Papa Francesco

P.RUNGI. LA DOMENICA DELLA PAROLA DI DIO – 23 GENNAIO 2022

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III Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

Domenica 23 gennaio 2022

Una Parola, quella di Dio, che deve trasformare la vita

Commento di padre Antonio Rungi

Si celebra oggi la terza Domenica del Tempo Ordinario dell’anno liturgico denominata da qualche anno da Papa Francesco come la domenica della Parola di Dio.

Il motivo di questa indicazione sta nel fatto che noi, come cristiani e cattolici, dobbiamo partire dalla parola di Dio nella nostra esperienza spirituale, umana, sociale. La parola di Dio, infatti, accompagna il cammino di ognuno di noi verso l’incontro quotidiano e soprattutto festivo con il Signore, in particolare nella celebrazione eucaristica, ma anche nella liturgia della parola che si può svolgere benissimo anche al di fuori della Santa Messa.

Non a caso è proprio la parola di Dio che guida la nostra riflessione ogni domenica. E dal Vangelo che partiamo in questa nostra riflessione domenicale.

L’evangelista Luca si mette a scrivere, in quanto molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a loro circa l’operato di Gesù Cristo. Avvenimenti così come furono trasmessi da coloro che ne furono i testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della parola. Volendo ampliare tali conoscenze, Luca decide di fare ricerche più accurate su ogni circostanza che fin dagli inizi riguardavano Gesù e di scriverne, poi, un resoconto ordinato, indirizzando il tutto al suo amico Teofilo. Tale scritto doveva servire a lui in modo da potersi rendere conto della solidità degli insegnamenti che aveva ricevuto.

In poche parole nell’introdurre il suo Vangelo, San Luca fa riferimento a quello che è stata la trasmissione orale di quanto Gesù ha fatto nel corso della sua vita, alla presenza dei suoi discepoli, che furono i testimoni oculari.

Dopo questa introduzione, saltando il racconto della nascita di Giovanni Battista e di Gesù, il testo del vangelo di oggi passa direttamente al capitolo quarto, nel quale è raccontato quello che Gesù faceva lungo il suo peregrinare in Galilea e soprattutto nella sinagoga di Nazareth. A man mano che Gesù camminava e catechizzava, con la potenza dello Spirito Santo che era su di Lui, la sua fama cresceva dovunque. Per cui era conosciutissimo, era un personaggio pubblico ed un maestro accreditato, al punto tale che molti ne tessevano le sue lodi. In altre parole apprezzavano quello che egli trasmetteva attraverso l’insegnamento che offriva nelle sinagoghe.

Dopo varie stazioni sinagogali arriva al suo paese di residenza e cioè a Nazareth dove come dice l’evangelista Luca “era cresciuto e secondo il solito, come era prassi per tutti gli ebrei, il sabato egli entrò nella Sinagoga e si alzò a leggere.  Appena egli si alzò in piedi per la lettura, gli fu dato il rotolo del profeta Isaia. Tale rotolo non fu scelto da lui, come fa notare san Luca.

Il primo gesto che fece Gesù fu quello di aprire il rotolo. Nell’aprirlo si trovò di fronte al brano dove  c’era scritto “lo spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio a proclamare per i prigionieri la liberazione e ridare ai ciechi la vista, come pure a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”. Gesù si trova, quindi, di fronte al testo della proclamazione dell’anno giubilare e come ben sappiamo l’anno giubilare era si celebrava ogni 50 anni.

Durante quest’anno si facevano tale cose per la propria purificazione e conversione, a partire dalla restituzione di tutto ciò che era in debito verso gli altri. Si praticava, poi, il digiuno, la penitenza, ma si faceva anche festa.

Gesù è  qui indicato come annunciatore della liberazione, al punto tale che Egli, una volta letto il rotolo di Isaia  e consegnatolo all’inserviente, si andò a sedere al suo posto. “Nella Sinagoga, scrive Luca – che gli occhi di tutti erano fissi su di lui” per vedere cosa facesse. Gesù come tutti quanti si mette a meditare sulla parola proclamata, non scappa via, non fugge, ma resta lì. Gesù vedendo che era al centro dell’attenzione prese di nuovo la parola e ed affermò con coraggio ed autorità: “Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato con i vostri orecchi”.

Gesù a ben ragione si identifica con il Messia, come il liberatore, come colui che era atteso da secoli dal popolo eletto e che in quel momento può dirsi realizzato. Non è arroganza, né superbia la sua, né tantomeno megalomania, ma è semplicemente è una comunicazione della sua vera identità di Messia a chi aveva sviluppato in se stesso una fede in Gesù. Si tratta di un’altra epifania di Cristo come Salvatore.

Gesù, quindi con questo commento non fa altro che confermare che ormai il passato è alle spalle e con lui inizia la storia della salvezza che verrà portata a compimento nella sua morte, risurrezione e ascensione al cielo.

Con la Pentecoste lo Spirito Santo sarà inviato sugli apostoli i quali continueranno l’opera di Cristo stesso mediante l’impegno missionario, finalizzato alla diffusione del messaggio cristiano in ogni angolo della terra.

Oggi, possiamo ben dire che a distanza di 2022 anni dalla venuta di Gesù sulla terra, la chiesa da lui istituita è impegnata proprio in quest’opera di evangelizzazione, nonostante le difficoltà dovute alla pandemia, ma anche ad altri problemi del mondo attuale.

Molti cristiani per questo motivo si sono allontanati dalla partecipazione alla messa festiva e quindi non ascoltando più dal vivo la parola di Dio. Di conseguenza si inaridiscono spiritualmente, in quanto la parola di Dio è alimento per la nostra vita interiore.

Come recuperare l’attenzione verso la parola del Signore?  Cosa dobbiamo fare sull’esempio di Cristo?

Dobbiamo impegnarci nell’ascolto della parola e nella proclamazione di essa con l’essere missionari e testimoni di speranza, di gioia, di pace di solidarietà ovunque ci troviamo.

Dobbiamo essere pure noi portatori di speranza e portare il lieto annuncio ai poveri, proclamare la libertà da ogni forma di schiavitù e non soltanto dalla prigionia fisica che limita la libertà personale in seguito a reati commessi. Dobbiamo ridare la vista ai ciechi, nel senso che non avendo potere di fare miracoli, possiamo pregare e intercedere per tutti coloro che sono nel e nelle varie necessità. Dobbiamo fare ogni sforzo per dare la possibilità ad ogni essere umano di fare esperienza di vera liberazione, che non è soltanto la libertà nel fare ciò che ci piace, senza alcun limite morale, ma è capacità di aiutare i fratelli a distaccarsi da tutto ciò che li rende schiavi, soprattutto del peccato, che pone sotto il dominio di satana e prigionieri del male.

In questo ambito di riflessione teologica e biblica ci aiuta il testo della seconda lettura di questa domenica, tratto dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi, nella quale leggiamo testualmente: “Come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito”. Bisogna convergere nell’unità del corpo mistico di Cristo che è la chiesa, che non è una pia intenzione o un desiderio del cuore, ma uno stile di vita che produce di fatto effetti comunionali e non divisionali. Nell’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani questo messaggio va accolto con la disponibilità di tutti i cristiani a fare un cammino di comunione intorno a Cristo e alla sua parola. E per raggiungere questo scopo ci può essere di aiuto quello che leggiamo oggi nella prima lettura della parola di Dio in cui è spiegata la liturgia della proclamazione dei testi sacri al tempo di Neemia. Ascoltare la parola è fare frutti di vita, pace, gioia e comunione. Faccio nostro tale invito nel giorno dedicato al Signore, la Domenica: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete! Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». Quando la parola di Dio prende il cuore suscita sentimenti di bontà, tenerezza, conversione e perché no, anche di pentimento e di rinascita interiore. Non a caso nel libro di Neemia oggi leggiamo che tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Magari la parola di Dio muovesse il nostro cuore al pianto, a pentimento e al perdono fraterno e reciproco. I cristiani tutti, con le varie esplicitazioni, dovrebbero dopo tanti secoli di divisioni chiedersi perdono e intorno a Cristo ricostruire la Chiesa nell’unità e nella pace. Speriamo che questo posso avvenire nei prossimi anni o decenni.

LA PREGHIERA DEL TEOLOGO RUNGI PER LA NAZIONALE ITALIANA PER LA FINALE DI OGGI

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Comunicato stampa
 
Itri. Il teologo Rungi compone preghiera per la nostra nazionale di calcio e per la finale di questa sera
 
In vista della finale di calcio tra Italia e Inghilterra per gli Europei di 2020, fatti slittare a quest’anno, a causa della pandemia, padre Antonio Rungi, teologo passionista, delegato arcivescovile per la vita consacrata dell’arcidiocesi di Gaeta, grande tifoso di calcio e soprattutto della nazionale, ha composto questa speciale preghiera che affida a tutti i cattolici in questa domenica speciale. Nell’orazione il teologo ricorda anche Papa Francesco che incontrò gli azzurri il 13 ottobre 2019, all’indomani della loro qualificazione agli Europei, dopo aver fatto visita ai bambini ricoverati al Bambin Gesù di Roma. Ecco il testo dell’orazione.
 

PREGHIERA PER LA NAZIONALE ITALIANA DI CALCIO

di padre Antonio Rungi

Signore, in questo giorno della finale
dei campionati europei di calcio 2020,
ci rivolgiamo a Te,
non per schierarti da una parte o dall’altra
delle due squadre in campo: l’Italia e l’Inghilterra,
in quanto Tu sei un Dio al di sopra delle parti,
soprattutto quando si lotta per vincere
e sopraffare gli altri.
Noi, come italiani, Ti chiediamo solo
che questa finale si svolga
nel rispetto delle norme e non solo sportive,
ma anche sanitarie e anti-covid.
Fa che al termine di questa giornata
possiamo noi Italiani cantare giustamente vittoria,
non solo per aver vinto i campionati di calcio
in questa Europa dalle origini cristiane,
ormai dimenticate,
ma soprattutto per essere stati educati,
rispettosi ed onesti in campo,
perché lo sport deve unire e mai dividere.
La gioia di una vittoria sportiva,
che ci auguriamo possa essere dalla nostra parte,
deve tradursi in gioia per la riscoperta di valori più grandi,
soprattutto dopo questo tempo difficile della pandemia,
che si chiamano amicizia, solidarietà e fratellanza universale.
Noi con un pallone di stracci,
con un pelota de trapo,
come Papa Francesco ha ricordato ai nostri nazionali,
dopo la qualificazione agli europei,
possiamo fare miracoli se dalle vittorie in campo
si passa a vincere con l’amore, la tenerezza e la bontà
specialmente verso i più fragili e deboli.
Noi italiani aspiriamo a vincere non solo il campionato di calcio,
ma soprattutto in campo umanitario,
perché anche una vittoria in una finale,
come quella di stasera, domenica 11 luglio 2021,
si può e si deve trasformare in una vittoria
per la vita e per pace in Europa e nel mondo. Amen.

LA DOMENICA DEL BUON PASTORE. RIFLESSIONE DI PADRE ANTONIO RUNGI

Quarta domenica di Pasqua

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Domenica 25 aprile 2021

Le credenziali di accesso del Buon Pastore al cuore dell’uomo

Commento di padre Antonio Rungi

La quarta domenica di Pasqua è definita quella del Buon Pastore, in quanto il testo del Vangelo di Giovanni ci presenta questa significativa immagine con la quale Gesù si presenta ai suoi. Egli è colui che si prende cura, guida e difende il suo gregge e che deve proteggere da ogni forma di aggressione e disgregazione.

San Giovanni nel focalizzare la sua riflessione su tale immagine parte dalla constatazione di fatto di come viveva gli ebrei in Palestina. Era in prevalenza pastori. Furono, infatti, i pastori che per primi arrivano alla grotta di Betlemme per accogliere nella gioia il Salvatore appena nato e ne divennero i primi missionari in quel contesto di attesa e di speranza per tutto il popolo ebraico.

Gesù si appropria di questa immagine, di comune ed abituale conoscenza presso la gente, per far capire il senso della sua missione. Egli si definisce il buon pastore.

Quell “io sono il buon pastore” ci rimanda all’identità stessa di Dio, che è colui che è.  Gesù spesso usa questa espressione, sia durante ministero pubblico e sia dopo la sua risurrezione: Sono io, non abbiate paura”, afferma in più di qualche circostanza. Quando c’è il pastore le pecore camminano sicure e spedite ai pascoli giusti, nei quali attingere forze ed energie di ogni tipo e nei quali spaziare per vivere l’amore e la carità.

Gesù stesso spiega questo termine, nel discorso che Egli fa di autopresentazione, di accreditamento personale davanti al mondo e a quanti lo vorranno accogliere. Dice che la più cosa più importante possa fare un buon pastore è quella di dare la propria vita per le pecore.

Le credenziali di accesso del buon pastore al cuore dell’uomo sono la capacità di donarsi e dare la vita per il gregge.

Il significato di questo è ben chiaro per noi credenti ed ha stretto rapporto con la realtà ecclesiale in cui siamo immersi attraverso il dono del battesimo.

Essendo la chiesa una comunità di credenti, visibile e spirituale insieme, essa necessita di guide e di condottieri non per fare le guerre e lottare per dominare sugli altri, ma per servire e dare la vita, come ogni vero pastore fa di fronte ai pericoli che incombono sul suo gregge.

E’ evidente il riferimento alla missione profetica di quanti il Signore sceglie per guidare il popolo santo di Dio, redento dal suo sangue preziosissimo. La sua vita donata per noi è esempio di ogni donazione, soprattutto per quanti sono stati chiamati, per vocazione e non per interesse e sistemazione alla guida del popolo di Dio, a vari livelli e con compiti diversi nella Chiesa.

Gesù è il pastore supremo delle nostre anime e in Lui assumono valore, significato e spessore gli altri pastori che a partire dal Sommo Pontefice, a scalare, arrivano alle altre figure pastorali nella Chiesa cattolica; vescovi, sacerdoti, diaconi e fedeli laici impegnati nei vari settori della pastorale parrocchiale e diocesana.

In netta opposizione al buon pastore emerge drammaticamente la figura del mercenario, che pure era nota negli ambienti commerciali ed economici del tempo di Gesù e prima di lui. In contrapposizione al buon pastore c’è, infatti, questo soggetto non affidabile che è il mercenario. Gesù ci tiene ad evidenziare questa contrapposizione e questo contrasto non solo di immagini, ma di vita reale, per dire che il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore”.

E’ un dato di fatto, che se una persona o una cosa non ci appartiene, non la sentiamo nostra, non la viviamo come nostra, ma l’abbandoniamo e non la proteggiamo dai pericoli.

E’ questo il comportamento del mercenario, che letteralmente significa colui che si vende per motivi di soldi. Egli, infatti, è quella persona che presta la propria opera dietro compenso, e al solo fine di essere pagata, senz’altro interesse che quello del guadagno, dietro compenso.

Si riferisce di solito ad attività e prestazioni che dovrebbero essere svolte liberalmente, gratuitamente, o nelle quali il compenso non dovrebbe essere l’interesse principale, per cui il termine, assume una connotazione di massimo disprezzo.

Con queste parole, Gesù vuole proprio biasimare questa figura di mercenario, freddo e calcolatore dei propri interessi, che di fronte all’arrivo di lupi rapaci scappa via e abbandona il gregge.

Alla fine non gli succede nulla, perché è un mestiere pagato e quindi liberamente lo si lascia di fronte al rischio e al pericolo.

Gesù, invece, di fronte a simili soggetti compromessi con il denaro, ribadisce che lui è il buon pastore e che conosce le sue pecore. Da parte loro le pecore conoscono bene il loro pastore. Ed aggiunge nel suo discorso che  “come il Padre conosce Lui e Lui conosce il Padre, così conosce ogni sua pecorella. Una conoscenza che porta al dono supremo di se stesso. La conoscenza non è altro che l’amore pieno e perfetto al quale ogni creatura deve aspirare sul modello di Cristo Buon Pastore. Questo amore e conoscenza non si limitano ad investire quanti ricambiano questo amore, con il dono della fede, e quindi fanno parte del gregge di Cristo, ma si estende a tutti. Nessuno è escluso da questa attenzione da parte del Redentore.

Ecco perché Gesù afferma che Egli ha altre pecore che non provengono dal suo recinto e anche quelle Egli deve guidare ai pascoli della salvezza eterna.

Nello stesso tempo Gesù è fiducioso nell’umanità e con una semplicità comunicativa dice che le altre pecore che non sono del suo ovile ascolteranno la sua voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Questo è in grande desiderio e auspicio di Dio e di quanti credono in Lui.

L’unità dell’umanità sotto l’egida della parola che salva e che è Cristo e nessun altro. L’amore che il Padre manifesta al Figlio trova la conferma nel fatto che Gesù dà la sua vita   per la salvezza del mondo. Chiaro riferimento alla passione, morte e risurrezione che riguardano solo ed esclusivamente Cristo e nel quale assume significato e valore ogni persona umana e soprattutto ogni cristiano. Sentirsi e vivere da fratelli è compito apostolico e missionario di ogni buon pastore, sia esso papa, vescovo, sacerdote, parroco, religioso, suora, laico, politico, amministratore, economista o altra professione o attività umana. Di mercenari la storia ne ha avuto tanti, in tutti gli ambienti. Ora è tempo di essere pastori con il cuore e la sensibilità di Cristo buon pastore, che ci ha resi tutti fratelli nella sua passione, morte in croce e risurrezione.

E’ lo stesso evangelista Giovanni a ribadirlo nel testo della seconda lettura di questa domenica, tratta dalla sua prima lettera: “Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui”. Il Figlio amato dal Padre è il grande dono di Dio all’umanità. Cristo ci ha portato alla condizione di essere figli di Dio, fin d’ora. Questa assoluta verità di fede ci fa guardare oltre il presente e ce lo fa attendere nella fede, nella speranza e nella carità. Infatti “ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”.

L’attesa della venuta del Signore del secondo e definitivo avvento svelerà ogni cosa di quello che oggi noi non possiamo sapere, limitati come siamo nel entrare nei misteri di Dio e della fede.

Ci sia di conforto e di incoraggiamento quanto leggiamo oggi nel brano della prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, in cui san Pietro si confronta con coloro che vogliono ostacolare la loro azione di annuncio e di diffusione del Vangelo, che avviene mediante non solo la parola, ma anche con i miracoli che il Signore Risorto e asceso al cielo continua ad operare tramite i suoi discepoli: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato”. Pietro così da un lato mette in evidenza l’opera di Cristo che continua nella Chiesa e nel mondo e dall’altro pone di fronte alle loro responsabilità coloro che sono stati artefici della condanna a morte di Gesù. E con forza, Pietro, colmo di Spirito Santo, afferma che “Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo”. Espressione per dire l’essenzialità e la indispensabilità di Cristo per ogni costruzione spirituale e storica anche per Israele, partendo proprio dalla pietra angolare del celebre tempio della città santa. E ribadisce quello che orami era il nucleo portante e centrale del kerigma apostolico: “In nessun altro c’è salvezza”, se non in Gesù Cristo. “Non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».

Di tutto questo noi uomini del XXI secolo ne dobbiamo essere certi e come cristiani rendere visibile il mistero della redenzione di Cristo mediante la santità e la bontà della nostra vita.

MESE DI MAGGIO 2021 DEDICATO ALLA PANDEMIA. IL TESTO DI PADRE RUNGI

SPIRITUALITA’. MESE DI MAGGIO DEDICATO ALLA PANDEMIA. PADRE RUNGI HA COMPOSTO QUESTO NUOVO SUSSIDIO DI PREGHIERA MARIANA.

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MESE DI MAGGIO 2021 – DEF

Il mese di maggio è dedicato alla Madonna ed è una pratica religiosa molto sentita ed seguita dai fedeli di ogni ceto e condizione sociale. Per accompagnare il cammino spirituale in questo mese mariano 2021, padre Antonio Rungi, teologo passionista della comunità del santuario della Madonna della Civita in Itri (Lt), delegato arcivescovile per la vita consacrata della diocesi di Gaeta, ha composto un testo del mese di maggio, “con la precisa intenzione –scrive l’autore – di pregare per essere vicini a quanti soffrono e stanno attraversando propri di ogni genere in questo anno di pandemia”.

Il titolo che padre Rungi ha voluto dato a questo sussidio di spiritualità mariano è emblematico “Un mese con Maria in tempo di pandemia”. Si tratta di un cammino spirituale che inizierà il primo maggio e si concluderà il trentuno. “Una sorta di esercizi spirituali –afferma il teologo- avendo come punti di riferimento la parola di Dio, la preghiera della Chiesa, il magistero di Papa Francesco e la testimonianza dei santi”.

La struttura del mese di maggio è, infatti, basata sulle parole dette a Maria o dette da Maria, così come riportate nei testi del vangelo di Luca e Giovanni, con la testimonianza di 31 santi mariani, che spaziano di primi secoli del cristianesimo fino ai nostri giorni. Le preghiere scelte per le orazioni specifiche del mese di maggio sono tratte dalla celebrazione delle sante messe del messale mariano, ma interessanti sono soprattutto le impetrazioni ricavate dall’Angelus e Regina coeli, che hanno accompagnato il cammino della Chiesa in questo anno di pandemia, con il sostegno spirituale ed incoraggiamento del Santo Padre, Papa Francesco. Tutte le impetrazioni che sono veri e propri impegni di preghiera e di vita cristiana, in poche parole dei fioretti, concludono il singoli giorni del mese di maggio 2021.

Il testo è stato infatti pubblicato sul gruppo Facebook “Con Papa Francesco”, amministrato dallo stesso padre Antonio Rungi.

IL DECALOGO MARIANO IN TEMPO DI PANDEMIA SCRITTO DA PADRE RUNGI

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Comunicato stampa

Il teologo passionista, padre Antonio Rungi, stila il decalogo mariano

In occasione della solennità dell’Annunciazione, 25 marzo 2021, in pieno tempo di pandemia, il teologo passionista, padre Antonio Rungi, delegato arcivescovile per la vita consacrata dell’arcidiocesi di Gaeta, quale sintesi del pensiero teologico e dottrinale sulla Beata Vergine Maria, ha stilato questo decalogo mariano:

Io sono la tua Madre dolcissima.

1.Non avrai altra Madre che quella che Dio ha scelto in Maria sua Santissima Madre.

2.Non nominare il nome Maria, se non per pregare, rivolgerti a Dio chiedere aiuto a Lui.

3.Rcordati di santificare le solennità, le feste e le memorie mariane.

4..Onora Dio tuo Padre e onora Maria tua Madre, donata a te da Gesù Cristo sul Calvario.

  1. Rispetta la vita di ogni creatura umana, in quanto figlio di Dio e di Maria.
  2. Vivi nella purezza che la vita di Maria ti insegna.
  3. Non ritenerti padrone di niente e di nessuno, ma sii umile come Maria, ancella del Signore.
  4. Sii sincero e leale nella risposta da dare a Dio e agli altri, nell’obbedienza mariana.
  5. Non desiderare di avere altra Madre se non quella che Dio ti ha donato.
  6. Il desiderare e il possedere beni della terra non è la strada mariana per arrivare al cielo.

“Si tratta di una sintesi teologica, biblica, pastorale e morale per ogni devoto della Beata Vergine Maria –afferma padre Rungi – che è il caso di approfondire e fare nostra nella vita di ogni giorno. Forte anche dell’insegnamento di Papa Francesco abbiamo tutti il dovere, attraverso Maria che indica la vera ed unica via, che è Gesù Cristo, di riscoprire la centralità dell’unico mediatore tra Dio e noi, che è nostro Signore. Nella solennità dell’Annunciazione, Maria ci indica il punto di partenza e di arrivo di ogni vita umana e cristiana, che è appunto il suo Figlio, concepito nel suo grembo verginale per opera dello Spirito Santo. Queste regole di spiritualità e morale mariana ci accompagnino nella devozione alla Madonna, ma soprattutto nell’essere degni figli del suo Figlio. E con Dante Alighieri che nel Canto XXXIII del Paradiso riporta la preghiera a Maria di San Bernardo, anche noi ci rivolgiamo a lei con queste parole che sgorgano dal nostro cuore in un tempo segnato da tanto dolore e sofferenza per l’umanità intera: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,/ umile ed altra più che creatura,/ termine fisso d’eterno consiglio”, a te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime. Orsù dunque, avvocata nostra, rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi. E mostraci, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo Seno. O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria”.

CONTEMPLARE, ASCOLTARE E RIPARTIRE. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA II DOMENICA DI QUARESIMA 2021 A CURA DI PADRE ANTONIO RUNGI

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II Domenica di Quaresima

Domenica 28 febbraio 2021

Tra l’Oreb e il Tabor c’è solo un cammino da fare: quello della fede e della speranza.

Commento di padre Antonio Rungi

La parola di Dio di questa seconda domenica di Quaresima ci invita a salire su due monti: il monte di Abramo, l’Oreb e il monte di Gesù, che è il Tabor, dove Egli si trasfigura.

Nella prima lettura, infatti, tratta dal libro della Gènesi si parla del sacrificio di Isacco, figlio di Abramo, avuto per miracolo nella vecchiaia e considerata la sterilità di sua moglie Sara. Questo dono del cielo, dal cielo stesso viene chiesto di sacrificarlo come segno di totale abbondono ai disegni di Dio.

Il testo biblico è sicuramente tra i più drammatici, da certi punti di vista, ma nello stesso tempo è aperto alla speranza e alla piena fiducia in Dio. L’ordine del Signore è chiaro e perentorio nei confronti di Abramo: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».

Abramo stranamente obbedisce senza porre delle domande: Signore perché, dopo che mi ha concesso il dono della paternità?.

Quante mamme e quanti papà vediamo nel volto triste ed angosciato di questo patriarca che sa benissimo che la vita, anche quella di un figlio, non gli appartiene, ma tutto dipende da Colui che dà la vita e che mantiene in vita.

Comunque Abramo fa quello che ha chiesto il Signore e così arrivarono, lui e il figlio, al luogo che Dio gli aveva indicato, il monte Oreb.

Nulla era preparato e tutto c’era da allestire per consumare il sacrificio di un giovane figlio.

E così, Abramo costruì l’altare, collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio.

Nei sacrifici umani ritorna spesso il coltello come arma del delitto, dell’assassinio e nel caso specifico di un atto sacrificale.

A questo punto, Dio interviene mediante l’Angelo liberatore che ordina ad Abramo di non stendere la mano contro il ragazzo e non a fargli niente!.

Il motivo di questo gesto di tolleranza da parte di Dio sta nelle parole che seguono: “Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito».

C’era, quindi, bisogno di verificare la fede di quest’uomo, padre e patriarca, prima di affidargli un compito molto importante.

E la fede di Abramo vince, perché nel suo cuore avrà pensato che il Signore non avrebbe permesso tutto questo.

Dio voleva constatare il coraggio della fede di questo uomo, totalmente votato ai suoi disegni e al suo volere.

La ricompensa del Signore per questo atto di fiducia non si fa attendere e così Abramo alzando gli occhi, vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio.

Il sacrificio a Dio viene comunque assicurato ma si sostituisce la vittima; da una persona umana, giovane, ad un animale che normalmente veniva ucciso per esigenze di caccia e di alimentazione.

Ma il discorso non si conclude con quel gesto sacrificale sostitutivo. Infatti, l’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e gli fa una promessa, un giramento vero e proprio, che ha il fondamento nella parola stessa di Dio che è fedele e dura in eterno: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».

Si arriva alla conclusione di tutto il racconto. Da un sacrificio dell’unico figlio, che viene proposto e poi annullato da Dio, alla moltitudine dei figli di Abramo che ben conosciamo chi sono e cioè il popolo eletto.

Abramo così diventa il padre, non biologico di un intero popolo, ma il padre nella fede e come tale trasmette il dono più prezioso ai figli di questo popolo che è la fiducia totale e piena in Dio.

Saliamo adesso sull’altro monte, quello di Gesù, il Tabor e vediamo cosa succede qui.

Il vangelo di Marco ce lo dice sinteticamente: qui Gesù si trasfigura, presenti Elia e Mosè, appararsi a fianco a Lui nella gloria, davanti ai tre discepoli, Pietro, Giovanni e Giacomo, ascesi al sacro monte con il divino Maestro.

Tutto si sarebbero aspettavano i tre, ma non di certo di trovarsi davanti a questo scenario di paradiso che tocca il loro cuore e la loro mente al punto tale da far dire a Pietro: Signore è bello per noi stare qui, facciamo tre tende e ci stabilizziamo nella gioia e nel benessere eterno su questo luogo della vera felicità. Invece, dopo quel momento di estasi, si ritorna alla normalità, alla quotidianità, con all’orizzonte il monte Calvario, il monte della passione e morte in croce, ma anche della risurrezione del Signore.

L’episodio della trasfigurazione che è narrato nei tre vangeli sinottici (Marco 9:2-8, Matteo 17:1-8, Luca 9:28-36), ed è collocato dopo la confessione di Pietro, ci racconta che Gesù, dopo essersi appartato con i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, cambiò aspetto mostrandosi ai tre discepoli con uno straordinario splendore della persona e uno stupefacente candore delle vesti.

In questo contesto si verifica l’apparizione di Mosè ed Elia che conversano con Gesù e si ode una voce, proveniente da una nube, che dichiara la figliolanza divina di Gesù.

Lo splendore di Cristo richiama la sua trascendenza, la presenza di Mosè ed Elia simboleggia la legge e i profeti che hanno annunciato sia la venuta del Messia che la sua passione e glorificazione; la nube si riferisce a teofanie già documentate nell’Antico Testamento.

Una tradizione attestata già nel IV secolo da Cirillo di Gerusalemme e da Girolamo, identifica il luogo dove sarebbe avvenuta la trasfigurazione con il monte Tabor, letteralmente “la montagna”. Si tratta di un colle rotondeggiante e isolato, alto 588 m s.l.m., ossia circa 400 metri sul livello delle valli circostanti, nella Regione della Galilea, in Israele. Nella prima metà del XX secolo qui fu costruita la Basilica della Trasfigurazione e il monastero greco-ortodosso di Sant’Elia.

Il mistero luminoso della trasfigurazione del Signore, quindi, ci riporta all’essenza stessa del nostro rapporto con Dio e ci chiede di fare, soprattutto in questo tempo di quaresima e di pandemia, tre cose importanti: contemplare, ascoltare e ripartire. 

Contemplare significa riflettere sulla vita di Gesù. Al centro del metodo della contemplazione vi sono i sensi umani: vedere, udire, sentire.

Lo scopo della contemplazione è far crescere la conoscenza intima di Gesù Cristo, per amarlo di più e seguirlo più da vicino.

La contemplazione è una preghiera affettiva piuttosto che una riflessione intellettuale.

Meditazione e contemplazione fanno parte della tradizione della spiritualità cristiana che risultano particolarmente utili nel corso della Quaresima che è tempo forte per contemplare e meditare.

Altra cosa da fare è ascoltare Dio che parla a noi attraverso la legge e i profeti. La presenza di Elia e Mosé nella trasfigurazione di Cristo ci indicano i riferimenti più incisivi per ascoltare davvero Dio che parla a noi, soprattutto attraverso la voce di Cristo: questi è il mio figlio l’amato, ascoltatelo. Gesù non ci parla direttamente, non ci viene a fare una lezione o una predica, né ci appare in sogno o visione per dirci quello che dobbiamo fare. Egli ha parlato e continua a parlare a noi attraverso il sacramento della Chiesa, suo mistico corpo, nella quale un ruolo fondamentale ha Pietro, il Papa, che sale con Gesù su Monte Tabor e al quale Gesù stesso affida la sua chiesa. Egli continua a parlare con la voce di Giovanni e Giacomo e degli altri apostoli che personalmente hanno ascoltato il Signore. Non facciamoci parlare dalla voce di un altro apostolo, Giuda iscariota che fu il traditore.

Il terzo atto da compiersi è quello di ripartire, dopo aver contemplato ed ascoltato. E ripartire significa, nella logica della trasfigurazione e del monte Tabor, scendere a valle e camminare per le strade del mondo per annunciare la parola che salva. In questa valle di lagrime e di speranza noi dobbiamo essere gli annunziatori della gioia che ci viene da Dio nella contemplazione del suo Figlio, Gesù Cristo, nato, morto, risorto ed asceso al cielo per la nostra salvezza. Ripartire ce lo chiede anche il tempo della pandemia che stiamo vivendo e tale ripartenza riguarda non solo la vita economica e sociale, ma soprattutto la vita spirituale e cristiana, bloccata da tante limitazioni sanitarie che si sono trasformate in autolimitazioni per allontanarci, senza alcun motivo, dalla frequenza della Chiesa e dei sacramenti.

La parola di Dio di questa domenica sia un motivo in più per riflettere su come stiamo vivendo la nostra fede in questo tempo di prova e sofferenza e se proprio vogliamo farci guidare da essa, penso che sia quanto mai opportuno meditare sulla seconda lettura di oggi, tratta dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!”.

Come è facile capire, se fondiamo ogni nostro agire e soprattutto tutta la nostra vita in Gesù Cristo, chi potrà mai danneggiarci, offendere, umiliare, condannare? Nessuno, perché Cristo ci ha salvati e redenti e gli uomini di questa terra sono dei poveri illusi se pensano di essere i salvatori di questa o quell’altra situazione, compresa quella della pandemia. Senza la fede in Dio non si riesce in nulla, neppure nell’eliminare da questo mondo un semplice ma terribile virus.

La lezione di vita che ci viene dalla parola di Dio di questa domenica è chiara. Sta a noi capirla e come Abramo salire sul monte ed offrire tutto quello che è più importante e prezioso per noi. E Dio non si terrà per se qualsiasi gesto di amore, obbedienza e fiducia in Lui e ci ricompenserà già su questa terra con la pace del nostro cuore e la luce della nostra mente. Ma salire anche con Cristo sul Tabor per gustare la dolcezza e la serenità di stare in contemplazione dell’unico salvatore del mondo.

PASSIONISTI. IL GIUBILEO DEI 300 ANNI DI VITA E STORIA

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Roma. La Congregazione dei Passionisti inizia il Giubileo per i suoi 300 anni di storia. Indulgenza plenaria in tutte le chiese e comunità dei passionisti. Il messaggio di Papa Francesco a tutta la famiglia passionista

di Antonio Rungi

Con l’apertura della Porta Santa della Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo – a Roma – cui seguirà la Messa inaugurale, presieduta dal Segretario di Stato Vaticano, il Cardinal Pietro Parolin, nella solennità di Cristo Re, domenica 22 novembre 2020, alle ore 10,130 inizia per tutta la Congregazione dei Passionisti l’anno giubilare per i 300 anni dell’Istituto, fondato da san Paolo della Croce, il 22 novembre 1720. Questa data fa riferimento al giorno in cui Paolo Danei, un giovane di 26 anni, abbandonata l’attività commerciale, iniziò un ritiro di 40 giorni, una vera e propria quaresima o quarantena, in una cella della Chiesa di San Carlo a Castellazzo Bormida (Alessandria), durante il quale scrisse le regole della futura congregazione. Si sentiva ispirato a “radunare compagni per condividere ed annunciare al mondo l’Amore Crocifisso”. Il ritiro terminò il 1 gennaio 1721. Di qui le date del giubileo passionista di un anno, dal 22 novembre 2020 al 1 gennaio 2022.

La cerimonia nel rispetto delle norme sanitarie anti-covid, vedrà la partecipazione delle massime autorità della Congregazione della Passione, con il Superiore generale, padre Joackim Rego. e potrà seguire su Tv2000 e in streaming da ogni parte del mondo.

Il programma predisposto due anni fa finalizzato a dare massimo risalto a questo storico avvenimento è stato, in ragione della pandemia, ridimensionato e adeguato al momento presente. A tal fine, per limitare il rischio del contagio della seconda ondata della pandemia, prudenzialmente sono stati cancellati i pellegrinaggi nazionali e internazionali ai luoghi di san Paolo della Croce e rinviati a data da stabilire.

“La celebrazione del Terzo Centenario mantiene intatto il suo valore come impegno interiore per rinnovare la propria vita e la propria missione”.

L’icona e il motto del giubileo indicano il percorso che i passionisti intendono fare in questo anno giubilare che si presenta con tante difficoltà esterne ma non spirituali: “Gratitudine, Profezia, Speranza. Rinnovare la nostra Missione”.

“Le celebrazioni giubilare -ha scritto il Superiore generale, padre Joackim Rego – devono puntare ad approfondire il nostro impegno nel mantenere viva la memoria della Passione del Signore quale espressione definitiva dell’amore di Dio per tutte le persone e per il creato e cercare forme nuove per promuovere la memoria della Passione del Signore” “La grazia del Giubileo  offre il vigore per un nuovo inizio, la nuova opportunità di una vita nuova in pienezza e bellezza”.

Non a caso è stato concesso alla Congregazione della Passione  dalla Penitenzeria Apostolica di lucrare le indulgenze plenarie nei modi esplicitati nel decreto ai autorizzazione e che verrà affisso in tutte le chiese e gli oratori pubblici dei passionisti. Si tratta  di un vero e proprio Anno Santo per la famiglia passionista, nella sua totalità, che si estenderà fino al 1° gennaio del 2022 e che coinvolgerà religiosi, monache, religiose, fedeli laici, movimenti e gruppi che fanno riferimento al carisma di san Paolo della Croce, che il 22 novembre 1720 iniziava questa straordinaria avventura carismatica, proseguita dai suoi figli spirituali in tutto il mondo, in questi 300 anni di storia, vita e missione.

Da parte sua il Santo Padre, Papa Francesco, ha inviato un suo messaggio a tutta la famiglia passionista, in data 15 ottobre, tramite il superiore generale, padre Joackim Rego nel quale scrive testualmente: Le celebrazioni giubilari per il terzo centenario della vostra Congregazione, mi offrono l’occasione di unirmi spiritualmente alla vostra gioia per il dono della vocazione ricevuta di vivere e annunciare la memoria della Passione di Cristo, facendo del mistero pasquale il centro della vostra vita (cfr Costituzioni 64). Questo vostro carisma, come ogni carisma della vita consacrata, è una irradiazione dell’amore salvifico che scaturisce dal mistero trinitario, si rivela nell’amore del Crocifisso (cfr Esort. ap. Vita consecrata 17- 19. 23), si effonde su una persona scelta dalla provvidenza estendendosi in una data comunità, per impiantarsi nella Chiesa in risposta a particolari bisogni della storia. Affinché il carisma perduri nel tempo, è necessario renderlo aderente alle nuove esigenze, tenendo viva la potenza creativa degli inizi. Questa significativa ricorrenza centenaria rappresenta una provvida opportunità di incamminarvi verso nuovi traguardi apostolici, senza cedere alla tentazione di «lasciare le cose come stanno» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 25). Il contatto con la Parola di Dio nella preghiera e la lettura dei segni dei tempi negli eventi quotidiani, vi renderà capaci di percepire il soffio creativo dello Spirito che alita nel tempo, additando le risposte alle attese dell’umanità: A nessuno sfugge che viviamo oggi in un mondo in cui nulla è più come prima”.

Per l’anno giubilare non sono previsti grandi eventi esteriori ad eccezione del Congresso internazionale “La sapienza della croce in un mondo plurale”, che si svolgerà a Roma presso l’Università Lateranense, dal 21 al 24 settembre del 2021.

I passionisti nel mondo sono oltre 2500 e sono presenti in tutti i continenti, in 63 nazioni e in 400 comunità. Speciale devozione curano verso la Madonna “Salvezza del popolo romano”, dove il fondatore san Paolo della Croce si recò a pregare, nell’ottobre del 1721, facendo voto di aiutare la gente a fare memoria della passione di Gesù Cristo, definita da lui “l’opera più grande e stupenda dell’amore di Dio”

LA III DOMENICA DI QUARESIMA – LA PRIMA DELLA STORIA DOPO IL CONCILIO SENZA FEDELI.

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Terza domenica di Quaresima – Anno A

Domenica 15 marzo 2020

Gesù e la samaritana al pozzo di Giacobbe

Commento di padre Antonio Rungi

Questa terza domenica di Quaresima passerà nella storia della fede cattolica dell’Italia come la prima domenica, dopo la seconda guerra mondiale, durante la quale le messe si celebrano a porte chiuse.

Ci viene in aiuto per comprendere meglio questo momento e questa nostra storia, proprio il vangelo di questa terza domenica di quaresima che porta alla nostra attenzione la significativa figura della samaritana al pozzo di Giacobbe, dove si reca per attingere l’acqua e dove, per una strana coincidenza del destino, incontra Gesù, con il quale intessa un dialogo tra i più belli della storia del cristianesimo e della storia dell’evoluzione le pensiero positivo verso una creatura, come una donna, uguale agli uomini in dignità ed onore.

L’evangelista Giovanni in questo testo così particolareggiato del dialogo tra Gesù e la Samaritana dà il meglio di se stesso di quella visione evangelica che spazia dal profondi del cuore e del pensiero di ogni persona per giungere ad una visione di fede a livello globale e coinvolgente di tutti gli animi umani e le persone della terra.

Basta leggere con attenzione tutto il brano e prestare ascolto a quanto dice il Signore alla donna che aveva avuto cinque mariti e in quel momento conviveva con una persona che non era suo marito, per capire la lezione della vita, che non riguarda la sola figura femminile, ma tutti i cristiani e gli uomini sensibili ad un discorso di rinnovamento, rigenerazione e conversione.

Partiamo dalla cronaca di questo fatto accaduto e di cui parla Giovanni nel suo Vangelo. E’ il primo atto di questa scena della vita di Cristo.

Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe”.

La descrizione del luogo è fatta con un precisione e dovizia di particolari. Siamo a Sicar nella Samaria presso il pozzo di Giacobbe, al quale le donne attingeva acqua per le necessità personali e familiari.

In questo posto Gesù vi giunge affaticato per il viaggio, oltre che assetato. Visto il pozzo come ogni essere umano si ferma e si riposa.

Tra le altre cose è detto anche l’orario preciso di questo arrivo e cioè era verso mezzogiorno.

Gesù voleva prendere l’acqua, ma non aveva oggetti per farlo. Normalmente era un secchio.

In quel momento di relax giunge una donna samaritana ad attingere acqua.  Una volta che la donna ha attinto l’acqua Gesù chiede a lei con carità «Dammi da bere».

Inizia così una relazione verbale, una vera e propria comunicazione interpersonale. Nel frattempo i discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Alla richiesta di Gesù, la donna risponde alquanto critica: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?».

A parte il fatto che era proibito parlare con le donne, qui viene precisato anche le motivazioni culturali e geografiche che erano alla base di quei conflitti o pregiudizi che esistevano. I Giudei allora non avevano rapporti con i Samaritani, possiamo dire che c’era un muro di divisione, un po’ come tanti altri muri alzati non solo in termini materiali, ma culturali e sociali tra un popolo ed un altro. A questa osservazione Gesù risponde con un discorso molto profondo da un punto di vista religioso e spirituale: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva».

Sulla espressione detta dal Signore, la donna ci scherza pure, e quasi quasi lo deride pure: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».

La lezione di Gesù su temi più alti che hanno attinenza con la salvezza, la grazia e quanto di buono egli è venuto a portare anche a quella donna è sintetizzata in queste bellissime parole: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna».

Di fronte ad un discorso di sicurezza per il futuro, anzi di alleggerimento della fatica corporale di andare ogni giorno ad attingere acqua, la donna dice a Gesù: «Signore dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».

Gesù non replica alla richiesta, ma entra nella vita di quella donna che conosce da sempre come Figlio di Dio. Gesù le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». M la donna è sincera e dice «Io non ho marito». E Gesù apprezza questa sua sincerità «Hai detto bene: Io non ho marito. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».

A questo punto la donna comprendere esattamente con chi ha a fare e gli replica: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».

E qui entra in gioco il Maestro Gesù che forma le coscienze, istruisce nella verità ed indirizza verso la comprensione di ciò che davvero conta davanti a Dio, nella nuova visione di fede che Cristo porta per tutti coloro che vogliono vivere secondo il cuore di Dio: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità».

A questo punto la donna interviene nel dialogo con Gesù e dimostra di avere anche lei un’adeguata conoscenza della sacra scrittura: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa».

A questo punto Gesù si svela completamente a questa donna e dice della sua identità, chi davvero Egli è «Sono io, che parlo con te quel Messia che tutti aspettano».

Il secondo atto di questa bellissima scena di vita cristiana ed ecclesiale è descritto da Giovanni facendo notare, che mentre Gesù sta parlando giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna”.

Però furono discreti e riservati, non si intromisero nel dialogo con Gesù. Lo pensaroro e per scriverlo, evidentemente, fu lo stesso Giovanni a pensarlo e condivuderlo con gli altri. Infatti nessuno dei discepoli ebbe il coraggio di chiedere a Gesù: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?».

Terzo atto di questa scena di umanità è la partenza della donna, l’arrivo in città a raccontare quanto le era accaduto. Arrivata in città si fa messaggera ed apostola del Cristo e disse loro: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?».

Quarto atto è la gente che corre verso Gesù. Infatti uscirono dalla città e andavano da lui. Nel frattempo gli apostoli che erano andati a comprare il necessario per alimentarsi dissero a Gesù «Rabbì, mangia». Ma Gesù rispose parlando di altro cibo, non quello materiale: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». Non capirono nulla in quel momento cosa Gesù volesse dire. Tanto è vero che fanno anche una battuta tra di loro «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?».

Gesù coglie l’occasione del mangiare per fare un discorso sul valore del cibo spirituale che consiste nel fare la volontà di colui che mi ha mandato e di compiere la sua opera. E nel suo ragionamento porta l’esempio della natura.

Ultima scena di questo quadretto di vita cittadina si svolge quando i Samaritani giunsero da lui e lo pregarono di rimanere da loro. E Gesù rimase là due giorni. Iniziarono le conversione al punto tale che molti samaritani credettero In Gesù per quel che diceva e non solo per quello che aveva riferito la donna, Infatti rivolgendosi alla donna, che non era uno stinco di santa, le fanno osservare che «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». Dalla ignoranza di Cristo alla sua conoscenza e all’adesione completa alla sua persona, senza altre mediazioni. Sta qui la sintesi di tutto il vangelo della Samaritana che abbiamo ascoltato e commentato e che possiamo esprimere nella preghiera con queste parole della colletta: “Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno,

la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia.

Questa preghiera assume un valore più grande in considerazione del momento che stiamo attraversando con la nuova pandemia da coronavirus. Siamo nelle stesse condizioni del popolo di Israele di cui ci parla il testo del libro dell’Esodo, nella prima lettura di oggi “In quei giorni, il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?». Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!». Quante critiche in questi giorni verso tutti per quello che sta succedendo in Italia. La lamentela generale, che rivolgiamo anche a Dio, senza renderci conto che siamo fragili creature che basta un virus infettivo a destabilizzare e rende inutili per quel che siamo. Ma non bisogna scoraggiarsi e come Mosè che chiede aiuto al cielo, anche noi facciamo qualcosa per salvare il popolo italiano. Stare con le mani in mano e solo lamentarsi non serve a nulla e certamente non risolvere questi ad altri problemi. Bisogna scuotere la roccia, la freddezza del nostro cuore e della nostra vita per far scaturire da noi l’amore che porta a salvare se stessi e gli altri. Ora più che mai sappiamo che non possiamo salvarci da soli, ma insieme agli altri.

La consapevolezza di tutto questo cin viene dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani, seconda lettura della parola di Dio di questa terza domenica di Quaresima. Ci ricorda, infatti, l’apostolo l’essenzialità delle tre virtù teologali, fede, speranza e carità, che ci aiutano a camminare nel tempo con lo sguardo rivolto al cielo e che trova la motivazione più profonda nel mistero della redenzione, operata da Cristo, offrendo la sua vita sulla croce per noi: Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”.

A Cristo salvatore e redentore vogliamo fare costantemente riferimento in questi giorni di tristezza, ma di speranza e di luce che vediamo aprirsi davanti a noi con la risurrezione e con la nostra risurrezione anche da questo ora buia della nostra storia di oggi.

LA VIA CRUCIS DI PADRE ANTONIO RUNGI PER DEBELLARE L’EPIDEMIA DA CORONAVIRUS

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VIA CRUCIS PER CONTRASTARE L’EPIDEMIA DA CORONAVIRUS 

TESTI – PREGHIERE DI INTERCESSIONE E INVOCAZIONE

DI PADRE ANTONIO RUNGI – PASSIONISTA

INTRODUZIONE

Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Galati (Gal 6,14)

<<Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo>>.

La Via della croce, è una via difficile da percorrere. Una via che richiede il coraggio di salire con Cristo al Calvario, accettando, con fede, tutto quello che tale cammino ci chiede di fare.  Con questa pia pratica dei venerdì di tutto l’anno e specialmente di quello del tempo di Quaresima, noi cristiani intendiamo metterci alla sequela di Cristo crocifisso che ci ha invitato, se lo vogliamo seguire, a prendere la croce ogni giorno e mettersi sulla strada che Egli ha percorso dal Pretorio di Pilato fino al Calvario e alla deposizione del suo corpo nel sepolcro di Giuseppe di Arimatea.

Preghiamo: Signore insegnaci a seguirti sulla via della Croce per essere tuoi veri discepoli, senza porre ostacoli di nessun genere al cammino che ci porta a vivere totalmente in Te. Aiutaci in questo difficile momento che stiamo attraversando con la nuova epidemia mondiale causata dal coronavirus. Soccorici e guariscici. Amen 

PRIMA STAZIONE

GESU’ E’ CONDANNATO A MORTE

Dal Vangelo secondo Marco (Mc. 15, 10-15)

<<[Pilato] sapeva che i sommi sacerdoti gli avevano consegnato [Gesù] per invidia. Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba. Pilato replicò: “Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?”.  Ed essi di nuovo gridarono: “Crocifiggilo!”. Ma Pilato diceva loro: “Che male ha fatto?”. Allora essi gridarono più forte: “Crocifiggilo!”. E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso>>.

L’unico vero innocente di tutta la storia dell’umanità, per un assurdo gioco di potere, di odio e di avversità, viene condannato ingiustamente alla morte più terribile ed ignominiosa di tutti i tempi. Quell’innocente è il Figlio di Dio, venuto sulla terra, per portare la gioia, l’amore e la giustizia, fondata sulla verità e sulla universale capacità umana di superare ogni steccato ed ogni limite della propria mente e della propria visione dell’esistenza.

  1. Ripetiamo insieme
  2. Signore aiutaci a proteggere la vita

-Quando non abbiamo i mezzi necessari per fronteggiare un’epidemia globale . R.

-Quando muoiono gli anziani colpiti da questo terribile male. R.

-Quando ci chiudiamo in noi stessi e non aiutiamo chi sta in difficoltà. R.

-Quando non si assistono i malati, i moribondi e gli anziani della nuova epidemia virale. R.

-Quando siamo indifferenti verso i nostri fratelli toccati da questa emergenza sanitaria. R.

-Quando offendiamo e banalizziamo la sofferenza degli altri. R.

Preghiamo: Signore, Tu l’innocente, noi i rei e i peccatori. Tu in croce e noi liberi di continuare a fare il male e a rincorrere verità e giustizia per tutti noi, incapaci di uscire dal buio e dalle tenebre dell’errore. Amen.

SECONDA STAZIONE

GESU’ E’ CARICATO DELLA CROCE

 Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10,16-20)

<<Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la coorte. Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo. Cominciarono poi a salutarlo: “Salve, re dei Giudei!”. E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui. Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo>>.

Gesù, quale primo atto dell’esecuzione a morte, che i tuoi carnefici avevano decretato, è stato quello di caricarti della croce, il legno, sul quale, da lì a poche ore saresti stato crocifisso. Ti hanno caricato di questo pesante strumento di morte e Tu in silenzio hai iniziato il cammino verso la meta finale del Calvario. Esempio per tutti noi che, pur coinvolti a portare le nostre piccole o grandi croci quotidiane, spesso ci lamentiamo, protestiamo e scarichiamo sugli altri i nostri pesi e le nostre responsabilità.

 Preghiamo insieme e diciamo

  1. Signore donaci forza e coraggio.

-Nella sofferenza per l’epidemia da coronavirus. R.

-Nelle delusioni della scienza e medicina. R.

-Nella paura di aumento di casi e diffusione del contagio . R.

-Nelle difficili relazioni umane e sociali messe in atto. R.

-Nelle problematiche ecclesiali di questi giorni. R.

-Nelle lotte politiche ed economiche per questa epidemia . R.

Preghiamo: Gesù, donaci la forza di saper accettare le nostre croci e di guardare con grande rispetto ed attenzione alle croci dei nostri fratelli, che, molto frequentemente, sono più dure e pesanti delle nostre. Amen.

TERZA STAZIONE

GESU’ CADE LA PRIMA VOLTA SOTTO LA CROCE

Dal libro del profeta Isaia (Is 53, 4-5)

<<Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità>>.

E’ nella costituzione di ogni essere umano che sotto la fatica, la stanchezza e il dolore si possa cadere nel viaggio della vita. Tu Gesù, per la prima volta, cadi lungo la strada che dalla città santa, ti porterà al Calvario, il luogo del cranio, fuori dalle mura, dove sarai crocifisso perché così deciso dalle autorità politiche e religiose del tempo. La tua prima caduta rammenta a noi, esseri mortali, le nostre prime volte in tante cose che hanno segnato la nostra storia personale nel peccato, dalle quali ci siamo ripresi nella speranza di non dovere più cadere. Non è stato così, più volte siamo caduti, come è successo a Te, e più volte ci siamo rialzati con la tua grazia.

  1. Preghiamo insieme e diciamo
  2. Convertici o Signore

-Quando non vogliamo accettare le difficoltà della vita. R.

-Quando siamo freddi e distaccati dai problemi degli altri. R.

-Quando giudichiamo e condanniamo facilmente gli altri. R.

-Quando non accogliamo chi è nella malattia da Covid-19. R.

-Quando ci rifiutiamo di aprire il nostro cuore ai bisogno dei sofferenti. R.

Preghiamo: Gesù donaci la grazia di non peccare più e di pentirci dal profondo del nostro cuore dei nostri piccoli o grandi errori, ripetuti senza la minima consapevolezza che ogni peccato da noi commesso è un’offesa a Te, a noi stessi e alla Chiesa. Amen.

QUARTA STAZIONE

GESU’ INCONTRA LA SUA SANTISSIMA MADRE

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2, 34-35. 51)

<<Simeone parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima” …Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore>>.

Come in tutti i momenti più sofferti della vita chi ti trovi vicino? Proprio colei che ti ha dato la vita. Così è per noi e così è stato per Te Gesù. Lungo la strada del Calvario Ti sei incontrato con la Tua Madre. Non avete proferito parole, vi siete capiti con uno sguardo, lo sguardo dell’amore e del perdono. Possano le mamme di questo mondo curare l’amore verso i figli e seguirli soprattutto nei momenti più duri della loro vita.

  1. Preghiamo insieme e diciamo
  2. Sii nostro rifugio o Signore

-Nella vita familiare dove possiamo recuperare amore e speranza. R.

-Nelle famiglie dove possiamo aumentare la preghiera e l’aiuto reciproco. R.

-Nelle situazioni di dolore e malattia da virus di ogni tipo. R.

-Nelle difficoltà dei genitori anziani ed ammalati dell’Italia e di altre nazioni. R.

-Nella mancanza di tranquillità psicologica per questa emergenza sanitaria. R.

Preghiamo: Gesù nell’incontro con la tua Santissima Madre, lungo la via del Calvario, ci aiuti a comprendere quanti sia importante camminare insieme, nell’unità della famiglia naturale e nella famiglia ecclesiale, sulle strade della vita, non sempre facili da percorrere, soprattutto se sono in salita ed hanno una meta ben precisa: quella della risurrezione e della vita. Amen

QUINTA STAZIONE

GESU’ E’ AIUTATO DAL CIRENEO A PORTARE LA CROCE

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 15, 21)

<<Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce>>.

Costringere qualcuno a fare qualcosa contro la propria volontà è sempre una violenza, soprattutto quando si tratta di portare la croce degli altri e assumere responsabilità non proprie. Questo uomo di Cirene, passato alla storia della cristianità, ci aiuta a capire il dramma di tante persone costrette a fare cose ignobili per la prepotenza di chi comanda e che schiaccia la libertà e sopprime ogni diritto della persona. Gesù non chiede di essere aiutato, in questo caso, e certamente quando si è visto sollevare, almeno per un po’, dal peso della fatica della croce, ha guardato con occhio di amore e comprensione Simone di Cirene, che da quello sguardo di gratitudine di Gesù ha ricevuto la giusta consolazione.

 Preghiamo insieme e diciamo

  1. Sei tu la nostra speranza Signore.

-Nelle lotta contro questa nuova epidemia. R.

-Nei conflitti tra le diverse opinioni scientifiche. R.

-Nella mancanza di unità di intenti e di interventi sanitari. R.

-Nella privazione della libertà di uscire e muoverci con facilità. R.

-Nelle situazioni di carenza delle strutture sanitarie. R.

Preghiamo: Gesù, lungo la via del Calvario hai incontrato una persona che ti ha aiutato, forse contro la sua stessa volontà, a portare, per un tratto, la tua croce. Donaci la forza di prendere sulle nostre spalle le croci di quanti sono nelle molteplici situazioni di dolore di questo nostro mondo. Vogliamo essere, anche noi, per tutto il tempo necessario, a sollevare le sofferenze degli altri, i Cirenei del XXI secolo, che con Cristo salgono il Calvario di questa umanità. Amen.

 SESTA STAZIONE

GESU’ E’ ASCIUGATO IN VOLTO DALLA VERONICA

Dal libro del profeta Isaia (Is 53, 2-3)

<<Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia>>.

Gesù, lungo la via della tua croce, hai ricevuto un gesto bellissimo, tipico della sensibilità femminile. Dopo l’aiuto dell’uomo, è arrivata la tenerezza di una donna che ti asciuga il volto, mentre sali il Calvario, tra sofferenze indicibili, al punto tale che lasci il segno di questo tuo volto insanguinato su quel panno bianco, su quella tovaglia nitida, reliquia della tua passione e morte in croce. Veronica sarà il nome di ogni donna che asciuga le lacrime e il sangue versato dalle persone che amano e sanno perdonare.

  1. Preghiamo insieme e diciamo
  2. Liberaci Signore.

-Da quanti seminano morte e dolore in ogni angolo del mondo. R.

-Da quanti operano in campo scientifico e medico per interesse. R.

-Da quanti non si impegnano per trovare soluzione ai problemi dell’umanità. R.

-Da quanti alimentano conflitti istituzionali ed internazionali. R.

-Da quanti rovinano il Creato e la Natura con le loro azioni immorali. R.

Preghiamo: Grazie Gesù che ci dai l’opportunità, mentre vai a Calvario, di apprezzare il gesto di questa straordinaria donna coraggiosa che va incontro a Te per donarti un temporaneo sollievo e per pulire il tuo volto e i tuoi occhi perché Tu veda meglio le debolezze e le cattiverie del genere umano e sappi apprezzare l’operato di quanti, nel tuo nome, si fanno Veroniche lungo le strade tortuose di questo mondo. Amen.

SETTIMA STAZIONE

GESU’ CADE LA SECONDA VOLTA SOTTO LA CROCE

Dal libro delle Lamentazioni (Lam 3, 1-2. 9. 16)

<<Io sono l’uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira. Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce… Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra, ha ostruito i miei sentieri… Mi ha spezzato con la sabbia i denti, mi ha steso nella polvere>>.

Cadere e ricadere è la realtà della vita di ogni essere umano. E’ la debolezza della natura umana. E questo non solo riguarda la sfera biologica e fisica, ma soprattutto quella interiore e morale. In questa seconda caduta di Gesù, di cui, come della prima, non parlano i testi sacri, troviamo un preciso richiamo a prendere coscienza delle nostre mancate promesse fatte a Dio. Non sappiamo calcolare bene ciò che realmente possiamo fare da soli: nulla. Con l’aiuto di Dio e con la sua grazia possiamo fare molto, basta che non abbandoniamo la strada della fede che abbiamo intrapreso e che ci invita a fissare il nostro sguardo sul Cristo pellegrino tra i vari monti del dolore di questo mondo.

 1.Diciamo insieme

  1. Signore allontana da noi ogni tentazione

-Quando si sviluppa in noi la sete di potere e di successo. R.

– Quando cresce la bramosia del denaro e della speculazione in casi di necessità. R.

– Quando siamo presi dalla frenesia del superattivismo. R.

– Quando non sappiamo riflettere sui drammi dell’umanità come in questo caso. R.

– Quando ci autoesaltiamo, senza considerare la pochezza del progresso illimitato. R.

Preghiamo: Signore converti il nostro cuore all’amore. Facci comprendere che vivere nella tua santa grazia, lontani da ogni caduta di ordine morale e spirituale, ci aiuta nel cammino della santità, il cui centro è la tua e nostra Pasqua. Amen.

OTTAVA STAZIONE

GESU’ INCONTRA LE PIE DONNE DI GERUSALEMME

 Dal Vangelo secondo Luca (Lc. 23, 28-30)

<<Gesù, voltandosi verso le donne, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?”>>.

La strada del Calvario, percorsa da Gesù, è disseminata da tanti personaggi, tra cui un consistente gruppo di donne pie che, chiaramente vicine a Gesù, piangono nel vederlo soffrire e in quella estrema condizione di dolore. Gesù apprezza questo loro gesto di empatia e di vicinanza al suo dolore, ma coglie l’occasione per invitare quelle donne, per lo più tutte mamme, a riflettere sulla condizione dei propri figli, in considerazione del fatto che saranno trattati più duramente da chi ha in mano il potere. L’invito a versare lacrime di dolore sul frutto del loro grembo, i figli, è chiaro riferimento alle sofferenze che intere generazioni, nel nome di Cristo dovranno soffrire, a partire dai primi martiri.

  1. Diciamo insieme
  2. Signore dacci una mano

-Quando dobbiamo lavare davvero le nostre mani. R.

-Quando vogliamo pregare solo in un certo modo e secondo i nostri comodi. R.

-Quando ci rivoltiamo contro il cielo per questa nuova epidemia. R.

-Quando le nuove generazioni si allontano da Dio per mali di ogni tipo. R.

-Quando non sappiamo ritrovare la strada della speranza nel dolore e nel pianto. R.

Preghiamo: Signore dona conforto e speranza a tutte le madri di questa valle di lacrime, nella quale è più frequente l’esperienza della sofferenza e meno quella della gioia. Sii vicino alle madri che sperano in un mondo migliore per i loro giovani figli. Amen.

NONA STAZIONE

GESU’ CADE LA TERZA VOLTA SOTTO LA CROCE

Dal libro delle Lamentazioni (Lam. 3, 27-32)

<<È bene per l’uomo portare il giogo fin dalla giovinezza. Sieda costui solitario e resti in silenzio, poiché egli glielo ha imposto; cacci nella polvere la bocca, forse c’è ancora speranza; porga a chi lo percuote la sua guancia, si sazi di umiliazioni. Poiché il Signore non rigetta mai… Ma, se affligge, avrà anche pietà secondo la sua grande misericordia>>.

Non c’è due senza tre, dice un antico motto sapienziale, per dire che è possibile cadere non una, ma più volte, nonostante le nostre promesse. La stessa cosa accade a Gesù, nel suo viaggio al Calvario. Anche se non è citato nel vangelo questa triplice caduta sotto il legno della croce, il fatto che sia stata inserita nel rito tradizionale della Via Crucis, limitandosi al numero tre, sta ad indicare la perfezione nel dolore di Cristo che tocca il vertice cadendo a terra, sulla quale sono passati i suoi piedi santissimi, ridando a quella terra e a quella via di Gerusalemme la giusta valorizzazione per raggiungere la meta finale del Regno.

  1. Diciamo insieme
  2. Dacci Signore la forza di rialzarci dalle nostre cadute morali e spirituali

-Quando la nostra religiosità è superficiale e immatura. R.

-Quando non sentiamo nel cuore l’invito alla conversione. R.

-Quando non amiamo gli altri con tuo stesso cuore di Padre. R.

-Quando spegniamo ogni barlume di speranza in noi e negli altri. R.

– Quando la tua parola ci scivola addosso e non diamo frutti spirituali. R.

– Quando non prestiamo ascolto alle norme morali e sociali finalizzate al bene. R.

Preghiamo: Donaci o Gesù la forza di combattere i dubbi che attanagliano la nostra mente e non ci fanno credere fermamente in Te. Aumenta la nostra fede con la forza della preghiera e dell’ascolto di Te, che sei la Parola di Dio vivente. Amen.

DECIMA STAZIONE

GESU’ È SPOGLIATO DELLE SUE VESTI

 Dal Vangelo secondo Marco (Mc. 15, 24)

<<I soldati si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere>>.

Nudi siamo venuti al mondo e nudi ce ne andiamo da questo mondo. Gesù viene denudato, prima di essere crocifisso, e spogliato della tunica, di un solo pezzo, per insegnare a noi il distacco da ogni cosa di questa terra. Nulla ci porteremo nell’eternità e tutto lasceremo in eredità. La miseria umana, l’attaccamento alle cose materiali fanno sì che i soldati si giochino a sorte la tunica di Gesù per entrarne in possesso, non come bene spirituale, ma come bene materiale da usare o da spendere sul mercato dell’usato. Gesù spogliato di tutto e alcuni ricchi di tutto, al punto tale che la ricchezza non fa più vivere e addirittura ci mette nella condizione di essere seriamente preoccupati per le cose che possediamo e per la fine che faranno una volta che non siamo più a conteggiare o aumentare quello che già è in nostro possesso e nella nostra disponibilità.

  1. Preghiamo insieme e diciamo
  2. Donaci, Signore, un totale distacco dalle cose della terra

-Quando coltiviamo soltanto i nostri interessi terreni. R.

-Quando nascondiamo la verità per paura e per viltà.

-Quando non operiamo per il bene della comunità. R.

-Quando non prestiamo la nostra opera in casi come quelli che stiamo vivendo. R.

-Quando ci chiudiamo nel nostro orticello per paura di contrarre malattie. R.

-Quando non usiamo saggiamente dell’intelligenza per risolvere i problemi. R.

Preghiamo: Signore fa che nulla anteponiamo al tuo amore e alla tua amicizia. I beni della terra non ci distraggano dal possesso pieno e duraturo dei beni del cielo, quelli che ci danno la vera gioia e la felicità autentica. Amen.

UNDICESIMA STAZIONE

GESU’ E’ INCHIODATO SULLA CROCE

Dal Vangelo secondo Marco (Mc.15, 25-27)

<<Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. E l’iscrizione con il motivo della condanna diceva: “Il re dei Giudei”. Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra>>.

Essere inchiodato sulla croce, per Gesù è stato un dolore inimmaginabile per il procedimento adottato, con la perforazione delle mani e dei piedi, utilizzando chiodi di spessore consistente per reggere il corpo una volta elevato dalla terra e conficcata la croce nel terreno. Un dolore doppiamente avvertito per l’aspetto umano e spirituale, davanti alla tanta ingratitudine del genere umano. Lui che era passato beneficando tutti e sanando ogni sorta di malattia, si trova bloccato mani e piedi al patibolo più infamante della storia dell’umanità. Eppure Gesù permette questo strazio, ben sapendo che sarà limitato il tempo per l’uomo in cui, impunemente, può violare il suo corpo, inchiodato sulla croce, in attesa della risurrezione.

Diciamo insieme

Donaci, Signore la santa rassegnazione.

-Di fronte alle offese alla religione. R

-Di fronte alle persecuzioni alla Chiesa. R.

-Di fronte ai carnefici di ieri e di oggi. R.

-Di fronte al martirio silenzioso di tanti nostri fratelli cristiani. R.

-Di fronte alle dure prove della malattia e dell’abbandono di questi giorni. R.

Preghiamo: Signore dall’albero della croce volgi il tuo sguardo misericordioso sulle sofferenze di quanti sono costretti all’immobilismo totale a causa di malattie rare, non ben curate o ereditate o che sono rimasti inabili in incidenti di ogni genere. Dona a tutti Gesù il conforto nelle loro invalidità fisiche e mentali. Amen.

DODICESIMA STAZIONE

GESU’ MUORE IN CROCE

Dal Vangelo secondo Marco (Mc. 15, 33-34. 37. 39)

<<Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lema sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?… Ed egli, dando un forte grido, spirò …Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”>>.

Gesù muore in croce nel supremo atto di amore verso di noi. Tre ore di agonia, durante le quali pronuncia parole di infinita attenzione e preoccupazione verso di noi. Dal perdono chiesto al Padre per noi, alla promessa del paradiso al ladrone pentito, all’affidamento dell’umanità alla custodia della sua Mamma e all’accoglienza di Lei nella casa del discepolo prediletto, al grido di aiuto e di dolore rivolto al Padre in un momento di abbandono, al desiderio di essere dissetato nel corpo e nello spirito, al compimento dell’opera della redenzione, al momento della sua morte in croce. Ore in cui l’amore di Cristo Crocifisso rivela tutta la potenza costruttrice di un’umanità nuova, che sa accogliere la croce, la sa portare con dignità, la sa innalzare con orgoglio e la sa valorizzare per il bene e per la vittoria finale.

 Diciamo insieme

Perdona Signore i nostri errori

-Per tua morte in croce. R.

-Per il tuo infinito amore. R.

-Per la tua gloriosa risurrezione

-Per l’intercessione della tua Madre Addolorata. R.

-Per la bontà di quanti ti hanno seguito sulla via del Calvario. R.

-Per la generosità di quanti ogni giorno si donano agli altri negli ospedali e nelle case di cura e sollievo della sofferenza. R.

Preghiamo: O Gesù volgo il mio povero sguardo a Te che sei morto in croce, divenuta con Te il segno più evidente di un amore immenso e condiviso. Fa che dall’albero della croce sorgano tempi di vita e risurrezione per tutti gli uomini di questo mondo, in cui la croce non continui ad essere simbolo di morte e di violenza, a causa di un cuore senza amore. Amen.

TREDICESIMA STAZIONE

GESU’ E’ DEPOSTO DALLA CROCE

Dal Vangelo secondo Marco (Mc. 15, 42-43. 46)

<<Sopraggiunta ormai la sera, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il Regno di Dio, comprato un lenzuolo, calò il corpo di Gesù giù dalla croce>>.

La legge della natura prevede che dopo la morte, passato il tempo necessario, il corpo riceva degna sepoltura. Per procedere a questo rito, Gesù viene calato dalla croce dalle persone più care della sua vita. Tra di esse c’è la sua Mamma, le pie donne, Giuseppe d’Arimatea e Giovanni, l’unico che era presente sul Calvario, alla morte del Signore. Con gesti di amore e di attenzione, con il dolore nel cuore, con la delicatezza di anime elette, Gesù scende lentamente dalla croce e viene deposto sulle ginocchia della sua Mamma. Nella sua nascita, come nella sua morte è la sua Mamma ad accoglierlo, prima nel grembo purissimo e, dopo la morte, tra le braccia e sulle ginocchia, simbolo della Terra riconciliata con il cielo, anche attraverso il Sì generoso di Maria, la Madre del Redentore e la Madre della Chiesa.

  1. Diciamo insieme
  2. Madre santissima conforta i tuoi figli

-Nella morte di tanti nostri fratelli per questa ondata di epidemia. R.

-Nelle tragedie e catastrofi come quella che stiamo attraversando. R.

-Nella diffusione dei virus infettivi del corpo e dello spirito. R.

-Nella falsificazione della verità e manipolazione dei fatti. R.

-Nelle ingiustizie subite nella società e nella comunità cristiana. R.

-Nella perdita delle persone care, del lavoro e di legittime aspirazioni. R.

Preghiamo: O Gesù, tra le braccia e sulle ginocchia della tua amatissima Madre sei l’immagine della pietà che genera amore e conforto, nonostante la conclusione cruenta del tuo tempo cronologico tra di noi. Dal grembo di Maria Santissima fa sorgere, soprattutto oggi, un’umanità capace di andare oltre il tempo, la morte e il dolore, per aprirsi alla certezza dell’eternità, della vita, oltre la vita, e della gioia oltre i confini del soffrire. Amen.

QUATTORDICESIMA STAZIONE

GESU’ E’ DEPOSTO NEL SEPOLCRO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc. 15, 46-47)

<<Giuseppe d’Arimatea, avvolto il corpo di Gesù in un lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro. Intanto Maria di Magdala e Maria madre di Joses stavano ad osservare dove veniva deposto>>.

Gesù è deposto nel sepolcro, ma l’alba della risurrezione già risuona nel cuore di Maria e di tutti i veri credenti in Cristo. La morte non è l’ultima parola di Gesù e dopo di lui neanche per ogni essere umano che viene in questo mondo. L’ultima parola è la risurrezione e la vita. Quel sepolcro nuovo, preparato da Giuseppe e messo a disposizione di Gesù è già pieno di luce. Bisogna solo attendere un po’, appena tre giorni, e la pietra rotolata via per potenza divina, dirà al mondo che Cristo non è morto, ma è risorto e in Lui anche noi risorgeremo a vita nuova.

 1.Ripetiamo insieme:

  1. Credo

-Signore noi crediamo che Tu sei il nostro unico Redentore. R.

-Signore noi crediamo che Tu ci ami e ci perdoni anche nelle nostre debolezze. R.

-Signore noi crediamo che Tu non ci abbandoni e non ci lasci soli in questo difficile momento che stiamo vivendo. R.

-Signore noi crediamo che tu sei la via, la verità e la vita. R.

-Signore noi che tu ci salverai quanto prima da questa epidemia mortale. R.

Preghiamo: Gesù vederti morto e deposto in una tomba, per quanto nuova ed accogliente, lascia dentro i nostri sguardi un po’ di tristezza, velata, ma vera. Sai, non sempre siamo in grado di pensare alla vita oltre la morte, soprattutto di fronte alla perdita di persone care. Donaci la grazia di essere forti di fronte alla perdita dei propri cari e di pensare alla risurrezione finale. Amen.

CONCLUSIONE

Secondo le intenzioni del Sommo Pontefice: Pater, Ave e Gloria.

Preghiera finale

Signore Gesù, guarda noi e l’umanità intera afflitta dall’epidemia di coronavirus, che già sta seminando sofferenza e morte in ogni angolo della terra.

Ti chiediamo, umilmente, difendici da questo morbo terribile che sta colpendo particolarmente le persone già debilitate nel fisico e nello spirito.

Non permettere che in Italia e nel resto del mondo, questa nuova epidemia si trasformi in una strage di persone di ogni età, soprattutto di anziani, ma libera dalla sofferenza e dal male tutti coloro che vengono a contatto con il nuovo male o vengono contagiati.

Fa che l’efficacia delle cure preventive, disposte dalle autorità mediche e governative, possano frenare l’avanzata del coronavirus in Italia e nel mondo.

Affidiamo alla tua bontà di Padre questa nostra umile preghiera, mediante l’intercessione della Beata Vergine Maria, salute degli infermi, di San Rocco e di tutti i santi nostri protettori.

Fa che non soffriamo ulteriormente per questa nuova epidemia che sta mettendo ansia e preoccupazione nel cuore dei tuoi figli, così deboli, fragili e paurosi di fronte ai tanti mali e sofferenze di questo nostro tempo e di questo nostro secolo. Amen.

  1. Il Signore sia con voi.
  2. E con il tuo spirito.
  1. Vi benedica Dio onnipotente: Padre, Figlio e Spirito Santo.
  2. Amen
  1. Benediciamo il Signore.
  2. Rendiamo grazie a Dio.

 

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO – DOMENICA 16 FEBBRAIO 2020 – P.RUNGI

RUNGI-VERDE

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Domenica 16 febbraio 2020

Cristo compimento della legge antica

Commento di padre Antonio Rungi

La parola di Dio di questa sesta domenica del tempo ordinario è ricca di riflessioni e stimoli che posso aiutare a cambiare la nostra vita.
Nel testo di Matteo che viene proclamato nella liturgia della parola di Dio, Gesù parla di molte cose ai suoi discepoli, indicando ad essi ciò che devono fare per essere coerenti con la loro condizione di credenti e di suoi seguaci, che conoscono bene i testi biblici, la legge antica e che sono disposti interiormente a completare un cammino di perfezione di amore, rispetto ed attenzione verso gli altri e specialmente verso la donna.
In una cultura come la nostra, questo brano del vangelo capita a proposito per sostenere quel cammino culturale, morale, spirituale, sociale, giuridico che dia massima attenzione e promuova il rispetto della donna in tutti gli ambienti compresi quelli ecclesiali.
Partiamo proprio da quanto dice Gesù in merito a questo tema: “Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore”.
Il rispetto della donna parte dal cuore e dalla mente dell’uomo, E’lui che deve cambiare atteggiamento e comportamento nei confronti di un essere umano, di sesso diverso, che merita tutto l’amore e rispetto, in tutte le sue personali situazioni.
Non a caso Gesù aggiunge un altro dispositivo della norma antica “Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.
Si comprende l’importanza del legame affettivo e definitivo tra un uomo e una donna e in termini molto espliciti del valore del matrimonio.
La clausola, cosiddetta matteana, del permesso del ripudio e quindi del divorzio, secondo quanto aveva stabilito Mosè, non trova accoglienza nella morale e nella prassi cristiana: il matrimonio è monogamico ed è definivo ed unico.
Non ci sono alternative. Lasciare una donna ricorda Gesù la espone all’adulterio, cioè la mette in una condizione di fragilità sociale e morale, che può generare comportamenti da parte di altri uomini indegni di essere classificati come tali.
Gesù quindi rivendica un comportamento di totale rispetto verso la donna sposata o legata sentimentalmente ad un uomo o libera da qualsiasi vincolo affettivo.
Come è facile capire, il problema è alla radice, cioè alla base di certe scelte che si fanno nell’ambito della vita coniugale ed affettiva. Gesù quindi non legittima divorzi o altre forme di convivenza tra uomo e donna o di altro genere, ma ricorda semplicemente la grandezza e la bellezza di una vita relazionale, basata sull’amore tra uomo e donna che sia definitivo e non occasionale o temporale.
Non rientra nella visione di una scelta di vita cristiana la possibilità di lasciare e prendere con facilità una donna o un uomo perché non si va più d’accordo. Le intese coniugali, affettive e familiari saltano, a volte, per sciocchezze, gelosie e banalità di ogni genere.
Oggi ci troviamo davanti a violenze sistematiche nei confronti delle donne, con femminicidi e offese di ogni tipo verso di loro.
Basta con questo scempio della dignità della donna e facciamo spazio, nella nostra cultura, che tanto si rifà alla fede cristiana, all’accoglienza totale di ogni uomo e di ogni donna in un progetto d’amore che parta dal rispetto e dalla protezione del matrimonio e della famiglia.
I diritti civili acquisiti nel tempo, in certi contesti culturali e politici, non hanno nulla a che fare con la dignità e la sacralità del matrimonio e della famiglia, che non è una scelta temporanea, né un contratto civile a termine, ma una scelta definitiva basata sull’amore e sul rispetto reciproco.
Nessuna violenza è legittimata, ma solo un grande amore e rispetto, anche in situazioni delicate caratterizzate da certe debolezze e fragilità. Gesù rivendica quindi un diverso atteggiamento e comportamento nei confronti della donna e della famiglia.
L’etica coniugale necessita di camminare su altre strade, quelle che Cristo ha tracciato, che sono le strade dell’amore e della condivisione, dell’accoglienza e del rispetto.
Nel testo del vangelo di questa domenica vengono poi esaminate ed affrontate altre questioni, come quella dell’omicidio.
Gesù ricorda “Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna”.
Bisogna stare attenti non solo a non alzare le mani per uccidere, ma anche ad usare la lingua e la bocca, che non devono offendere o denigrare gli altri.
Certe espressioni che normalmente usiamo nel nostro linguaggio quotidiano rivolto ad altre persone devono scomparire dalla bocca e soprattutto dal cuore e dalla mente di ogni autentico cristiano.
Gesù, poi, affronta il tema del perdono e della riconciliazione. Ci ricorda infatti come comportarci in caso di conflitti con persone, soprattutto se frequentanti lo stesso ambiente di culto e litugico: “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!”.
Gesù chiede quindi un comportamento che riconcili le parti e non alimenti una diatriba per anni ed anni, come spesso capita nei vari tribunali e nella varie situazioni sociali, politiche, economiche, legislative e penali.
Arrivare ad un accordo tra le parti in conflitto è sempre un passo di riconciliazione, anche se spesso gli accordi firmati sono peggiori degli stessi disaccordi. Basta vedere ciò che nella storia dell’umanità è capitato dopo i vari conflitti locali e mondiali.
Dietro a tutto questo ragionamento di Gesù c’è un messaggio chiaro e preciso che è sottolineato dalle sue stesse parole, citate all’inizio di questo brano evangelico: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”.
Un monito esplicito alla conversione, al potenziamento della nostra fede, a vivere la carità e l’amore nella pienezza di un cuore segnato dalla passione e risurrezione di nostro Signore.
Su questo stesso tono si articola la prima lettura, tratta al libro del Siràcide: osservanza della legge di Dio, ma anche libertà di agire per il bene o per il male, per la vita o per la morte. Al Signore nulla è ignoto, ma tutto è noto, ma di tutti, anche di coloro che non credono. “I suoi occhi, infatti, sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini. A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare”. Se sbagliamo e pecchiamo è solo ed esclusiva responsabilità personale e soggettiva. Non possiamo attribuire i nostri errori e sbagli sempre agli altri, scaricandoci delle nostre responsabilità e non assumendoci quelle decisioni che portano a fare il bene. E allora, come ci ricorda San Paolo Apostolo nella seconda lettura di questa domenica, tratta dalla sua prima lettera ai Corinzi, si tratta si essere sapienti e di sviluppare una conoscenza dell’io e di Dio, che ci porti a non sbagliare nella vita, ad essere fedeli e coerenti alla nostra scelta di fede, fino all’ultimo momento del nostro vivere sulla terra. Bisogna sviluppare quella umiltà della mente e del cuore che ci porti ad agire con fedeltà e coerenza nel confronti della nostra scelta di fede, effettuata liberamente e consapevolmente.
L’orgoglio e il dominio non promuovono, ma distruggono l’essere umano, lo mettono in una condizione di fragilità esistenziale, che a nulla vale ogni parola ed ogni consiglio, se il cuore è chiuso a Dio e non si apre con umiltà a quanto Egli ci comunica in ogni circostanza, lieta o triste della nostra vita. Lui c’è sempre e sempre ci sarà per tutta l’umanità che vuole camminare verso l’eternità.