MILANO

Papa Benedetto XVI. No alla cultura della menzogna e della calunnia. Condanna senza appello dei calunniatori e dei menzognieri

1338392246141_stendardo_sul_duomo_OK.jpgCon il battesimo siamo “uniti a Dio in una nuova esistenza, apparteniamo a Dio, siamo immersi in Dio stesso”. Lo ha ricordato Benedetto XVI aprendo ieri sera, 11 giugno 2012, nella basilica romana di San Giovanni in Laterano, l’annuale Convegno ecclesiale pastorale della diocesi di Roma, che ha per tema “Andate e fate discepoli, battezzando e insegnando (Mt 28, 19-20). Riscopriamo la bellezza del Battesimo”. “Prima conseguenza del battesimo”, ha sottolineato il Papa in una catechesi tenuta interamente a braccio, è “la centralità di Dio nella nostra vita”, ovvero Dio “non è una stella lontana, ma l’ambiente della mia vita”. In secondo luogo “divenire cristiani non è qualcosa che segue dalla mia decisione. Certo, anche la mia decisione è necessaria”, ma è Dio che “mi prende in mano e realizza la mia vita in questa nuova dimensione”. “Essere fatti cristiani da Dio – ha precisato – implica questo mistero della Croce: solo morendo al mio egoismo, uscendo da me stesso posso dirmi cristiano”. Terza conseguenza del battesimo, ha annotato il Pontefice, è l’unione “ai fratelli e alle sorelle”, poiché “essere battezzati non è mai un atto solitario”. Il rito sacramentale, ha evidenziato, “si compone da due elementi, la materia – acqua – e la parola”. “Il cristianesimo non è qualcosa di puramente spirituale”, ha aggiunto, ma “una realtà cosmica”, “la materia fa parte della nostra fede”. Ha aggiunto Papa Benedetto: “Rinunce, promesse e invocazioni” compongono la liturgia battesimale. “Non sono solo parole, ma cammino di vita. In esse – ha puntualizzato papa Ratzinger – si realizza una decisione, è presente tutto il nostro cammino battesimale”. “Il sacramento del battesimo non è un atto di un’ora, ma un cammino di tutta la nostra vita”, “siamo sempre in cammino battesimale e catecumenale”. Benedetto XVI ha quindi riflettuto sulla “dottrina delle due vie”, che si esprime con il triplice rinunzio e il triplice credo. Un tempo “le seduzioni del male” venivano chiamate “la pompa del diavolo”. Erano “soprattutto i grandi spettacoli cruenti, dove la crudeltà diventa divertimento”. Ma oltre a questi s’intendeva “un tipo di cultura nel quale non conta la verità ma l’apparenza, l’effetto, la sensazione, e sotto il pretesto della verità in realtà si distruggono uomini”. “Conosciamo anche oggi – ha puntualizzato il Papa – un tipo di cultura dove non conta la verità, anche se apparentemente si vuole far apparire tutta la verità. Contano solo la sensazione e lo spirito di calunnia e distruzione. Una cultura che non cerca il bene, in cui il moralismo è una maschera in realtà per confondere, per creare distruzione e confusione”. “Contro questa cultura dove la menzogna si presenta sotto la veste della verità e della diffamazione, contro questa cultura che cerca solo il benessere materiale e nega Dio diciamo no”.
Ha sottolineato inoltre che vi è poi la rinunzia al peccato, e se oggi si contrappone la libertà all’osservanza dei comandamenti, “in realtà questa’apparente libertà diventa subito schiavitù”. Terza, la rinunzia a Satana, perché “c’è un sì a Dio e un no al potere del maligno”. Benedetto XVI ha presentato il simbolo dell’acqua mostrandone i due significati. “Da una parte fa pensare al mare, soprattutto al mar Rosso”, e qui si presenta come morte “per arrivare a una nuova vita”. Il battesimo “è morte a una certa esistenza e rinascita a una nuova vita”. Contrapposta alla morte è la vita, e l’acqua richiama la fonte, “origine di tutta la vita”. Infine, a chi s’interroga se sia giusto battezzare i bambini, o sia meglio “fare prima il cammino catecumenale”, “queste domande – ha risposto il Papa – mostrano che non vediamo più nella vita cristiana la vita nuova, la vera vita, ma una scelta tra le altre, anche un peso che non si dovrebbe imporre senza avere il consenso del soggetto”. Ma “la vita stessa ci viene data necessariamente senza consenso previo”. La domanda, quindi, sarebbe: è giusto dare la vita senza che il nascituro abbia la possibilità di decidere? “È possibile e giusto – ha da ultimo risposto papa Ratzinger – soltanto se con la vita possiamo dare anche la garanzia che questa vita è buona e protetta da Dio, è un vero dono”.

La Festa annuale di Sant’Antonio di Padova 2012

DSC03439.JPGLo scorso anno per la prima volta nella mia vita visitai i luoghi della nascita, dell’infanzia e della gioventù di Sant’Antonio di Padova. A Lisbona e poi a Coimbra tutto parla di lui, come in Italia e in ogni parte del mondo Sant’Antonio rappresenta il santo dei santi, il santo dei miracoli, il santo più conosciuto ed invocato, il santo più amato e taumaturgo. Un santo unico, un santo eccezionale, un santo straordinario, un santo dotto, asceta, mistico, profetico, evangelizzatore, biblista, un santo in cui Dio ha racchiuso tanti doni per il bene della chiesa e dell’umanità, di quell’umanità assetata di verità e di vera solidarietà. Ecco perché Antonio è anche il santo dei poveri, della carità, della misericordia, della gioia, della sapienza che nasce da Dio es si alimenta nel cuore di chi cerca Dio. ANTONIO da Padova,santo,DSC03438.JPG nacque intorno al 1195 a Lisbona, deve l’appellativo col quale è universalmente conosciuto alla città italiana che l’ospitò negli ultimi anni della sua vita e che ora ne custodisce le reliquie. Di famiglia della piccola nobiltà militare, fu battezzato nella cattedrale lisboeta, vicino alla quale sorgeva la casa paterna, col nome di Fernando, che volle cambiare in Antonio indossando l’abito francescano. Fanciullo frequentò la scuola della cattedrale e in età giovanile (circa 1210) entrò fra i canonici regolari di S. Agostino, dimorando circa due anni nel monastero di S. Vincenzo presso le mura di Lisbona. A sua richiesta fu trasferito al celebre monastero di Santa Croce in Coimbra, uno dei migliori centri culturali del Portogallo. Vi rimase nove anni attendendo a quella formazione spirituale e scientifica, specialmente biblica e teologica, che rivelò in seguito dalla cattedra, dal pulpito e negli scritti. Probabilmente in questo tempo fu ordinato sacerdote. Il giovane Fernando, cresciuto nel clima della riconquista della penisola iberica dalla dominazione araba, nella venerazione delle reliquie dei cinque protomartiri francescani, uccisi per la fede nel Marocco il 16 genn. 1220, che l’infante don Pedro aveva fatto trasportare a Coimbra nello stesso anno, maturò il progetto di convertire i musulmani al cristianesimo. Poco dopo Fernando entrava nell’Ordine minoritico accolto dai frati del piccolo convento conimbricense di Sant’Antonio dos Olivais, donde, nell’autunno del 1220, partì missionario per il Marocco. Ivi giunto si ammalò e, trascorso l’inverno, s’imbarcò per tornare in Portogallo, ma i venti contrari spinsero la nave sulle coste della Sicilia: A. non sarebbe più tornato in patria. Il 30 maggio 1221 era ad Assisi al capitolo generale del suo Ordine; s. Francesco, estenuato dal viaggio in Oriente, parlò ai convenuti. A., sconosciuto a tutti, vide partire i suoi confratelli con i loro superiori per le diverse destinazioni; pregò il provinciale di Romagna, frate Graziano, di prenderlo con sé e fu esaudito. Destinato all’eremo di Montepaolo (Forlì), in una caverna adattata a cella condusse aspra vita di asceta, rigorosamente sottratto dal mondo e poco noto agli stessi confratelli, che lo avevano compagno solo negli esercizi di vita comune. Obbligato per obbedienza a parlare durante un’ordinazione sacra tenuta a Forlì, improvvisò un discorso che ai convenuti parve mirabile per chiarezza d’esposizione e profondità di sapere. Fu quello il principio di una incessante attività che A. condusse fino alla morte, predicando al popolo e, primo dei francescani, insegnando teologia ai giovani frati dell’Ordine con approvazione dello stesso Francesco. Esplicò il magistero a Bologna, predicò nell’Italia settentrionale, prima accolto ostilmente dagli eretici catari, in seguito ascoltato con attenzione da tutti.

A Rimini – forse nella quaresima del 1222 – convertì Bonillo, uno dei capi dell’eresia. Passato nella Francia meridionale, continuò l’opera di evangelizzazione di s. Domenico tra gli Albigesi della Provenza e Linguadoca. Predicò in molte città e borgate, tra le quali Bourges, Saint-Junien, Brive, Arles e Limoges, tenendo conferenze al clero e disputando pubblicamente con gli eretici. Ad Arles partecipò al capitolo dei francescani della provincia di Provenza. Insegnò a Tolosa, Montpellier, Puy-en-Velay, fu custode di Limoges, dove nell’anno 1226 ottenne una nuova casa per i frati.

Convocato il capitolo generale da frate Elia per il 30 maggio 1227 – Francesco era morto il 3 ottobre dell’anno precedente – A. con ogni probabilità vi prese parte in qualità di custode di Limoges. Certamente era in Italia dopo la Pasqua del 1227. Eletto ministro provinciale dell’Italia superiore, continuò a predicare e scrisse i Sermones dominicales.Va comunque notato che dal 1227 al 1230 i dati biografici sono pressoché nulli: noi non sappiamo quale posizione abbia assunto – e se l’abbia assunta – A. nella questione gravissima per l’Ordine della divisione tra zelanti e mitigati, né ci risulta con precisione in quali circostanze abbia predicato per il papa. Nel marzo 1228, era a Roma, forse per affari del suo Ordine presso la curia papale. Invitato da Gregorio IX, predicò alla sua presenza e dei cardinali; il papa lo definì “Arca del Testamento e scrigno delle Sacre Scritture”. Pare che abbia predicato a Firenze durante l’avvento di quell’anno e la quaresima del successivo, per incarico del ministro generale dei francescani Giovanni Parenti, passando poi ad evangelizzare le Marche.

Sul finire dell’anno 1229 era a Padova. Durante l’inverno 1229-30 scrisse i Sermones in solemnitatibus Sanctorum,assecondando le preghiere di Rolando dei Conti, cardinale d’Ostia (poi Alessandro IV). Nel capitolo generale del 1230 fu sollevato dal governo della provincia e si dedicò più intensamente all’apostolato della parola. Dalle controversie con gli eretici passò all’opera di pacificazione delle fazioni patavine e ad una energica azione contro l’usura. La predicazione quaresimale di Padova del 1231 fu un trionfo per A.; le fonti biografiche ci parlano d’innumerevoli folle che accorrevano ad ascoltarlo; i reggitori del Comune di Padova, persuasi dalla parola di A., modificarono lo statuto in favore dei debitori non fraudolenti. Si adoperò per liberare dalla prigione di Ezzelino III da Romano il conte Rizzardo di San Bonifacio e altri capi guelfi, caduti nelle mani del condottiero dei ghibellini un anno prima, ma – nonostante quanto affermato da leggenda – la missione non sortì alcun esito.

Continuò l’apostolato nelle campagne fino alla mietitura, indi si ritirò a Camposampiero, non lontano da Padova, presso l’amico conte Tiso, che vicino alle mura del suo castello aveva eretto un piccolo romitorio per i francescani. A. si fece costruire una celletta su un grosso noce e passò in contemplazione gli ultimi giorni della sua vita. Attaccato violentemente dall’idropisia, sentendosi prossimo alla fine, si avviò alla volta di Padova, desiderando morirvi. All’Arcella, nei dintorni della città, si aggravò e i suoi compagni lo trasportarono nella casa dei frati cappellani delle monache clarisse. Ivi morì, dopo aver ricevuto i Sacramenti, il 13 giugno 1231. Undici mesi dopo, il 30 maggio 1232, il pontefice Gregorio IX lo proclamò santo nella città di Spoleto.

Il suo culto si diffuse assai rapidamente, grazie alla fama di taumaturgo, e dal sec. XVI è diventato universale. Nell’Ordine francescano A. ebbe sempre l’ufficio liturgico dei dottori della Chiesa, che Pio XII, con il breve Exulta Lusitania del 16 genn. 1946, confermò ed estese alla Chiesa universale. Subito dopo la canonizzazione di A. incominciarono in Padova i lavori per il tempio dedicato al nuovo santo, durati circa due secoli. Alla fabbrica e agli ornamenti contribuirono generazioni di artisti, non pochi di grande valore. Nel 1263 vi furono traslate le sue reliquie alla presenza del francescano s. Bonaventura da Bagnoregio, allora ministro generale dell’Ordine.

Opere e pensiero.Fuori di discussione è l’autenticità dei Sermones dominicales per annum, Sermones in laudem Beatissimae Mariae Virginis e Sermones in solemnitatibus Sanctorum,attestata dalla Legenda prima o Assidua e dalla concorde attribuzione ad A. di 13 manoscritti dei secc. XIII-XIV. A questi soli ci richiamiamo per l’esame del suo pensiero. Invece gli è fortemente contestata la paternità della Expositio in Psalmos,che per più di un secolo fu conosciuta sotto il suo nome.

L’opera fu pubblicata a Bologna nel 1757 da A. Azzoguidi, che la trasse da un ms. mutilo, tuttora conservato in quella città, falsamente creduto autografo di A. dall’editore e da altri. Scoperte del nostro secolo hanno posto in luce diversi codd. della Expositio, parte dei quali anonimi, altri col nome del francese Jean Algrin d’Abbeville (Ioannes de Abbatisvilla), nessuno con quello di Antonio. Di conseguenza, non pochi critici danno per certa l’Expositio all’Abbeville, contemporaneo di A., più anziano di lui e sicuro autore di opere sulla Bibbia. Tuttavia non mancano studiosi che o dubitano della legittima paternità di Jean d’Abbeville sull’opera o stanno decisamente per Antonio. I saggi sui rapporti stilistici e dottrinali della Expositio con scritti genuini dei due autori non convincono. Inoltre bisognerà tener conto di possibili dipendenze intercorse fra A. e l’Abbeville o da fonti comuni. Senza nessun fondamento sono state attribuite ad A. molte altre opere non sue. A. mirava a prestare ai predicatori, specialmente francescani, un materiale di studio che servisse al loro apostolato durante tutto l’anno liturgico.

Il sermone antoniano mentre rivela una adesione completa agli schemi tradizionali fissati per l’oratoria sacra, thema, prothema,detto da A. “thema concordans”, lascia intravedere, talvolta, con il gusto per lunghe, tipiche digressioni etimologiche, una caratteristica propensione a ricavare significati morali – che sono quelli più scopertamente ambiti dall’oratoria antoniana – dai nomi di animali, o da fatti naturali, con dipendenza diretta, parrebbe da Solino, oltre che dalle fonti tradizionali costituite dal De bestiis et aliis rebus attribuita a Ugo di S. Vittore e dalle Etymologiae isidoriane. Le fonti di A. sono essenzialmente patristiche: cita con frequenza Agostino, che deve essergli stato il più familiare durante gli anni della sua formazione scientifica. Agostiniane sonole sue posizioni sulla grazia e già si avverte in luila preferenza per certe dottrine teologiche relative a Cristo e alla Vergine, che la scuola francescana svilupperà. Ma in lui le trattazioni morali hanno assoluta prevalenza su quelle speculative. Ciò deriva dal fine delle opere di A. e dall’atteggiamento fondamentale della prima predicazione francescana: morale per altro fondata sulla meditata conoscenza delle Scritture. A. analizza con molta acutezza i vizi capitali, riprova duramente l’usura, la rapina, il furto e la simonia, Tratta con mirabile chiarezza del sacramento della penitenza. La sua ascetica si parte dalla purificazione del peccato ottenuta con la confessione e si affina con l’esercizio della virtù: povertà, castità, obbedienza, umiltà, alle quali la giustizia è corona. È sempre necessaria, durante l’ascesi, la preghiera costante. Centri di devozione sono l’Umanità di Cristo, l’Eucarestia, la Passione di Gesù, la Vergine. Vertice della vita ascetica e principio della mistica è la perfetta carità, geminata nell’amore di Dio e del prossimo. La buona conoscenza che A. ebbe dei grandi mistici occidentali, Agostino, Gregorio e Bernardo, gli ha consentito di trattare con sicurezza quasi tutti i problemi della mistica; l’esperienza personale, poi, ha conferito un tono di originalità alle note su tale argomento sparse in numerosi sermoni. Al contrario di quanto si era pensato fino ai decisivi studi del nostro tempo, A. non rivela tracce della difficile e astratta elaborazione dello pseudo Dionigi Areopagita, nonostante sia stato in rapporti di amicizia col qualificato commentatore di questo, Tommaso Gallo, abate di Vercelli. A. divide il cammino spirituale nei tre gradi ormai classici, degli incipienti, dei proficienti e dei perfetti.

Pare che A., oltre alla contemplazione passiva, ammetta anche l’attiva, poiché parla di mezzi umani per conquistarla. Ma è difficile interpretare sempre giustamente i sensi che egli attribuisce alla parola contemplatio,cioè stabilire se parli di considerazione del riflesso di Dio nelle sue opere, di meditazione semplice, o infine di vera contemplazione; e se la mentis elevatio siidentifichi per lui con la contemplazione acquisita, o sia invece il grado più basso, rispetto alla mentis alienatio,di quella infusa. Nel pensiero di A. la contemplazione passiva non dipende dall’arbitrio del contemplante, ma dalla disposizione del Creatore, cioè è dono gratuito; è atto transeunte, non abito permanente. Secondo l’opinione più comune, egli ammette la vocazione remota alla contemplazione di tutti gli uomini da parte di Dio.

Altri aspetti della sua mistica anticipano le teorie di s. Giovanni della Croce sulla notte mistica dei sensi. A. asserisce che l’oggetto primario della contemplazione è l’Unità e Trinità di Dio, secondario, ma spesso primario in ordine di tempo – e quasi esercizio per ascendere all’antecedente – l’Umanità del Cristo mediatore. Complessivamente, A. incarna l’ideale di contemplazione e azione degli Ordini mendicanti del suo secolo e quello di maestro e predicatore popolare. Spinto da necessità altrui a scrivere, egli si rivelò provvisto per questo compito di una vasta cultura nelle scienze sacre, che filtrò accuratamente, evitando discussioni di scuola, e adattò in stile personale, ma sempre comprensibile a chi doveva usare i suoi sermoni. Nell’oratoria sacra egli ha realizzato il felice innesto della prima predicazione francescana, semplice, cordiale, rivolta ad inculcare al popolo precetti morali, con quella dotta, retorica, regolata da precetti d’arte dei maestri in teologia del suo tempo. Della prima mantenne il calore affettuoso e l’amore agli insegnamenti pratici, dalla seconda mutuò la tessitura dello schema, la ricca argomentazione d’autorità e la forza apologetica contro gli eretici.

Le opere di A. ebbero numerose edizioni: Sermones dominicales,Parigi 1520, Venezia 1574; Sermones in solemnitatibus, Avignone 1648, ibid. 1734, Padova 1883; Sermones in laudem et honorem B. V. M.,Padova 1885; Sermo de Assumptione B. V. M., ibid. 1902; Opera omnia, Parigi 1641, con le seguenti ristampe: Lione 1653, Ratisbona 1739, Parigi 1889 in Medii Aevi Bibl. patristica,series I, coll. 449-1286.

Mancano nell’Opera omnia i Serm. in laud. et hon. B. V. M.;invece ci sono molte opere spurie. Le dette ediz. sono largamente superate dall’unica veramente attendibile: S. A. Patavini thaumaturgi incliti Sermones dominicales et in solemnitatibus,quos… edidit notisque et illustrationibus locupletavit A. M. Locatelli, 3 voll., Padova 1895-1913, condotta sul ms. esistente nel tesoro della basilica del Santo (Padova), certamente del tempo di A., e con postille che si ritengono di sua mano. Fu continuata da G. Munaron, G. Perin, e M. Scremini.

Iconografia. Per quanto riguarda la vastissima iconografia di A., unico dato costante per la sua identificazione è che egli veste sempre l’abito francescano. Gli attributi invece subirono notevoli variazioni. I più antichi ritratti lo rappresentano col libro in mano (Berlinghieri, Gall. dell’Accademia, Firenze). Dal 1394 con la fiamma (Agnolo Gaddi, chiesa di S. Croce di Firenze) o la fiamma e il libro (Taddeo Gaddi, Pinacoteca di Perugia). Alla fiamma qualche volta pittori del centro Italia sostituiscono il cuore (Fiorenzo di Lorenzo, Pinacoteca di Perugia). Prima della metà del sec. XV A. compare con il giglio in mano (Ignoto, Libro di entrata e uscita dal 1434-35, Padova). Il Liber Miraculorum racconta che A. tenne l’Infante fra le braccia, questa visione sarà motivo di numerose opere di artisti spagnoli del sec. XVI o che hanno lavorato in Spagna (V. Carducci, Ribera, Murillo) e di barocchi tedeschi (Zeiller, Knoller). In altri il Bambino è presentato dalla Madre ad A. (Rubens, Van Dyck, Dolci). Il giglio e il Bambino, o soli o insieme, sono ormai i simboli che distinguono la figura di Antonio. Oltre che in figura isolata o con altri santi, non pochi artisti hanno dipinto o scolpito cicli di fatti della vita di A., ispirandosi di preferenza al Liber Miraculorum.

Si ricordino anche le due vetrate trecentesche della cappella di S. Antonio nella basilica inferiore di S. Francesco in Assisi. Nel sec. XV si hanno gli affreschi di Lorenzo da Viterbo e scuola in S. Francesco di Montefalco, e di Benvenuto di Giovanni nel duomo di Siena. Di eccezionale valore artistico sono i quattro bassorilievi in bronzo di Donatello dell’altare della basilica del Santo in Padova, i primi del ciclo dei miracoli, che poi fu continuato da Bartolomeo Bellano, Tullio e Antonio Lombardo, Sansovino e altri. Ancora in Padova, nella Scuola del Santo, si ispirano ai miracoli gli affreschi di Tiziano e aiuti; e a Bologna, nella basilica di S. Petronio, quelli di G. Pennacchi.

 Fonti e Bibl.: Legenda prima o Assidua,scritta in Italia da un ignoto frate minore poco dopo il 30 maggio 1232. Tardive aggiunte a questa Legenda si hanno nei mss. di Lucerna (circa 1303), Padova, Parigi e Ancona. Edita da Fortunato di s. Bonaventura, Vita et miracula s. A. Olyssiponensis,Coimbra 1830, poi in Portugalliae monumenta historica, Scriptores,I, pp.116-130, Olisipone 1856 e poi da A. M. Iosa, Bologna 1883; Hilaire de Paris, Montreuil-sur-Mer et Genève 189o; L. de Kerval, S. A. d. P., Vitae duae,Parigi 19o4, è l’ediz. migliore per il testo, le aggiunte predette e gli studi critici: il vol. contiene anche la Legenda Benignitas;F. Conconi, Leggende di A. d. P.,Padova 1930, e seconda ediz. ibid. 1931, i voll. contengono anche la Legenda Benignitas,la Legenda Rigaldina e testimonianze minori del sec. XIII; R. Cessi, Leggende antoniane,Milano 1936. La Assidua è stata tradotta in italiano da A. Coiazzi, Torino 1931 e A. F. Pavanello, Padova 1946. Legenda secunda o Anonyma,attribuita al francescano Giuliano da Spira, scritta circa il 1235; edd. in Acta Sanctorum, Iunii,II,Antverviae 1742, pp. 705-718 e in Conconi, opere citate. Dialogus de gestis ss. Fratrum Minorum,pubblicato parzialmente da L. Lemmens, Roma 1902, e integralmente da F. Delorme, Quaracchi 1923, che l’attribuì a fr. Tommaso da Pavia. L’opera fu scritta fra il 1244 e il 1247. Legenda Raymundina,scritta da fr. Pietro Raimondi da San Romano di Tolosa a Padova nel 1293 e pubblicata da A. M. Iosa, Bologna 1883. Legenda florentina,scoperta e pubblicata da L. Lemmens in Römische Quartalschrift für Altertumskunde und für Kirchengeschichte,XVI(1902), pp. 410-414, ed E. Palandri in Studi Francescani,IV (1932), pp. 454-496; di età incerta, collocabile tra il 1250 e primi del ‘3oo, Legenda Rigaldina,dal nome dell’autore fr. Giovanni Rigaldi, che la compose fra il 1293 e il 1303. È la fonte più importante dopo l’Assidua,della quale è complemento necessario. F. d’Araules [Delormel la pubblicò col titolo La vie de st. A. d. P. par Jean Rigauld, Bordeaux-Brive 1899. La rese in italiano T. Mengoni da Soci, Quaracchi 19o2. Legenda Benignitas,frammentaria dei primi del sec. XIV, edita nei voll. citati del de Kerval e Conconi. Liber Miraculorum,composto dopo il 1367; edd. in Acta Sanctorum, vol. cit., pp. 216-232 e in Analecta Franciscana,III, Quaracchi 1897, pp. 121-158.

Fra le testimonianze minori, singolare importanza hanno quelle di Rolandino di Padova, che conobbe A., e di lui parla nella Cronica de factis et circa facta Marchie Trivixane, lib. 2, c. 19; lib. 3, c. 5 (in Rerum Italic. Script., 2 ediz., VIII, 1, a cura di A. Bonardi, pp. 40, 43 s.).

Innumerevoli le ricostruzioni biografiche su A.; per primo orientamento sicuro il lettore può ricorrere a R. Pratesi, A. d. P.,in Encicl. cattolica,I, Città del Vaticano 1949, coll. 1548-1554, e L. Arnaldich, S. A., doctor evangélico,Barcelona 1958. Inoltre: E. de Azevedo, Vita del taumaturgo portoghese s. A. d. P.,Iª ediz., Venezia 1788, 7 ediz., ibid. 1930; C. das Neves, O grande thaumaturgo de Portugal s. A. de Lisboa,2 voll., Porto 1895; A. Lépitre, S. A. de Padoue,Paris 1901, trad. ital., Roma 1905; V. Facchinetti, A. d. P., il santo, l’apostolo, il taumaturgo,Milano 1925; F. Conconi, S. A. d. P.,Padova 1932; S. Clasen, Antonius, Diener des Evangeliums und der Kirche,München-Gladbach 1959 (che non ha pretese scientifiche).

Di particolare interesse per lo studioso le discussioni sulle fonti e sulla vita di A. delle seguenti opere: J. Pou y Martí, De fontibus vitae s. A. Patav.,in Antonianum,VI(1931), pp. 225-52; A. Callebaut, S. A. d. P., recherches sur ses premières années,in Archivum Francisc. Hist.,XXIV(1931), pp. 449-94.

Sui miracoli si veda: L. de Kerval, L’évolution et le développement du merveilleux dans les légendes de st. A. d. P.,in Opuscules de critique historique,XIV, Paris 19o6, pp. 221-88; H. Felder, Die Antoniuswunder nach den älteren Quellen untersucht,Paderborn 1933.

Per l’iconografia lo studio più completo è di B. Kleinschmidt, A. von P. in Leben und Kunst, Kult und Volkstum, Düsseldorf 1931; G. Fiocco, L’altare grande di Donatello al Santo,in Il Santo,I(1961), pp. 21-36; A. Sartori, Docum. riguardanti Donatello e il suo altare di Padova, ibid.,pp.37-99.

Studi critici sulle opere e sul pensiero: G. Cantini, De fontibus sermonum s. A. qui in editione Locatelli continentur,in Antonianum,VI(1931), pp. 327-8o; A. Callebaut, Les sermons sur les Psawnes, imprimés sous le nom de st. A., restitués au card. J. d’Abbeville,in Archivum Francisc. Hist.,XXV (1932), pp. 161-74; D. Scaramuzzi, Nota di Cronaca,in Studi Francescani,IV(1932), pp. 603-11; J. Heerinckx, S. A. Patav. auctor mysticus,in Antonianum,VII(1932), pp. 39-76, 167-200; Id., Les sources de la théologie mystique de st. A. d.P., in Revue d’ascétique et mystique, XIII(1932), pp. 225-56; Id., La mistica di s. A. d.P., in Studi Francescani,V(1933), pp. 39-6o; M. a Pobladura, Relationes operum quae occasione VII centenarii antoniani edita sunt,in Collectanea Franciscana,III(1933), pp. 254-320; G. Cantini, La tecnica e l’indole del sermone medievale ed i sermoni di s. A.d. P., in Studi Francescani,VI(1934), pp. 60-80, 195-224; S. A. Dottore della Chiesa (Atti delle settimane antoniane tenute a Roma e a Padova nel 1946), Roma 1948 (il vol. comprende sedici conferenze di grande valore); S. Doimi, Carattere letterario e finalità delle opere di s. A.,in Acta congressus scholastici internationalis,Roma 1951, pp. 203-232.

Una serie di articoli riguardanti specialmente il cod. antoniano sono stati pubblicati da G. Piccoli in Miscellanea Francescana nei seguenti anni: LII (1952), pp. 461-513; LIII (1953), pp. 80-87, 213-218, 454-465.

(Tratto dall’Enciclopedia Treccani)