Napoli

Napoli. Sessantesimo di professione religiosa di Suor Bernardetta Lai. Rito presieduto dal cardinale Sepe

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NAPOLI. 60 ANNI DI PROFESSIONE RELIGIOSA DI SUOR BERNADETTA LAI. RITO PRESIEDUTO DAL CARDINALE CRESCENZIO SEPE, ARCIVESCOVO EMERITO DI NAPOLI

di Antonio Rungi

Domani pomeriggio, martedì 24 maggio 2022, alle ore 17, nella Chiesa delle Monache Passioniste di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo emerito di Napoli, presiederà la solenne concelebrazione eucaristica in occasione del sessantesimo anniversario di professione religiosa di Suor Maria Bernadetta del Cuore Immacolato e Addolorato di Maria (al secolo Tommasina Lai).

Con il cardinale Sepe concelebreranno diversi sacerdoti passionisti e diocesani, che da anni seguono spiritualmente le Monache Passioniste del Monastero di San Giacomo dei Capri in Napoli. “E’ una grande gioia per tutti noi passionisti – ha detto padre Antonio Rungi, già assistente spirituale del monastero negli anni 2003-2008 – ritrovarci intorno a questa nostra consorella che con passione, dedizione, sacrificio ed abnegazione ha servito, prima il Monastero di Tarquinia e poi quello di Napoli, nel ruolo di Presidente della comunità monastica in un periodo di carenza di presenza e di vocazioni. Proprio per interessamento del cardinale Sepe e del compianto monsignor Piergiorgio Silvano Nesti, allora segretario della Congregazione vaticana degli istituti di vita consacrata e delle società apostoliche che fu possibile assicurare una presenza giovanile e più consistente in questo monastero, con l’arrivo di ben cinque monache passioniste indonesiane, che subito si inserirono nel contesto della realtà ecclesiale di Napoli, facendone di questo monastero un luogo di spiritualità passionista aperto al pubblico e capace di venire incontro alle esigenze di quanti erano e sono alla ricerca di Dio. Molto del merito di questa rinascita del Monastero delle Passioniste di Napoli va riconosciuto proprio a Suor Bernardetta, che in qualità di Superiora della comunità sentiva la necessità di non abbandonare questa importante oasi di spiritualità nella zona più rinomata della città di Napoli, appunto il Vomero. Persona umile, affabile, accondiscendente, servizievole e lavoratrice, con un bagaglio spirituale di ampia porta e di grande solidità interiore, suor Bernadetta ha segnato la storia di questo monastero in uno dei momenti più difficili di esso, essendo stato fondato nel 1928. Giusto quindi riconoscere a questa anziana suora ciò che le spetta non solo davanti alla Chiesa e alla Congregazione dei Passionisti, ma anche nella città di Napoli, che l’ha accolta e ben volentieri ha collaborato, in tanti modi, con lei per aiutare il Monastero. I lavori che sono stati fatti in quegli anni per la manutenzione e la migliore sistemazione dei locali sono noti a quanti hanno contribuito a rendere possibile questo progetto di salvaguardia del monastero e soprattutto della presenza in essa delle Figlie spirituali di San Paolo della Croce e della cofondatrice la venerabile Maria Crocifissa di Gesù (Faustina Geltrude Costantini)”.

Nel ringraziare il Signore per il dono della vocazione e per questo traguardo importante della sua vita di monaca passionista, suor Bernardetta scrive testualmente: “Mi chiamo Tommasina Lai, da monaca ho preso il nome di Maria Bernardetta del Cuore Immacolato e Addolorato di Maria. Sono nata in Sardegna. All’età di 14 anni, con la mia famiglia, siamo emigrati nel Lazio. Eravamo otto figli, tutti ancora molto piccoli. Ciascuno si impegnava in diverse piccole mansioni per poterci sostenere. Le mie origini sono molto umili e semplici, senza che sia mancato mai il calore e l’affetto della prima chiesa: la famiglia! Io ho lavorato in ospedale a Montalto di Castro, dove c’erano le suore “figlie di Sant’Anna”, che mi hanno aiutato a conoscere meglio il Signore e a dare ascolto a quella voce che sentivo dentro di me: la vocazione!

Sempre di più, in quegli anni, mi affascinava la vita di preghiera. A 18 anni sono entrata nel Monastero di Tarquinia, fondato da San Paolo della Croce. Vi sono rimasta 40 anni, svolgendo umili servizi a favore della comunità, lavanderia, cucina ed altro.  Nel 2000, col permesso della Sacra Congregazione, sono stata trasferita in questo Monastero a Napoli per sostituire la Superiora del tempo, molto ammalata, anche lei proveniente da Tarquinia. Qui sono stata al servizio della Comunità come Superiora per dieci anni. Già da alcuni anni avevamo ospitato nel nostro Monastero diverse suore provenienti dall’Indonesia. Abbiamo così eletto la nuova Superiora, Madre Giuliana, che ringrazio per la considerazione, le sue attenzioni e per la bella collaborazione che si è creata tra noi. Rimango tanto grata a Dio per tutti questi anni vissuti nella Comunità, osservando in tutto l’ideale del nostro Fondatore. Invoco il Suo aiuto, con il sacrificio e la preghiera, per noi e per tutta l’Umanità bisognosa di Lui. Per questi 60 anni di consacrazione elevo il mio ringraziamento al Signore per la vocazione tra le contemplative, così alla Vergine Addolorata e San Paolo della Croce, Padre e Fondatore. Ringrazio la Chiesa nostra madre che ha accolto la mia vocazione, tutti i miei cari, soprattutto quelli che sono già in Cielo, la mia famiglia Passionista, grata per tanto affetto e tanto bene ricevuto, anche per gli ammonimenti, che mi hanno aiutato a crescere nelle virtù e nell’amore a Dio e al prossimo”.

Un grazie speciale esprime al Cardinale Sepe “per tutte le attenzioni che ha sempre mostrato verso il Monastero delle Passioniste di Napoli”.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DELLA XXV DOMENICA T.O. – 24 SETTEMBRE 2017

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XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
DOMENICA 24 SETTEMBRE 2017

Comportarsi in modo degno del Vangelo

Commento di padre Antonio Rungi

Per un cristiano, la prima preoccupazione che dovrebbe avere nei suoi pensieri e nella sua mente è quella della fedeltà al Vangelo.

Non che gli altri uomini non abbiano obblighi; anzi tutti gli esseri umani hanno regole morali da rispettare e che hanno attinenza con l’essere stesso umano e sociale.

Chiaramente per ogni religione scattano specifici doveri ed obblighi per chi veramente sente la propria fede come elemento importante ed essenziale nella vita.

Perciò l’apostolo Paolo, nel brano della seconda lettura della parola di Dio di questa XXV domenica del tempo ordinario, tratto dalla sua lettera ai Filippesi, conclude con questa raccomandazione: “Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo”.

Ma l’apostolo, in precedenza, aveva sottolineato un aspetto importante del suo essere convertito al vangelo di Cristo: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno”.

L’apostolo considera la vita eterna più importante della vita terrena. Tuttavia, egli precisa che “se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere”.

Come dire, è bello pensare ed aspirare al paradiso, all’eternità, ma è altrettanto bello pensare e vivere una vita con frutti spirituali che portano ad accumulare beni per l’eternità.

E, quindi egli si trova in un conflitto interiore che, da un lato, desidera morire e dall’altro gli fa piacere vivere. Infatti dice con estrema lealtà interiore e sincerità del cuore: “Sono stretto  fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo”. Vede, quindi, la sua presenza importante per la comunità cristiana di Filippi, perché necessita della sua guida.

Il vivere e il morire lo sappiamo tutti è nelle mani di Dio. Noi possiamo esprimere dei desideri, degli auspici, ma è il Signore che decide sulla nostra vita e sul momento in cui dobbiamo lasciare questa terra. Se ci siamo ancora è perché Egli vuole così.

E noi cerchiamo di vivere questa vita, che ci ha donato, con il massimo impegno per dare frutti terreni e soprattutto eterni.

In questo contesto del premio, si comprende il bellissimo brano del Vangelo di oggi, che riguarda la chiamata degli operai a lavorare nella vigna di un signore che uscì in diversi momenti del giorno a chiamare le persone a lavorare con lui. Tutti risposero di sì e svolsero al meglio il compito affidato, dal mattino oppure nel tardo pomeriggio, ovvero per molte o poche ore di lavoro. Alla fine della giornata il padrone di casa, che aveva la sua vigna ed aveva assunto part-time o full-time per un giorno i lavoratori, nella sua piena libertà, pagò tutti allo stesso modo. Con i primi assunti fu firmato un accordo, con gli ultimi chiamati, nessuno accordo fu stipulato. Sappiamo come andò a finire quando i primi videro che il padrone diede la stessa somma agli ultimi e li pagò secondo il suo giudizio e la sua libertà di decidere. Infatti nel testo del vangelo, troviamo questa indicazione di comportamento da parte del padrone della vigna, il Quale rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.

La conclusione e l’ammonizione finale del Vangelo di oggi ci fa riflettere molto e ci fa uscire dalle nostre presunte sicurezze di salvezza e di privilegiati della prima ora; per cui questa sentenza evangelica impone a tutti noi cristiani della prima ora o credenti che abbiamo ricevuto la fede da piccoli a non illudersi, perché “gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”. L’arroganza, la presunzione di essere sempre i primi e di avvalersi di una sorte di eredità scontata o diritto alla primazia, viene messa in crisi dal modo di pensare ed agire di Dio. Purtroppo, in tutte le vicende umane, questa primazia e questa superiorità nei confronti degli altri, che arrivano per ultimi o alla fine, determina molti conflitti e gelosie e quando, anche nella chiesa, si scelgono gli ultimi per farli primi, c’è una ribellione e spesso una gelosia, che sfiora la vendetta o la lenta distruzione di chi è stato scelto per ricoprire ruoli e posti, non chiesti e non desiderati. Il rischio è che i primi rimangono eternamente primi, pur non meritando i primi posti, e gli ultimi rimangono eternamente ultimi, pur meritando i primi posti, perché si blocca il potere sui primi e non si guarda mai agli ultimi, intesi, in questo caso, anche come chi ha più bisogno di tutto ed è in necessità di ogni genere.

Ci serva da lezione spirituale e di vero itinerario di fede e di cammino interiore il bellissimo brano della prima lettura di questa domenica, tratto dal profeta Isaia, il profeta dell’umiltà e della disponibilità piena alla parola di Dio: “Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino”.

E poi cambiare davvero vita e convertirsi alla verità e all’onestà: “L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri”.

Chi ha sbagliato “ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona”.

Questo nostro Dio è grande e buono nell’amore e la sua misericordia è infinità, per cui non possiamo sapere effettivamente i pensieri di Dio, né pensare che le nostre strade coincidano con le sue. Spesso non si incontrano, perché noi chiediamo ed aspettiamo dal Signore, ciò che ci è utile, necessario nella vita terrena, Dio offre a noi ciò che è indispensabile per la vita eterna. Chi pensa secondo il mondo, non potrà mai incontrare il Signore, perché i suoi progetti sono di diversa natura, che è quella divina. Noi siamo fatti di carne e pensiamo secondo la carne e non secondo lo spirito.

La nostra preghiera, in questa domenica, sia la stessa che rivolgiamo a Dio con il Salmo 144, inserito nella liturgia della parola di oggi: “Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre. Grande è il Signore e degno di ogni lode; senza fine è la sua grandezza. Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature. Giusto è il Signore in tutte le sue vie e buono in tutte le sue opere. Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità”.

Potessimo, ogni attimo della nostra vita comprendere l’inestimabile valore di rendere lode a Dio in ogni momento del nostro vivere, senza presumere di essere noi il dio, al posto del vero ed unico Dio, che Gesù Cristo ci ha rivelato con il volto della misericordia, della bontà, della tenerezza e dell’amore.

Bello, allora rivolgerci a Lui, con questa preghiera, la colletta della domenica XXV, che ci fa pregare con queste espressioni: “O Padre, giusto e grande nel dare all’ultimo operaio come al primo, le tue vie distano dalle nostre vie quanto il cielo dalla terra; apri il nostro cuore all’intelligenza delle parole del tuo Figlio,  perché comprendiamo l’impagabile onore di lavorare nella tua vigna fin dal mattino”. Amen.

 

NAPOLI. MESSA IN COENA DOMINI AL CENTRO PENITENZIARIO DI SECONDIGLIANO PRESIEDUTA DA P.RUNGI

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Napoli. Al Centro Penitenziario di Secondigliano la Messa in Coena Domini per i detenuti.

Una rappresentanza di detenuti del Centro Penitenziario di Secondigliano ha partecipato questa mattina, Giovedì santo, 13 aprile 2017, alla Messa in Coena Domini, celebrata nella cappella del penitenziario e presieduta da padre Antonio Rungi, passionista della comunità di Santa Maria ai Monti in Napoli.

Presenti alla celebrazione i cappellani del carcere, il diacono, Sebastiano Mazzara, gli assistenti, le suore, i volontari dell’Associazione La Mansarda, presieduta dal professore Samuele Ciambriello, gli agenti della polizia penitenziaria.

La messa è iniziata alle ore 9,30 ed è terminata dalle 10,30. La parola di Dio è stata proclamata dai detenuti così pure la preghiera dei fedeli è stata letta da uno di loro. Per motivi di tempo è stata omessa la lavanda dei piedi, in quanto oggi era giornata di visita dei parenti ai detenuti ospiti del penitenziario.

L’omelia del sacerdote celebrante  è stata incentrata sul tema della speranza, sulla libertà. sull’amore, sul riscatto, sulla misericordia e la voglia di ricominciare.  I detenuti si sono accostati all’ eucaristia, in quanto e sono seguiti dai cappellani che ne curano la vita spirituale e religiosa all’interno della struttura. E sulla figura del cappellano che è incentrata la pastorale carceraria, il cui ruolo è indubbiamente complesso e richiede, oltre ad una particolare preparazione umana e religiosa, la disponibilità a trascorrere del tempo dietro le sbarre per incontrare, parlare e conoscere i detenuti. Ma la presenza del cappellano  non è soltanto legata “all’annuncio di Cristo”, ma ha anche un risvolto di dimensione umana, di conforto morale e di un rapporto personale con il detenuto. Il cappellano si occupa oggi in modo specifico della cura del culto religioso, che comprende la celebrazione della messa (normalmente il sabato e la domenica a sezioni separate) e del sacramento della confessione ma svolge anche  compiti di assistenza sociale e materiale in questo aiutato dai tanti volontari.

Attraverso la sinergia tra cappellani e volontari, e grazie alla generosa solidarietà di tanta gente comune ma anche di enti ed associazioni si riesce a provvedere alle esigenze concrete dei detenuti, soprattutto di quelli più bisognosi, attraverso la raccolta e la distribuzione del vestiario e delle sigarette, attraverso modesti aiuti finanziari alle loro famiglie e assistendoli anche per il disbrigo delle comuni pratiche amministrative.

Sono varie le associazioni cattoliche che collaborano con i cappellani per l’assistenza ai carcerati e sono circa 150 i volontari impegnati tra le due istituzioni penitenziare di Napoli (Poggioreale e Secondigliano) che accolgono complessivamente qualche migliaia di detenuti.

 

P.RUNGI. MEDITAZIONE PER LA DOMENICA DELLE PALME

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DOMENICA DELLE PALME (ANNO A)
DOMENICA 9 APRILE 2017

Palma e Croce i simboli della riconciliazione

Commento di padre Antonio Rungi

Due segni e simboli importantissimi nella liturgia cattolica oggi ci guidano nella riflessione sui testi della parola di Dio di questa domenica delle Palme o di Passione: questi segni sono il ramoscello d’ulivo che benediciamo e che ci scambiamo in segno di pace e la croce, su cui viene inchiodato il salvatore del mondo, nostro Signore Gesù Cristo. L’uno e l’altro segno ci immergono nel mistero della Pasqua e ci offrono l’opportunità di ripensare la nostra vita alla luce di questi due segni distintivi di ogni vero cristiano: la palma e la croce. La palma indica il martirio e la croce è di fatto il martirio. E qui parliamo dell’unico vero martire della storia dell’umanità che è il Figlio di Dio, messo a morte dalla cattiveria dell’uomo. Il vero ed unico innocente della storia oggi si offre a noi nella gioia dell’accoglienza per il suo ingresso in Gerusalemme che, come ci racconta il Vangelo di Matteo, è un’accoglienza festosa e massiccia, data la straordinaria partecipazione del popolo a questo evento di Gesù Messia e Figlio di Davide che entra nella città santa per celebrare la sua nuova, eterna e vera Pasqua.

Nell’esortazione iniziale che il sacerdote rivolge ai fedeli prima della benedizione delle palme ci viene ricordato che l’ assemblea liturgica della Domenica delle Palme “è preludio alla Pasqua del Signore, alla quale ci stiamo preparando con la penitenza e con le opere di carità fin dall’inizio della Quaresima.

Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione”. Ed  un monito ben preciso sul quale è opportuno meditare oggi e nei prossimi giorni, ma soprattutto sempre, specialmente nei momenti della sofferenza e della prova che non mancano in nessuna persona e in tutte le situazioni della vita: Quindi, noi tutti, accompagniamo con fede e devozione il nostro Salvatore nel suo ingresso nella città santa, e chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione”.

Accogliere, accompagnare e condividere, sono i tre verbi e le tre azioni che come cristiani siamo chiamati a vivere in questa domenica delle Palme o di Passione e lo facciamo alla luce della parola di Dio che ci parla del sacrificio di Cristo Crocifisso. Ci aiuta in questo nostro impegno spirituale, la preghiera della colletta di questa speciale domenica: “Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fa’ che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione,
per partecipare alla gloria della risurrezione”.

La prima lettura, tratta dal profeta Isaia, ci presenta l’immagine del messia atteso da Israele con i connotati della sofferenza e dei patimenti. E’ il cantico del servo sofferente di Java scritto dal profeta  Isaia che, tanti secoli prima di Cristo, si immerge nel mistero del dolore e della croce di nostro Signore Gesù Cristo, riportando al centro della nostra preghiera, contemplazione e missione, proprio il Messia Crocifisso: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”. Esattamente tutto quello che patirà Gesù durante il processo, la condanna e il suo viaggio al Calvario, fino a morire sulla croce per l’umanità. E lui non si è tirato indietro, non ha opposto resistenza e come agnello mansueto è andato al Calvario per salvare l’umanità. Egli è l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Egli è Colui che dalla croce si rivolge al Padre per chiedere misericordia e perdono per tutti noi, come ci ricorda il Salmo 21, che Gesù stesso prega sulla croce e fa suo per noi tutti: “Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo. Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori. Si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte. Lungo il calvario, ai piedi del Crocifisso si verificheranno esattamente tutte queste. La scrittura è compiuta in tutto per tutto, anche nei minimi particolari di quanto era stato previsto e preventivato circa il vero Messia e Salvatore d’Israele. D’altra parte San Paolo Apostolo, che viene dalla formazione biblica, sapeva e conosceva benissimo i testi sacri riferiti al Messia attesa da Israele e nel suo celebre inno cristologico della Lettera ai Filippesi, fissato in uno dei testi più ricchi, belli ed espressivi del suo epistolario, parla di Gesù in un modo così esplicito, circa la sua natura e la sua missione, che possiamo utilizzarlo nella nostra catechesi sul mistero della passione e morte in croce del Redentore: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini”. Pertanto, in ragione della sua umiltà e della sua oblazione, “ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre”.

Nel racconto della Passione, tratto dall’evangelista Matteo, possiamo, oggi, andare a fondo del mistero del dolore, della croce e della redenzione che Gesù ha portato a compimento nella sua passione e morte in croce. Dal tradimento di Giuda, fino alla morte in croce, l’evangelista ci porta a vivere l’ultimo giorno della vita di Gesù, partendo proprio dall’ultima cena, condivisa con i discepoli nel cenacolo, durante la quale, Gesù, disse apertamente che uno dei dodici l’avrebbe tradito.  Poi l’istituzione dell’eucaristia come memoriale della sua Pasqua. E a seguire tutti gli altri eventi che contrassegneranno la preghiera nell’orto del Getsemani,  l’arresto, il rinnegamento di Pietro, i vari maltrattamenti, il processo, la condanna, il viaggio al calvario, la crocifissione, la morte in croce, la deposizione dalla croce e la sepoltura, in attesa degli eventi che si speravano e si nutrivano fortemente nel cuore di Maria, la sua tenerissima Madre Addolorata, nei suoi discepoli e nella gente nel cui cuore la sofferenza di Gesù aveva suscitato la fede e una risposta d’amore, come il buon ladrone che chiede al Signore che sta per morire ingiustamente, di ricordarsi di lui quando entrerà nel suo regno. E la promessa, divenuta certezza per lui, della misericordia infinita di Dio e della gloria del paradiso.

Sul grande mistero della morte in croce di Gesù c’è poco da dire, scrivere, commentare, illustrare, specificare, andare nei dettagli, fare esegesi e contestualizzare il tutto al tempo, ai luoghi, alle persone, alle situazioni politiche, geografiche o di altra natura, ma c’è una sola cosa da fare: mettersi in ginocchio, pregare, chiedere perdono e soprattutto chiedere la forza di accettare con santa rassegnazione alla volontà di Dio le nostre piccole o grandi croci, le nostre delusioni, le nostre amarezze, la stessa prova della morte di persone care o a noi vicine che, come Gesù, sono salite sul patibolo del dolore e nel silenzio hanno portato la loro croce, fino a morirci, come Gesù, inchiodate su di essa, senza proferire lamento o ribellarsi ai disegni del Cielo. Gesù Crocifisso sia il nostro costante riferimento e soprattutto il nostro vero ed unico maestro nel vivere e morire in amicizia con Dio.

In questo modo, palma e croce potranno camminare insieme, essere portate nelle nostre mani e sulle nostre spalle, non per liberarcene quanto prima, ma valorizzandole come vie vere di salvezza per noi e per i nostri fratelli, come ci ha dato l’esempio Colui che si è abbassato fino a noi e ha portato la croce per tutti noi, Gesù nostro Signore. Amen.

 

 

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA XXIX T.O. – 18 OTTOBRE 2015

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XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

GESU’ SOMMO ED ETERNO SACERDOTE

INCHIODATO SULLA CROCE PER NOI

Commento di padre Antonio Rungi

Il testo del Vangelo di questa XXIX domenica del tempo ordinario ci immette nel clima del mistero della Passione di Cristo.

Si tratta di un testo chiaro e che riporta parole ben precise pronunciate da Gesù alla presenza dei suoi discepoli che, nei loro discorsi, strada facendo, pensano a distribuirsi i posti più sicuri ed umanamente accattivanti vicino a Gesù, il Maestro. Certo, il Signore vuole tutti i suoi discepoli accanto a se, ma non nella potenza economica e politica di questo mondo. Ci vuole accanto a sé nel momento supremo del suo amore per noi e del suo sacrificio per noi. Ci vuole accanto a lui ai piedi della Croce, insieme a Maria e a Giovanni e forse, con maggiore coraggio, ci vuole accanto a se, come Lui, inchiodati alla croce, inchiodati alle nostre croci.

Ecco il potere regale di Cristo Crocifisso. Ecco il sommo ed eterno sacerdote che è Gesù, che si offre per noi al Padre per riscattarci dai nostri peccati.

Siamo chiamati con Cristo a bere il calice della sofferenza che Egli ha bevuto per la nostra redenzione. Non c’è vero cristiano se non porta la sua croce e segua davvero il Signore.

Purtroppo, non è affatto così. Molti seguono la fede cristiana, senza l’intimo convincimento, cioè che si tratta di ripercorre la strada del Signore, che è anche la strada che porta al Calvario.

Ci sono cristiani che riflettono alla maniera degli apostoli e che si fanno i calcoli, strumentalizzando la stessa fede e la stessa chiesa per finalità umane, economiche, di affermazione, di prestigio.

E ciò non avviene solo tra il clero, i religiosi, i vescovi e a man mano a salire di grado nella scala della gerarchia, ma avviene anche nel laicato cattolico.

Ci sono, infatti, dei laici che invece di servire la Chiesa e Cristo, si servono della Chiesa e di Cristo.

Fanno il discorso utilitaristico e interessato di Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, che chiedono a Gesù, senza falsa modestia: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo. Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Gelosia, invidia, arrivismo, distribuzione egualitaria del potere che Gesù poteva dare loro, secondo una falsa concezione, che si erano fatti del Maestro. Gesù replica con una domanda forte e inquietante:  «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Segue, poi, da parte di Gesù una lezione di straordinaria importanza per tutti, ed è la lezione sul significato dell’autorità, del potere, che va inteso nel senso di servizio, di sacrificio, di rinuncia, di donazione, di croce. Cosa fece allora Gesù? “Li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

Il cuore e il centro dell’insegnamento di Cristo sta in questo servizio, portato fino alle estreme conseguenze di consegnarsi liberamente alla morte e alla morte in croce, come, d’altronde, era stato anticipato dai profeti, a partire da Isaia, con i vari carmi del Servo sofferente di Javhè, che, ovviamente sono indirizzati e mirati sulla figura del futuro vero messia di Israele che è Gesù.

Un messia sofferente, maltratto, umiliato e crocifisso. Non un messia potente da un punto di vista economico e militare, ma l’umile agnello immolato sulla croce in riscatto dei nostri peccati. Leggiamo infatti nella prima lettura di oggi: “Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità”.

L’immagine di Gesù Crocifisso emerge in modo prepotente e chiara davanti ai nostri occhi, davanti alla nostra vita, spesso immersa nel peccato e in cerca di soddisfazioni mondane. Quel Crocifisso che ci parla e ci indica la strada della conversione, dell’offerta sacrificale della nostra vita per la causa del vangelo.

Egli, Gesù, il Sommo ed eterno sacerdote si porge a noi con gli occhi della misericordia e del perdono, con il volto della sofferenza, ma soprattutto con il volto dell’amore redentivo. In questo Sommo ed eterno sacerdote dobbiamo confidare, abbandonarci e sperare, come ci ricorda l’autore della Lettera agli Ebrei che ascoltiamo oggi, come testo della parola di Dio, della seconda lettura di questa domenica: “Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno”.

Accostiamo con fiducia a Gesù Crocifisso e se il suo dolore non suscita in noi neppure una minima contrizione dei nostri peccati, dei nostri errori ed orrori significa che il nostro cuore è molto lontano dalla compassione e dalla misericordia che il Signore ci vuole donare, facendoci riflettere seriamente sul nostro stile di vita che è contrario alla Croce di Cristo.

Ci sia di esempio, in questo cammino di conversione, un grande santo del secolo dei lumi, san Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, di cui oggi ricordiamo il suo passaggio alla gloria del cielo, essendo morto a Roma, nella Casa dei Santi Giovanni e Paolo, al Celio, alle ore 16,45 del 18 ottobre del 1775.

E’ uno dei tanti santi che hanno amato profondamente Gesù Crocifisso, fino al punto tale da esserne infaticabili missionari nell’Italia del secolo che poneva come criterio fondamentale per raggiungere la verità, la sola ragione umane, divenuta il grande tribunale per stabile il vero  dal falso, del bello  dal brutto, il buono dal cattivo.

Gesù, il Crocifisso è questo bene assoluto, perché è un Bene d’infinito amore che si è tradotto con il donare la sua vita interamente per noi.

Egli è davvero il sommo ed eterno sacerdote delle anime nostre, come recitiamo nella preghiera iniziale della santa messa odierna: “Dio della pace e del perdono,  tu ci hai dato in Cristo il sommo sacerdote che è entrato nel santuario dei cieli in forza dell’unico sacrificio di espiazione;  concedi a tutti noi di trovare grazia davanti a te, perché possiamo condividere fino in fondo il calice della tua volontà e partecipare pienamente alla morte redentrice del tuo Figlio”. Amen.

 

RECENSIONE DEL LIBRO DI SAMUELE CIAMBRIELLO “CASTE E CASTIGHI”.

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Napoli. Caste e castighi. Il dito nell’occhio. L’ultimo lavoro di Samuele Ciambriello 

di Antonio Rungi 

“Caste e castighi. Il dito nell’occhio. Linguaggio, indignazione, speranze”. E’ questo il titolo con il quale l’autore, Samuele Ciambriello, ha voluto firmare l’ultimo lavoro della sua molteplice produzione scritta, soprattutto di questi anni. Si tratta di una raccolta di varie riflessioni, a seconda delle ricorrenze, dei fatti e degli avvenimenti locali, nazionali ed internazionali, con le quali  Ciambriello esprime il suo pensiero e la sua posizione, soprattutto in campo politico.  Temi molto cari all’autore, quali: carcere e giustizia; riforma della democrazia e della politica; sport. “Tutti i temi – scrive Ciambriello nell’introduzione – compreso quello sportivo, sono al centro di una tensione, di uno stimolo, di una coscienza critica che più che redimere vuol portare un piccolo contributo al superamento dell’ignoranza, dell’indifferenza. I temi trattati sono tutti verbi e sostantivi che attengono al nostro umano”. Ed aggiunge, mettendo in risalto la finalità dell’opera ed il contenuto stesso dei suoi scritti: “In questa mia raccolta ho condensato aforisticamente una serie di piccole riflessioni sparse suo mio quotidiano on line Linkabile.it e sui social network”.

In sintesi l’opera è un’attenta analisi delle problematiche che hanno attraversato la vita del Ciambriello nel corso della sua molteplicità di ruoli, funzioni ed attività svolte. “Mostro in questo libro tascabile – facendo quasi una confessione pubblica – le mie diverse anime, o i miei diversi percorsi professionali e di vita”, iniziando dall’attività di giornalista, di testimone dei “fatti e misfatti delle caste”, di narratore di storie di vita e di esperienze fatte che non possono restare esclusivo patrimonio culturale, spirituale ed umano dell’autore, ma che egli ritiene opportuno condividere con i suoi lettori ed amici. E’ uno scrivere o meglio parlare ad alta voce su temi cari all’autore, ma altrettanto cari a moltissime persone. Certo non tutto quello che ha scritto è condivisibile, ma lancia, a chi ha davvero “interesse” di riflettere sul mondo di oggi, la sfida di sapere leggere questo nostro tempo e farlo con la dovuta preparazione, con la coscienza retta, con la libertà di pensiero e parola che spesso manca anche nelle menti più eccelse del nostro, omologate su schemi e modi di pensare della classe dominante nei vari campi della cultura, del sapere, della politica, della stessa chiesa e della società.

E’, in poche parole un libro da leggere, perché stimola la critica e la riflessione personale, di cui oggi si ha necessità, visto il sistema di pensiero labile e di una società fluida che di certo e di definitivo non ha nulla. Tutto è opinabile, tutto è messo in discussione, tutto è suscettibile di rettifica, integrazione o negazione. Da qui la necessità, come scrive lo stesso Ciambriello, ricorrendo ad un aforisma di Giovanna Axia, di leggere il libro e di farlo con cortesia, “sapendo che la cortesia è la capacità di far stare bene gli altri”.

Il giudizio più appropriato dell’opera, lo possiamo rinvenire nella prefazione al libro, scritta dal Rettore dell’Università Federico II di Napoli, Gaetano Manfredi, che fissa, in questo significativo passaggio della presentazione della raccolta, la sua idea portante: “Rimbalzando tra sport, politica e cronaca, Samuele Ciambriello svolge un ruolo vitale per la nostra società, esprimendo posizioni anche fuori del coro, senza filtri, veraci e nette, senza l’esigenza di piacere a tutti, con la convinzione di fare la cosa giusta, lasciando solo parlare un’unica coscienza libera, la propria. Il colore ed il dinamismo del testo ammiccano anche al disaccordo. L’autore non è interessato ai giudizi sul merito delle sue idee e sorriderebbe ugualmente divertito vedendo il lettore liberare tra i denti malcelate parole di dissenso o soffocate esclamazioni di consenso”.

D’altra parte, la sua attenzione principale si ferma sulle caste, che diventano veri e propri castighi per la società. Caste di ogni genere e a tutti i livelli, di cui sottolinea che esse “hanno bisogno delle scorciatoie, della logica del tutto e subito, che gli viene richiesto. Un pò di velocità e un po’ di congelamento sembrano le armi più affilate delle corporazioni”.

E quali sono queste caste e corporazioni? L’autore le indica con precisione. “La casta –scrive nella prefazione – non è fatta solo dai politici, ma anche dai grandi ordini professionali, dai dirigenti pubblici e privati, dai magistrati, avvocati, giornalisti, pubblicitari, dal mondo delle curie ecclesiastiche, dai baroni delle Università…”.

Ed una amara costatazione: “La società civile e la chiesa annaspano nel buio, si trovano nel tunnel, spesso in una prigione senza finestre o ore d’aria”. Scrive a proposito della famiglia nella chiesa, apprezzando l’operato di Papa Francesco: “Basta con dogane pastorali e burocrati gestori del sacro che decidono chi è degno di varcare la soglia della Chiesa. La Chiesa non è un castello con un ponte levatoio. In fondo, dove non c’è misericordia e accoglienza non c’è Cristo” (pag. 56).

La raccolta delle varie riflessioni interessa il tempo cronologico che va dal 4 agosto al 20 dicembre 2014. In tutto 109 mini riflessioni o semplici considerazioni che richiedono un’attenta lettura, una preparazione adeguata in campo politico e diciamo anche la passione a leggere ed interpretare fatti ed eventi alla luce della nuove tecnologie della comunicazione di massa ed in particolare della rete telematica.

Vi invito a leggere questo libro e non solo per cortesia, ma per il bisogno di sapere. Scriveva il grande filoso e maestro Socrate, quando l’uomo smette di ricercare e sapere, smette di essere uomo. Il bisogno di sapere non per curiosità, ma per aumentare il livello di cultura e di informazione può essere soddisfatto leggendo questo ultimo lavoro di Samuele Ciambriello, anche se il sapere è limitato ad un periodo di tempo e spazio vitale ben preciso, seconda metà del 2014, ed è limitata ad una sola interpretazione, quella dell’autore, che ha sperimentato sulla sua persone le problematiche che affronta e che, almeno, nella loro valutazione non obbliga mentalmente o moralmente nessuno a condividerle. La libertà di pensiero, parola, espressione, opinione e di stampa è e sarà sempre un patrimonio delle persone davvero libere e davvero preparate. E Samuele Ciambriello rientra tra queste persone. Basta leggere il suo curriculum vitae e la sua storia per capire che ci troviamo di fronte ad una persona che della cultura ha fatto il tema centrale del suo percorso formativo, prima, durante e dopo il suo impegno politico diretto, nel suo partito di riferimento. Giornalista, Samuele Ciambriello è stato presidente del Corecom Campania e componente del Comitato Nazionale Tv e minori. E’ docente di “Teoria e tecnica della comunicazione” all’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” e di “Teoria e tecniche dell’elaborazione scritta dei testi” presso l’Università Link Campus. Nel 2012 ha pubblicato, per i tipi dell’editore Guida, il saggio “Dentro la comunicazione: concetti, modelli e persone”. E’ autore della novella “Dalla Valle Caudina al Vaticano”, pubblicata all’interno della Raccolta “in cò del ponte presso a Benevento” (2014).

E dell’Editore Guida di Napoli è la presente raccolta “Caste e castighi. Il dito nell’occhio. Linguaggio, indignazione, speranze”, pp.202, Napoli, Aprile 2015, costo Euro 8,00, codice 978-88-6866-093-2

 

LA BEATA MARIA CRISTINA BRANDO, SANTA IL 17 MAGGIO 2015

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Casoria (Na). La beata Maria Cristina Brando il 17 maggio sarà canonizzata  

di Antonio Rungi  

La beata Maria Cristina Brando, fondatrice delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato,  domenica, 17 maggio 2015, da Papa Francesco, sarà canonizzata in Piazza San Pietro a Roma. A darne l’annuncio ufficiale è stato lo stesso Papa, oggi, 14 febbraio 2015, durante il Concistoro che si è celebrato nella Basilica Vaticana. Maria Cristina Brando (al secolo Adelaide Brando) nacque a Napoli il 1° maggio 1856. Fin da piccola soleva ripetere spesso: “Debbo farmi santa, voglio farmi santa”. E santa si è fatta davvero, con il riconoscimento ufficiale di questo cammino compiuto nel tempo relativamente breve della sua esistenza di quasi 50 anni. Dopo varie esperienze in diversi istituti religiosi costretta a lasciarli per motivi di salute, nel 1878 si sentì ispirata da Dio a fondare un nuovo istituto, le Suore Vittime espiatrici di Gesù Sacramentato. Nel 1897 la Beata Maria Cristina emise i voti temporanei. Il 20 luglio 1903 la Congregazione delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato ottenne l’approvazione canonica dalla Santa Sede e il 2 novembre dello stesso anno la Fondatrice, insieme con molte suore, emise la professione perpetua. Dopo una breve, sofferta vita, tutta dedicata al culto eucaristico, la Beata Maria Cristina entrò il 20 gennaio 1906 nella vita eterna. “La sua –disse Papa Giovanni Paolo II, in occasione della beatificazione – è una spiritualità eucaristica ed espiatrice, che si articola in due linee come “due rami che partono dallo stesso tronco”: l’amore di Dio e quello del prossimo. Il desiderio di prendere parte alla passione di Cristo viene come “travasato” nelle opere educative, finalizzate a rendere le persone consapevoli della loro dignità e ad aprirsi all’amore misericordioso del Signore”. Il carisma della fondatrice continuano a viverlo le sue figlie spirituali, guidate oggi da Madre Carla Di Meo, e che sono presenti in varie comunità in Italia e nel mondo. Scrive oggi, Madre Carla Di Meo: “Papa Francesco , nel Concistoro di oggi, ha annunciato la data per la canonizzazione di Santa Maria Cristina Brando: 17 Maggio 2015, ore 10,00, piazza San Pietro. Con esultanza ringraziamo il Signore e prepariamoci alla partenza per il grande evento. Ci dobbiamo fare onore perché saremo solo noi italiani, ci saranno due sante della Palestina e una francese, quindi è doveroso una massiccia presenza italiana perché siamo in casa. Confido molto sul vostro contributo e soprattutto sulle vostre capacità organizzative. Domani, 15 Febbraio, alle ore:18,00, solenne celebrazione di ringraziamento presieduta da sua Ecc.za Monsignor Lucio Lemmo, vescovo della diocesi di Napoli. Al termine, ci sposteremo nella villetta in via A. Diaz, ai piedi della statua  di santa Maria Cristina, dove, a perenne ricordo, pianteremo un albero di ulivo e una pianta di edera, simboli che la Beata scelse per lo stemma  dell’istituto. Col cuore commosso e colmo di santa letizia vi invito tutti. Tengo molto alla vostra presenza. Più siamo e più la festa sarà bella”.

Dal bollettino ufficiale della Santa Sede di oggi, leggiamo:

“Al termine del rito di creazione dei nuovi cardinali, il Santo Padre Francesco ha tenuto Concistoro Ordinario Pubblico per la Canonizzazione delle Beate: 

– GIOVANNA EMILIA DE VILLENEUVE, Religiosa, Fondatrice della Congregazione delle Suore dell’Immacolata Concezione di Castres; 

– MARIA DI GESÙ CROCIFISSO (al secolo: Maria Baouardy), Monaca Professa dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi;

– MARIA ALFONSINA DANIL GHATTAS, Religiosa, Fondatrice della Congregazione delle Suore del Rosario di Gerusalemme. 

Di seguito il testo delle brevi biografie delle tre Beate, come presentate nel corso del Concistoro dal Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi : 

1. La Beata Giovanna Emilia De Villeneuve nacque in Francia, a Tolosa, nel 1811. A Castres fondò la Congregazione delle Suore dell’Immacolata Concezione per l’educazione delle bambine e delle ragazze povere, per gli ammalati e per le missioni in terre lontane. Morì di colera il 2 ottobre 1854. Fu beatificata dal Papa Benedetto XVI, nel 2009. 

2. La Beata Maria di Gesù Crocifisso (al secolo: Maria Baouardy) nacque ad Abellin, un villaggio dell’Alta Galilea, presso Nazareth, nel 1846, da genitori arabi. Fu battezzata nella Chiesa Greco-Cattolica Melchita. Fin dalla giovinezza sperimentò molte tribolazioni insieme a straordinari fenomeni mistici. In Francia entrò nel Carmelo di Pau. Per la fondazione di nuovi Carmeli fu inviata in India e poi a Bettlemme, dove morì nel 1878. Fu beatificata dal Papa San Giovanni Paolo II, nel 1983. 

3. La Beata Maria Alfonsina Danil Ghattas nacque a Gerusalemme nel 1843. Ancora quindicenne entrò nella Congregazione delle Suore di San Giuseppe dell’Apparizione. Svolse un intenso apostolato a favore delle giovani e delle madri cristiane. Ebbe una speciale vicinanza mistica alla Madre di Dio. Fondò la Congregazione delle Suore del Santissimo Rosario di Gerusalemme, alla quale appartenne. Morì nel 1927 e fu beatificata dal Papa Benedetto XVI, nel 2009. 

Nel corso del Concistoro, il Papa ha decretato che le Beate: Giovanna Emilia de Villeneuve, Maria di Gesù Crocifisso Baouardy e Maria Alfonsina Danil Ghattas, assieme alla Beata Maria Cristina dell’Immacolata Concezione (al secolo Adelaide Brando), fondatrice della Congregazione delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato – la cui canonizzazione fu decisa nel concistoro del 20 ottobre 2014 – siano iscritte nell’Albo dei Santi domenica 17 maggio 2015.

NAPOLI. E’ MORTO PADRE STANISLAO RENZI, PASSIONISTA

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Napoli. E’ morto padre Stanislao Renzi, passionista

di Antonio Rungi

All’età di 80 anni, da poco compiuti, nelle prime ore del 5 febbraio 2015, a Napoli, nel convento dei padri passionisti di Santa Maria ai Monti è morto padre Stanislao Renzi, religioso della Congregazione di San Paolo della Croce (Passionisti). Padre Stanislao dell’Addolorata (al secolo Tommaso Renzi), di fu Vincenzo e di fu Enrica Fantaccione, era nato a Castrocielo (Fr), nell’attuale diocesi di Sora-Aquino e Pontecorvo, il 20 novembre 1934. Tra i passionisti professa a Falvaterra (Fr) il 22 novembre 1950 e viene ordinato sacerdote a Roma il 31 maggio 1958. Tra i passionisti ha ricoperto molti ed importanti incarichi: consultore alla vita comunitaria e spirituale dal 1972 al 1982, superiore provinciale della Provincia dell’Addolorata (Basso Lazio e Campania) dal 1982 al 1988; consultore generale dal 1988 al 1994; nuovamente superiore provinciale dal 1998 al 2003; vice- provinciale dal 2003 al 2007, durante il provincialato di padre Antonio Rungi; superiore delle case religiose; docente di filosofia al Liceo dei passionisti di Ceccano, direttore dello studentato teologico di Napoli dal 1970 al 1978. In ambito ecclesiale è stato collaboratore della segreteria della Fies, la federazione delle case di esercizi spirituali; consultore in una congregazione vaticana. Ha guidato molti capitoli generali di vari istituti religiosi femminili; redattore della Rivista Tempi dello Spirito, autore di numerosi scritti di vita spirituale. Noto per la sua  esperienza nel campo del governo, era una persona richiesta per le sue competenze. Sacerdote di grande cultura ed umanità, ha posto al centro della sua vita di religioso passionista, e di guida spirituale, il mistero del Cristo Crocifisso e dei dolori di Maria Addolorata. Predicatore di esercizi spirituali, conferenziere, ha lasciato una traccia significativa nella storia della Provincia dell’Addolorata e della Congregazione dei Passionisti. Apprezzato per il suo stile generoso, per la sua affabilità e disponibilità, sapeva coniugare alla serietà del ruolo, quella dell’amicizia sincera. Attaccato profondamente alla Congregazione dei Passionisti di cui è stato uno dei membri più rappresentativi nell’ultimo trentennio, lascia un vuoto profondo nel suo istituto. Da anni soffriva di diabete e si curava per questa malattia. Sorella morte lo ha preso con sé questa mattina, 5 febbraio 2015, nel sonno, addormentandosi serenamente in Cristo, in attesa della risurrezione finale.

I funerali solenni di padre Stanislao Renzi, si svolgeranno, domani pomeriggio, 6 febbraio 2015, alle ore 15.00, nella Chiesa dei Passionisti di Napoli, dove ha trascorso moltissimi anni della sua vita religiosa e sacerdotale, da direttore dello studentato negli anni 70-78, poi da consultore e provinciale negli anni 78-88; poi nuovamente come provinciale negli anni 1998-2003, e negli ultimi due anni, 2012-2014 quando è stato trasferito da Roma, dalla Scala Santa, al Convento dei passionisti di Santa Maria ai Monti in Napoli. Il Signore lo accolga nelle braccia della sua misericordia e gli dia il premio del servo fedele e laborioso.

Ecco uno schema di meditazione sull’attesa del Signore, elaborato dal compianto padre Stanisalo Renzi.

ASPETTARE CRISTO NELL’ATTEGGIAMENTO DEL POVERO
L’attesa che caratterizza l’Avvento presuppone un atteggiamento spirituale:
l’essere poveri davanti a Dio come all’unico Salvatore, all’unica salvezza.

Significato di povero nella Bibbia: mendicante, insignificante, debole, gracile.

Umile: attende tutto da Dio (Maria: lo sguardo del Signore s’è posato sull’umile sua
serva).

La chiave di lettura della povertà è Gesù Cristo: attende tutto dal Padre.
G.C. si fece povero per voi, pur essendo ricco, affinché voi diventaste ricchi grazie
alla sua povertà (2Cor 8,9); così ci viene manifestata la grazia di G.C., misericordia di
Dio a noi partecipata.

Il farsi povero è la kenosis (Fil 2,5-11): svuotamento nell’assumere la condizione
umana e umiliazione nell’obbedienza fino alla morte di croce.
* Gesù è colui che non è e non vive come affermazione assoluta di sé, non fa della
sua vita una “rapina” in funzione dell’affermazione di sé.  Per questo è colui che è
interamente dato via e si mette a servizio degli altri per arricchirli della sua povertà.
* La logica dell’incarnazione: un vuoto che non è destinato a rimanere una
privazione, ma che arricchisce.
G.C. si propone come modello ai discepoli: imparate da me che sono mite e umile
di cuore.
Che cos’è l’umiltà? Ha un carattere relativo alla diversità delle persone e delle
libertà personali.
Non tanto virtù, quanto fondamento di tutte le altre virtù. Sottrarla alla soggettività
e al devozionalismo: essa nasce dal Cristo, maestro dell’umiltà (S. Agostino). = Egli ci
insegna a vivere guidandoci a una realistica conoscenza di noi stessi.
È la coraggiosa conoscenza di sé davanti a Dio, che ha manifestato la sua umiltà
nell’abbassamento del Figlio.
* È una ferita portata al proprio narcisismo: ci riconduce a ciò che siamo in realtà,
al nostro humus, alla nostra creaturalità e così ci guida nel cammino del nostro
divenire homo. “O uomo, riconosci di essere uomo; tutta la tua umiltà consista nel
conoscerti” (S. Agostino).
*Umiltà davanti a Dio: non autoaffermazione, non credersi al centro del mondo,
espropriarsi di sé per essere ricchi di Dio; essa fa dell’uomo il terreno su cui la grazia
può sviluppare la propria fecondità. L’uomo sa di aver ricevuto tutto da Dio e di essere
amato anche nella propria limitatezza e negatività, perciò si abbandona a Lui, vive
della sua misericordia come un mendicante.
= L’umiltà diviene volontà di sottomissione a Dio e ai fratelli nell’amore e nella
gratitudine. È relativa all’amore. “Là dov’è l’umiltà, là è anche la carità” (S. Agostino).
In questo senso è anche elemento essenziale alla vita in comune: “rivestitevi di umiltà
nei rapporti reciproci” (1Pt 5,5); “stimare gli altri, con tutta umiltà, superiori a se
stessi” (Fil 2,3); “non cercare cose alte, ma piegarsi a quelle umili” (Rm 12,16).
Solo così può avvenire l’edificazione comunitaria, che è sempre condivisione delle
debolezze e delle povertà di ciascuno.
Solo così viene combattuto e sconfitto l’orgoglio, che è il “grande peccato” (Sal
19,14) o forse, meglio, il grande accecamento che impedisce di vedere in verità se
stessi, gli altri e Dio.
Oremus del sabato II settimana d’Avvento.
-Più che sforzo di autodiminuzione, l’umiltà è allora evento che sgorga dall’incontro
fra il Dio manifestato in Cristo e una precisa creatura. Nella fede l’umiltà di Dio svelata
da Cristo diviene umiltà dell’uomo.
-Umiltà è accettare l’umiliazione: dagli altri, i più vicini a noi; dalla vita che ci
contraddice e ci sconfigge; accettazione della nostra povertà più profonda (limiti,
debolezze, carattere, egoismo…). Così è luogo per conoscere se stessi in verità e
imparare l’obbedienza come Cristo. “Bene per me se sono stato umiliato, ho imparato
i tuoi comandamenti” (Sal 119,71).

Attendere Cristo-luce
Sorga in noi lo splendore del Cristo
– AT: la nube luminosa (manifestazione della gloria di Dio) si posava sul tabernacolo,
accompagnava il popolo nel deserto, riempiva il tempio
– NT: La luce del volto di Dio splende in tutta la sua bellezza sul volto di Gesù Cristo
– Nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell’uomo (VS)
– Ci è dato comprendere la preziosità della nostra esistenza inserita nel Cristo
Vinca le tenebre del male
– Ci faccia discernere il bene dal male nell’ambiguità del nostro tempo.
– Che la luce del Cristo trionfi sulle potenze sataniche della tenebra (come nell’agonia
e nella morte di Gesù).
– Chiediamo di darci la grazia dell’amore fraterno, che trasferisce dalla tenebra alla
luce (1Gv 2,9).
– Chiediamo di impostare la nostra vita nella verità e non nella menzogna.
– Chiediamo d’essere liberati dagli idoli che ci siamo costruiti.
– Ci riveli al mondo come figli della luce.
– Chiediamo di essere, con la nostra vita, testimoni non solo davanti a Dio, ma anche
davanti agli uomini: di poter compiere opere buone che diano gloria al Padre che è nei
cieli. Queste opere sono soprattutto quelle della carità (cf Mt 25,31-46) e
dell’autentica libertà che si manifesta e vive nel dono di sé. Sino al dono totale di noi
stessi, come ha fatto Gesù che sulla croce «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso
per lei» (Ef 5,25).

Significatività della vita religiosa come singoli e come comunità.
«Se un tempo eravate tenebra — ci ammonisce l’apostolo Paolo —, ora siete luce nel
Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce» (Ef 5,8).
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PASSIONISTI. NAPOLI. E’ MORTO PADRE BRUNO SENOFONTE

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Napoli. Nuovo lutto tra i passionisti della Campania

di Antonio Rungi

Mentre piangiamo ancora la morte di padre Domenico Curcio, da pochi minuti, oggi 26 novembre 2014, è giunta la notizia della morte del noto religioso passionista padre Bruno Senofonte della comunità di Napoli, di 78 anni. Padre Bruno della Vergine del Santissimo Rosario di Pompei era nato a Tocco Caudio (Bn), nell’arcidiocesi di Benevento, il 28 settembre 1936 da Giuseppe e Maria Rosaria Maffei. Tra i passionisti entra giovanissimo e professa i consigli evangelici il 4 ottobre 1953 a Falvaterra, dopo l’anno di noviziato trascorso in questa comunità. Completati gli studi filosofici e teologici veniva ordinato sacerdote il 25 febbraio 1962 a Napoli. Uomo di cultura, docente di Diritto Canonico alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale ha formato alla legge ecclesiastica tanti studenti diocesani, di ordini religiosi e laici. Persona conosciutissima e stimatissima per il suo impegno culturale, sia nella città di Napoli e che in Italia, padre Bruno Senofonte ha fatto scuola nel campo del Diritto Canonico, divenendo una voce autorevole della chiesa in questo campo, specie per quanto attiene il sacramento del matrimonio e il diritto di famiglia. Ha lavorato presso il Tribunale ecclesiastico della Regione Campania e al suo stile si sono ispirati tanti studenti, docenti, poi diventati vescovi e cardinali. Un motivo di onore ed orgoglio per la Congregazione dei Passionisti, specialmente della Provincia religiosa dell’Addolorata. Padre Bruno ha vissuto, per motivi di studio e di insegnamento teologico sempre a Napoli nel Convento dei Passionisti di Santa Maria ai Monti. Per lunghi anni cappellano delle Monache Carmelitane, era un punto di riferimento spirituale per quanti frequentavano il monastero soprattutto di domenica. Per diversi anni è stato anche direttore della nostra Rivista Presenza Missionaria Passionista, passando a me, padre Antonio Rungi, il testimone della direzione nel 1990. Negli ultimi anni, dato la sua malattia, era andato in dialisi (aveva un solo rene) e sistematicamente  si sottoponeva a questa terapia per continuare a vivere nello spirito di San Paolo della Croce. Nella Provincia ha svolto l’ufficio di consultore alla vita comunitaria negli anni 1974-1978. Con padre Senofonte, la nostra Provincia e la nostra Congregazione perde un’altra autorevole personalità umana, sacerdotale e religiosa di questi ultimi 60 anni. I solenni funerali si svolgeranno a Napoli, domani, 27 novembre, alle ore 15.00 nella Chiesa dei Passionisti di Santa Maria ai Monti e subito dopo le sue spoglie mortali saranno tumulate nel cimitero sottostante la chiesa dei passionisti, che lo ha visto per oltre 50 anni protagonista di questa realtà religiosa nel cuore della grande metropoli partenopea. Per diversi anni fu collaboratore di don Arcangelo Paone a Casoria, nella parrocchia di San Paolo Apostolo. Anche qui fu dato a me il compito, padre Antonio Rungi, di proseguire il suo ministero, una volta che lui aveva assunto altri impegni, come l’assistenza spirituale delle Monache Carmelitane dei Ponti Rossi, dove la devozione, allora Serva di Dio ed oggi Beata, Madre Giuseppina Catanea, anche per suo merito, si era diffusa e indirizzata nel giusto solco della spiritualità carmelitana e passionista. Riposi in pace.

A BARBACENA IN BRASILE L’ESTREMO SALUTO A PADRE FERNANDINHO

vitale3.jpgBrasile (Barbacena). Morto il decano dei  missionari passionisti in Brasile: P.Ferdinando Vitale

 

di Antonio Rungi

 

Il giorno 3 novembre 2013, in Brasile, a Barbacena è morto, all’età di 99 anni, Padre Ferdinando della Sacra Famiglia (Giuseppe Vitale), nato a Caivano (Na) il 23.11.1914, e professato tra i passionisti,  a Paliano (Fr) il 11.11.1933, ordinato sacerdote a Paliano (Fr) il 03.06.1939.

L’esemplarità di questo sacerdote di origini napoletane sta nel suo zelo missionario, vissuto con lo stesso spirito degli inizi per 60 anni continuativamente. Persona semplice, umile, gioiosa ha vissuta la sua esperienza di missionario passionista in una terra, quella brasiliana, dalle grandi problematiche umane e sociali, portando il suo contributo di idee di impegno di vita cristiana, ovunque è stato. Era dalla parte dei poveri, ha vissuto con i poveri  e tutto faceva per i poveri. I progetti sociali per i bambini sono stati il suo impegno prioritario nello Stato di Minas Gerais e di Espirito Santo in Brasile. Tante le città e i luoghi che hanno visto la sua opera missionaria in 60 anni ininterrotti, seguendo l’iter umano e formativo di intere generazioni di bambini, genitori brasiliani sprovvisti del necessario. Uomo di preghiera, ma soprattutto di carità fattiva e generosa, che impegnava il suo tempo per trovare soluzioni immediate per la sopravvivenza di tanti bambini. Suo impegno quotidiano, negli anni in cui ha operato a Barbacena, era quello di girare per le panetterie e ritirare, ogni giorno, il pane non venduto, che gli veniva dato gratuitamente per poi distribuirlo subito ai bambini, quando tornavano a casa dopo la scuola.

I solenni funerali sono stati celebrati oggi a Barbacena, presso il Projetto Devida, di cui una parte dell’intero complesso è stato intitolato alla sua persona e al suo impegno carismatico in questa zona a ovest di Belo Horizonte.

Molte le opere realizzate in varie città del Minas Gerais a Colatina, Barra Sao Francisco, tra chiese, opere sociali, dispensari. I bambini e la famiglia erano al centro del suo cuore e con l’affetto e la tenerezza del sacerdote napoletano portava avanti le varie iniziative confidando molto sulla provvidenza. Nei suoi viaggi di spostamento da una zona all’altra della missione utilizzava una mula, alla quale aveva dato il nome di “Peppinella”. Persona umile, distaccata dai beni della terra, ha vissuto con semplicità e nella massima povertà il vangelo della carità e della solidarietà. Per venire incontro alla formazione umana, culturale e lavorativa della gente dei luoghi ove ha operato da missionario, avviò corsi di formazione di ogni genere, da quello in campo edile a quelli più impegnativi nel settore dei servizi. Nel suo amato Brasile era arrivato con altri missionari passionisti della Provincia religiosa dell’Addolorata, comprendente il Basso Lazio e la Campania, alla fine del 1953, dove è rimasto per 60 anni, fatto eccezione per le poche volte che veniva in Italia, non solo per rivedere confratelli, parenti e conoscenti, ma specialmente per chiedere aiuto e sostegno per i suoi tanti bambini considerati dei figli, bambini presi dalla strada, senza genitori e senza parenti diretti che poi venivano accuditi in tutto nei progetti sociali, che sono stati i luoghi privilegiati dei missionari passionisti nei due Stati brasiliani dello Espirito Santo e del Minas Gerais in 60 anni di presenza. Una presenza che si è allargata ed ampliata con molte vocazioni alla vita sacerdotale e religiose    , dovute alla promozione vocazionale di P. Ferdinando Vitale, un vero maestro di vita spirituale, apostolica e missionaria e un saggio direttore all’intero e all’esterno della Congregazione dei Passionisti, di cui andava orgoglioso.

 

La testimonianza di padre Giovanni Cipriani, un suo confratello missionario in Brasile.

 

“Eu sou do partido do TP… (Tapa Buraccos)”. Quem não escutou essa frase da boca do Pe. Fernandinho? Era sua maneira de intender e viver a vida missionária: humildade e disponibilidade. Sempre pronto para consolar, ajudar, curar as feridas do coração.

Padre Fernando (carinhosamente chamado de Fernandinho) nasceu em Caivano, perto de Nápoles, na Itália, no dia 23 de novembro de 1914, filho de Ferdinando Vitale e Maria Paone Vitale.

Escolheu ser missionário. Emitiu seus primeiros votos na Congregação Passionista, em Paliano, no dia 11 de novembro de 1933 e foi ordenado sacerdote em Nápoles no dia 3 de junho de 1939.

Foi diretor do seminário e professor de matemática na Itália.

Aos 39 anos de idade, deixou a Itália e partiu, de navio para o Brasil. Aos 7 de novembro de 1953, desembarcou no Rio de Janeiro.

Ficou um tempinho em Jardim América, Cariacica – ES. Em fevereiro de 1954, foi para São Silvano, Colatina – ES e depois para Barra São Francisco – ES.

Com seu incansável espírito missionário próprio de São Paulo da Cruz, associado ao modo alegre, jovial e enérgico próprio dos napolitanos, foi o desbravador do norte do estado do Espírito Santo até a divisa de Minas Gerais (Barra de São Francisco, Ecoporanga, Mantenópolis, etc.).

Neste tempo tudo isso era feito no lombo da Peppinella, sua mula de estimação.

Por onde passava realizava com os povos carentes uma contínua promoção da vida humana, além da evangelização. Em Barra de São Francisco promoveu diversos cursos (crochê, tricô, carpintaria, marcenaria e eletricista); foi inspirador da Escola Família Agrícola e fundou o Seminário Passionista (1970). Construiu a Igreja Matriz da cidade, juntamente com os padres Alfredo e Daniel.

Em 1962, volta para São Silvano, Colatina – ES. Aqui também, sua marca é o ânimo missionário, a preocupação com as questões sociais, a profunda vida de oração. Sempre disponível à serviço da Igreja e da Congregação, através de uma vida simples e modesta.

Esse olhar a realidade com os olhos compassivos de Jesus, leva o Pe. Fernandinho a ‘inventar’ algo para acolher as crianças pobres.

Em 1963, recebeu as Irmãs Passionistas em São Silvano para atender as crianças carentes. E em 1984, funda a Creche Santo Antônio, em São Silvano. A partir desta data a Creche acolhe centenas de crianças carentes do bairro.

Em 1983, celebrando os 30 anos de chegada dos Passionistas em Colatina, no dia 29 de outubro, em São Silvano, Pe. Fernandinho celebra os 50 anos de profissão religiosa. Nessa ocasião ele recebe o título de “Cidadão Colatinense”.

Em 1995, Pe. Fernandinho é transferido para o seminário passionista de Ilhas das Flores, Vila Velha – ES, acompanhando as comunidades da paróquia de Paul.

Continua seu trabalho em Jardim América e Belo Horizonte.

Em 1999, ele chega em Barbacena, aonde esta funcionando o Projeto Devida, acolhendo as crianças carentes.

Mantendo o mesmo espírito missionário, profético, continua seu trabalho junto as comunidades pobres e crianças carentes do “Projeto Devida”.

E mesmo de idade avançada, seu espírito nunca perde a criatividade para praticar a caridade evangélica e ajudar os pobres. Todos os dias podíamos ver ele ir nas padarias, recolher o pão do dia anterior, carregá-lo nas costas, levá-lo até a casa e distribuí-lo aos pobres que estavam já esperando.

É a caridade que faz milagres!

Em 23 de novembro de 2003, inaugurando o 3º bloco do Projeto Devida, é descoberta uma placa colocada no centro missionário: “Centro missionário passionista Pe. Fernando Vitale”.

Pois, Pe. Fernandinho foi um ardoroso missionário, e por onde passava, deixava marcas profundas.

Talvez sua maior marca tenha sido a alegria de viver: sempre sorrindo, cantando, brincando…

Sempre foi muito trabalhador e, mesmo com a idade avançada, não tinha restrições para celebrar, visitar doentes, ajudar os pobres.

Pe. Fernandinho faleceu às 21h15 do dia 3 de novembro de 2013. Enquanto os irmãos passionistas do Vicariato Nossa Senhora da Vitória, a cidade de Barbacena, os amigos estavam já preparando a celebração dos 99 anos de vida (dia 23).

Ele deixa tanta saudade e inúmeros exemplos de vida missionária. Pe. Fernandinho não era um teórico da missão e da caridade. Ele era um praticador… e sempre com tanta humildade e pouco falar…

E quando alguém destacava seu espírito missionário, ele respondia, quase alterado: “o que estou fazendo de particular? Estou fazendo semplicemente o que Jesus pede aos seus discípulos, e nada mais…”

Obrigado, querido e saudoso Fernandinho.

Descanse em paz agora, vocês que nunca tinha tempo para descançar