siamo chiamati, in quanto tutti abbiamo accesso alla salvezza, mediante  Gesù Cristo. Sta a noi prendere il largo e seguire le orme di Colui che per noi è morto ed è risorto.

Sia questa la nostra preghiera sincera e convinta di questo giorno di festa, che viviamo all’indomani della ricorrenza dei santi Gioacchino ed Anna, i genitori della Madonna e i nonni materni di Gesù Redentore. “O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo; effondi su di noi la tua misericordia perché, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni”. Amen.

Commento alla parola di Dio di Domenica 13 luglio 2014

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DOMENICA XV DEL TEMPO ORDINARIO 

METTERSI IN ASCOLTO DELLA PAROLA 

di Padre Antonio Rungi                                 

Viviamo in un mondo, dove tutti vogliono parlare e solo pochi sanno ascoltare. In realtà dovrebbe essere il contrario. Ascoltare molto e parlare poco, perché le nostre parole spesso sono vuote ed insignificanti o addirittura fanno disastro, offendono, mistificano e creano seri problemi di comunicazione interpersonale. Oggi al centro della liturgia della parola di Dio, di questa XV domenica del tempo ordinario, c’è appunto l’importanza dell’ascolto della parola di Dio, della efficacia della stessa e dei frutti che produce in modo diversificato in chi è disponibile a lasciarsi toccare nel cuore da questa parola.

Partendo dalla prima lettura, tratta dal profeta Isaia, cogliamo in essa tutta l’importanza ed il valore della parola di Dio assimilata alla pioggia che cade dal cielo e che irriga e fa germogliare ogni cosa. Quando più è predisposta e dissodata ed accogliente questa terra, che è il cuore e la mente dell’uomo, più la parola di Dio fa effetto e produce frutti, espressi in opere di bene e di santità.

Così dice il Signore: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

Le varie immagini tratte dalla natura e dall’ambiente di vita quotidiana ci aiutano a capire, secondo quando scrive il profeta Isaia, come bisogna rapportarsi alla Parola di Dio, che esce dalla sua bocca e non vi ritorna senza aver prodotto ciò per cui l’ha inviata. Qui è chiaro il riferimento alla Parola di Dio per eccellenza, che è Gesù Cristo, il Verbo Incarnato che viene in questo mondo e salva l’uomo dalla schiavitù del peccato, per poi ritornare al Padre, dove aver ultimato la sua missione di redentore e salvatore. In questa Parola dobbiamo riscoprire il valore e il significato di ogni altra parola di Dio o dell’uomo. Nella misura in cui ci confrontiamo con Cristo, parola di Dio rivelata a noi, noi possiamo comprendere il linguaggio stesso di Dio, che è il linguaggio dell’amore, della misericordia e del perdono. In qesta parola e mediante Cristo, noi possiamo rivolgerci a Dio e pregare così: “Accresci in noi, o Padre, con la potenza del tuo Spirito la disponibilità ad accogliere il germe della tua parola, che continui a seminare nei solchi dell’umanità, perché fruttifichi in opere di giustizia e di pace e riveli al mondo la beata speranza del tuo regno”.
Per questa parola che ci ha preso il cuore e la vita, bisogna sapere soffrire ed accettare ogni cosa nella nostra esistenza terrena, senza mai abbattersi, scoraggiarsi, demotivarsi; ma guardando avanti nel segno di questa parola che è vita, gioia, speranza e risurrezione. Se non avessimo fiducia nella parola del Signore, ogni cosa che facciamo come cristiani perderebbe di senso e prospettiva. E’ proprio questa fiducia nella parola del Signore che ci fa operare, agire, sperare e soffrire per amore e con amore, come Cristo ha fatto per noi. L’apostolo Paolo sottolinea questo aspetto nel brano della seconda lettura di questa domenica, tratto dalla celebre Lettera ai Romani. Egli scrive con grande speranza nel suo core: “Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo”.

Nel tempo noi gemiamo, soffriamo, patiamo, ma nel tempo, in questo nostro tempo, nel tempo stesso che il Signore ha consegnato nella consistenza e nella qualità a ciascuno di noi, noi costruiamo quello che sarà il senza tempo, sarà l’eternità, sarà Dio per sempre con noi e per noi. Infatti, “noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo”. E’ questa visione di beatitudine piena e definitiva che predispone il nostro cuore ad accogliere la parola e in nome di questa parola affrontare ogni prova della vita.

In questa logica di accoglienza si comprende benissimo la bellissima ed espressiva parabola detta da Gesù in persona ai tanti suoi amici fedeli che lo seguivano. E’ la parabola del Seminatore. Gesù siede e spiega. La gente è sulla spiaggia ed ascolta. Quale migliore ambiente per rivivere questa parola, oggi, in tempo di ferie estive, per chi se le può permettere, che fare una catechesi in riva al mare, come Gesù osava fare. Catechesi fatte bene, con la calma, nel silenzio, nel raccoglimento. Erano altri tempi, altre spiagge, altri ascoltatori quelli del tempo di Gesù. Oggi le nostre spiagge sono ben altra cosa che luoghi di ascolto della natura e della voce di Dio e dei fratelli. Sono spiagge che svuotano l’esistenza umana, perché la riempiono di cose materiali e la svuotano di Dio e della sua parola di vita.

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.

Immaginiamo, anzi organizziamo sulle nostre spiagge la lettura e il rivivere questo brano del vangelo di oggi, proclamando con fede, coraggio, amore e passione a quanti usufruiscono dei beni naturali che sono di tutti, perché il mare, la spiaggia, l’acqua, il cielo e tutto il resto sono di Dio e dell’umanità. E allora riascoltiamo nella sua interezza questa parola così bella ed affascinante, che tocca tanti aspetti della vita umana e della predisposizione dell’uomo a farsi prendere per mano da Dio e lasciarci da Lui accompagnare sui sentieri della vera gioia e pace del cuore.

Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».

Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e no comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice: “Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!”.

Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Vorrei, che ognuno a conclusione di questo itinerario spirituale compiuto oggi ascoltando le tre letture bibliche ed il salmo responsoriale facesse un bell’esame di coscienza. Tra chi mi collocherei oggi, tra le persone che Gesù esamina e pone come metro di paragone per accogliere in modo più o meno ampio e duraturo la sua parola? Siamo la strada, siamo il terreno sassoso, siamo rovi, siamo il terreno buono? In base alla nostra attuale condizione spirituale possiamo dare la nostra risposta. Anzi nel rileggere la nostra vita e la nostra storia ed esperienza di fede possiamo rispondere con maggiore cognizione di causa e precisione. Forse spesso siamo stati tra coloro che hanno solo ascoltato, ma mai messo in pratica; qualche volta abbiamo ascoltato e messo in pratica. Forse raramente abbiamo ascoltato e messo in pratica dando i massimi frutti, compatibili con la nostra persona e la nostra fragilità. Ecco il camminano della parola chiede a tutti noi, fratelli e sorelle, una vera conversione, un cambiamento di rotta, una cambiamento di mentalità che è possibile nella misura in cui ascoltiamo Gesù, la Chiesa, il Papa, i Vescovi, i nostri pastori e non ascoltiamo noi stessi, pensando che noi e soltanto noi siamo fonte di verità e coerenza massima nelle nostre attività, fossero anche quelle più eccelse in campo spirituale ed ecclesiale. Signore donaci l’umiltà del cuore per capire i nostri sbagli e rettificare la nostra vita sulla tua parola di vita. Continua a seminare nella nostra vita la gioia e la speranza che va oltre i confini del tempo e si colloca nella gioia eterna del santo Paradiso. Amen.

Solennità dell’Ascensione di Gesù al cielo. Commento di padre Antonio Rungi

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ASCENSIONE DEL SIGNORE –DOMENICA 1 GIUGNO 2014 

Perché fissare il cielo? 

di padre Antonio Rungi 

Nella domenica dell’Ascensione al cielo di nostro Signore Gesù Cristo, siamo inviati dallo stesso Signore a fare due cose: a fissare il cielo dove Cristo si è assiso alla destra del Padre e dove ci attende tutti, per condividere con noi la gioia del suo regno di luce e gioia eterna; a fissare la terra e a guardarla nella sua realtà di oggi e di sempre, con le sue fragilità, i suoi dubbi, le sue incertezze, i suoi peccati e soprattutto nel suo bisogno di salvezza e redenzione. Il messaggio è molto chiaro e non ammette confusione di interpretazione da parte di nessuno. Infatti, nella preghiera iniziale della santa messa di questa solennità così preghiamo congiuntamente a tutti i credenti, noi che aspettiamo la  redenzione e la salvezza:Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria”. Mentre nel vangelo ci vieni indicato con esattezza ciò che siamo chiamati a fare in questo mondo per far conoscere il nome di Cristo e la salvezza a tutte le genti. Gesù, infatti, si rivolge agli apostoli e li invia quali messaggeri di speranza in ogni angolo della terra, perché battezzino e insegnino le verità che sono via al cielo: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato”. Ed aggiunge una garanzia assoluta per tutti i discepoli e per l’intera chiesa. Essi non saranno mai soli, ma opereranno nel mondo alla presenza costante di Dio e di Cristo che renderà efficace la loro azione missionaria ed evangelizzatrice: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». La prima fondamentale azione da compiere, nel nome di Cristo, è quella di andare. La Chiesa non si può fermare, non può essere immobile, deve andare avanti in tutto e deve precedere sulla via del bene, della verità, dell’amore, della giustizia, della felicità, nel mondo in cui si trova ad operare nel nome di Cristo, salvatore del mondo. Deve andare non a titolo personale, ma in nome di Cristo e portando Cristo agli altri, il suo vangelo e la sua parola di verità. Da qui poi scaturisce il dovere, per quanti ne esprimono il desiderio, di ricevere il battesimo, la consacrazione della propria persona a Cristo mediante il sigillo sacramentale del sacramento della fede e della rinascita spirituale. Battezzare, quindi, per essere di Cristo e membro della Chiesa. E’ Gesù stesso che chiede ai suoi apostoli questo impegno precipuo, che deve essere rivolto a tutte le genti e non solo ad una parte dell’umanità. Tutti sono potenzialmente cristiani, perché Cristo, Figlio di Dio e Redentore dell’uomo è venuto sulla terra per salvare tutti e non solo pochi o molti.

Nella prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli, leggiamo infatti tutto quello che Gesù ha fatto ed insegnò, prima e dopo la sua risurrezione dai morti “fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Ed aggiunge con precisione: “riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».

Riflettendo sul mistero dell’ascensione al cielo di nostro Signore, l’Apostolo Paolo, nel brano della sua lettera agli Efesini che oggi ascoltiamo ci dà una lezione di alta teologia dogmatica e di una vera e propria catechesi e lectio divina su quanto celebriamo nel giorno dell’ascensione: “Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore. Egli la manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.

Il punto di partenza e di arrivo della creazione e della redenzione è Gesù. Egli è centro e la vita della chiesa e dell’umanità in cerca, attraverso di Lui, della vera gioia e della felicità. Gesù, alfa e omega di tutto, “illumini gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi”.

L’Ascensione porti luce nella nostra vita, faccia chiarezza sul destino ultimo di ogni persona e dell’intera creazione. Il cielo, l’eternità, la risurrezione sono le parole centrali di tutto il messaggio di questa giornata di festa, nella quale siamo chiamati a fissare il cielo, per contemplare la bellezza e la grandezza di Dio, ma siamo anche chiamati a vivere con i piedi per terra, concretizzando il messaggio di amore e pace, che Cristo è venuto a portare all’uomo con la sua morte, risurrezione, ascensione al cielo e con l’invio dello Spirito santo su ogni persona docile e disponibile ad accoglierlo. E’ bello cantare la gioia del nostro cuore, in questo giorno di festa con il Salmo 46, che ci far riflettere, indirettamente, sull’ascensione al cielo del Signore: “Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia, perché terribile è il Signore, l’Altissimo, grande re su tutta la terra. Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba. Cantate inni a Dio, cantate inni, cantate inni al nostro re, cantate inni. Perché Dio è re di tutta la terra, cantate inni con arte. Dio regna sulle genti, Dio siede sul suo trono santo”.

La consapevolezza della grandezza del nostro Dio ci porta ogni giorno ad aver fiducia in Lui ed abbandonarci a Lui, che è la nostra vittoria e la nostra speranza in questo mondo e nell’eternità.

Omelia per la quinta domenica di Pasqua di padre Antonio Rungi – 18 maggio 2014

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Quinta Domenica di Pasqua – 18 maggio 2014

 

Il servizio della parola e della carità

 

di padre Antonio Rungi

 

La liturgia della parola di Dio della quinta domenica di Pasqua ci la chiesa missionaria di Gerusalemme, che cerca di darsi un’organizzazione più precisa, distribuendo compiti e ruoli all’interno di essa. L’aumento del numero dei fedeli, richiedeva un assetto giuridico diverso, per migliorare la proposta evangelica che gli apostoli in prima persona erano chiamati a fare. Così, giustamente, si pensò di differenziare il compito del ministro della parola e dell’eucaristia, dal quello della diaconia della carità. Entrambi erano importanti. La prima comunità di Gerusalemme era ben convinta e cosciente che l’annunzio del vangelo cammina pari passi con la carità e con le opere di misericordia corporale. Vengono quindi scelti sette diaconi che avranno il compito, come ci ricorda il brano degli Atti degli Apostoli di assistere le vedove, considerando che già allora c’erano lamentele tra i cristiani di varia provenienza. Leggiamo, infatti, che “quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove”. Da qui la decisione di assegnare a questo compiti altre persone che non fossero le stesse che pensavano a pregare ed insegnare. Il trittico della chiesa nascente e di sempre è ormai chiaro: preghiera, insegnamento e carità. L’uno aspetto o impegno rispetto agli altri risulta essere privo di consistenza e di testimonianza. Gusto quindi che in base ai carismi, ma anche alla consacrazione ufficiale attraverso l’imposizione delle manti e quindi della discesa dello Spirito Santo alcuni venissero consacrati diaconi nella chiesa. Questo primo grado dell’ordine sacerdotale ha modificato essenziale la sua primaria finalità, nel senso che oggi il diacono, soprattutto quello permanente (e sono per lo più persone sposate) ha un ruolo di collaboratore del sacerdote nel campo liturgico e catechetico.

Nel brano della seconda lettura di oggi, viene presentata a noi l’immagine di Cristo, come pietra angolare, sulla quale si struttura ed organizza tutto il tempio santo di Dio e quindi tutta la comunità dei credenti. Rapportato al testo della prima lettura comprendiamo perfettamente che non c’è Chiesa senza Gesù Cristo. Da lui parte ogni iniziativa e a lui approda ogni attività ecclesiale. La Chiesa come, ha ricordato Papa Benedetto XVI, nell’atto delle sue dimissioni da Vescovo di Roma e da Pontefice, volle evidenziare che la Chiesa non è dei Papi, né dei Vescovi, né dei cardinali, né dei sacerdoti e né dei laici, ma solo ed esclusivamente di Cristo. Passano sulla scena del mondo e della storia della Chiesa tutti, ma solo Cristo resta. Ecco perché, riflettendo sul brano della seconda lettura di oggi, tratta dalla prima lettera di San Pietro Apostolo, siamo chiamati ad avvicinarci “al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio”, come  pietre vive anche noi siamo costituiti “come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo”. Il nostro sacerdozio, comune e ministeriale, riguardante i sacerdoti consacrati, lo dobbiamo esercitare in nome di Cristo e mettendo al centro del nostro ministero sacerdotale solo ed esclusivamente Lui, il Signore, il Crocifisso e il Risorto, memori di quanto sottolinea san Pietro nel brano di oggi che noi siamo “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che ci ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa”. La coscienza della nostra identità e dignità di cristiani ci aiuta a crescere nella santità della vita e ad impegnarci seriamente nel campo della nuova evangelizzazione, come ci ricorda Papa Francesco nella sua recente esortazione apostolica “Evangelii gaudium”.

Infine nel Vangelo di oggi, Gesù si presente da Risorto, con queste sue peculiari ed esclusive qualità: Egli è la via, la verità e la vita. E’ la via che conduce al Padre; per cui chi vede Lui vede la Trinità, in particolare il Padre con il Quale, Gesù è una sola cosa. Egli è la verità, in quanto, essendo Figlio di Dio, in Lui non ci può essere falsità, menzogna o ombra di dubbio.

Gesù è la vita, in quanto Lui è la sorgente della grazia e da lui attingiamo quella vitalità interiore e spirituale, senza la quale saremmo persone viventi biologicamente, ma morti dentro il nostro cuore. Ecco, perché Gesù ribadisce con forza che chi va a Lui avrà la vera vita, quella eterna: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”. Il posto di Cristo e il posto di Dio è l’eterno paradiso, dove non si riducono gli spazi, perché si è in tanti, ma aumentano in quanto l’amore dilata ogni cosa, anche l’eternità. Proprio nell’eternità c’è posto per tutti, specie in quel luogo dove Gesù ci ha preceduto con la sua ascensione al cielo. E’ lì che tutti noi siamo diretti e speriamo di giungervi in buone condizioni spirituali, in modo da non temere alcuna condanna o riprova del nostro operato da parte di chi, come Cristo, ci dovrà giudicare.

Si questa la nostra umile preghiera che rivolgiamo al Signore nel giorno a Lui dedicato che è la Domenica, Pasqua settimanale, durante la quale assaporiamo quasi con mano, come Tommaso, il paradiso, perché questo giorno ci ancora sempre più nel mistero centrale della nostra fede che è il Cristo Crocifisso, Risuscitato e Glorificato: “O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna”. Amen.

 

Preghiera alla Madonna, composta da padre Antonio Rungi

2014-01-06 11.10.00
Ai tuoi piedi, Vergine santa,
per chiedere grazie e benedizioni

Vergine Maria,
qui ai tuoi piedi al Santuario della Civita,
mi rivolgo a Te, Madre di Dio e Madre nostra,
affinché possa presentare al tuo divino Figlio,
Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo,
le mie umili suppliche e quelle di tanti fratelli
e sorelle che sono in pena per tanti problemi …
e difficoltà personali e del mondo odierno.

Tu che tutto puoi presso il tuo amato Gesù,
ottienici di vivere in pace con tutti gli uomini della terra,
a partire da quelli che sono nella nostra casa
e fanno parte della nostra vita.
Dove c’è pace, o Maria, c’è lo stesso Gesù,
che conforta e dona gioia a quanti lo cercano
con cuore sincero.

Vergine Santa, la prima pellegrina della speranza,
apri il nostro cuore ad avere sempre più fiducia
in Gesù, nostra, vita, nostra speranza, nostra Pasqua,
nostra risurrezione e consolazione.

Guarda con amore e proteggi i bambini, le donne,
le persone disperate e senza alcun conforto
umano, materiale e spirituale.
Non permettere, Madre della gioia, che nel cuore
di tante persone alberghi continuamente il dolore,
mentre dai loro volti sgorgano continuamente le lacrime della sofferenza.

Ridona fiducia a quanti sono sfiduciati
e guardano il futuro con gli occhi della delusione,
dell’amarezza e dell’asprezza.
Tu, Madre della speranza, puoi fare molto
per ciascuno di noi.
Gesù stesso ci ha affidati alla tua custodia e protezione materna,
mentre versava per noi, sulla croce, il suo sangue prezioso,
che ci purifica da ogni colpa
e rende puro e limpido il cuore
di chi cerca sinceramente il Signore.

Madre della santa montagna, che ci inviti
a salire il monte della santità,
aiutaci in questo cammino non facile.
E come i discepoli di Emmaus,
accompagnati da Gesù,
sulla via che porta al villaggio eucaristico,
facci riconoscere, nello spezzare il pane,
alla mensa del corpo e sangue di Gesù,
come fratelli e sorelle in Cristo,
e condividere il pane e il sangue
con le membra piagate del corpo del Risorto,
che è la Chiesa e l’intera umanità.

Madre del silenzio e della preghiera
aiutaci ad amare il silenzio interiore
e la preghiera profonda e sincera del cuore. Amen

(Preghiera, composta da padre Antonio Rungi, passionista)
Santuario della Civita, 4 maggio 2014