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P.RUNGI. I DIECI COMANDAMENTI GIUBILARI

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ITRI (LT). P. RUNGI. I DIECI COMANDAMENTI GIUBILARI

Ad un mese dall’apertura del Giubileo della Misericordia, indetto da Papa Francesco e che avrà inizio l’8 dicembre 2015 a Roma, padre Antonio Rungi, religioso passionista, ha composto un decalogo giubilare, nel quale, indicando dieci regole di comportamento, fissa l’attenzione sui contenuti essenziali per una degna celebrazione dell’anno santo.
I dieci comandamenti giubilari sono fissati in questi suggerimenti ed inviti ad agire a livello personale e comunitario.

 

1. Non avrai altro scopo nella vita che quello di servire Dio.

2. Ricordati che sei un peccatore e devi convertiti a Cristo Salvatore.

3. Non offendere nessuno con le parole e le azioni.

4. Ricordati di perdonare a chi ti ha offeso e di chiedere perdono se hai offeso tu.

5. Non pensare solo a te stesso, ma anche ai fratelli che sono in necessità.

6. Ricordati di fare il bene sempre, anche quando non sei ricambiato su questa terra e dai tuoi parenti.

7. Non essere arrogante, presuntuoso e altezzoso, ma sii umile, disponibile e amorevole verso tutti.

8. Ricordati che il Paradiso lo si conquista facendo il bene ed amando Dio e i fratelli.

9. Non essere, ipocrita, falso e infedele, ma sii coerente con te stesso.

10. Ricordati che la verità viene sempre a galla e che in Dio tutto sarà luce e trasparenza assoluta nell’eternità futura.

“Sono convinto -scrive padre Rungi in una Nota personale – che il prossimo giubileo che è prima di tutto per la Chiesa e per i membri tutti della Chiesa è un forte invito alla conversione personale, alla fedeltà alla propria vocazione battesimale, alla pulizia morale e alla trasparenza nei nostri atti e comportamenti. Questo tempo propizio e di grazia deve far riflettere tutti nella Chiesa di Cristo in questo tempo di forti scossoni, ma sempre pronti a rendere ragione della gioia, della speranza, della fede e dell’amore verso Dio e verso i fratelli in ogni situazione, anche dolorosissima, della nostra vita e di quella della comunità dei credenti. Nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio e dalla sincera volontà di convertirci e fare sempre il bene, nonostante le piccole debolezze dell’esistenza”.

 

Mondragone (Ce). Il Liceo scientifico allestisce speciale mostra dei presepi natalizi

mostrapresepi1MONDRAGONE (CE). Il Liceo Scientifico Galilei allestisce VI Edizione della Mostra dei Presepi.

Il Liceo Scientifico Statale Galileo Galilei di Mondragone (Ce), con circa 1000 studenti, in occasione del Natale 2013 ha allestito una mostra di presepi, nella sede centrale della struttura dell’Istituto, sita in Via Pitagora. Si tratta della VI Edizione della mostra “Con i pastori… verso Betlemme” ed è un progetto di attività didattica e cultura, promossa dalla docente di Religione Cattolica, Rita Tramonti, con la collaborazione di altri docenti dell’Istituto. La mostra sarà aperta agli studenti e al pubblico nei giorni 14-15-16 dicembre. Il pubblico potrà visionare la vasta gamma di presepi realizzati dalle singole classi o da gruppi di studenti il sabato 14 dicembre 2013, dalle ore 15,30 alle 18,30, mentre domenica 15 dicembre l’accesso al pubblico è consentito dalle ore 9.00 alle ore 12.00. La mostra è una dei più qualificate della provincia di Caserta e si sta imponendo progressivamente a livello nazionale. Saranno, infatti, circa 60 i presepi in gara, che saranno valutati da un’apposita commissione di esperti in arte, in cultura, comunicazione e teologia. Tutta la manifestazione oltre ad avere avuto il beneplacito del collegio dei docenti, è stata particolarmente sostenuta ed incoraggiata dal Dirigente scolastico, professore Giorgio Bovenzi, sempre aperto ad iniziative finalizzate al coinvolgimento creativo e innovativo degli studenti. E l’arte presepiale è sicuramente quella che maggiormente può sviluppare l’originalità e la creatività. Tanto è vero oltre ad essere premiato il Presepe più bello, saranno adeguatamente presi in considerazione i presepi più originali e creativi e che, data la finalità della rassegna, si atterranno ai criteri di far rivivere il Natale e le Tradizioni natalizie anche con un semplice presepe, fatto di materiale di limitato costo o a costo zero. Gli studenti si stanno concentrando nell’elaborazione della loro mini opera presepiale sui temi portanti di questo periodo: la figura di Papa Francesco, i fatti di cronaca, la politica, le varie questioni sociali e giovanili. Il presepi infatti realizzati dagli studenti avranno di mira di lanciare ai visitatori della mostra un messaggio chiaro e preciso. Originalità, messaggio e valore artistico sono i punti cardini della realizzazione e della valutazione delle varie opere, che farà la commissione tecnica nominata allo scopo. Per far crescere l’interesse verso tale iniziativa sarà a disposizione del grande pubblico, quello virtuale, un profilo su Facebook, su cui si potrà votare direttamente il presepe più bello per gli internauti. Nel contesto, poi, dell’intera manifestazione culturale e artistica, si svolgerà un mercatino della bontà, finalizzato a reperire i fondi necessari per aiutare le persone in difficoltà in questo Natale 2013, che si preannuncia per molti un Natale austero e con grandi sacrifici e rinunce per tutti.

La consulenza teologica della manifestazione è affidata a padre Antonio Rungi, teologo morale, docente di Filosofia e scienze dell’educazione nello stesso Liceo statale di Mondragone, il quale tiene a sottolineare come “gli studenti del liceo, molto attenti alle istanze di carattere religioso hanno fatto proprio l’invito del nuovo Vescovo della Diocesi di Sessa Aurunca, monsignor Orazio Francesco Piazza, di valorizzare tutti i tempi e gli strumenti per recuperare la bellezza e la ricchezza, umana, artistica, culturale, sociale e spirituale del Natale”. A tal fine alcuni docenti e diversi studenti parteciperanno al Presepe vivente, allestito della Parrocchia di San Michele Arcangelo in Mondragone nei giorni successivi al Natale 2013.

Recensione del libro di poesia di Elena Teresa Morrone

DSC09351.JPGRecensione.

a cura di Antonio Rungi

“Sentimenti…” è il titolo della prima raccolta poetica della neo dottoressa in Lettere Moderne, con la tesi “Il mito della bellezza nelle opere poetiche di Foscolo”, difesa presso la Facoltà di Lettere dell’Università Federico II di Napoli, Elena Teresa Morrone, pubblicata da Aletti Editore, nella Collana “Gli Emersi-Poesia”, nel settembre 2013, in formato cartaceo e su Internet come e-book.

Si tratta di un’opera prima di questa giovane poetessa casertana incentrata sui vari sentimenti che attraversano l’esistenza e la vita di un’adolescente, poi giovane e poi donna.

In tutto 30 poesie,  raccolte in 42 pagine (formato cm 21×14), che in modalità short message (sms) o di veri e propri aforismi, vanno al cuore dei problemi esistenziali di ogni persona che è in cerca della verità su se stessa e sugli altri.

Alcuni dei testi poetici pubblicati dalla giovane artista sono meglio espressivi di una ricerca di senso da dare ai propri intimi, ma anche evidenti, sentimenti della persona umana.

Non hanno titolo i testi che variano da appena due versi fino ad un massimo di undici, nei quali sono condensati i valori e le sensazioni interiori di una donna che guarda al presente dentro di se, ma che si proietta già nel futuro con alcune poesie molto ricche di visione prospettica.

Nell’introduzione alla raccolta si legge infatti: “E’ molto difficile ripiegarsi su se stessi e leggere tra le pieghe del proprio animo; ma quando si incontra la poesia l’introspezione non si inventa, si scopre, perché la poesia ci scopre e ci consola”.

Parte da lontano la vocazione poetica della Morrone, che si cimentava nei versi sia nelle scuole medie e poi nel liceo socio-psico-pedagogico, da lei frequentato a Mondragone (Ce) e che ha inciso profondamente nella sua cultura umanistica e psicologica.

“L’autrice scopre la sua passione – si legge nell’introduzione-  in modo spontaneo e inconsapevole, la sua indole a poetare affiora ancor prima che ella abbia preso coscienza della sua vocazione letteraria”.

Ci troviamo, senza dubbio, di fronte ad una nuova poetessa dei nostri giorni, con il linguaggio dei nostri giorni, data la giovane età, appena 23 anni, che sicuramente farà strada, perché mossa da quella vena poetica e da quella virtù fondamentale dell’umiltà, che fa grandi le persone semplici e che si concentrano sull’essenziale.

Tutto questo lo si deduce e si intuisce  nella breve presentazione alla raccolta delle poesie, in cui è scritto: “Solo nel confronto con la grande poesia, capisce che l’esaltazione dell’amore si conserva nel tempo senza fine, gli atteggiamenti verso la poesia non sono passeggeri, e che cantando all’amore si sconfigge la solitudine, il tormento dell’esistenza, la paura della morte”.

Lo si comprende, inoltre, alla luce di quanto viene scritto, per sintetizzare la raccolta, sulla controcopertina: “Semplici versi di chi, inesperta della vita, nel fiorire dell’adolescenza, si affida a sogni non ancora sperimentati ma solo frutto di una fervida immaginazione, e di chi spera un giorno di salire la scala su cui ora ha solo poggiato i primi passi”.

Su questi temi si concentra una delle poesie più belle, a mio modesto avviso, scritte dalla Morrone: “Vivi la tua vita al meglio e maschera la tua/ malinconia sotto un soave sorriso…/ lascia che i tuoi pensieri e i tuoi desideri si realizzino/ nella notte, quando, / la mente libera da ogni preoccupazione/ si compiace di sognare ciò che in realtà non può avere./ Sii sempre forte e/ anche se l’inverno dovesse congelare i frutti dell’estate/ così/ come la foglia che ingiallisce in autunno/ sarà triste lasciarsi portare via dal vento.

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Elena Teresa Morrone, Sentimenti…, Aletti Editore, Villanova di Guidonia (Rm), settembre 2013, pagine 42. Formato cartaceo cm.21×14. Prezzo al pubblico Euro 12,00 (cartaceo); E-book, Euro 5.49.

Pagani (Sa). Festa delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue

tommasomariafusco.jpgCon un solenne triduo di preparazione spirituale, predicato da padre Antonio Rungi, passionista, che si tiene dal 3 al 5 gennaio 2013 nella casa madre di Pagani (Sa), in Via San Francesco, dove riposano le spoglie mortali del Beato, le Suore della Carità del Preziosissimo Sangue, ricordano il loro Fondatore, Tommaso Maria Fusco, prossimo alla canonizzazione, in  questo anno della fede. Era, infatti il 6 gennaio del 1873, solennità dell’Epifania, 140 anni fa, quando profondamente colpito dalla disgrazia di un’orfana, vittima della strada, dopo attenta preparazione nella preghiera di discernimento, don Tommaso Maria fondò la Congregazione delle «Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue». L’Opera ebbe inizio nella Chiesa della Madonna del Carmine, in Pagani, alla presenza del Vescovo Raffaele Ammirante il quale, con la consegna dell’abito alle prime tre Suore, benedisse il primo Orfanotrofio per sette orfanelle povere del paese. Sulla nascente famiglia religiosa e sull’Orfanotrofio, dietro sua richiesta, non tardò a scendere anche la benedizione del Papa. Ora le Suore fondate dal Fusco sono presenti in varie parti d’Italia e all’estero, portando avanti l’opera iniziata dal fondatore, con particolare attenzione ai bambini e all’infanzia abbandonata o in difficoltà. La straordinaria figura di questo sacerdote diocesano, viene commemorata in questi giorni, con una specifica preparazione spirituale alla festa dell’Istituto che si ricorda il 6 gennaio. Le comunità religiose delle Suore della Carità del Preziosissimo Sangue di Pagani e delle altre località della regione Campania si ritroveranno in queste sere per la celebrazione dei vespri, della santa messa con riflessione e con altri momenti di incontri tra le suore e i fedeli laici, soprattutto giovani, che fanno riferimento ai cenacoli di preghiera istituiti a Pagani e negli altri Comuni del territorio. Particolarmente seguito è quello che si tiene presso l’antica abitazione del Beato, ora trasformata in casa religiosa, cenacolo di preghiera e di apostolato con i bambini, secondo il carisma dello stesso Tommaso Maria Fusco, di cui il Beato Giovanni Paolo II, disse, nel giorno della beatificazione, avvenuta in San Pietro, il 7 ottobre del 2001: “La singolare vitalità della fede, attestata dal Vangelo nel brano di Luca, emerge anche nella vita e nell’attività di don Tommaso Maria Fusco, fondatore dell’Istituto delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue. In virtù della fede egli seppe vivere, nel mondo, la realtà del Regno di Dio in modo del tutto speciale. Tra le sue giaculatorie, una ve n’era a lui particolarmente cara: “Credo in te, mio Dio; aumenta la mia fede”. E’ proprio questa la domanda che gli Apostoli rivolgono a Gesù nel Vangelo (cfr Lc 17,6). Il beato Tommaso Maria aveva infatti capito che la fede è prima di tutto un dono, una grazia. Nessuno può conquistarla o guadagnarla da solo. Si può soltanto chiederla, implorarla dall’Alto. Perciò, illuminati dal prezioso insegnamento del nuovo Beato, non stanchiamoci mai di invocare il dono della fede, perché “il giusto vivrà per la sua fede” (Ab 1,4)” (Omelia di Giovanni Paolo II, Beatificazione di T.M. Fusco, 7 ottobre, 2001).Le Suore della carità del preziosissimo Sangue, forti dell’insegnamento del loro fondatore, avvertono in questo anno della fede la necessità di presentare lo spirito di fede, animato da una profonda carità e da una sicura speranza di Tommaso Maria Fusco, in questo tempo in cui, come chiesa, tutti i cristiano sono chiamati a rivitalizzare il dono e la grazia della fede, ricevuta nel Battesimo, come fu impegno fondamentale di Tommaso Maria Fusco da semplice battezzato, poi cresimato e soprattutto da pastore delle anime, come sacerdote zelante e mosso da un grande spirito di servizio e di amore verso Dio, la Chiesa e le anime affidate alla sua cura pastorale. Fin dall’inizio del ministero curò la formazione dei fanciulli, per i quali in casa sua, aprì una Scuola mattinale, e ripristinò la Cappella serotina, per i giovani e gli adulti presso la chiesa parrocchiale di San Felice e Corpo di Cristo con lo scopo di promuovere la loro formazione umana e cristiana. Essa fu un autentico luogo di conversioni e di preghiera, come lo era stata nell’esperienza di Sant’Alfonso, venerato e onorato a Pagani per il suo apostolato. Nel 1857 fu ammesso alla Congregazione dei Missionari Nocerini, sotto il titolo di San Vincenzo de’ Paoli, con la immissione in una itineranza missionaria estesa specialmente alle regioni dell’Italia meridionale. Nel 1860 fu nominato cappellano del Santuario della Madonna del Carmine, detta delle Galline, in Pagani, dove incrementò le associazioni cattoliche maschili e femminili, e vi eresse l’altare del Crocifisso e la Pia Unione per il culto al Preziosissimo Sangue. Don Tommaso Maria continuò a dedicarsi al ministero sacerdotale con predicazione di esercizi spirituali e di missioni popolari; e su questa itineranza apostolica nacquero le numerose fondazioni di case e orfanotrofi che segnarono la sua eroica carità, ancora più intensa specialmente nell’ultimo ventennio della sua vita (1870-1891). Agli impegni di Fondatore e Missionario Apostolico associò anche quelli di Parroco (1874-1887) presso la Chiesa Matrice di San Felice e Corpo di Cristo, in Pagani, di confessore straordinario delle monache di clausura in Pagani e Nocera, e, negli ultimi anni di vita, di padre spirituale della Congrega laicale nel Santuario della Madonna del Carmine. Ben presto don Tommaso Maria, divenuto oggetto d’invidia per il bene operato col suo ministero e per la vita di sacerdote esemplare, affronterà umiliazioni, persecuzioni fino all’infamante calunnia nel 1880, da un confratello nel sacerdozio. Ma egli sostenuto dal Signore, portò con amore quella croce che il suo Vescovo Ammirante, al momento della fondazione, gli aveva preconizzato: «Hai scelto il titolo del Preziosissimo Sangue? Ebbene, preparati a bere il calice amaro». Nei momenti della durissima prova sostenuta in silenzio, ripeteva: «L’operare e il patire per Dio sia sempre la vostra gloria e delle opere e patimenti che sostenete sia Dio la vostra consolazione in terra e la vostra mercede in cielo. La pazienza è come la salvaguardia e il sostegno di tutte le virtù». Consumato da una patologia epatica, don Tommaso Maria chiuse piamente la sua esistenza terrena il 24 febbraio 1891, pregando col vecchio Simeone:  «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». (Lc 2, 29-32).e di Gesù. Aveva appena 59 anni quando celebrò il suo transito per l’eternità. Era nato, infatti, 1 dicembre 1831 a Pagani, in diocesi di Nocera- Sarno, settimo di otto figli, del farmacista dott. Antonio, e della nobildonna Stella Giordano, genitori di integra condotta morale e religiosa che seppero formarlo alla pietà cristiana e alla carità verso i poveri. Fu battezzato lo stesso giorno della nascita nella Parrocchia di San Felice e Corpo di Cristo. Ben presto rimase orfano della madre, vittima dell’epidemia colerica nel 1837 e, pochi anni dopo, nel 1841, perdette anche il padre. D’allora si occupò della sua formazione don Giuseppe, lo zio paterno, il quale gli fu maestro negli studi primari. Fin dal 1839, anno della canonizzazione di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, il piccolo Tommaso aveva sognato la chiesa e l’altare e finalmente nel 1847 entrò nel Seminario diocesano di Nocera, dal quale nel 1849 uscirà consacrato sacerdote il fratello Raffaele. Il 1° aprile 1851 Tommaso Maria ricevette il Sacramento della Cresima e il 22 dicembre 1855, dopo la formazione seminaristica, fu ordinato sacerdote dal Vescovo Agnello Giuseppe D’Auria. In questi anni di esperienze dolorose, per la perdita di persone care alle quali si aggiungeva quella dello zio (1847) e del giovane fratello Raffaele (1852), si sviluppa in Tommaso Maria una devozione già cara a tutta la famiglia Fusco: quella al Cristo paziente e alla sua SS. Madre Addolorata, come viene ricordato dai biografi: «Era devotissimo del Crocifisso e tale rimase sempre».

 

Natale non è…………….

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Natale non è..

Natale non è chiedere un sorriso,
quando il sorriso non ce l’hai e non vuoi donarlo.

Natale non è chiedere l’amicizia,
se l’amicizia non sai valorizzarla.

Natale non è chiedere soccorso,
se non sei abituato a dare aiuto

a chi aiuto non riceve mai…

Natale non è chiedere amore,
in un mondo, in cui l’amore

è ben altra cosa
che amare con il cuore.

Natale non è chiedere perdono

solo in questo giorno,
ma vivere nel perenne ricordo
di come riparare il male fatto.

Natale non è solo famiglia

il 25 dicembre di ogni anno,
ma è sempre e gioiamente famiglia
tutti i giorni dell’anno.

Natale non è preghiera e messa

solo nella notte santa,
ma è preghiera costante
e vigilanza continua
sul tuo modo di comportarti.

Natale non è tante altre ed infinite cose

che pensiamo essere importanti
quando importanti non lo sono.

Natale è solo grande una grande cosa 

è Amore e  gioia, che Cristo Signore
ci porta nella notte più luminosa
della storia del mondo.

Natale sei Tu Gesù,

unico e infinito amore del cuore dell’uomo
che guidi il tempo e la storia
verso la felicità eterna.
Padre Antonio Rungi

Trentasettesimo anniversario di sacerdozio di P.Antonio Rungi

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Ti rendo grazie Signore,

per tutti questi anni

che mi hai chiamato a seguirti

e a serviti nella vita religiosa e sacerdotale.

Hai pensato alla mia persona fin dall’eternità

Ed un giorno mi hai fatto intendere chiara la tua voce

Che mi diceva “Seguimi”.

Forte dell’entusiasmo e convinto che eri Tu Gesù, ho lasciato

I miei genitori, mia sorella, mio fratello, i miei parenti, i miei amici

I miei compagni di scuola, avendo appena 13 anni.

Da allora ho camminato sulle tue vie, quelle che Tu, Signore,

mi hai indicato di volta in volta, per arrivare al grande appuntamento della mia storia personale, a quel 6 ottobre 1975, a Napoli, quando il Vescovo imponendo sulla mia testa le sue mani mi consacrò sacerdote.

I pianti di sofferenza dei miei parenti alla mia partenza per un paese lontano, quando lasciai casa per farmi passionista e sacerdote, in quel giorno si trasformarono in lacrime di gioia, in lacrime di infinita gratitudine.

In questi 37 anni di vita sacerdotale è stato un susseguirsi di soli infiniti ed immensi doni che Tu, Signore, hai concesso a questa mia umile e povera persona.

Ho cercato di essere fedele alla tua chiamata sempre, nonostante le umane debolezze che sono insite in ogni persona umana e che la tua grazia e la tua benevolenza e vicinanza mi hanno aiutato a superare di volta in volta, facendomi scorgere quando sei buono e grande nell’amore.

Le anime che hai affidato alla mia cura pastorale e sacerdotale le ho considerato un dono immenso da rispettare, aiutare, amare, proteggere dalle forze del male. Ognuna di essa sta nel mio cuore e nelle mie preghiere, perché sono figli tuoi e frutto del Tuo Sangue prezioso versato per noi sulla croce.

Cosa dirti Gesù, attraverso la mia mamma celeste, la Vergine Maria, Regina di tutti i sacerdoti? Proteggimi e guidami nel difficile compito di essere un tuo discepolo secondo il tuo amabilissimo cuore e secondo i tuoi insegnamenti.

Che sia un pastore che vada a cercare la pecorella smarrita, e la riporti all’ovile della tua chiesa e alla vita della chiesa.

Che mi preoccupi di tanti che sono nel dolore e nella sofferenza, soprattutto in questi giorni tristi e difficili per l’umanità.

Che sia vicino ai bambini, perché possano sperimentale attraverso la mia umile persona quanto sei grande e quanto sei davvero dalla parte dei più piccoli, ben sapendo che scandalizzare anche uno solo di essi, significa non essere perdonato da Te in eterno.

Che sia vicino ai tanti giovani che ho avuto la gioia di incontrare nella mia vita di sacerdote e di insegnante, nel cuore dei quali vorrei che ci fosse anche un posto certo per Te.

Che mi preoccupi per quanti sono tristi, angosciati, soli e delusi dalla vita, dai propri cari, dagli affetti più naturali e che spesso si rivoltano contro di Te, perché non sanno quello che dicono e fanno, perchè grande è la sofferenza nel loro animo. 

Che sia tutto per tutti, senza fare preferenze a nessuno.

Che sappia amare ogni persona con la semplicità e la rettitudine del Tuo cuore.

Che sia sempre riconoscente a chi mi ha guidato sapientemente alla meta sacerdotale, in particolare i miei due speciali angeli del cielo, che sono mamma e papà, ma anche quanti nella formazione in convento hanno avuto un cuore di padre e mi hanno fatto amare la vita sacerdotale e missionaria, ieri come oggi.

Dirti grazie è il minimo indispensabile in questo giorno anniversario dei miei 37 anni di vita sacerdotale, che mi auguro possano essere ancora tantissimi altri per servire la Tua causa, Gesù, in questo anno della fede, che tutti richiama a credere fermamente in Te, sommo ed eterno sacerdote della nuova ed eterna alleanza di Dio con l’umanità. Amen.

 

Padre Antonio Rungi

Sacerdote passionista

6 ottobre 2012

Vedere il Paradiso/9. Cercate le cose di lassù

STATUA_MADONNA_ASSUNTA.jpgHO VISTO IL PARADISO/9

 

“CERCATE LE COSE DI LASSU’”

 

di padre Antonio Rungi

 

La vita umana è una continua ricerca delle piccole cose o delle grandi cose, della propria realizzazione e soddisfazione, dei propri sogni. E’ soprattutto ricerca dell’Assoluto, di Dio. C’è chi questa esigenza di cercare Dio non l’avverte nella sua vita e chi la sente indispensabile, essenziale per se stessi e per gli altri. Nella misura in cui infatti diamo senso alle nostra vita nella prospettiva dell’eternità, acquista significato e valore ogni cosa di questo mondo. Cercate le cose di lassù è un esplicito invito dell’apostolo Paolo a noi cristiani, spesso distratti a cercare troppo le cose di quaggiù, dimentichi che c’è qualcosa di più importante da cercare con cuore sincero e instancabilmente.

Una delle lettere encicliche più importanti da un punto di vista di riflessione è la Fides et Ratio del Beato Giovanni Paolo II. In essa troviamo significativi spunti di approfondimento su questa necessità di cercare ed incontrare Dio nella verità della ragione e nella verità di fede, perché l’una e l’altra sono due ali per sostenere il volo di ogni essere umano verso le cose che contano davvero, quelle eterne, quelle misteriose, che misteriose non sono più in quanto Gesù Cristo, Figlio di Dio, ce le ha rivelate tutte. Ecco perché la necessità di far ricorso all’altra ala della verità che è la fede, capace di svelare ciò che la ragione non riesce a spiegare in nessun modo.

“La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso (cfr Es 33, 18; Sal 27 [26], 8-9; 63 [62], 2-3; Gv 14, 8; 1 Gv 3, 2). (FeR, 1).

“Racconta l’evangelista Luca negli Atti degli Apostoli che, durante i suoi viaggi missionari, Paolo arrivò ad Atene. La città dei filosofi era ricolma di statue rappresentanti diversi idoli. Un altare colpì la sua attenzione ed egli ne trasse prontamente lo spunto per individuare una base comune su cui avviare l’annuncio del kerigma: « Cittadini ateniesi, — disse — vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando, infatti, e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio » (At 17, 22-23). A partire da qui, san Paolo parla di Dio come creatore, come di Colui che trascende ogni cosa e che a tutto dà vita. Continua poi il suo discorso così: « Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi » (At 17, 26-27). L’Apostolo mette in luce una verità di cui la Chiesa ha sempre fatto tesoro: nel più profondo del cuore dell’uomo è seminato il desiderio e la nostalgia di Dio. Lo ricorda con forza anche la liturgia del Venerdì Santo quando, invitando a pregare per quanti non credono, ci fa dire: « O Dio onnipotente ed eterno, tu hai messo nel cuore degli uomini una così profonda nostalgia di te, che solo quando ti trovano hanno pace ».(22) Esiste quindi un cammino che l’uomo, se vuole, può percorrere; esso prende il via dalla capacità della ragione di innalzarsi al di sopra del contingente per spaziare verso l’infinito. (FeR, 24).

Il testo della lettera ai Colossesi di Paolo, cap.3, ci dà i parametri essenziali di questa ricerca della cose di lassù, cioè del cielo e dell’eternità.

1 Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; 2 pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. 3 Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! 4 Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria. 5 Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, 6 cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono. 7 Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. 8 Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. 9 Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni 10 e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. 11 Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti. 12 Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; 13 sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. 14 Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. 15 E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!  16 La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. 17 E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.  18 Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore. 19 Voi, mariti, amate le vostre mogli e non inaspritevi con esse. 20 Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. 21 Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino. 22 Voi, servi, siate docili in tutto con i vostri padroni terreni; non servendo solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore del Signore. 23 Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, 24 sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l’eredità. Servite a Cristo Signore. 25 Chi commette ingiustizia infatti subirà le conseguenze del torto commesso, e non v’è parzialità per nessuno.

Commentando le parole della lettera ai Colossesi il brano che normalmente è inserito nella liturgia della parola della domenica di Pasqua, Papa Benedetto XVI  afferma che esse “ci invitano ad elevare lo sguardo alle realtà celesti. Infatti, con l’espressione «le cose di lassù» san Paolo intende il Cielo, poiché aggiunge: «dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio». L’Apostolo intende riferirsi alla condizione dei credenti, di coloro che sono «morti» al peccato e la cui vita «è ormai nascosta con Cristo in Dio». Essi sono chiamati a vivere quotidianamente nella signoria di Cristo, principio e compimento di ogni loro azione, testimoniando la vita nuova che è stata loro donata nel Battesimo. Questo rinnovamento in Cristo avviene nell’intimo della persona: mentre continua la lotta contro il peccato, è possibile progredire nella virtù, cercando di dare una risposta piena e pronta alla Grazia di Dio. Per antitesi, l’Apostolo segnala poi «le cose della terra», evidenziando così che la vita in Cristo comporta una «scelta di campo», una radicale rinuncia a tutto ciò che – come zavorra – tiene l’uomo legato alla terra, corrompendo la sua anima. La ricerca delle «cose di lassù» non vuol dire che il cristiano debba trascurare i propri obblighi e compiti terreni, soltanto non deve smarrirsi in essi, come se avessero un valore definitivo. Il richiamo alle realtà del Cielo è un invito a riconoscere la relatività di ciò che è destinato a passare, a fronte di quei valori che non conoscono l’usura del tempo. Si tratta di lavorare, di impegnarsi, di concedersi il giusto riposo, ma col sereno distacco di chi sa di essere solo un viandante in cammino verso la Patria celeste; un pellegrino; in un certo senso, uno straniero verso l’eternità. La vita eterna ci è stata aperta dal Mistero Pasquale di Cristo e la fede è la via per raggiungerla.

Solo chi ha una fede profonda cerca davvero le cose di lassù, oltre l’azzurro del cielo, oltre l’universo infinito e perfetto. Perché sa che le cose di lassù danno gioia anche quaggiù, perché le cose di lassù non bisogna solo attenderle, ma bisogna anticiparle nel tempo. Bisogna vivere con la testa in cielo e con i piedi per terra e i piedi nel loro camminare devono sempre portare all’eternità. Non c’è altra possibilità per rendere felice il cuore dell’uomo fin da questo mondo e in questo mondo.

Dal Libro Primo delle Confessioni di Sant’Agostino leggiamo testualmente: “1Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. Concedimi, Signore, di conoscere e capire se si deve prima invocarti o lodarti, prima conoscere oppure invocare. Ma come potrebbe invocarti chi non ti conosce? Per ignoranza potrebbe invocare questo per quello. Dunque ti si deve piuttosto invocare per conoscere? Ma come invocheranno colui, in cui non credettero? E come credere, se prima nessuno dà l’annunzio?. Loderanno il Signore coloro che lo cercano4, perché cercandolo lo trovano, e trovandolo lo loderanno. Che io ti cerchi, Signore, invocandoti, e t’invochi credendoti, perché il tuo annunzio ci è giunto. T’invoca, Signore, la mia fede, che mi hai dato e ispirato mediante il tuo Figlio fatto uomo, mediante l’opera del tuo Annunziatore.2. Ma come invocare il mio Dio, il Dio mio Signore? Invocarlo sarà comunque invitarlo dentro di me; ma esiste dentro di me un luogo, ove il mio Dio possa venire dentro di me, ove possa venire dentro di me Dio, Dio, che creò il cielo e la terra5? C’è davvero dentro di me, Signore Dio mio, qualcosa capace di comprenderti? Ti comprendono forse il cielo e la terra, che hai creato e in cui mi hai creato? Oppure, poiché senza di te nulla esisterebbe di quanto esiste, avviene che quanto esiste ti comprende? E poiché anch’io esisto così, a che chiederti di venire dentro di me, mentre io non sarei, se tu non fossi in me? Non sono ancora nelle profondità degli inferi, sebbene tu sei anche là, e quando pure sarò disceso all’inferno, tu sei là6. Dunque io non sarei, Dio mio, non sarei affatto, se tu non fossi in me; o meglio, non sarei, se non fossi in te, poiché tutto da te, tutto per te, tutto in te7. Sì, è così, Signore, è così. Dove dunque t’invoco, se sono in te? Da dove verresti in me? Dove mi ritrarrei, fuori dal cielo e dalla terra, perché di là venga in me il mio Dio, che disse: “Cielo e terra io colmo”? 3. Ma cielo e terra ti comprendono forse, perché tu li colmi? o tu li colmi, e ancora sopravanza una parte di te, perché non ti comprendono? E dove riversi questa parte che sopravanza di te, dopo aver colmato il cielo e la terra? O non piuttosto nulla ti occorre che ti contenga, tu che tutto contieni, poiché ciò che colmi, contenendo lo colmi? Davvero non sono i vasi colmi di te a renderti stabile. Neppure se si spezzassero, tu ti spanderesti; quando tu ti spandi su di noi, non tu ti abbassi, ma noi elevi, non tu ti disperdi, ma noi raduni. Però nel colmare, che fai, ogni essere, con tutto il tuo essere lo colmi. E dunque, se tutti gli esseri dell’universo non riescono a comprendere tutto il tuo essere, comprendono di te una sola parte, e la medesima parte tutti assieme? oppure i singoli esseri comprendono una singola parte, maggiore i maggiori, minore i minori? Dunque, esisterebbero parti di te maggiori, altre minori? o piuttosto tu sei intero dappertutto, e nessuna cosa ti comprende per intero? 4. Cosa sei dunque, Dio mio? Cos’altro, di grazia, se non il Signore Dio? Chi è invero signore all’infuori del Signore, chi Dio all’infuori del nostro Dio?. O sommo, ottimo, potentissimo, onnipotentissimo, misericordiosissimo e giustissimo, remotissimo e presentissimo, bellissimo e fortissimo, stabile e inafferrabile, immutabile che tutto muti, mai nuovo mai decrepito, rinnovatore di ogni cosa, che a loro insaputa porti i superbi alla decrepitezza; sempre attivo sempre quieto, che raccogli senza bisogno; che porti e riempi e serbi, che crei e nutri e maturi, che cerchi mentre nulla ti manca. Ami ma senza smaniare, sei geloso e tranquillo, ti penti ma senza soffrire, ti adiri e sei calmo, muti le opere ma non il disegno, ricuperi quanto trovi e mai perdesti; mai indigente, godi dei guadagni; mai avaro, esigi gli interessi; ti si presta per averti debitore, ma chi ha qualcosa, che non sia tua? Paghi i debiti senza dovere a nessuno, li condoni senza perdere nulla. Che ho mai detto, Dio mio, vita mia, dolcezza mia santa? Che dice mai chi parla di te? Eppure sventurati coloro che tacciono di te, poiché sono muti ciarlieri. 5. Chi mi farà riposare in te, chi ti farà venire nel mio cuore a inebriarlo? Allora dimenticherei i miei mali, e il mio unico bene abbraccerei: te. Cosa sei per me? Abbi misericordia, affinché io parli. E cosa sono io stesso per te, perché tu mi comandi di amarti e ti adiri verso di me e minacci, se non ubbidisco, gravi sventure, quasi fosse una sventura lieve l’assenza stessa di amore per te? Oh, dimmi, per la tua misericordia, Signore Dio mio, cosa sei per me. Di’ all’anima mia: la salvezza tua io sono11. Dillo, che io l’oda. Ecco, le orecchie del mio cuore stanno davanti alla tua bocca, Signore. Aprile e di’ all’anima mia: la salvezza tua io sono. Rincorrendo questa voce io ti raggiungerò, e tu non celarmi il tuo volto. Che io muoia per non morire, per vederlo. 6. Angusta è la casa della mia anima perché tu possa entrarvi: allargala dunque; è in rovina: restaurala; alcune cose contiene, che possono offendere la tua vista, lo ammetto e ne sono consapevole: ma chi potrà purificarla, a chi griderò, se non a te: “Purificami, Signore, dalle mie brutture ignote a me stesso, risparmia al tuo servo le brutture degli altri”? Credo, perciò anche parlo. Signore, tu sai: non ti ho parlato contro di me dei miei delitti, Dio mio, e tu non hai assolto la malvagità del mio cuore? Non disputo con te, che sei la verità, e io non voglio ingannare me stesso, nel timore che la mia iniquità s’inganni. Quindi non disputo con te, perché, se ti porrai a considerare le colpe, Signore, Signore, chi reggerà?.

Riflessioni estive. Ho visto il Paradiso

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HO VISTO IL PARADISO/3

 

di padre Antonio Rungi

 

CIELI NUOVI E TERRA NUOVA

 

La nostra fede nell’eternità e una fede che guarda oltre gli orizzonti del tempo presente, immaginando un mondo diverso quando si concluderà per sempre la storia di questo universo. E mentre gli uomini gioiscono per i successi che perseguono in campo tecnologico, nella conquista dello spazio, fino a raggiungere con navicelle Marte, in cerca di un segnale di possibili vite oltre quella terrena, la nostra fede ci ricorda costantemente che tutto passerà e nel giudizio finale, nel secondo e definitivo avvento di Cristo tutto sarà trasformato. Il cielo di oggi saranno altri cieli e la terra di oggi sarà una terra nuova e diversa. La trasformazione, il cambiamento, la trasfigurazione del tempo nell’eternità. Ecco i cieli nuovi e la terra nuova dove segnerà per sempre la giustizia e la pace. 

“Alla fine dei tempi, il Regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il Giudizio universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in corpo e anima, e lo stesso universo sarà rinnovato: Allora la Chiesa. . . avrà il suo compimento. . . nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48]. (CCC, 1042). 

Certo, il linguaggio biblico usato per dire esattamente cosa avverrà ci aiuta a capire meglio quello che noi non vedremo, ma che forse vedranno quelli che Dio ha deciso che saranno presenti su questa terra al momento deciso della storia della creazione. 

“Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l’umanità e il mondo, dalla Sacra Scrittura è definito con l’espressione: “i nuovi cieli e una terra nuova” (2Pt 3,13) [Cf Ap 21,1 ]. Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di “ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1,10). (CCC,1043). 

Pensare a questo evento, alle ultime cose, la escatologia, è pensare al bello, al definitivo, a tutto ciò che non sarà più come prima. E’ pensare al Paradiso. Infatti, “in questo nuovo universo, [Cf Ap 21,5 ] la Gerusalemme celeste, Dio avrà la sua dimora in mezzo agli uomini. Egli “tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate” ( Ap 21,4) [Cf  Ap 21,27 ]. 

L’assenza di ogni dolore, sofferenza, della morte, di tutto ciò che limita la felicità dell’uomo terrestre di oggi è sicuramente un motivo di guardare al futuro eterno nel segno della speranza, della riconciliazione, della pace, dell’unità del genere umana, senza più divisioni e guerre. “Per l’uomo questo compimento sarà la realizzazione definitiva dell’unità del genere umano, voluta da Dio fin dalla creazione e di cui la Chiesa nella storia è “come sacramento” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 1]. Coloro che saranno uniti a Cristo formeranno la comunità dei redenti, la “Città santa” di Dio (Ap 21,2), “la Sposa dell’Agnello” (Ap 21,9). Essa non sarà più ferita dal peccato, dalle impurità, [Cf  Ap 21,27 ] dall’amor proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini. La visione beatifica, nella quale Dio si manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione”. (CCC,1045). 

Non diversa sarà la sorte dell’intera creazione, che avrà un’altra configurazione. Infatti, per “quanto al cosmo, la Rivelazione afferma la profonda comunione di destino fra il mondo materiale e l’uomo: La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio. . . e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione. . . Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” ( Rm 8,19-23). (CCC,1046). 

Ed aggiunge circa il mondo che noi oggi osserviamo con i nostri occhi: “Anche l’universo visibile, dunque, è destinato ad essere trasformato, “affinché il mondo stesso, restaurato nel suo stato primitivo, sia, senza più alcun ostacolo, al servizio dei giusti”, partecipando alla loro glorificazione in Gesù Cristo risorto [Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 32, 1]. 

Molti sono tentati dalla paura che tutto questo possa avvenire quanto prima e che passerà la scena di questo mondo nell’immediato. Incidono su queste concezioni millenaristiche o apocalittiche molte delle idee di oggi e molte delle situazioni che viviamo quotidianamente con tanti drammi, difficoltà, terremoti, cataclismi, tragedie. La paura della fine del mondo è nell’idea di molti e qualcuno gioca anche in questa direzione per spingere l’uomo a permettersi ogni cosa, lecita ed illecita, considerato che tutto passa e passa in fretta. Però sappiamo con assoluta verità che noi  “ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità, e non sappiamo il modo in cui sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39]. (CCC,1048). Ed aggiunge il Magistero della Chiesa che ci richiama costantemente sulle verità di fede, ma anche sulla corrispondenza etica alla fede che “tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39]. (CCC, 1049).  “Infatti. . . tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando Cristo rimetterà al Padre il Regno eterno e universale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39]. Dio allora sarà “tutto in tutti” ( 1Cor 15,28), nella vita eterna: La vita, nella sua stessa realtà e verità, è il Padre, che attraverso il Figlio nello Spirito Santo, riversa come fonte su tutti noi i suoi doni celesti. E per la sua bontà promette veramente anche a noi uomini i beni divini della vita eterna [ San Cirillo di Gerusalemme, Catecheses illuminandorum, 18, 29: PG 33, 1049, cf Liturgia delle Ore, III, Ufficio delle letture del giovedì della diciassettesima settimana. [Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 28.] 

Di quello che abbiamo fatto, di quello che abbiamo seminato, nell’eternità ritroveremo i frutti per la nostra vita futura. Saranno frutti abbondanti e purificati nella forma e nella sostanza e che ci assicureranno il vero cibo quello eterno e che non si esaurirà mai, perché saremmo nella pace di Dio, saremo nel Paradiso.

 

 

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HO VISTO IL PARADISO/2

 

di padre Antonio Rungi

 

IL CIELO

 

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica si parla del Cielo, come ultimo destino dell’uomo, come la vera e definitiva patria per tutti noi. Leggiamo, infatti, in questo documento dottrinale di grande importanza per tutti i cattolici, soprattutto in questo anno della fede, che ci apprestiamo a celebrare: “Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono “così come egli è” (1Gv 3,2), faccia a faccia: [Cf 1Cor 13,12; Ap 22,4] (CCC, 1023). In poche parole noi saremo con le nostre sole anime, in attesa della risurrezione finale, nel cielo, quel cielo non fisico, ma spirituale, quel luogo eterno in cui dimoreremo per sempre con Dio e con quanti hanno raggiunto il cielo o il paradiso. Le definizioni dogmatiche al riguardo ci possono aiutare a capire cosa sia il cielo e come e cosa è il paradiso per un credente, dopo la morte corporale. “Con la nostra apostolica autorità definiamo che, per disposizione generale di Dio, le anime di tutti i santi morti prima della passione di Cristo. . . e quelle di tutti i fedeli morti dopo aver ricevuto il santo Battesimo di Cristo, nelle quali al momento della morte non c’era o non ci sarà nulla da purificare, oppure, se in esse ci sarà stato o ci sarà qualcosa da purificare, quando, dopo la morte, si saranno purificate. . ., anche prima della risurrezione dei loro corpi e del giudizio universale – e questo dopo l’Ascensione del Signore e Salvatore Gesù Cristo al cielo – sono state, sono e saranno in cielo, associate al Regno dei cieli e al Paradiso celeste con Cristo, insieme con i santi angeli. E dopo la passione e la morte del nostro Signore Gesù Cristo, esse hanno visto e vedono l’essenza divina in una visione intuitiva e anche a faccia a faccia, senza la mediazione di alcuna creatura [Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz. -Schönm., 1000; cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 49].

Bellissima ed espressiva la terminologia usata dal Catechismo per parlarci del cielo. “Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata “il cielo”. Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva” (CCC,2024). Il cielo oltre ad arrivarci è importante viverci. E vivere in cielo non significa solo avere lo sguardo proiettato verso l’eternità e svolgere la propria vita con la massima gioia, ma vivere in cielo è possedere per sempre Dio, la nostra vera felicità. “Vivere in cielo è “essere con Cristo” [Cf Gv 14,3; Fil 1,23; 1Ts 4,17 ]. Gli eletti vivono “in lui”, ma conservando, anzi, trovando la loro vera identità, il loro proprio nome: [Cf Ap 2,17 ] (CCC,1025). La vita, infatti, è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo, là c’è la vita, là c’è il Regno [Sant’Ambrogio, Expositio Evangelii secundum Lucam, 10, 121: PL 15, 1834A]. Come si vive in cielo, è il Magistero della Chiesa, interpretando la parola di Dio, ce ne dà l’esatta dimensione. “Con la sua morte e la sua Risurrezione Gesù Cristo ci ha “aperto” il cielo. La vita dei beati consiste nel pieno possesso dei frutti della Redenzione compiuta da Cristo, il quale associa alla sua glorificazione celeste coloro che hanno creduto in lui e che sono rimasti fedeli alla sua volontà. Il cielo è la beata comunità di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in lui” (CCC,1026). Capire che cosa sia il cielo e come si vive in esso, dalla prospettiva umana e terrena è impresa non facile. E’ un mistero, che si svelerà completamente alla nostra persona dopo la morte. “Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La Scrittura ce ne parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1Cor 2,9). (CCC, 1027).Certamente per la nostra limitatezza umana, per la nostra pochezza umana, non possiamo vedere Dio così come Egli è, nell’eternità. Possiamo solo rappresentarlo ai nostri occhi e alla nostra mente, attraverso la riflessione, la preghiera, l’immaginazione, ciò che ci Dio la Sacra Scrittura su di Lui. Ma come Egli effettivamente sia non è dato sapere ad alcun mortale. Infatti “a motivo della sua trascendenza, Dio non può essere visto quale è se non quando egli stesso apre il suo Mistero alla contemplazione immediata dell’uomo e gliene dona la capacità. Questa contemplazione di Dio nella sua gloria celeste è chiamata dalla Chiesa la “la visione beatifica”: Questa sarà la tua gloria e la tua felicità: essere ammesso a vedere Dio, avere l’onore di partecipare alle gioie della salvezza e della luce eterna insieme con Cristo, il Signore tuo Dio, . . . godere nel Regno dei cieli, insieme con i giusti e gli amici di Dio, le gioie dell’immortalità raggiunta [San Cipriano di Cartagine, Epistulae, 56, 10, 1: PL 4, 357B]. (CCC, 1018).E allora cosa si farà per sempre nel cielo. Come si gode della visione eterna di Dio? “Nella gloria del cielo i beati continuano a compiere con gioia la volontà di Dio in rapporto agli altri uomini e all’intera creazione. Regnano già con Cristo; con lui “regneranno nei secoli dei secoli” (Ap 22,5) [Cf Mt 25,21; Mt 25,23) (CCC, 1029). Come dire in termini umani, più accessibili a noi: lì saremo beati davvero, non avremo altri problemi se non quello di non avere problemi, in quanto tutto è risolto per sempre e nella massima armonia, esattezza e perfezione.

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HO VISTO IL PARADISO/1

di padre Antonio Rungi

Da poco ero rientrato nel mio convento passionista di Itri (Lt) da un impegno di predicazione a Caivano, in provincia di Napoli, dove ogni anno il 6 agosto, in occasione della Festa della Trasfigurazione, si celebra la festa del Volto Santo, e stavo sul terrazzo a contemplare il cielo stellato che si apriva sulla mia testa nella sua maestosità e infinitezza. Erano verso le 23 del 6 agosto del 2012, quando ho visto, quasi fisicamente, aprirsi davanti ai miei occhi l’infinito e gioioso mondo di Dio, quel Paradiso a cui tutti, noi credenti, aspiriamo di arrivare con il nostro impegno nel tempo.

Durante la mia predica a Caivano avevo parlato di questo, del Monte Tabor, della Trasfigurazione del Signore davanti ai suoi tre apostoli scelti da lui per far loro “vedere” come è davvero il Volto di Dio, il Volto luminoso che Gesù, Figlio dell’Eterno Padre, ci ha rivelato con la sua venuta tra noi mortali. Ero preso ancora dalle parole che lo Spirito Santo aveva suggerito alla mia povera mente ed intelligenza di dire in quel momento. Mi sorprendo sempre di più e resto affascinato e molte volte interdetto come io, povero mortale, possa parlare il linguaggio di Dio, della fede, della religione cristiana cattolica con tanta facilità e semplicità, con tanta incidenza nel cuore degli ascoltatori, al punto tale che davvero sono stra-convinto che è lo Spirito santo che parla in voi. Non vi preoccupate di dire le cose, soprattutto davanti ai tribunali del mondo e ai vari tribunali delle ragioni sufficienti che vogliono dimostro tutto e subito ogni cosa, che è lo Spirito Santo a dire attraverso la vostra voce ciò che è necessario proclamare come parola di Dio e della Chiesa.

Sì la predica sulla Trasfigurazione e sulla festa del Volto santo aveva lasciato il segno nelle diverse centinaia di persone presenti nella Chiesa di San Pietro Apostolo in Caivano, tanto da congratularsi con me, dopo la messa. Come sempre un po’ restio alle congratulazioni ed apprezzamenti su quanto dico in nome di Dio e della Chiesa nelle mie prediche, mi fece riflettere una valutazione di una persona anziana, che da anni come me si ritrova all’appuntamento con la festa del Volto Santo, ogni anno il 6 agosto: “Questa sera siete stato eccezionale, come sempre, ma c’era una spinta in più”. Sicuramente era la verità. Le persone quando vengono in chiesa con il desiderio di sentire e lasciarsi toccare dalla parola di Dio riesco a capire ed andare oltre lo stesso nostro modo di comunicare. Evidentemente avevano capito bene, c’era in me una spinta di spiritualità maggiore che io facilmente ho potuto giustificare e inquadrare nel tutto. Come ministro della parola e dell’eucaristia è di norma che quando parliamo dall’altare e siamo coerenti alla parola di Dio e al magistero è Cristo stesso che parla e la Chiesa che insegna. Ma io venivo da una forte esperienza di predicazione di esercizi spirituali, di due turni, tra fine luglio ed inizio agosto, tenuti alle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato, congregazione religiosa femminile, fondata dalla Beata Maria Cristina Brando, la cui causa di canonizzazione volge al termine, durante i quali avevo parlato dell’educazione permanente di ogni anima consacrata e della conformazione  a Cristo.

Ero quindi pieno spiritualmente di tante considerazioni, meditazione e contemplazioni condivise con le religiose, molte delle quali giovanissime e di origine filippina, indonesiana, colombiana, brasiliana, con una buona presenza di religiose più mature di origine italiana, che avevano messo nel mio cuore una spinta di spiritualità in più rispetto al normale modo di predicare. Quindi l’omelia, di quasi 20 minuti, aveva affascinato tutti i presenti, nonostante un caldo asfissiante in quella chiesa, che solo pochi ventagli di signore e signorine, mossi con prudenza per non dare fastidio all’oratore, facevano muovere un po’ di aria, che giungeva sull’altare calda, come torrido era il clima di quel 6 agosto 2012.

Avevo parlato del Paradiso e come, secondo la parola di Dio, gli insegnamenti di Gesù, si può raggiungere il cielo, avevo parlato della pazienza e della sopportazione, della capacità di non far del male agli altri, visto che una volta fatto la piaga resta, nonostante il pentimento e il perdono.

Avevo raccontato un aneddoto che circolava in rete, come un vero tam tam e che ha il suo fascino e il suo insegnamento, e che per una riflessione personale riporto qui in questo contesto di approfondimento di concetti teologici e spirituali molto più consistenti.

“C’era una volta un ragazzo con un pessimo carattere. Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno sul muro del giardino ogni volta che avrebbe perso la pazienza e avrebbe litigato con qualcuno. Il primo giorno ne piantò 37 nel muro. Le settimane successive, imparò a controllarsi, ed il numero di chiodi piantati diminuì giorno dopo giorno: aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare chiodi. Infine, arrivò un giorno in cui il ragazzo non piantò nessun chiodo sul muro. Allora andò da suo padre e gli disse che quel giorno non aveva piantato nessun chiodo. Suo padre gli disse allora di togliere un chiodo dal muro per ogni giorno in cui non avesse mai perso la pazienza. I giorni passarono e infine il giovane poté dire a suo padre che aveva levato tutti i chiodi dal muro. Il padre condusse il figlio davanti al muro e gli disse: “Figlio mio, ti sei comportato bene, ma guarda tutti i buchi che ci sono sul muro. Non sarà mai come prima. Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di cattivo, gli lasci una ferita come questa. Puoi piantare un coltello in un uomo e poi tirarglielo via, ma gli resterà sempre una ferita. Poco importa quante volte ti scuserai, la ferita resterà. E una ferita verbale fa male tanto quanto una fisica” (Anonimo, Il sacchetto dei chiodi).

Lezioni di vita che proiettano la nostra esistenza oltre il tempo, in quella eternità beata alla quale tutti siamo diretti e sulla quale tutti dovremmo riflettere più frequentemente. Eternità è sinonimo di Paradiso. Da qui il bisogno di alzare gli occhi al cielo in una notte stellata di agosto e guardare ilo cielo e con gli occhi della fede, vedere Dio, vedere il Paradiso. Sì perché Dio si fa vedere con quegli occhi puri e semplici della fede semplice, che sa meravigliarsi di fronte all’immensità del cielo, alla profondità del mare e alla bellezza del creato. E allora alzi gli occhi al cielo in una notte stellata e ti rivolgi a Lui per dirgli semplicemente “Grazie”. Grazie perché esisti davvero, grazie perché hai creato ogni cosa bene e bella, grazie perché ci hai dato la vita, grazie perché ci hai dato il soffrire, grazie perché solo Tu, o Dio, Creatore e Padre, meriti il nostro infinito ed immenso grazie, sempre, perché ci ami e ami davvero!

Le meditazioni per il corso di esercizi spirituali

esercizispirituali2012.pdf

In allegato il file pdf delle meditazioni dettate alle Suore Vittime Espitarici di Gesù Sacramentato di Casoria (Napoli), fondate dalla Beata Maria Cristina Brando, durante i due turni di esercizi spirituali, tenuti a Roma dal 23 al 27 luglio e dal 30 luglio al 3 agosto 2012, presso la struttura di Villa M.C.Brando in Via Cassia Roma.

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P.Antonio Rungi cp

Airola (Bn). Verso la conclusione il processo diocesano della Serva di Dio Maria Concetta Pantusa

415243_10150656456131838_860048713_o.jpgDa molti devoti, da studiosi e biografi, da vari spiritualisti è considerata la “Santa Rita del Sud” con qualche variazione sul tema della santità, ma sostanzialmente con gli stessi contenuti di spiritualità e di vita: nubile, poi sposa, poi madre, poi vedova, infine consacrata laica, ma con il desiderio nel cuore di consacrarsi totalmente al Signore nel secondo ordine francescano, chiedendo di entrare nel monastero delle Clarisse di Airola, che allora non accoglieva le persone vedove. Vi entrò l’unica sua figlia, suor Maria Carmela, morta ultranovantenne, tre anni fa, frutto del suo matrimonio con Vito De Marco, poi morto durante la prima guerra mondiale.
Si tratta della Serva di Dio Concetta Pantusa,  madre di famiglia, di cui è in corso il processo di beatificazione, conosciuta presso il popolo cristiano del Sannio e della Calabria, come “Suor Concetta, la monaca santa del Volto Santo di Airola”.
La sua spiritualità, come quella di Santa Rita da Cascia, è una spiritualità della Passione di Cristo. Fu, infatti, guidata nel suo itinerario di fede, speranza e carità dai religiosi passionisti che ad Airola, nel vicino convento di Monteoliveto, sulla collina del piccolo centro della Valle Caudina, erano e sono presenti con una comunità stabile dal 1882 e dai Frati Francescani con il convento di San Paquale presenti in città dal 1600.
Punti di riferimento per la sua formazione spirituale furono San Francesco d’Assisi, Santa Chiara, San Pasquale Baylon, Sant’Antonio da Padova sul versante della famiglia religiosa dei Francescani; mentre sul versante di quella passionista sua grande devozione fu l’amore filiale a San Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, a San Gabriele dell’Addolorata, a Santa Gemma Galgani e particolarmente a Santa Maria Goretti, che venerava con speciale affetto, in quanto ad Airola, fin dal momento della canonizzazione della martire delle Ferriere, nel 1950, si sviluppò una sentita devozione, che ancora oggi persiste al tempo della distruzione di tutto il sacro negli ambiente cristiani dei decenni passati. Qui Maria Concetta Pantusa visse, per oltre 20 anni, l’ultimo significativo tratto della sua vita.
Nata a Celico il 3 febbraio 1894, Maria Concetta Pantusa da fanciulla soffrì molto per il duro trattamento del padre,  il quale la condusse con sé in Brasile dove si recò in cerca di lavoro. In Brasile sposò un giovane italiano di origini pugliesi, un certo Vito De Marco.  Dalla loro unione coniugale il 28 ottobre 1915 nacque l’unica figlia Maria Carmela, poi diventata monaca clarissa. 
Ritornarono in Italia nel 1916, prendendo domicilio a Polignano a Mare (Bn). Il marito morì durante la prima guerra mondiale, lasciandola vedova con una bambina da accudire in un tempo di estrema miseria e povertà. Dopo molte traversie, l’ 8 maggio 1930, insieme con l’unica figlia e con Suor Speranza Elena Pettinato si trasferì in Airola (Benevento). Mentre la figlia entrava nel monastero delle Clarisse, lei che pure aveva fatto richiesta d entrarvi, non fu accettata per i limiti della regola del secondo ordine francescano. Di conseguenza restò nel secolo e con suor Speranza iniziò una vita di consacrata laica. Qui si dedicò all’educazione dei piccoli, alla carità, al servizio degli poveri, alla preghiera, vivendo un’intensa vita interiore nella sua piccola abitazione di via Monteoliveto in Airola, guidata da saggi direttori spirituali. Incominciarono le prime significative esperienze di visioni ed estasi, che sapeva tenere gelosamente nascoste per sé, per evitare qualsiasi fraintendimento, strumentalizzazione e soprattutto per allontanare lo spettro della superbia e dell’orgoglio, che si possono manifestare quando i segni del cielo sono evidenti in un’anima santa. La lotta contro il Demonio è testimoniata nel suo diario spirituale.
Il Signore, infatti, riversò in lei molti doni: la profezia, il miracolo, la visione, l’estasi, le stimmate e i dolori della Passione.
Nell’umile stanzetta dove viveva, il 17 febbraio 1947, per tre ore, dalle 13 alle 16, da un’immagine del volto di Gesù della S. Sidone di Torino, vide uscire dal sangue; il sangue sgorgava come da una sorgente e rimase in ebollizione per tre ore. Questo fenomeno si ripeté il 28 febbraio e, per la terza volta, il 4 marzo. Da quel giorno i fatti miracolosi si susseguirono con continuità. Maria Concetta Pantusa morì il venerdì di Passione il 27 marzo 1953, all’età di 59 anni.
Sull’eroicità delle virtù teologali e morali e su specifici altri fatti attinenti la santità della Serva di Dio sta operando con grande senso di equilibrio e di giudizio, da cinque anni, il Tribunale ecclesiastico diocesano di Cerreto-Telese-Sant’Agata  per la causa dei santi.
Il processo per la causa di beatificazione è stato, infatti, aperto ufficialmente il 10 febbraio 2007, alla presenza del Vescovo diocesano di Cerreto-Telese-Sant’Agata dei Goti, monsignor Michele De Rosa, nella Chiesa della SS.Annunziata di Airola (Bn), alla presenza di oltre mille fedeli arrivati ad Airola, da ogni parte d’Italia, dalla terra nativa della Serva di Dio, la Calabria e dalle Puglie. Tale iniziativa  è  sostenuta dalla Pia Unione del Volto Santo di Airola, il cui responsabile è il francescano, padre Vittorio Balzarano.
Il processo diocesano sta in via di ultimazione, dopo che la sezione del tribunale ecclesiastico ha ascoltato tutti i testimoni ed esperite tutte le pratiche canoniche previste dall’iter per la beatificazione.

Antonio Rungi