Natura

P.RUNGI PREGHIERA PER I TERREMOTATI

preghiera-per i terremotati

La mia preghiera per i nostri fratelli terremotati.
Preghiera composta da padre Antonio Rungi

Signore della speranza,
noi ti affidiamo tutti i nostri fratelli terremotati
dell’Italia centrale,
in questo momento difficile per tutti loro,
in seguito ad un nuovo sciame sismico
che sta interessando le loro zone.

La nostra umile preghiera
la innalziamo a Te, Padre di ogni consolazione,
perché nessuno dei tuoi figli,
specialmente se piccoli, anziani ed ammalati
continui a soffrire per il terremoto
e per gli altri disagi naturali ed ambientali
di questi giorni tristi e senza via di uscita.

Conforta Signore le loro persone,
sii vicino ad ognuno di loro
con il tuo sguardo rassicurante ed amoroso
perché sappiano superare
questa dura prova del terremoto.

O Dio che hai in mano
le sorti del mondo e dei tutti i popoli,
ferma con la tua mano potente
questo nuovo sciame sismico
che interessa il nostro amato paese,
in questo momento difficile della sua vita
e della sua millenaria storia di fede cattolica.

Te lo chiediamo per l’intercessione
di Maria, Madre di ogni consolazione,
di tutti i santi, nostri protettori
e soprattutto ti chiediamo un pò di sollievo
e di conforto per questi nostri fratelli
che portiamo tutti nel nostro cuore,
nei nostri pensieri e per i quali
ci attiviamo per dare il nostro aiuto
spirituale e materiale secondo le nostre possibilità.

Gesù, vera consolazione per ogni persona,
ascolta la nostra umile preghiera
ed esaudiscila, venendo incontro
ai nostri fratelli che sono in ansia
e provati per il disastroso sisma
nella Tua e nostra Amata Italia.
Amen

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA XXIX T.O. – 18 OTTOBRE 2015

RUNGI2015

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

GESU’ SOMMO ED ETERNO SACERDOTE

INCHIODATO SULLA CROCE PER NOI

Commento di padre Antonio Rungi

Il testo del Vangelo di questa XXIX domenica del tempo ordinario ci immette nel clima del mistero della Passione di Cristo.

Si tratta di un testo chiaro e che riporta parole ben precise pronunciate da Gesù alla presenza dei suoi discepoli che, nei loro discorsi, strada facendo, pensano a distribuirsi i posti più sicuri ed umanamente accattivanti vicino a Gesù, il Maestro. Certo, il Signore vuole tutti i suoi discepoli accanto a se, ma non nella potenza economica e politica di questo mondo. Ci vuole accanto a sé nel momento supremo del suo amore per noi e del suo sacrificio per noi. Ci vuole accanto a lui ai piedi della Croce, insieme a Maria e a Giovanni e forse, con maggiore coraggio, ci vuole accanto a se, come Lui, inchiodati alla croce, inchiodati alle nostre croci.

Ecco il potere regale di Cristo Crocifisso. Ecco il sommo ed eterno sacerdote che è Gesù, che si offre per noi al Padre per riscattarci dai nostri peccati.

Siamo chiamati con Cristo a bere il calice della sofferenza che Egli ha bevuto per la nostra redenzione. Non c’è vero cristiano se non porta la sua croce e segua davvero il Signore.

Purtroppo, non è affatto così. Molti seguono la fede cristiana, senza l’intimo convincimento, cioè che si tratta di ripercorre la strada del Signore, che è anche la strada che porta al Calvario.

Ci sono cristiani che riflettono alla maniera degli apostoli e che si fanno i calcoli, strumentalizzando la stessa fede e la stessa chiesa per finalità umane, economiche, di affermazione, di prestigio.

E ciò non avviene solo tra il clero, i religiosi, i vescovi e a man mano a salire di grado nella scala della gerarchia, ma avviene anche nel laicato cattolico.

Ci sono, infatti, dei laici che invece di servire la Chiesa e Cristo, si servono della Chiesa e di Cristo.

Fanno il discorso utilitaristico e interessato di Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, che chiedono a Gesù, senza falsa modestia: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo. Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Gelosia, invidia, arrivismo, distribuzione egualitaria del potere che Gesù poteva dare loro, secondo una falsa concezione, che si erano fatti del Maestro. Gesù replica con una domanda forte e inquietante:  «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Segue, poi, da parte di Gesù una lezione di straordinaria importanza per tutti, ed è la lezione sul significato dell’autorità, del potere, che va inteso nel senso di servizio, di sacrificio, di rinuncia, di donazione, di croce. Cosa fece allora Gesù? “Li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

Il cuore e il centro dell’insegnamento di Cristo sta in questo servizio, portato fino alle estreme conseguenze di consegnarsi liberamente alla morte e alla morte in croce, come, d’altronde, era stato anticipato dai profeti, a partire da Isaia, con i vari carmi del Servo sofferente di Javhè, che, ovviamente sono indirizzati e mirati sulla figura del futuro vero messia di Israele che è Gesù.

Un messia sofferente, maltratto, umiliato e crocifisso. Non un messia potente da un punto di vista economico e militare, ma l’umile agnello immolato sulla croce in riscatto dei nostri peccati. Leggiamo infatti nella prima lettura di oggi: “Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità”.

L’immagine di Gesù Crocifisso emerge in modo prepotente e chiara davanti ai nostri occhi, davanti alla nostra vita, spesso immersa nel peccato e in cerca di soddisfazioni mondane. Quel Crocifisso che ci parla e ci indica la strada della conversione, dell’offerta sacrificale della nostra vita per la causa del vangelo.

Egli, Gesù, il Sommo ed eterno sacerdote si porge a noi con gli occhi della misericordia e del perdono, con il volto della sofferenza, ma soprattutto con il volto dell’amore redentivo. In questo Sommo ed eterno sacerdote dobbiamo confidare, abbandonarci e sperare, come ci ricorda l’autore della Lettera agli Ebrei che ascoltiamo oggi, come testo della parola di Dio, della seconda lettura di questa domenica: “Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno”.

Accostiamo con fiducia a Gesù Crocifisso e se il suo dolore non suscita in noi neppure una minima contrizione dei nostri peccati, dei nostri errori ed orrori significa che il nostro cuore è molto lontano dalla compassione e dalla misericordia che il Signore ci vuole donare, facendoci riflettere seriamente sul nostro stile di vita che è contrario alla Croce di Cristo.

Ci sia di esempio, in questo cammino di conversione, un grande santo del secolo dei lumi, san Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, di cui oggi ricordiamo il suo passaggio alla gloria del cielo, essendo morto a Roma, nella Casa dei Santi Giovanni e Paolo, al Celio, alle ore 16,45 del 18 ottobre del 1775.

E’ uno dei tanti santi che hanno amato profondamente Gesù Crocifisso, fino al punto tale da esserne infaticabili missionari nell’Italia del secolo che poneva come criterio fondamentale per raggiungere la verità, la sola ragione umane, divenuta il grande tribunale per stabile il vero  dal falso, del bello  dal brutto, il buono dal cattivo.

Gesù, il Crocifisso è questo bene assoluto, perché è un Bene d’infinito amore che si è tradotto con il donare la sua vita interamente per noi.

Egli è davvero il sommo ed eterno sacerdote delle anime nostre, come recitiamo nella preghiera iniziale della santa messa odierna: “Dio della pace e del perdono,  tu ci hai dato in Cristo il sommo sacerdote che è entrato nel santuario dei cieli in forza dell’unico sacrificio di espiazione;  concedi a tutti noi di trovare grazia davanti a te, perché possiamo condividere fino in fondo il calice della tua volontà e partecipare pienamente alla morte redentrice del tuo Figlio”. Amen.

 

Pagani (Sa). Una storia da raccontare, ma anche un avvenire da costruire

Foto0931.jpgBeato_Tommaso_Maria_Fusco.jpgDomani 6 gennaio 2013, le Suore Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue celebrano il loro 140 anniversario dellla fondazione. Era, infatti, il 6 gennaio 1783, solennità dell’Epifania, 140 anni fa, quando profondamente colpito dalla disgrazia di un’orfana, vittima della strada, dopo attenta preparazione nella preghiera di discernimento, don Tommaso Maria fondò la Congregazione delle «Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue». L’Opera ebbe inizio nella Chiesa della Madonna del Carmine, in Pagani, alla presenza del Vescovo Raffaele Ammirante il quale, con la consegna dell’abito alle prime tre Suore, benedisse il primo Orfanotrofio per sette orfanelle povere del paese. Sulla nascente famiglia religiosa e sull’Orfanotrofio, dietro sua richiesta, non tardò a scendere anche la benedizione del Papa. Ora le Suore fondate dal Fusco sono presenti in varie parti d’Italia e all’estero, portando avanti l’opera iniziata dal fondatore, con particolare attenzione ai bambini e all’infanzia abbandonata o in difficoltà. La straordinaria figura di questo sacerdote diocesano, viene commemorata in questi giorni, con una specifica preparazione spirituale alla festa dell’Istituto che si ricorda il 6 gennaio. Le comunità religiose delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue di Pagani e delle altre località della regione Campania si ritrovate nelle sere dal 3 al 5 gennaio per la celebrazione dei vespri, della santa messa con riflessione e con altri momenti di incontri tra le suore e i fedeli laici, soprattutto giovani, che fanno riferimento ai cenacoli di preghiera istituiti a Pagani e negli altri Comuni del territorio. A predicare il triduo è stato padre Antonio Rungi, missionario passionista, teologo morale, che ha trattato delle tre virtù teologali (fede, carità e speranza) nella vita del Beato Tommaso Maria Fusco. Domani solennità dell’Epifania, in tutte le comunità religiose in Italia e all’estero si commemora solennemente questo avvenimento di portata storica per l’Istituto, soprattutto nella città natale del Beato Tommaso Maria Fusco,definito da tutti il “Don Bosco del Sud”, proprio mentre San Giovanni Bosco operava in campo pastorale al Nord.“Ricordare questo importante evento per la nostra Congregazione – afferma l’ex-madre Generale della Congregazione, Madre Ofelia, responsabile della Casa Madre delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue- non è solo una storia da raccontare, ma un presente da vivere e sentire profondamente nel nostro cuore e nel nostro apostolato della carità, come il nostro Fondatore, guardano al futuro con la speranza di un domani migliore per tutta la vita consacrata in Italia e nel mondo. La fede profonda del nostro Fondatore ci spinga a noi religiose, figlie sipirituali di una sacerdote pieno di amore verso Dio e verso i fratelli a vivere concretamente la carità, attingendo la forza ed il coraggio al Preziosissimo Sangue di Gesù, che è nostro maestro e guida nella vita interiore e nelle attività apostoliche. Messe di commenorazione di questo storico evento in tutte le parrocchie e i luoghi dove le religiose sono presenti ed impegnate, particolarmente a Pagani, con quattro comunità religiose in varie parti della città e con finaità diversificate.

Natale non è…………….

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Natale non è..

Natale non è chiedere un sorriso,
quando il sorriso non ce l’hai e non vuoi donarlo.

Natale non è chiedere l’amicizia,
se l’amicizia non sai valorizzarla.

Natale non è chiedere soccorso,
se non sei abituato a dare aiuto

a chi aiuto non riceve mai…

Natale non è chiedere amore,
in un mondo, in cui l’amore

è ben altra cosa
che amare con il cuore.

Natale non è chiedere perdono

solo in questo giorno,
ma vivere nel perenne ricordo
di come riparare il male fatto.

Natale non è solo famiglia

il 25 dicembre di ogni anno,
ma è sempre e gioiamente famiglia
tutti i giorni dell’anno.

Natale non è preghiera e messa

solo nella notte santa,
ma è preghiera costante
e vigilanza continua
sul tuo modo di comportarti.

Natale non è tante altre ed infinite cose

che pensiamo essere importanti
quando importanti non lo sono.

Natale è solo grande una grande cosa 

è Amore e  gioia, che Cristo Signore
ci porta nella notte più luminosa
della storia del mondo.

Natale sei Tu Gesù,

unico e infinito amore del cuore dell’uomo
che guidi il tempo e la storia
verso la felicità eterna.
Padre Antonio Rungi

Frattamaggiore. Ritiro spirituale alle Suore Ancelle del Sacro Cuore

 

SUORE ANCELLE DEL SACRO CUORE DI CATERINA VOLPICELLI

 

RITIRO MENSILE – FRATAMAGGIO 20 DICEMBRE 2012

Padre Antonio Rungi, passionista

 “FEDE PURIFICATA E SEMPLICE. 

NOI PURIFICATI DALLA FEDE 

 

Preghiera per far crescere e purificare la fede (Papa, Paolo VI) 

 

Signore, io credo; io voglio credere in Te.  

O Signore, fa’ che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane.  

O Signore, fa’ che la mia fede sia libera: cioè abbia il concorso personale della mia adesione, accetti le rinunce e i doveri ch’essa comporta e che esprima l’apice decisivo della personalità: credo in Te, o Signore. 

O Signore, fa’ che la mia fede sia certa; certa d’una esteriore congruenza di prove e di un’interiore testimonianza dello Spirito Santo, certa d’una sua luce rassicurante, d’una sua conclusione pacificante, d’una sua assimilazione riposante.  

O Signore, fa’ che la mia fede sia forte, non tema la contrarietà dei problemi, onde è piena l’esperienza della nostra vita avida di luce, non tema le avver­sità di chi la discute, la impugna, la rifiuta, la nega; ma si rinsaldi, nell’ultima prova della prova della tua verità, resista alla fatica della critica, si corrobori nella affermazione continua sormontante le difficoltà dialettiche e spirituali, in cui si svolge la nostra temporale esistenza.  

O Signore, fa’ che la mia fede sia gioiosa e dia pace e letizia al mio spirito, e lo abiliti all’orazione con Dio e alla conversazione con gli uomini, così che irradi nel colloquio sacro e profano l’interiore beatitudine del suo fortunato possesso.  

O Signore, fa’ che la mia fede sia operosa e dia alla carità le ragioni della sua espansione morale, così che sia vera amicizia con Te e sia di Te nelle opere, nelle sofferenze, nell’attesa della rivelazione finale, una continua ricerca, una continua testimo­nianza, un alimento continuo di speranza.  

O Signore, fa’ che la mia fede sia umile e non pre­suma fondarsi sull’esperienza del mio pensiero e del mio sentimento; ma si arrenda alla testimonianza dello Spirito Santo, e non abbia altra migliore garanzia che nella docilità alla Tradizione e all’autorità del magistero della Santa Chiesa.  

Amen.

DALLA PORTA FIDEI N.6 

L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29; 2Cor 5,17). 

Papa Benedetto nella lettera di indizione dell’Anno della Fede “Porta fidei” ha indicato la finalità: “Ravvivare, purificare, confermare e testimoniare la fede”. La data dell’11 ottobre 2012 pur facendo quindi memoria di due passaggi importanti della storia della Chiesa (Concilio vaticano II, Catechismo della Chiesa cattolica) non è allora solo l’inizio di un anno celebrativo di eventi importanti, ma può rappresentare piuttosto l’occasione affinché le comunità cristiane possano attivare un cammino con lo scopo appunto di “rinnovare” la propria fede. Raccogliendo l’esortazione del Papa, e le indicazioni date dai nostri Vescovi è utile orientare tutto il cammino di formazione cristiano verso un vero approfondimento del dono della fede, mediante una riflessione sulla fede, ma che abbia anche come finalità l’avvio o la ripresa di un percorso che possa dare continuità e sostegno alla fede delle persone, dei gruppi parrocchiali, e sia testimonianza significativa verso la gente dei nostri territori. 

Il nostro incontro di oggi rientra proprio in questo. Ci sono le Ancelle, le Piccole Ancelle e le Aggregate alla spiritualità e al Carisma di Santa Caterina Volpicelli e ai devoti del Sacro Cuore. 

1.                L’esame della propria esperienza di fede. 

Chiediamo allo Spirito Santo anche la grazia di non restar male di noi stessi, perché troveremo sicuramente la nostra fede povera, forse segnata da momenti di prova e oscurità.  “Un giorno i discepoli chiesero a Gesù: “Aumenta la nostra fede”. Spesso faccio mia questa invocazione perché mi ricorda che la mia fede è sempre piccola. E’ una preghiera che mi spoglia di ogni presunzione nei confronti delle mie sorelle e fratelli e delle loro fatiche a credere.

Solo se facciamo questo esercizio spirituale possiamo raccontare onestamente la nostra esperienza di fede ad altre persone che spesso si sono allontanate dalla fede a causa delle sofferenze della vita o perché si sono lasciate andare all’indifferenza. Esse percepiscono subito se parliamo sinceramente della nostra esperienza o se diciamo frasi fatte, imparate ma che, sotto sotto, convincono poco anche noi, se parliamo a loro della fede dando per scontato che noi la possediamo tranquillamente. 

Questa è una tentazione che ho voluto mettere in evidenza nella Lettera: “In questo contesto mi sembra doveroso anche mettere in guardia dalla subdola tentazione di “dare per scontata” la propria fede. Questa tentazione può insinuarsi specialmente in quanti di noi hanno, dentro la Chiesa, una responsabilità riconosciuta di educare alla fede (il Vescovo, in primis, i sacerdoti, i genitori e gli altri educatori cristiani). 

Il ruolo e l’abitudine può portare a dare per scontato di credere con la mente e col cuore in ciò che facciamo per gli altri (la predicazione, le celebrazioni liturgiche, le preghiere pubbliche, il catechismo) e annunciamo agli altri (Dio, Gesù, la Grazia, il perdono dei peccati, la vita eterna..). 

Chi cade in questa tentazione, generalmente, è portato a puntare il dito sugli altri e poco su se stesso. Vede la pagliuzza nell’occhio del fratello, ma non accetta di riconoscere che nel suo c’è una trave” (n.11) 

Si è appena concluso il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione nel quale è stato continuamente ripetuto che solo credenti veri, possibilmente santi, diffondono efficacemente la fede in Gesù Cristo. Il sale insipido non interessa a nessuno e viene lasciato da parte. 

Umilmente dobbiamo confessare, io per primo, che un po’ siamo “sale insipido” e, per questo, dobbiamo continuamente chiedere allo Spirito Santo che purifichi e aumenti la nostra fede in Gesù. 

2.LE PROVE CHE PURIFICANO LA FEDE 

Per aiutarci a fare l’esame della nostra esperienza di fede, propongo di meditare lo stesso brano del Vangelo della tempesta sedata. Questo miracolo è un momento in cui Gesù mette alla prova la fede dei suoi discepoli perché diventasse più sincera. Con ogni suo discepolo il Signore segue la stessa pedagogia facendoci passare per momenti di prova della fede come dice S. Pietro: “perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo” (1 Pt 1,6-7). 

Chiediamoci per quali tempeste e prove Gesù mi ha fatto passare e mi sta facendo passare per mettere alla prova la mia fede in lui? Come ho vissuto o sto vivendo questi tempi di prova? Come è stata purificata la mia fede? 

1) Il tempo dell’entusiasmo nel nostro rapporto con Gesù 

Il miracolo della tempesta sedata segue l’altro straordinario miracolo della moltiplicazione dei pani; questo miracolo aveva creato un clima di straordinario entusiasmo attorno a Gesù, che aveva dato prova della sua potenza sfamando con 5 pani oltre diecimila persone. S. Giovanni racconta che la gente voleva acclamarlo re (Gv 6,14-15). In quell’entusiasmo erano certamente coinvolti gli apostoli perché toccavano con mano il successo di Gesù tra la gente e la sua potenza divina. Erano pronti a credere e a dichiarare che lui era il Messia inviato da Dio per il suo popolo. Sentivano verso Gesù una fede forte, sicura, piena di gioia. 

Anche a noi Gesù ha riservato i tempi dell’entusiasmo nel nostro rapporto con lui; momenti in cui ci ha toccato nel profondo di noi stessi, facendoci sentire una gioia profonda; momenti in cui lo abbiamo sentito vicino. Oppure, come gli apostoli, abbiamo vissuto tempi in cui seguire Gesù sembrava un successo, in cui la Chiesa sembrava forte e punto di riferimento per tutti, le comunità religiose ricche di vocazioni,; le suore e i religiosi importanti e rispettati nelle parrocchie e in mezzo alla gente. Vorremmo sempre vivere sostenuti dall’entusiasmo, in mezzo a persone che come noi sono interessate di Gesù e della Chiesa. Questa, però, è una fede facile perché si appoggia sulle emozioni interiori e sul consenso esterno. 

2) Il tempo della prova 

Gesù non si fa travolgere dall’entusiasmo della gente e degli apostoli e , come al solito, va controcorrente. Licenzia la gente perché sa che il loro entusiasmo è senza radici e che si sarebbe trasformato in grida di rifiuto al momento della sua passione. 

Invita gli apostoli a salire su una barca e ad attraversare il lago senza di lui. Apparentemente li abbandona anche se di fatto sale da solo sul monte e lì prega per loro che stanno entrando in una prova della fede nella quale li ha messi lui stesso. 

Sul lago si alza di notte una bufera di potenza invincibile per le forze umane. Gli apostoli sono travolti dall’angoscia e dalla disperazione perché si sentono in balia di una tempesta da cui non riescono ad uscire, la loro destinazione ormai non è più la riva sicura dove continuare la loro vita ma il fondo scuro del lago. E Gesù non c’era più; li aveva lasciati andare da soli dentro la tempesta. 

Certamente anche noi abbiamo passato tempi di prova, e, magari, li stiamo passando, bufere dalle quali ci sembrava di non poter più uscirne. Abbiamo conosciuti stati d’animo di paura, angoscia, disorientamento e abbiamo sentito indebolirsi la speranza di venirne fuori. 

Questi tempi di prova possono essere di vario genere. Faccio solo qualche esempio per aiutarci a ricordarne qualcuno: 

· periodi di malattia fisica nostra o di persone che ci sono molto care; 

· tempi di stanchezza fisica e nervosa quando le giornate si trascinano con fatica e ci si trova stravolti da stati d’animo e da pensieri pesanti e che angosciano; 

· delusioni e rifiuti da parte delle persone (più ancora dai superiori) che generano sensi di amara solitudine perché non ci si sente capiti, ascoltati, presi in considerazione seriamente; 

· difficoltà dentro la comunità che creano quotidiane sofferenze senza possibilità di evadere perché lì ci ha posto l’obbedienza; 

· il calo veloce e inarrestabile di vocazioni con le comunità che invecchiano e si riducono sempre di più; che invece di aprire nuove prospettive devono chiuderle; 

· le difficoltà che sta attraversando la Chiesa e la sua azione pastorale; sembra che la sua presenza e azione interessi sempre meno alla gente che vive in modo quasi pagano. 

3) La fede nel tempo della prova 

Gesù ha abbandonato momentaneamente gli apostoli dentro una bufera più potente delle loro forze, per purificare la loro fede. Pietro, in particolare, vive la prova della fede a nome anche degli altri apostoli. 

Nei loro passi di purificazione della fede credo che molti di noi possono ritrovare la loro esperienza. 

· La prima sensazione che hanno avuto gli apostoli è di essere lasciati soli dentro la prova. Gesù potente del miracolo della moltiplicazione dei pani non c’era più. Nel momento della lotta dentro le prove della vita, lui sembra lontano; si resta soli. Di fatto lui è sul monte a pregare per i suoi anche se non arriva quando loro lo vorrebbero. 

· Gesù arriva in modo inaspettato, camminando sulle onde in tempesta. Gli apostoli lo vedono ed aumenta solo la loro angoscia. Gridano: “E’ un fantasma”. 

Nella prova anche a noi Gesù può sembrare diventare un’illusione, un fantasma di cui non ci si può fidare. Ho incontrato spesso persone che avevano vissuto momenti di fede e di preghiera molto intensi e dentro prove prolungate sono state prese dal dubbio che tutto fosse stato un’illusione. Sembrava loro che contro il male in cui si trovavano Gesù non poteva far niente e la preghiera era inutile. 

· Gesù parla invitando alla fiducia in lui. La sua parola ricrea il rapporto tra Gesù e gli apostoli nella prova. Riconoscono la sua voce, si rendono conto che è proprio lui anche se è ancora lontano da loro e non possono aggrapparsi a lui per uscire dalla bufera. 

Nella prova la Parola di Gesù diventa un punto di riferimento per ritrovare la fede. Se continuiamo a meditarla senza stancarsi, sentiamo che è una Parola che penetra in noi, che ha qualcosa di familiare. Anche i due discepoli di Emmaus, mentre si sentivano abbandonati da Gesù e non lo riconoscevano, si sentono toccare il cuore dalla sua Parola. 

· Pietro, quando ha riconosciuto Gesù, lo mette alla prova e gli chiede di poter essere capace di fare come lui: camminare sulle acque. Lancia come una sfida al Signore e gli chiede di sentirsi sicuro nella bufera come lo è lui; di non aver più paura delle onde e del vento ma di sentirsi più forte della bufera; di poter passeggiare sul mare. 

Anche noi vorremmo uscire dai momenti di prova con le nostre forze, sentendoci più forti delle difficoltà che ci fanno vacillare, eliminandole con le nostre energie. 

· Ma l’acqua del lago inghiotte Pietro al quale resta il tempo per un’ultima, semplicissima preghiera: “Signore, salvami”. Non gli resta altro che allungare la mano verso Gesù e gridare la sua preghiera. E quando lui non può più fare niente si sente inaspettatamente afferrato dalla mano forte del Signore che lo tiene stretto vicino a sé e lo rimprovera: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” 

Pietro si trova salvato – e con lui gli altri undici- perché è tenuto stretto dalla mano di Gesù. La sua speranza e salvezza è stare aggrappato a lui e allora può anche superare il lago in tempesta senza venir inghiottito dal suo fondo di morte. 

Questa è la fede purificata. Non cerca sicurezze umane, ma resta aggrappato a Gesù perché lui è più potente di ogni bufera, anche quella finale e mortale che ci travolgerà. Resta aggrappato anche quando gli sembra di andare a fondo e di non farcela; quando non vede speranza attorno a sé. Non molla la sua mano perché Gesù è risorto dai morti e per questo, come dice S. Paolo: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né potestà, né presente né avvenire, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore”. (Rom 8,38-39). 

Se restiamo uniti a Gesù anche dentro la prova prolungata – mediante la preghiera, la meditazione della Parola di dio, la comunione con lui nell’Eucaristia, la fede confessione dei nostri peccati – egli ci fa scoprire anche in questa vita una nuova pace e serenità. Lo fa però, con i suoi tempi e ci porta in una pace nuova che prima non conoscevamo. E’ la gioia della fede purificata. 

1.                Un percorso di riflessione 

La riflessione sulla fede è ritmata sui tempi dell’anno liturgico (siamo alla vigilia del Santo Natale e in pieno Avvento) dove la proclamazione della Parola di Dio ci conduce ad entrare nel mistero dell’Incarnazione con il Natale, a ripercorrere le tappe della vita pubblica di Gesù che ha parlato alla gente e ne ha condiviso le fatiche della vita fino al dono supremo di se stesso nella Pasqua e nell’effusione dello Spirito. Si tratta allora di far risuonare questa Parola nella nostra vita, con alcuni momenti di riflessione che cerchino di dare risposta alle tante domande che come credenti ci poniamo e che, a motivo della stessa umanità che ci accomuna, ci uniscono anche ai non credenti.  

Le domande dell’uomo 

Nel cuore e nella mente di ciascuno di noi c’è una diffusa attesa di qualcosa o di Qualcuno cui si possa affidare il proprio desiderio di felicità e di futuro, e che sia in grado di dischiuderci un senso, tale da rendere la nostra vita buona e degna di essere vissuta. Tanti sono gli interrogativi, le esperienze di gioia e di fragilità, riconoscibili nella vita di ognuno. Si tratta delle domande che riguardano la nostra esistenza, il nostro destino e il senso di ciò che siamo e facciamo, oltre che di tutto ciò che ci circonda. Sono interrogativi che, per essere veramente affrontati, richiedono il coraggio della ricerca della verità e la libertà del cuore e della mente. 

La speranza che è in noi. 

Chi ha fatto l’esperienza della fede, riconosce che questo Qualcuno capace di comprendere, accogliere e rispondere alle attese dell’uomo ha un nome e un volto: è il Dio che in Gesù Cristo si fa vicino a ogni essere umano. Il rapporto con Dio dà senso alla nostra vita nel mondo. Le riflessioni proposte troveranno allora fondamento nei Vangeli dove poter cogliere che nella persona e nella vicenda di Gesù Cristo il Dio lontano e invisibile si fa vicino a ogni essere umano, in un insperato e gratuito gesto d’amore. 

Così come è avvenuto 2012 anni fa per le donne e gli uomini nei villaggi della Galilea o a Gerusalemme, possiamo ancora oggi pensare seriamente che Gesù possa percorrere i sentieri della nostra vita quotidiana e stabilire un rapporto vitale con noi.  

Contemplando il volto di Gesù e ascoltando le sue parole scopriamo chi siamo, intravediamo qual è la fonte ultima della nostra esistenza e verso quale meta tende il nostro cammino quotidiano. 

Come incontrare il Dio di Gesù Cristo? 

Come avviene per ogni esperienza veramente bella e positiva, sentiamo il bisogno di comunicarla agli altri in nome della fratellanza umana, perché la possibilità di incontrare Dio per mezzo di Gesù Cristo sia una speranza per tutti. Qui le riflessioni ci porteranno dentro la vita della comunità dove potrà emergere il volto della Chiesa che sostiene e incoraggia il cammino di tutti. È lei che ci ha trasmesso la buona notizia di Gesù il Signore, e ci aiuta a interpretare le inquietudini che attraversano il nostro cuore. Proprio dal vissuto dei nostri fratelli e sorelle nella fede dentro la comunità affiora la risposta: la preghiera, la parola di Dio, i sacramenti, il servizio, l’attesa della casa futura, sono le esperienze concrete in cui è possibile incontrare il Dio di Gesù Cristo. (Cfr. Lettera ai cercatori di Dio – Cei 12 aprile 2009). 

L’ascolto di testimonianze 

Accanto a dei momenti di riflessione potrebbe essere utile ascoltare qualche testimonianza che ci aiuti poi a continuare concretamente il cammino della nostra fede. Il nostro credere infatti non è un esercizio intellettuale e neppure semplicemente spirituale, ma trova la sua espressione nella vita di tutti i giorni, nelle relazioni quotidiane, nell’impegno a condividere con gli altri uomini la gioia e la fatica del vivere. La fede ci è donata dal Signore e dopo aver trovato casa nella nostra vita, esige di essere testimoniata per essere data in dono agli altri. E si può testimoniare la fede anche senza compiere opere sensazionali. Ecco allora che porsi in ascolto di alcuni testimoni della fede può aiutare le nostre comunità ad esprimere in maniera più incisiva la loro presenza nel luogo dove vivono. Queste testimonianze devono essere esperienze vicine a noi, possibili da parte di molti, realizzabili dalla gente comune, vie percorribili nella quotidianità. Potrebbe essere importante ascoltare una testimonianza da parte di chi ha riscoperto la propria fede mediante il servizio e la vicinanza a chi è nel bisogno. Molto spesso attraverso l’attenzione al povero il Signore sostiene la fede di chi offre aiuto ed accende la fede nel cuore di chi riceve aiuto. Anche la testimonianza di chi sta vivendo la propria fede negli ambienti di vita come il mondo del lavoro, le istituzioni pubbliche, il servizio sociale può essere raccolta per aiutarci ad allargare lo sguardo dalle nostre parrocchie ai luoghi dove la gente vive e dare in quei contesti una parola di speranza, ma anche un indirizzo per costruire una società migliore. Un altro stimolo che potrebbe essere utile alle nostre comunità potrebbe arrivare da parte di chi vive in maniera più intensa la relazione tra famiglie (comunità di famiglie), per aiutarci a camminare verso una parrocchia dove attuare per quanto possibile, il passaggio dal gruppo all’esperienza di comunità al fine di attuare una condivisione più intensa non solo dei beni spirituali, ma anche dei progetti di vita e magari qualcosa dei nostri beni materiali. Lo scopo delle testimonianze non è l’istruzione, ma il racconto di quanto il Signore ha operato nella vita delle persone secondo la prassi del Vangelo che indica, nella narrazione di eventi personali, la via della trasmissione della fede. E’ significativo quanto riportato nel Vangelo di Giovanni: la Samaritana lasciò la brocca presso il pozzo, andò in città e disse alla gente di aver incontrato un uomo che conosceva quello che aveva fatto. E molti Samaritani di quella città credettero in Gesù per la testimonianza della donna. Dalle riflessioni e dalle testimonianze le parrocchie potrebbero trovare allora un valido spunto per individuare quelle linee pastorali che a partire dall’Anno della fede possano dare continuità nel cammino di “ravvivare, purificare, confermare e testimoniare la fede”. 

Per raggiungere le finalità indicate dal Papa occorre iniziare un cammino di riflessione che dia continuità e sostegno alle persone e ai gruppi e sia di significativo esempio agli altri.

 

CATERINA VOLPICELLI 

“Non perdiamo mai di vista che siamo state chiamate a seguire da vicino Gesù, che ha dichiarato soave il suo giogo e leggero il suo peso”. 

Caterina Volpicelli è una figura singolare di apostolicità d’avanguardia nel suo originale porgersi a servizio della Chiesa e della società, nell’individuazione dei segni dei tempi e nel creativo relazionarsi ad essi. Fattasi volontariamente povera, da ricca che era, divenne madre e maestra di tantissime anime, in un periodo storico in cui gli avvenimenti politici diedero un assetto nuovo al Regno di Napoli e alla Penisola: i moti del 1848, l’annessione al nuovo Regno d’Italia e la fine del potere temporale dei Papi. Napoli, improvvisamente declassata da capitale ad estrema periferia di un nucleo di interessi non più mediterraneo, ma centro europeo, viveva enormi conflitti da un punto di vista sociale e culturale. La fascia di povertà si era dilatata e il clima dominante, massonico e anticlericale cercava di colpire definitivamente la tradizione cattolica in cui il popolo era radicato. Caterina Volpicelli, nata a Port’Alba in Napoli il 21 gennaio 1839 da una famiglia dell’alta borghesia, trascorse un’infanzia felice, ricevendo dai genitori esempi di onestà e generosità; “Siamo figli di santi” scriverà al fratello, in età matura. L’educazione familiare trovò il suo completamento nel collegio di San Marcellino, Reale Educandato “Maria Isabella di Borbone”, dove dimorò da sette a dodici anni, guidata dall’eccellentemaestra Margherita Salatino (che sarà poi confondatrice, insieme al Beato Ludovico da Casoria, delle Suore Francescane Elisabettine Bigie). Ivi apprese le lettere classiche, le lingue straniere, la musica, formazione che proseguì in casa, successivamente, alla scuola di insigni precettori, fra i quali il famoso Rodinò. Nel 1849 Pio IX, esule a Gaeta, visitò quell’educandato, accolto dall’omaggio festoso delle alunne: un inno, composto per la circostanza, fu suonato su tre pianoforti da ragazze, a diciotto mani; una di quelle piccole pianiste era Caterina. Il Papa commosso, impartì loro una benedizione “di innocenza e santità ”. Verrà un giorno in cui la Volpicelli offrirà alla Chiesa e al Papa le armonie apostoliche della sua Famiglia Religiosa, ma prima dovrà superare la crisi dell’adolescenza. Benessere, ingegno, cultura, bellezza: tutto le faceva presagire un avvenire brillante nella società, tuttavia il Signore aveva altri progetti su di lei. Il francescano Ludovico da Casoria le disse: “ Il mondo ti attira, ma Dio la vince. Un giorno chiuderai i libri degli uomini e leggerai nel libro del Cuore di Cristo, dove ogni pagina parla di Amore”. Caterina ebbe ancora dubbi e tentennamenti, cadute e riprese, finché sentì un invito misterioso alla sequela di Cristo. Trascorse sette mesi fra le Sacramentine, Monache Adoratrici perpetue in Napoli, ma per motivi di salute fu costretta a tornare in famiglia. L’esperienza claustrale l’aveva maturata profondamente, inducendola ad un esame attento del mondo che la circondava. L’unità d’Italia, per Napoli, non significò solo la fine di un’epoca, ma anche la soppressione di conventi. Casa paterna della Fondatrice In casa divenne l’affettuosa confortatrice del padre, gravemente ammalato, maestra di catechismo delle persone di servizio. Si recava frequentemente all’Ospedale degli “Incurabili” in Napoli, portando sollievo agli infermi e preparandoli ai Sacramenti. Visitava i “bassi” della città, privi di aria e di luce, abitati dall’umile gente del popolo; il suo arrivo era come un raggio di sole e una ventata d’aria pura. Dava i suoi beni ai poveri con una generosità tale che ha dell’eroico. Più volte, come testimoniò la sua cameriera, si privò anche degli abiti e delle scarpe dopo aver vuotato il suo borsellino. Si orientò sempre più verso una vita di piena consacrazione a Dio e di attività apostolica, circondandosi di valide collaboratrici che condividevano i suoi ideali. “Pescatrice di anime nel mondo” la definì P. Ludovico da Casoria. Ella voleva una congregazione eterogenea nella sua composizione: un ramo di Religiose di vita comune con la professione dei voti di povertà, obbedienza e castità, senza alcuna divisa, le Ancelle del S. Cuore; un ramo di anime consacrate, nubili, viventi nelle loro abitazioni, le Piccole Ancelle, con la possibilità di diventare Sorelle esterne dopo dieci anni; le Aggregate, spose e madri, per la santificazione della famiglia e l’evangelizzazione capillare. L’idea era nuova, e sembrò rivoluzionaria, profeticamente anticipatrice degli Istituti secolari, che troveranno il loro riconoscimento nel Concilio Vaticano II. Il Cardinale Sisto Riario Sforza, arcivescovo di Napoli, approvò le prime Regole del nascente Istituto poiché era convinto che Caterina fosse un’anima ispirata da Dio, suscitata in tempi difficili per la Chiesa e la società, in seno alle quali ateismo e massoneria costituivano una forte opposizione. Il Papa Leone XIII espresse la sua ammirazione per l’opera della Volpicelli: “è quello che ci vuole per i nostri tempi” e il 13 giugno 1890 le accordò il Decreto di Lode. Molto colta, Caterina organizzò una biblioteca circolante e corsi di cultura per combattere l’ignoranza e il dilagante anticlericalismo. “Andiamo alle famiglie, attraverso l’intelletto”, diceva e ancora “salvare la famiglia è salvare la società”; incominciò, infatti, a interessarsi delle famiglie dei vicoli della città, senza tralasciare l’evangelizzazione di quelle della media e alta borghesia per favorire il risorgere della Chiesa. Istituì l’orfanotrofio delle Margherite e fondò l’associazione delle Figlie di Maria, la cui responsabile a Napoli fu la venerabile Maria Rosa Carafa, Sorella esterna delle Ancelle, grande sua Consigliera e collaboratrice. Iniziò così il ministero di fondatrice di Caterina Volpicelli, senza strutture e opere particolari per “ricostruire il volto di Cristo nei fratelli”. Le Ancelle del S. Cuore si dedicarono a catechizzare fanciulli e adulti, a visitare gli infermi, a soccorrere i meno abbienti con il “prestito gratuito” per sottrarli alle grinfie degli usurai, a confezionare gli arredi delle chiese povere, mentre diffondevano l’amore al Cuore di Cristo, in modo particolare, con l’Apostolato della Preghiera, introdotto in Italia dalla Francia grazie alla Volpicelli, guidata dal gesuita P. Ramiére, come mezzo di santificazione del quotidiano, a vantaggio dell’intera umanità e, in particolare, del corpo mistico della Chiesa. Quando, nel 1884, a Napoli infierì il colera, mietendo migliaia di vittime, le Ancelle offrirono con entusiasmo la loro opera sia con l’assistenza spirituale sia organizzando le cucine gratuite per i poveri. Era l’anno in cui fu consacrato dal Cardinale Guglielmo Sanfelice il Santuario diocesano del S. Cuore alla Salute in Napoli, attiguo alla Casa Madre, fortemente voluto e fatto edificare dalla Volpicelli soprattutto per l’adorazione riparatrice e la consacrazione delle famiglie al Sacro Cuore. In esso fece la sua Prima Comunione San Giuseppe Moscati. Nel 1887 sbarcarono a Napoli i feriti, superstiti del massacro dei cinquecento a Dogali, “Portiamo Gesù ai nostri soldati”, disse la Volpicelli e andò con le sue Religiose a confortarli e prepararli ai Sacramenti. Fu vivace protagonista del Congresso Eucaristico nazionale, tenutosi a Napoli dal 19 al 22 novembre 1891, con l’impegno di organizzare l’Adorazione in Cattedrale, la preparazione della Confessione e Comunione Generale e una ricca mostra di arredi sacri da donare alle chiese povere. Nel 1893, per il ripetersi di sommosse popolari, fu notevole la presenza dei militari nella cittadina partenopea. Le Ancelle accorsero nelle caserme, trattenendosi con loro, assetati della Parola di Dio. Si realizza in tal modo quanto la Fondatrice auspicava per le sue figlie: “il fine della nostra vocazione è amare Dio per Dio …..non si può essere vere Ancelle senza spirito di sacrificio”. Il 28 dicembre 1894 Caterina Volpicelli morì in fama di santità, fu dichiarata Venerabile il 25 marzo 1945 da Papa Pio XII, beatificata il 29 aprile 2001 e canonizzata il 26 aprile 2009 da Benedetto XVI. 

L’originalità carismatica fondazionale “incarnare Cristo amore” nelle tre dimensioni di “sacrificio, immolazione e riparazione” è stata portata dalle sue Figlie in diverse città italiane e all’estero.

 

Carinola (Ce). Conclusa la festa religiosa dell’Immacolata

Foto0744.jpgFoto0745.jpgFoto0748.jpgNonostante il tempo inclemente di questi giorni, la festa in onore della Madonna dell’Immacolata si è svolta regolarmente. La tanto attesa e sentita processione si è svolta regolarmente il giorno 8 dicembre con inizio alle ore 12,30 e conclusione alle 14,00 dopo la preghiera di affidamento alla Madonna letta da padre Antonio Rungi, missionario passionista, che ha predicato in questi giorni di preparazione della festa dell’Immacolata a Carinola. Nove giorni di preparazione spirituale con la novena, di cui gli ultimi tre con la predicazione di padre Antonio Rungi, religioso passionista, noto ed apprezzato missionario della Congregazione della Passione, che come tutti gli anni è risciuto ad entrare con i suoi discorsi nel cuore di tutti i carinolesi che hanno partecipato al triduo e soprattutto alle messe di oggi, solennità dell’Immacolata. Si è iniziato con la messa delle ore 6.00 presieduta da don Michelangelo, durante la quale, padre Rungi ha tenuto una vibrante omelia mariana che ha scosso spiritualmente tutti presenti. Si è proseguito con la messa delle 8,00 e con la celebrazione della messa solenne delle ore 11,30, presieduta dal don Amato Brodella, parroco della cattedrale e animata dai canti, come nella messa dell’aurora, della schola cantorum parrocchiale. Nuova intensa omelia di padre Rungi rivolta specialmente ai tanti giovani e ragzzi presenti, che poi hanno preso parte anche alla processione, nonostante il tempo minaccioso. Tutto è andato bene e si è concluso nel migliore dei modi. Il comitato della festa religiosa insieme alla Congrega dell’Immacolata hanno organizzato anche quest’anno una bellissima novena e una festa religiosa che sempre più si configura come un appuntamento importantissimo nella vita spirituale e mariana di ogni carinolese. Nelle omelie della solennità, padre Antonio Rungi ha sottilneato più volte che la festa in onore della Madonna Immacolata deve essere un motivo serio e sincero per rallegrarsi: “Carinola, rallegrati, gioisci, perché hai la Madre di Gesù in cielo che ti benedice e ti protegge in tutti i momenti della tua vita, specialmente in quelli più tristi e difficili. Tu sei la cittadella dell’Immacolata e come tale imita la Vergine Beata in tutto ciò che è amore, carità, purezza, servizio umile e disinteressato”. L’entusiasmo che riesce a trasmettere padre Antonio Rungi con le sue accese omelie, rende la festa dell’Immacolata particolarmente sentita da tutto il popolo di Dio. La presenza a Carinola di una chiesa in fase di ultimazione dedicata all’Annunziata, ma in realtà dell’Immacolata, la presenza della Congrega dell’Immacolata e delle Suore dell’Immacolata di Genova, fondate da Sant’Agostino Roscelli, rende più viva questa esperienza di fede che parte da lontano, subito dopo la proclamazione ufficiale del dogma dell’Immacolata a firma del Beato Pio IX, Papa, nel 1854. La storia e gli avvenimenti più importanti di Carinola negli ultimi 160 anni sono contrassegnati dalla presenza operosa nella Madonna Immacolata nella vita dei singoli fedeli e dell’intera comunità carinolese. La Madonna Immacolata per ogni carinolese, vicino o lontano, è il punto di riferimento della propria devozione e dello speciale culto che nutrono verso la Madre del Salvatore da generazione in generazione.

Una speciale preghiera per tutti i lavoratori e i disoccupati

Foto0704.jpgHo composto una speciale preghiera per tutti i lavoratori italiani e specialmente per quelli dell’Ilva e di altri stabilimenti in crisi, che rischiano la chiusura o stanno licenziando, affinché questa orazione venga recitata nelle chiese parrocchiali in questi giorni di grande difficoltà nel nostro paese. In questa orazione composta per questo difficile momento di crisi lavorativa in Italia e nel mondo, ci rivolgiamo a Dio con la fede, perché possa donare la serenità lavorativa a tutti e vi invito a farlo anche a voi lavoratori, a voi familiari e a voi tutti i fedeli, soprattutto in vista della novena in onore della Madonna Immacolata che inizia in tutte le chiese cattoliche domani 29 novembre. Ecco il testo della sentita orazione:

PREGHIERA DEL DISOCCUPATO 

O Dio che sei Padre di tutti ed ami tutti i tuoi figli, 

con la stessa intensità di amore e di misericordia, 

non permettere che nessun lavoratore italiano viva 

in perenne tormento per la perdita del lavoro, 

ma fa che possa conservare o ritrovare il lavoro perduto 

o accedere per la prima volta ad un impiego certo e duraturo. 


Illumina quanti guidano le sorti del mercato del lavoro
 

perché facciano interventi politici ed amministrativi 

in grado di assicurare a tutti un lavoro onesto e ben retribuito. 


Fa che tutti gli uomini di governo
 

possano avere a cuore principalmente 

il problema del lavoro e facciano leggi capaci 

di ampliare gli spazi occupazionali, 

soprattutto per i giovani, i padri e le madri di famiglia 

che devono pensare alle tante esigenze dei loro figli. 


Signore Gesù tu che hai lavorato fin da bambino
 

vicino al tuo padre putativo, San Giuseppe, 

sotto lo sguardo vigile della tua Madre Maria, 

fa che in tutte le famiglie dell’Italia e del Mondo 

non venga mai a mancare il cibo quotidiano 

frutto del lavoro umano e della tua generosità. 


Non permettere che in questo tempo 
 

di profonda crisi economica mondiale 

altre persone soffrano per la perdita del posto di lavoro, 

ma pur nella consapevolezza di qualche rinuncia e sacrificio 

possano legittimamente aspirare ad una sicurezza economica e sociale. 


La Madonna, donna coraggiosa e laboriosa,
 

protegga tutti i lavoratori degli stabilimenti italiani e stranieri 

che producono beni di ogni genere. 


Lei Madre di tutti i lavoratori onesti e coraggiosi
 

guidi dal cielo l’operato di milioni di persone 

che ogni giorno lavorano e sperano per un mondo migliore 

in cui regnerà stabile la giustizia sociale  

e la fraternità universale. Amen

Padre Antonio Rungi

L’Udienza di Papa Benedetto XVI- Mercoledì 10 ottobre 2012

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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 10 ottobre 2012

 

 

Cari fratelli e sorelle,

siamo alla vigilia del giorno in cui celebreremo i cinquant’anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e l’inizio dell’Anno della fede. Con questa Catechesi vorrei iniziare a riflettere – con qualche breve pensiero – sul grande evento di Chiesa che è stato il Concilio, evento di cui sono stato testimone diretto. Esso, per così dire, ci appare come un grande affresco, dipinto nella sua grande molteplicità e varietà di elementi, sotto la guida dello Spirito Santo. E come di fronte a un grande quadro, di quel momento di grazia continuiamo anche oggi a coglierne la straordinaria ricchezza, a riscoprirne particolari passaggi, frammenti, tasselli.

Il Beato Giovanni Paolo II, alle soglie del terzo millennio, scrisse: «Sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 57). Penso che questa immagine sia eloquente. I documenti del Concilio Vaticano II, a cui bisogna ritornare, liberandoli da una massa di pubblicazioni che spesso invece di farli conoscere li hanno nascosti, sono, anche per il nostro tempo, una bussola che permette alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta.

Io ricordo bene quel periodo: ero un giovane professore di teologia fondamentale all’Università di Bonn, e fu l’Arcivescovo di Colonia, il Cardinale Frings, per me un punto di riferimento umano e sacerdotale, che mi portò con sé a Roma come suo consulente teologo; poi fui anche nominato perito conciliare. Per me è stata un’esperienza unica: dopo tutto il fervore e l’entusiasmo della preparazione, ho potuto vedere una Chiesa viva – quasi tremila Padri conciliari da tutte le parti del mondo riuniti sotto la guida del Successore dell’Apostolo Pietro – che si mette alla scuola dello Spirito Santo, il vero motore del Concilio. Rare volte nella storia si è potuto, come allora, quasi «toccare» concretamente l’universalità della Chiesa in un momento della grande realizzazione della sua missione di portare il Vangelo in ogni tempo e fino ai confini della terra. In questi giorni, se rivedrete le immagini dell’apertura di questa grande Assise, attraverso la televisione o gli altri mezzi di comunicazione, potrete percepire anche voi la gioia, la speranza e l’incoraggiamento che ha dato a tutti noi il prendere parte a questo evento di luce, che si irradia fino ad oggi.

Nella storia della Chiesa, come penso sappiate, vari Concili hanno preceduto il Vaticano II. Di solito queste grandi Assemblee ecclesiali sono state convocate per definire elementi fondamentali della fede, soprattutto correggendo errori che la mettevano in pericolo. Pensiamo al Concilio di Nicea nel 325, per contrastare l’eresia ariana e ribadire con chiarezza la divinità di Gesù Figlio Unigenito di Dio Padre; o a quello di Efeso, del 431, che definì Maria come Madre di Dio; a quello di Calcedonia, del 451, che affermò l’unica persona di Cristo in due nature, la natura divina e quella umana. Per venire più vicino a noi, dobbiamo nominare il Concilio di Trento, nel XVI secolo, che ha chiarito punti essenziali della dottrina cattolica di fronte alla Riforma protestante; oppure il Vaticano I, che iniziò a riflettere su varie tematiche, ma ebbe il tempo di produrre solo due documenti, uno sulla conoscenza di Dio, la rivelazione, la fede e i rapporti con la ragione e l’altro sul primato del Papa e sull’infallibilità, perché fu interrotto per l’occupazione di Roma nel settembre del 1870.

Se guardiamo al Concilio Ecumenico Vaticano II, vediamo che in quel momento del cammino della Chiesa non c’erano particolari errori di fede da correggere o condannare, né vi erano specifiche questioni di dottrina o di disciplina da chiarire. Si può capire allora la sorpresa del piccolo gruppo di Cardinali presenti nella sala capitolare del monastero benedettino a San Paolo Fuori le Mura, quando, il 25 gennaio 1959, il Beato Giovanni XXIII annunciò il Sinodo diocesano per Roma e il Concilio per la Chiesa Universale. La prima questione che si pose nella preparazione di questo grande evento fu proprio come cominciarlo, quale compito preciso attribuirgli. Il Beato Giovanni XXIII, nel discorso di apertura, l’11 ottobre di cinquant’anni fa, diede un’indicazione generale: la fede doveva parlare in un modo «rinnovato», più incisivo – perché il mondo stava rapidamente cambiando – mantenendo però intatti i suoi contenuti perenni, senza cedimenti o compromessi. Il Papa desiderava che la Chiesa riflettesse sulla sua fede, sulle verità che la guidano. Ma da questa seria, approfondita riflessione sulla fede, doveva essere delineato in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e l’età moderna, tra il Cristianesimo e certi elementi essenziali del pensiero moderno, non per conformarsi ad esso, ma per presentare a questo nostro mondo, che tende ad allontanarsi da Dio, l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e in tutta la sua purezza (cfr Discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi, 22 dicembre 2005). Lo indica molto bene il Servo di Dio Paolo VI nell’omelia alla fine dell’ultima sessione del Concilio – il 7 dicembre 1965 – con parole straordinariamente attuali, quando afferma che, per valutare bene questo evento: «deve essere visto nel tempo in cui si è verificato. Infatti – dice il Papa – è avvenuto in un tempo in cui, come tutti riconoscono, gli uomini sono intenti al regno della terra piuttosto che al regno dei cieli; un tempo, aggiungiamo, in cui la dimenticanza di Dio si fa abituale, quasi la suggerisse il progresso scientifico; un tempo in cui l’atto fondamentale della persona umana, resa più cosciente di sé e della propria libertà, tende a rivendicare la propria autonomia assoluta, affrancandosi da ogni legge trascendente; un tempo in cui il “laicismo” è ritenuto la conseguenza legittima del pensiero moderno e la norma più saggia per l’ordinamento temporale della società… In questo tempo si è celebrato il nostro Concilio a lode di Dio, nel nome di Cristo, ispiratore lo Spirito Santo». Così Paolo VI. E concludeva indicando nella questione di Dio il punto centrale del Concilio, quel Dio, che «esiste realmente, vive, è una persona, è provvido, è infinitamente buono; anzi, non solo buono in sé, ma buono immensamente altresì per noi, è nostro Creatore, nostra verità, nostra felicità, a tal punto che l’uomo, quando si sforza di fissare la mente ed il cuore in Dio nella contemplazione, compie l’atto più alto e più pieno del suo animo, l’atto che ancor oggi può e deve essere il culmine degli innumerevoli campi dell’attività umana, dal quale essi ricevono la loro dignità» (AAS 58 [1966], 52-53).

Noi vediamo come il tempo in cui viviamo continui ad essere segnato da una dimenticanza e sordità nei confronti di Dio. Penso, allora, che dobbiamo imparare la lezione più semplice e più fondamentale del Concilio e cioè che il Cristianesimo nella sua essenza consiste nella fede in Dio, che è Amore trinitario, e nell’incontro, personale e comunitario, con Cristo che orienta e guida la vita: tutto il resto ne consegue. La cosa importante oggi, proprio come era nel desiderio dei Padri conciliari, è che si veda – di nuovo, con chiarezza – che Dio è presente, ci riguarda, ci risponde. E che, invece, quando manca la fede in Dio, crolla ciò che è essenziale, perché l’uomo perde la sua dignità profonda e ciò che rende grande la sua umanità, contro ogni riduzionismo. Il Concilio ci ricorda che la Chiesa, in tutte le sue componenti, ha il compito, il mandato di trasmettere la parola dell’amore di Dio che salva, perché sia ascoltata e accolta quella chiamata divina che contiene in sé la nostra beatitudine eterna.

Guardando in questa luce alla ricchezza contenuta nei documenti del Vaticano II, vorrei solo nominare le quattro Costituzioni, quasi i quattro punti cardinali della bussola capace di orientarci. La Costituzione sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium ci indica come nella Chiesa all’inizio c’è l’adorazione, c’è Dio, c’è la centralità del mistero della presenza di Cristo. E la Chiesa, corpo di Cristo e popolo pellegrinante nel tempo, ha come compito fondamentale quello di glorificare Dio, come esprime la Costituzione dogmatica Lumen gentium. Il terzo documento che vorrei citare è la Costituzione sulla divina Rivelazione Dei Verbum: la Parola vivente di Dio convoca la Chiesa e la vivifica lungo tutto il suo cammino nella storia. E il modo in cui la Chiesa porta al mondo intero la luce che ha ricevuto da Dio perché sia glorificato, è il tema di fondo della Costituzione pastorale Gaudium et spes.

Il Concilio Vaticano II è per noi un forte appello a riscoprire ogni giorno la bellezza della nostra fede, a conoscerla in modo profondo per un più intenso rapporto con il Signore, a vivere fino in fondo la nostra vocazione cristiana. La Vergine Maria, Madre di Cristo e di tutta la Chiesa, ci aiuti a realizzare e a portare a compimento quanto i Padri conciliari, animati dallo Spirito Santo, custodivano nel cuore: il desiderio che tutti possano conoscere il Vangelo e incontrare il Signore Gesù come via, verità e vita. Grazie.

Trentasettesimo anniversario di sacerdozio di P.Antonio Rungi

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Ti rendo grazie Signore,

per tutti questi anni

che mi hai chiamato a seguirti

e a serviti nella vita religiosa e sacerdotale.

Hai pensato alla mia persona fin dall’eternità

Ed un giorno mi hai fatto intendere chiara la tua voce

Che mi diceva “Seguimi”.

Forte dell’entusiasmo e convinto che eri Tu Gesù, ho lasciato

I miei genitori, mia sorella, mio fratello, i miei parenti, i miei amici

I miei compagni di scuola, avendo appena 13 anni.

Da allora ho camminato sulle tue vie, quelle che Tu, Signore,

mi hai indicato di volta in volta, per arrivare al grande appuntamento della mia storia personale, a quel 6 ottobre 1975, a Napoli, quando il Vescovo imponendo sulla mia testa le sue mani mi consacrò sacerdote.

I pianti di sofferenza dei miei parenti alla mia partenza per un paese lontano, quando lasciai casa per farmi passionista e sacerdote, in quel giorno si trasformarono in lacrime di gioia, in lacrime di infinita gratitudine.

In questi 37 anni di vita sacerdotale è stato un susseguirsi di soli infiniti ed immensi doni che Tu, Signore, hai concesso a questa mia umile e povera persona.

Ho cercato di essere fedele alla tua chiamata sempre, nonostante le umane debolezze che sono insite in ogni persona umana e che la tua grazia e la tua benevolenza e vicinanza mi hanno aiutato a superare di volta in volta, facendomi scorgere quando sei buono e grande nell’amore.

Le anime che hai affidato alla mia cura pastorale e sacerdotale le ho considerato un dono immenso da rispettare, aiutare, amare, proteggere dalle forze del male. Ognuna di essa sta nel mio cuore e nelle mie preghiere, perché sono figli tuoi e frutto del Tuo Sangue prezioso versato per noi sulla croce.

Cosa dirti Gesù, attraverso la mia mamma celeste, la Vergine Maria, Regina di tutti i sacerdoti? Proteggimi e guidami nel difficile compito di essere un tuo discepolo secondo il tuo amabilissimo cuore e secondo i tuoi insegnamenti.

Che sia un pastore che vada a cercare la pecorella smarrita, e la riporti all’ovile della tua chiesa e alla vita della chiesa.

Che mi preoccupi di tanti che sono nel dolore e nella sofferenza, soprattutto in questi giorni tristi e difficili per l’umanità.

Che sia vicino ai bambini, perché possano sperimentale attraverso la mia umile persona quanto sei grande e quanto sei davvero dalla parte dei più piccoli, ben sapendo che scandalizzare anche uno solo di essi, significa non essere perdonato da Te in eterno.

Che sia vicino ai tanti giovani che ho avuto la gioia di incontrare nella mia vita di sacerdote e di insegnante, nel cuore dei quali vorrei che ci fosse anche un posto certo per Te.

Che mi preoccupi per quanti sono tristi, angosciati, soli e delusi dalla vita, dai propri cari, dagli affetti più naturali e che spesso si rivoltano contro di Te, perché non sanno quello che dicono e fanno, perchè grande è la sofferenza nel loro animo. 

Che sia tutto per tutti, senza fare preferenze a nessuno.

Che sappia amare ogni persona con la semplicità e la rettitudine del Tuo cuore.

Che sia sempre riconoscente a chi mi ha guidato sapientemente alla meta sacerdotale, in particolare i miei due speciali angeli del cielo, che sono mamma e papà, ma anche quanti nella formazione in convento hanno avuto un cuore di padre e mi hanno fatto amare la vita sacerdotale e missionaria, ieri come oggi.

Dirti grazie è il minimo indispensabile in questo giorno anniversario dei miei 37 anni di vita sacerdotale, che mi auguro possano essere ancora tantissimi altri per servire la Tua causa, Gesù, in questo anno della fede, che tutti richiama a credere fermamente in Te, sommo ed eterno sacerdote della nuova ed eterna alleanza di Dio con l’umanità. Amen.

 

Padre Antonio Rungi

Sacerdote passionista

6 ottobre 2012

Capua (Ce). Morto mons. Bruno Schettino, arcivescovo di Capua

big-10f1801e7586fc84c556f4633f0e104b.jpgProfonda mestizia in tutta la Campania, nella diocesi di Capua e nell’episcopato italiano per la morte improvvisa dell’arcivescovo di Capua, monsignor Bruno Schettino. Secondo i medici che ne hanno accertato il decesso è stato un infarto a stroncare nella notte del 21 settembre 2012, verso le 3-4 la vita dell’arcivescovo Schettino,, che aveva compiuto 71 anni. Era nato, infatti, a Marigliano, diocesi di Nola, il 5 gennaio 1941. L’arresto cardiocircolatorio ha colto monsignor Schettino a Capua, sede arcivescovile cui era stato assegnato il 29 aprile 1997. Laureato in Filosofia, fu ordinato presbitero il 28 giugno 1964, eletto alla sede vescovile di Teggiano-Policastro l’11 febbraio 1987, e ordinato vescovo il 4 aprile 1987, qui svolse il suo ministero per 10 anni. I funerali dell’arcivescovo di Capua e presidente della Commissione delle Migrazioni della Cei saranno celebrati domenica prossima, 23 settembre 2012 alle 16,30, nella cattedrale di Capua. Monsignor Schettino era un vescovo molto apprezzato per le sue doti umane, culturali e pastorali. Entrato subito nel cuore del popolo di Dio di Teggiano-Policasro, dove fu vescovo dall’11 febbraio 1987, per le sue qualità, venne trasferito nella sede più prestigiosa di Capua, dove assunse la responsabilità di arcivescovo il 29 aprile 1997, dopo dieci anni di permanenza nell’estremo lembo della Regione Campania. Sia in Teggiano-Policastro che a Capua monsignor Schettino ha lasciato un ottino ricordo di sé. Persona umile, amava il sevizio silenzioso e meno appariscente, sempre dalla parte dei più deboli per la sua personale propensione alla sofferenza dei fratelli in difficoltà, che nell’arcidiocesi di Capua presenta il volto più doloroso con la problematica degli immigrati di colore, era presidente della commissione episcopale dell’immigrazione e presidente della Migrantes. La caratteristica principale di questo zelante pastore della chiesa capuana era il suo spirito di preghiera e di orazione. Pregava molto e chiedeva di pregare molto ai suoi sacerdoti e ai tanti fedeli della diocesi di Capua che incontrava sistematicamente durante le sue brevi o lunghe visite pastorali alle comunità parrocchiali. -«È una gravissima perdita per il mondo della mobilità umana», ha detto don Alfonso Calvano, incaricato regionale della ‘Migrantes’, commentando la scomparsa di monsignor Bruno Schettino, arcivescovo di Capua. «Sensibile alle povertà del territorio diocesano e, quindi della Campania e dotato di una spiccata sensibilità ed accoglienza degli immigrati – continua don Alfonso – ha seguito con impegno e assiduità l’evangelizzazione a favore della mobilità umana delle varie diocesi campane e, ultimamente, come presidente della Fondazione Migrantes ha dato un forte impulso per promuovere i diritti degli immigrati attraverso la integrazione e l’accoglienza». «Proprio in questi giorni – aggiunge don Alfonso – monsignor Schettino stava valutando la possibilità di partecipare al Columbus Day, la più grande festa degli italoamericani a New York, dove era stato invitato personalmente dai vertici della Fondazione americana che aveva ricevuto nel mese di gennaio scorso a Capua». «Tutta la Chiesa campana esprime il proprio cordoglio al vescovo Schettino, uomo di preghiera e di spirito per la Migrantes campana», conclude Calvano. Lascia una diocesi ben organizzata e strutturata, in piena sintonia con il concilio Vaticano secondo, con un Superficie in Kmq: 500; 162.800 abitanti; con 59 parrocchie; 71 sacerdoti secolari; 12 sacerdoti regolari e 10 diaconi permanenti. Già era tutto predisposto per celebrare degnamente l’anno della fede, al quale monsignor Schettino già dal momento dell’indizione fatta da Papa Benedetto XVI lo scorso anno con il Motu proprio “Porta fidei” aveva dato grande importanza e rilevanza. In questa preghiera composta da lui, tutto il suo animo di pastore attento ai bisogni degli ultimi e in particolare degli immigrati: “Abbiamo abbandonato la nostra Africa, i nostri paesi, abbiamo lasciati parenti ed amici, per seguire un sogno di serenità e di pace. Abbiamo desiderato accoglienza e tanta amicizia, sperando nella bontà degli altri. Desideriamo vivere un futuro migliore, dimenticando il sofferto passato. Nelle mani di Dio abbiamo posto la nostra povera vita, i tanti problemi quotidiani, le tante paure. A te, o Signore consacriamo oggi la nostra vita e tu guidaci verso la meta. Abbiamo conosciuto la tua Madre, la nostra Madre che guida tutti verso il suo Figlio Gesù. Per Maria noi andremo al Signore, confidando nel suo tenero amore. Sotto il suo manto ci rifugiamo, Santa Madre di Dio. Ascolta le nostre preghiere. Anche agli altri porterò l’annuncio di fede e di bontà, per essere un popolo unito e solidale nella carità. Per Maria, o Signore, raggiungeremo la vera Patria, dove scomparirà ogni ingiustizia e povertà e godremo eterna pace e felicità per sempre”. Amen

Intanto tutta la diocesi si stringe intorno alle spoglie dell’arcivescovo con una tre giorni di preghiere nella Cattedrale di Capua, così organizzata: Venerdì 21 settembre: Ore 12.00: S. Messa; Ore 16.00: Santo Rosario; Ore 18.00: Vespro; Ore 20.00: S. Messa con il Presbiterio; Ore 23.00: Chiusura della camera ardente. Sabato 22 settembre: Ore 7.00: Apertura; Ore 8.30: Lodi; Ore 9.00: S. Messa; Ore 12.00: Ora Media; Ore 16.00: Santo Rosario; Ore 18.00: Vespro; Ore 18.30: S. Messa; Ore 20.00: Veglia di Preghiera; Ore 23.00: Chiusura. Domenica 23 settembre: Ore 7.00: Apertura; Ore 8.00 – 9.30 – 11.00: S. Messe. Ore 15.00: S. Rosario. Ore 16.00: S. Messa esequiale, presieduta dal Cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e con la partecipazione di tutti i vescovi della Campania e di altre regioni italiane.

Antonio Rungi