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ITRI. FESTA DI SAN PAOLO DELLA CROCE 2020

festa san paolo 2020

ITRI (LT). FESTA DI SAN PAOLO DELLA CROCE, NEL TERZO CENTENARIO DI FONDAZIONE DELL’ISTITUTO DEI PASSIONISTI

di Antonio Rungi

Quattro giorni di intensa preghiera per la festa San Paolo della Croce, dal 16 al 19 di ottobre 2020, che si terranno nella chiesa di Santa Maria di Loreto in Itri, tempio mariano che i passionisti hanno avuto in donazione nel 1943 e che conservano gelosamente, per alimentare la fede nel popolo santo di Dio nella comunità cristiana di Itri e dei paesi limitrofi. La festa, quest’anno, nel rispetto delle norme anti Covid 19, più restrittive nel Lazio, rispetto a quelle emanate dal governo, assume un significato particolate sia per la ricorrenza del terzo centenario della Congregazione dei Passionisti, fondata da San Paolo della Croce il 22 novembre 1720 e sia per l’emergenza dovuta alla pandemia che tanta ansia e preoccupazione sta producendo nel cuore e nella vita della gente e dei fedeli. In considerazione di tutti questi elementi, la comunità passionista di Itri-Civita, costituita da 8 religiosi, che curano anche il Santuario Mariano della Civita, si concentrerà essenzialmente sulle celebrazioni religiose. In particolare sarà curata la preghiera del rosario, la celebrazione delle messe con relative omelie, commemorazione transito del fondatore dei passionisti, avvenuto a Roma il 18 ottobre 1775, ai Santi Giovanni e Paolo. Nessuna manifestazione esterna è prevista per questa festa, anche perché non è possibile affatto.

La chiesa dei Passionisti di Itri, conosciuta da tutti come dei “Cappuccini”, intitolata dalla Madonna di Loreto, da loro fondata nel 1574 e per secoli curata e messa a servizio della comunità religiosa e civile di Itri, può ospitare fino ad un massimo di 60 persone in base alle norme per il Covid-19. Normalmente la Chiesa è frequentata da un buon numero di fedeli, sia nelle giornate feriali e soprattutto nelle domeniche e nelle feste. La devozione a San Paolo della Croce è molto sentita in città e nel territorio, in quanto il Santo è stato negli anni 1720-1726 più volte a Gaeta, Fondi, Sperlonga ed altre località. A Gaeta, insieme al fratello Giovanbattista, fissò per lunghi mesi la sua dimora al romitorio della Madonna della Catena e nel 1726 per diversi mesi sostò in preghiera, penitenza e discernimento al Santuario della Madonna della Civita. La presenza di San Paolo della Croce si perpetua da tre secoli in questa area, con la predicazione delle missioni popolari, con varie iniziative religiose, che i passionisti nel tempo hanno portato avanti con la loro attività missionaria e spirituale. Poi nel 1943 nell’attuale convento cittadina si stabilì una comunità religiosa passionista che ha operato nel territorio dell’arcidiocesi di Gaeta in vari settori: parrocchia, direzione spirituale, predicazione itinerante, assistenza spirituale a vari istituti di suore e, negli anni post-bellici nel campo dell’assistenza umanitaria, culturale e sociale, favorendo quella rinascita civile di Itri, dopo il secondo e distruttivo conflitto mondiale. Dal 1985 i passionisti, su proposta dell’arcidiocesi di Gaeta, hanno accettato di guidare spiritualmente anche il santuario della Civita.

Nel 2012, i passionisti hanno lasciato la parrocchia di Santa Maria Maggiore che avevano guidato per oltre 50 anni e la parrocchia San Michele Arcangelo, sempre in Itri, che aveva avuto in affidamento da due anni. Attualmente oltre al santuario della Civita, impegno pastorale prioritario, sono a servizio dell’arcidiocesi di Gaeta, come responsabili della vita consacrata, come parroci e vicari -parroci, nel campo della predicazione itinerante, dei mezzi di comunicazione sociale, come cappellani ed altri ministeri tipici della Congregazione della Passione. In occasione del lockdown per la pandemia da coronavirus, ancora in fase di diffusione, hanno animato la vita spirituale dei fedeli, a distanza, con la celebrazione delle sante messe, la liturgia delle ore, le catechesi, la preghiera del Rosario, con le varie funzioni religiose, soprattutto in occasione della settimana santa, trasmettendo il tutto in diretta streaming dal Convento di Itri e dal Santuario della Civita, quando è stato possibile.

Ora i religiosi, confidando nell’aiuto di Dio, sperano di poter svolgere al meglio il triduo e la festa religiosa del loro fondatore, San Paolo della Croce ed attendere l’arrivo dell’Icona del Giubileo dei Passionisti, in peregrinatio in tutto il mondo e che arriverà ad Itri-convento il 30 novembre 2020, proveniente da Casamicciola e che verrà poi trasferita il 2 dicembre alla comunità di Sora. Intanto nella Chiesa è stato predisposto il tosello che accoglie la statua di San Paolo della Croce, collocata, all’esterno, all’ingresso del Convento e che negli anni scorsi veniva portata in processione per le principali vie del rione dei Cappuccini.

Questo è il programma dettagliato del triduo e della festa liturgica di San Paolo della Croce nel 2020, segnato dalla pandemia.

Il 16-17 ottobre 2020, giornate di preparazione: al mattino: Ore 7,00 Santo Rosario. Ore 7,30 Messa; al pomeriggio: Ore 17,30 Santo Rosario meditato con i pensieri spirituali di San Paolo della Croce. Ore 18.00 Messa con omelia. Domenica, 18 ottobre 2020, giorno della commemorazione della morte di San Paolo della Croce, al mattino: ore 7,30 Santo Rosario; ore 8.00 Messa. Al pomeriggio, ore 17,30 santo Rosario meditato, con i pensieri spirituali di San Paolo della Croce; ore 18.00, santa messa con omelia. A conclusione della santa Messa commemorazione del Transito di San Paolo della Croce al cielo, con la lettura dei Ricordi e delle ultime raccomandazioni lasciate ai suoi figli spirituali il 18 ottobre 1775. Lunedì, 19 ottobre 2020, festa liturgica di San Paolo della Croce, infine, alle ore 7,30 messa solenne concelebrata; ore 17,30 santo Rosario ed ore 18.00, concelebrazione, con la supplica a San Paolo della Croce e la benedizione con la sua reliquia.

P.RUNGI. SOLENNITA’ DELL’ASCENSIONE DI N.S.GESU’ CRISTO- DOMENICA 13 MAGGIO 2018

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ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO B)
GESU’ E’ ASCESO AL CIELO E SIEDE ALLA DESTRA DEL PADRE

Domenica 13 maggio 2018

Commento di padre Antonio Rungi

Oggi celebriamo la solennità dell’Ascensione al cielo di nostro Signore Gesù Cristo, che abbiamo contemplato in questi quaranta giorni del tempo pasquale come il Risorto in mezzo ai suoi discepoli, con i quali dialoga, mangia e si intrattiene, ma anche invia ed indica la strada della risurrezione nella logica della Pasqua sua e nostra. Oggi, infatti, si completa il cammino nel tempo del Redentore, morto e risorto, in quanto con la sua ascensione al cielo, Egli siede definitivamente alla destra del Padre, per poi, un giorno ritornare per giudicare i vivi e i morti, nel giudizio finale e nel secondo e definitivo avvento sulla terra. Nella preghiera inziale di questa solennità, la colletta, preghiamo con queste significative parole, che hanno attinenza al mistero della gloria: “Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria”. La chiesa pellegrina è in cammino verso l’eternità e tra il già e il non ancora continua a svolgere la sua missione nel nome del Signore su mandato esplicito del Cristo che ascende glorioso e vittorioso al cielo, come ci ricorda il brano del Vangelo di Marco che si proclama in questa solennità: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». E di fatto gli apostoli partirono e fecero esattamente quello che Gesù aveva loro ordinato di fare. Infatti “predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.

Nel brano degli Atti degli apostoli che riguarda proprio il momento in cui Gesù ascende al cielo è tratteggiata la storia della vita di Cristo, in modo sintetico, ma efficace, per capire esattamente chi era Cristo per i discepoli e per la chiesa delle origini e chi deve essere Cristo, per noi credenti del XXI secolo dell’era cristiana. Allora Gesù “si mostro vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio”. Poi, “mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».

Gesù torna in cielo e manda dal cielo il suo Spirito Paraclito, che procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. Tra Ascensione e Pentecoste si gioia la vita umana e spirituale del gruppo degli apostoli invitati da Gesù a restare in attesa del Paraclito e poi inviati nel mondo ad evangelizzare. Ed essi me saranno testimoni di Cristo a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra. La promessa di Cristo si è realizzata, se oggi, la Chiesa, il Vangelo e la conoscenza dell’unico salvatore del mondo hanno raggiunto gli estremi confini del mondo terrestre per oltrepassare la stessa terra e collocarsi come annuncio di vita e speranza nell’intero universo, sempre più alla portata della conoscenza dell’uomo, mediante la tecnologia di oggi.

Oltre il predicare e l’annunciare il vangelo in tutto il mondo ed invitare a conversione chi è lontano dalla fede e non conosce affatto Dio, c’è per ogni cristiano il diritto-dovere di testimoniare Cristo con una degna condotta di vita, come ci ricorda il brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo Apostolo agli Efesini: comportarsi in maniera degna della chiamata che abbiamo ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandoci a vicenda nell’amore e avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”.

Curare l’unità nella diversità dei carismi è un altro importante compito che spetta ad ogni credente e cattolico vero: Noi dobbiamo essere “un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siamo stati chiamati, quella della nostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”.

La pluralità dei doni e dei carismi non ci deve spaventare, ma arricchirci e stimolarci a fare sempre di più e meglio a gloria di Dio: “A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”.

Un cammino difficile quella dell’unità, ma tutti dobbiamo lavorare per raggiungerla ovunque siamo e qualsiasi cosa facciamo. Nulla ci deve portare lontano da Dio e dagli altri, ma tutti dobbiamo convergere verso un’unità vera e sostanziale che si fonda, si struttura nel tempo e organizzativamente come docilità allo Spirito Paraclito, che è accoglienza dei vari carismi che Egli suscita nella chiesa e per la chiesa.

Con il salmista eleviamo al Signore il nostro inno di lode e di ringraziamento per tutto quello che ci ha donato da sempre: “Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia, perché terribile è il Signore, l’Altissimo, grande re su tutta la terra. Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba. Cantate inni a Dio, cantate inni, cantate inni al nostro re, cantate inni. Perché Dio è re di tutta la terra, cantate inni con arte. Dio regna sulle genti, Dio siede sul suo trono santo”.

A questo trono rivolgiamo oggi il nostro sguardo nella liturgia solenne dell’Ascensione al cielo di nostro Signore, perché con lo sguardo fisso sulle cose di lassù, ma operando con sapienza su questa terra, possiamo meritare anche noi di essere accolti tra i beati del cielo, dove Gesù è asceso e ci attende, perché è andato a preparare per ognuno di noi un posto in prima fila per tutti i suoi figli.

P.Rungi. Commento alla Parola di Dio della IV Domenica – 28 gennaio 2018

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IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Domenica 28 gennaio 2018
Lo stupore e la sicurezza che suscita il divino Maestro Gesù
Commento di padre Antonio Rungi
 

Il Vangelo di questa quarta domenica del tempo ordinario ci porta all’interno della Sinagoga di Cafarnao, dove Gesù si pone ad insegnare nel giorno di sabato.

Cosa abbia detto e quali insegnamenti abbia trasmesso non è detto nel brano del Vangelo di Marco.

Il contenuto del suo insegnamento non è esplicitato nel testo. Tuttavia, due aspetti importanti fa notare san Marco nel descrive questo momento. Era un maestro, Gesù, che affascinava quando parlava e nel trasmettere quello che affermava lo faceva con l’autorità che gli derivava dal fatto che era il Figlio di Dio.

Nel fare un tentativo di ricostruzione, a posteriore, di quanto diceva Gesù in quel contesto, possiamo con una certa attendibilità pensare che parlasse degli spiriti immondi, del male e del modo di comportarsi rettamente. Possiamo dire che tenne una lezione di sacra scrittura e di teologia morale.

Tanto è vero che di fronte alle sue parole toccanti e suscettibili di immediate risposte, tra il pubblico presente, in quel sabato, nella sinagoga di Carfanao, c’era un uomo posseduto da uno spirito impuro che cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!».

La professione di fede nella divinità del Cristo è fatta da un uomo posseduto da uno spirito impuro.

Una dichiarazione pubblica della natura divina del Maestro Gesù che in quel momento istruiva nella sinagoga di Carfanao. Ma Gesù prova a far stare zitto quell’uomo che alza la voce per proclamare la sua vera identità, imponendo allo spirito impuro di lasciare subito quell’uomo, e così successe: “Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui”.

Di fronte a questo ennesimo miracolo dimostrativo della potenza di Cristo, tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».

Il riconoscimento da parte dei presenti dalla singolare missione di Gesù è affermata tra la gente che aveva visto con i propri occhi ciò che era successo.

Il miracolo era chiaro e non ammetteva false interpretazioni o possibili manipolazioni. Al punto tale, che dopo questo fatto straordinario, la notorietà di Gesù si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Gesù estende la conoscenza della sua missione a gente e luoghi diversi e nuovi. Un modo concreto per evangelizzare e proporre un cammino nuovo per coloro che volevano e vogliono seguire la strada di Cristo.

Di profezia e di annuncio si parla nella prima lettura di questa domenica. E il profeta, maestro che sale in cattedra in questo caso è Mosè che parlò al popolo dicendo: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto”.

Chiaro riferimento alla venuta del Salvatore, nostro Signore Gesù Cristo che è prefigurato in questo testo del Deuteronomio. E infatti, l’umanità, attraverso Gesù, unico mediatore tra Dio e l’uomo, otterrà quando chiederà al Signore.

La conferma di questa esplicita volontà di Dio di inviare il profeta per eccellenza è espressa nei versetti successivi, nei quali leggiamo che il Signore susciterà loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e porrà sulla sua bocca le parole del cielo, comunicando al popolo i precetti del Signore.

Il monito successivo, fa riflettere molto a quanti non sono attenti alla voce di Dio: “Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto”.

Quante volte questa parola è giunta ai nostri orecchi e pur avendola ascoltata bene e compresa perfettamente poi non l’abbiamo messa in pratica, non ha prodotto il frutto sperato?

Parimenti bisogna fare attenzione ai falsi profeti, a quanti si illudono e presumono di essere Dio, quando in realtà sono fragili creature umane che hanno la presunzione di parlare nel nome di Dio, quando in realtà parlano in nome proprio o addirittura di comandare di fare cose non comandate dall’alto.

Questi profeti arroganti e presuntuosi, dovranno morire, nel senso che ne scomparirà la semente, perché fanno solo danni in tutti i tempi e in tutti gli ambienti.

Ascoltare, praticare, raggiungere la santità, mediante uno stile di vita conforme al vangelo di Cristo, che Paolo Apostolo sintetizza in alcune raccomandazioni che fa nella sua prima lettera ai Corinti. Infatti, l’Apostolo sottolinea che le cose che scrive e dice sono finalizzate al bene dei cristiani di Corinto.

E quali sono queste cose richiamate come etica persona e familiare? Esse sono indicate chiaramente. Vuole che i cristiani vivano senza preoccupazioni. In altri termini chi non è sposato si deve preoccupare delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si deve preoccupare delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si deve concentrare sulle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si deve preoccupare delle cose del mondo, come possa piacere al marito”.

Categorie di persone e soggetti diverse con vocazioni e modalità di vivere a secondo della propria condizione personale e sociale. Questo criterio operativo aiuta a crescere nella santità della vita, senza confusione del cuore, della mente e delle azioni che si pongono in essere, come sposato o non sposato e per tutte le altre condizioni di vita.

Concludiamo la nostra riflessione con la preghiera iniziale della santa messa di questa domenica: “O Padre, che nel Cristo tuo Figlio ci hai dato l’unico maestro di sapienza e il liberatore dalle potenze del male, rendici forti nella professione della fede, perché in parole e opere proclamiamo la verità e testimoniamo la beatitudine
di coloro che a te si affidano”. Amen

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SANTISSIMA TRINITA’ (ANNO A)

 

DOMENICA 11 GIUGNO 2017

 

IL NOSTRO DIO E’ IMMENSO NELL’AMORE

 

ED INFINITO NELLA MISERICORDIA

 

Commento di padre Antonio Rungi

 

Il mistero della Santissima Trinità che celebriamo oggi con un’apposita liturgia della parola e dell’Eucaristia, ci sostiene nella profonda convinzione della nostra fede, nel Dio Uno e Trino, che il nostro Dio è grande nell’amore ed immenso nella sua misericordia.

Padre, Figlio e Spirito Santo è la grande rivelazione che Gesù Cristo, nostro Salvatore, fa all’uomo nella sua venuta sulla terra, quale redentore, inviato dal Padre, la cui missione, una volta completata con la sua ascensione al cielo, viene continuata dall’azione dello Spirito Santo che “procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre ed il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti” (Credo). Questo Dio Uno e Trino, è vicino a noi e vive dentro di noi. Questo Dio che è Uno nella natura, Trino nelle persone, forte ed immenso nell’amore, generoso nel concedere il perdono.

Nella preghiera della colletta di questa festività, noi, infatti, ci rivolgiamo con queste bellissime espressioni di fede: “O Dio Padre, che hai mandato nel mondo il tuo Figlio, Parola di verità, e lo Spirito santificatore per rivelare agli uomini il mistero della tua vita, fa’ che nella professione della vera fede riconosciamo la gloria della Trinità e adoriamo l’unico Dio in tre persone.

Dal brano della prima lettura di questa festa, ci vengono indicati alcuni attribuiti essenziali di Dio, così come sono descritti nel testo dell’Esodo, che narra la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto, del passaggio del Mar Rosso e della comunicazione di Dio della sua fondamentale volontà, scritta e fissata nei Dieci Comandamenti, dati a Mosè sul Monte Sinai, dove Egli stipula con l’uomo una prima fondamentale alleanza, quella appunto sinaitica. Infatti leggiamo che “in quei giorni, Mosè si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà».

Dio si autorivela, si dichiara per quello che Egli è sostanzialmente: un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”.

Come si vede, è un Dio che prende l’iniziativa per farsi conoscere e per dire all’uomo, che non è solo, ma oltre di Lui che un Essere superiore che lo sostiene nel cammino della vita e della storia e che cammina al suo fianco non con le armi e le frecce in mano, né con la potenza del governo di ogni genere umano e terreno, ma con l’amore, la tenerezza e la bontà di un Padre, che guarda davvero nel cuore di ogni suo figlio, comprendendolo e rassicurandolo nelle sue fragilità.

Lo stesso salmo responsoriale, tratto da libro di Daniele è un inno di lode e di riconoscenza al nostro Dio, il cui nome è glorioso e santo. Egli che penetra con lo sguardo gli abissi  siede sui cherubini.

Nel brano della seconda lettura di questa festa, Paolo Apostolo, scrivendo ai Corinzi, ci raccomanda di essere gioiosi, di tendere alla perfezione, di farci coraggio a vicenda nella prova,  di avere gli stessi sentimenti e di vivere in  pace con se stessi, con gli altri e soprattutto con Dio.

Nel testo di questo brano viene riportato il noto saluto iniziale della celebrazione eucaristica o di apertura di varie liturgia, che ben conosciamo e che ci riporta nel mistero della Santissima Trinità: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”.

Ebbene, davvero facciamo sì che la santissima Trinità inabiti in noi e ci dia tutta quella forza che ci serve per camminare nella vita di tutti i giorni, verso il traguardo finale dell’eternità, dove vedremo Dio faccia a faccia, così come Egli è, e sapremo la verità di tutto quello che abbiamo creduto, amato e sperato nel tempo, non senza dubbi e problemi. In questa fede nella santissima Trinità, siamo cresciuti e siamo stati allattati con il latte spirituale dei nostri genitori e di quanti ci hanno educati ad alzarci al mattino e farci il segno della Croce, per iniziare il nuovo giorno sotto la protezione di Dio e così, man mano per tutta la giornata, nelle varie attività e celebrazione, nei vari spostamenti, passando davanti ad una chiesa o un cimitero o fermandosi in sosta davanti ad una icona della Vergine Santissima, la Madre di Dio e Madre di nostro Signore Gesù Cristo. Quel Dio che, come ci ricorda San Giovanni nel brano del Vangelo di questa festa che «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». Il mistero della santissima Trinità è un mistero d’amore infinito e di misericordia senza limiti. Egli da cielo sa e conosce ogni nostra esigenze e bisogno e con autorevolezza di Padre ci sostiene nel cammino del pellegrinaggio terreno, indicando nel suo Figlio, morto e risorto, la strada maestra per andare in cielo e lasciandoci guidare dallo Spirito Santo, consolatore perfetto e dolce ospite della nostra vita di credenti. Sia questa la nostra preghiera in onore della Santissima Trinità: “Padre della vita, che con infinito amore guardi e custodisci coloro che hai creato, ti ringraziamo per tutti i tuoi doni. Ascoltaci quando ti invochiamo, sostienici quando vacilliamo, perdona ogni nostro peccato. Signore Gesù, Salvatore del mondo, che hai preso su di te i pesi e i dolori dell’umanità, ti affidiamo ogni nostra sofferenza. Quando non siamo compresi, consolaci, nell’inquietudine donaci la pace, se siamo considerati ultimi, tu rendici primi. Spirito Santo, consolatore degli afflitti e forza di coloro che sono nella debolezza, ti imploriamo: scendi su di noi. Con il tuo conforto, il pellegrinaggio della nostra vita sia un cammino di speranza verso l’eternità beata del tuo Regno. Amen” (Card Dionigi Tettamanzi).

 

COMMENTO ALLA FESTA DEL BATTESIMO DI GESU’ – 10 GENNAIO 2016

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FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE (ANNO C)

DOMENICA 10 GENNAIO 2016

IL BATTESIMO DI GESU’, EPIFANIA DELLA MISERICORDIA DI DIO

Commento di padre Antonio Rungi

La festa del Battesimo di Gesù, in questa seconda domenica del nuovo anno, e nell’anno santo della misericordia, in invita a riflettere sul tema della nostra rinascita spirituale, attraverso il sacramento del Battesimo che abbiamo ricevuto, per lo più, in tenera età, su decisione dei nostri genitori che hanno ritenuto, giustamente ed opportunamente, di far dono ai loro figli di quella stessa fede e di quella stessa grazia di cui avevano goduto loro, all’inizio della loro vita terrena. Nella preghiera iniziale di questa festa, la Colletta, preghiamo con queste parole: “Padre onnipotente ed eterno, che dopo il battesimo nel fiume Giordano proclamasti il Cristo tuo diletto Figlio, mentre discendeva su di lui lo Spirito Santo, concedi ai tuoi figli, rinati dall’acqua e dallo Spirito, di vivere sempre nel tuo amore”. In questa orazione chiediamo al Signore di vivere nel suo amore, di vivere, cioè, nella sua misericordia. Il battesimo che abbiamo ricevuto è stato il primo gesto di amore e misericordia da parte di Dio nei nostri riguardi, in base al quale Egli, mediante Gesù Cristo, ci ha elevati alla dignità di suoi figli adottivi. Gesù, infatti, ci ricorda l’apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera a Tito “ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone. Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna”. Nel brano appena citato, Paolo parla appunto della misericordia di Dio che ci ha salvato dalla nostra condizione di peccato originale, mediante il lavacro di purificazione che il Battesimo, espresso dall’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo. In questa nuova dimensione ed esistenza improntata dalla grazia e alla soprannaturalità, noi camminiamo nel tempo, nell’attesa di quella vita eterna, di cui Cristo ci ha fatto eredi mediante la sua morte e risurrezione. Quel mistero pasquale nel quale veniamo immersi mediante il sacramento del battesimo. Noi siamo in continua costruzione, ricostruzione e ristrutturazione del nostro essere cristiani, indirizzati verso l’eternità. La nostra meta è nel cielo, ma si costruisci sulla terra, impegnandosi a vivere secondo gli insegnamenti del Vangelo che “ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo”. Questo nuovo stile di vita ci viene richiesto esplicitamente da una voce autorevole come quella di Giovanni Battista che, nuovamente, è in scena sul palcoscenico delle feste natalizie che si possono, a ben ragione, dire che si concludono qui. La figura di Giovanni riemerge anche in questa circostanza, non per far ombra o ostacolare l’ufficializzazione di chi era davvero il Figlio di Dio, ma per indicare in Gesù, il vero ed unico salvatore. Leggiamo, infatti, nel testo del Vangelo di Luca: “Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Il riferimento a Gesù Cristo, è chiaro. Il battesimo di Giovanni è un battesimo penitenziale e Gesù si assoggetta a tale liturgia penitenziale, per dare l’esempio. Ma è esattamente in quel momento che dal cielo una voce rivela la vera identità di quel giovane maestro che si abbandona nelle mani del precursore e per giunta suo cugino. Il Battesimo che Cristo ci donerà, nel mistero della sua Pasqua e Risurrezione, è un Battesimo di remissione del peccato originale, con il quale entriamo in questo mondo e che contraiamo per il fatto che apparteniamo al genere umano. In questa verità in cui camminiamo e di cui siamo convinti come cristiani, possiamo elevare al Signore l’inno di gioia che il profeta Isaia ha fissato in uno dei testi biblici più belli e significativi dell’Antico Testamento, proprio guardando, in prospettiva, a Gesù Cristo salvatore e redentore dell’uomo: «Consolate, consolate il mio popolo –dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». Ed aggiunge parole di speranza per tutta l’umanità: Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri». Nella festa del Battesimo di Gesù, tutto questo è confermato dalla voce celeste che indica in Gesù Cristo il Figlio di Dio, l’Eletto, nel quale il Padre si è compiaciuto e mediante il quale esercita la sua misericordia nei confronti dell’umanità, bisognosa di salvezza e redenzione. Con il Salmista, ci rivolgiamo a Dio con questa preghiera di ringraziamento e di lode: Sei tanto grande, Signore, mio Dio! Sei rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto, tu che distendi i cieli come una tenda.Mandi, Signore, il tuo spirito e con la tua misericordia rinnova la faccia della terra.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO PER LA DOMENICA DELLA SANTA FAMIGLIA.

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SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (ANNO C)
DOMENICA 27 DICEMBRE 2015

UNA FAMIGLIA UNICA, IRRIPETIBILE, MODELLO DI TUTTE LE FAMIGLIE

Commento di padre Antonio Rungi

A solo 48 ore dalla solennità del Natale e dell’annuale ricorrenza della nascita di Gesù, celebriamo, oggi, nel clima natalizio e di festa che genera questa ricorrenza, un altro momento bello del cammino di questo Giubileo della Misericordia in pieno svolgimento. Oggi, infatti, celebriamo la festa della Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria, una storia di vita familiare irripetibile, ma affascinante e modello di comportamento per ogni famiglia credente o meno. La famiglia di Nazareth è questo riferimento normativo, spirituale, umano e sociale a cui ci vogliamo ispirare in questo Natale 2015, che è il Natale della Misericordia e del perdono.

Nell’ottobre di quest’anno, si è svolto un importante Sinodo ecclesiale in Vaticano a livello mondiale proprio sul tema della famiglia. Vorremmo agganciarsi proprio a questa esperienza di chiesa, guidata oggi dalla saggia ed equilibrata persona di Papa Francesco per entrare nel cuore della Famiglia di Nazareth e sbarrare le porte delle nostre famiglie, chiuse e serrate da egoismi di ogni tipo. E per farlo, ci affidiamo proprio ai tre membri di questa comunità familiare divina ed umana, in cui la presenza di Cristo, Figlio di Dio, concepito nel grembo di Maria per opera dello Spirito Santo ci dà il polso della reale e straordinaria vicenda di questa favola e sogno familiare che troviamo proprio nella casa di Nazaret. Il testo del Vangelo di Luca che oggi ascoltiamo ci presenta una famiglia in marcia verso Gerusalemme, in una carovana, per celebrare la pasqua annuale. C’erano Giuseppe, Maria e Gesù uniti nel viaggio di andata. Dopo aver svolto tutto quello che era previsto di fare, ritornarono. Ma Gesù, senza dire nulla ai genitori, resto a Gerusalemme tra i dottori ad insegnare loro. Un bambino di 12 anni che insegna ai tanti intellettuali del tempio sacro. Eppure si verifica esattamente così. Certo, se Gesù avesse chiesto il permesso ai genitori, non glielo avrebbero concesso. A dodici anni, minorenne, con la confusione che c’era a Gerusalemme per la Pasqua, nessun genitore avrebbe permesso una cosa simile. E lui cosa fa? Rimane lì ad insegnare. E sì, Lui poteva disobbedire ai genitori terreni, ma non poteva non ascoltare la voce del suo Padre Celeste che lo voleva esattamente in quel momento, in quel luogo a svolgere la sua missione. D’altra parte, quando i genitori ritrovano Gesù e lo rimproverano, senza mezze misure (legittimamente da un punto di vista legale) egli cosa dice:«Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro”. Esattamente quello che spesso capita nelle nostre famiglie di oggi: non ci capisce più tra genitori e figli, tra marito e moglie e tra parente vari. Gesù qui chiede una comprensione oltre misura alla Madre e a Giuseppe, una comprensione di un mistero ancora tutto da scoprire e rivelare. Maria in questo mistero vi era entrata con un si, preciso. Giuseppe lo aveva accettato dando la disponibilità all’angelo, mentre nel sogno e poi nella realtà pensava di ripudiare Maria che era incinta. Poi tutto scorre liscio. Quel Bambino nasce e viene alla luce, cresce, si sviluppa e cerca la sua autonomia nella missione celeste che deve portare a termine. Egli è sceso per fare la volontà del Padre. Ecco io vengo, Signore, per fare la tua volontà. E Gesù compie questa volontà in ogni momento della sua vita, la sua obbedienza la osserva integralmente, verso il suo vero Padre, anche se poi, ci ricorda il vangelo, che tornò a casa e restò sottomesso ai genitori fino al momento dell’annuncio del Regno e della predicazione. Alcune considerazioni su questo testo del Vangelo vanno fatte, anche in rapporto al tempo che stiamo vivendo, quello del Giubileo della Misericordia. Nella vita sbagliamo tutti. Sbagliano i piccoli, più facilmente, in quanto sono inesperti e a volte ribelli e contestatori, ma sbagliano molto di più i grandi, che sono distratti in tante cose e a volte si dimenticano delle loro creature o le curano solo fino a quando si va d’accordo tra coniugi.

Gesù dimenticato dai suoi genitori è l’esempio di tanti bambini dimenticati nel mondo, di cui nessuno va alla ricerca. Sono anonimi, non appartengono a nessuno e come tali sono oggetti delle passionisti e delle barbarie più crude che si possono compiere in ogni epoca ed anche nella nostra epoca: bambini uccisi dalle bombe, morti in fondo al mare, uccisi dal lavoro, dalla miseria e dalla fame, uccisi dall’egoismo dei grandi, molte volte che sfruttano queste creature innocenti e tenere, che, invece, avrebbero bisogno di altre e più amorevoli cure ed attenzioni. Gesù ritrovato dai genitori, è la speranza che nutriamo tutti nei nostri cuore che questo natale della misericordia, possa far ritrovare genitori e figli, marito e moglie intorno alla tavola della misericordia, dell’amore e della tenerezza del cuore. Non è festa della famiglia se mancano i bambini e dove mancano i bambini manca il sorriso di Dio, la tenerezza di Dio, un presente e un futuro dell’umanità.

Non possiamo permetterci distrazioni nei confronti dei piccoli, né avere piena fiducia in loro, in quanto devono crescere e maturare. Ci vuole quella necessaria vigilanza, attenzione, cura ed amore in ogni luogo, istituzione dove c’è anche un solo bambino e molte volte, neppure della propria famiglia o della parentela, in quanto i bambini sono di tutti  devono essere protetti da tutti.

Il senso di questa festa 2015 della santa famiglia sta proprio partendo dal Gesù bambino volto tenerissimo della misericordia di Dio. Ripartendo dalla vita e dai bambini, le nostre famiglie riassaporeranno il cielo nella loro casa, la gioia e la felicità che solo un bambino può dare. Tutte le mamme, tutti i padri dovrebbero elevare al Signore la stessa preghiera di Anna, di cui ci parla il testo della prima lettura di oggi, tratto dal Libro di Samuele, visto che si parla prorio della nascita di questo uomo eccezionale nella storia del popolo eletto:  “Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore”. Quante donne e quanti uomini hanno ucciso bambini? Il Giubileo della misericordia sia anche il tempo di una profonda verifica persona circa il tema dell’accoglienza della vita nascente e della vita già venuta alla luce, con l’entrata in questo mondo, quando ogni bambino, uscendo dal grembo materno, dopo nove, più o meno mesi, di attesa, incomincia con un pianto che, spesso, lo accompagnerà fino alla morte. Quanti bambini hanno pianto per le colpe e le responsabilità dei genitori, parenti ed adulti nell’indifferenza e nella cattiveria. L’umanità sappia chiedere perdono a tutti i bambini del mondo per il male che ha commesso nei suoi confronti, dal momento stesso in cui Erode compì la prima strage degli innocenti. Quelle stragi silenziose e conosciute si rinnovano ancora oggi. E noi non possiamo tacere di fronte al male, qualsiasi male, che si possa fare ad un qualsiasi creatura innocente e semplice come sono i bambini di tutta la terra, al di là del colore della pelle, della nazione e della religione.

Sia questa la nostra preghiera, oggi, nella domenica della Santa Famiglia, nell’Anno Giubilare della Misericordia:

Gesù Bambino, ancora una volta sei sceso tra noi,

nell’annuale ricorrenza della tua nascita,

per portare a tutti noi il tuo messaggio d’amore.

 

Ancora una volta, ai piedi della tua umile grotta,

ti chiediamo di vegliare sulle nostre famiglie

segnate da tante prove e situazioni dolorose,

assistite, come per Te, dalle amorevoli cure di Maria  e Giuseppe.

 

Tu che hai parlato al cuore delle persone semplici,

come i pastori e da loro hai avuto una risposta

generosa di amore e di socializzazione,

fa che nelle nostre famiglie

si viva con semplicità ed accoglienza reciproca

l’avventura spirituale dell’amore coniugale e familiare.

 

Tu che hai accolto benevolmente i sapienti del tuo tempo

anch’essi alla ricerca di una stella e di orientamento,

fa che le persone che governano i popoli e le nazioni,

e impegnate  nella politica, nell’economia e nella cultura,

facciano l’opzione fondamentale per la famiglia,

fondata sul matrimonio, unico ed indissolubile, tra uomo e donna,

e aperta all’amore per tutta la vita.

 

Tu che sei sfuggito alla strage degli innocenti

decretata da un Erode assettato di sangue e di potere,

difendi le nostre famiglie dalle stragi quotidiane,

sempre più ricorrenti ed aberranti,

di piccoli, giovani, anziani, padri, madri,

conseguenza di una cultura violenta, terroristica,

che stenta ad essere debellata

in un mondo dominato dall’odio,

dalla superbia e dal risentimento.

 

Solo Tu dalla Grotta di Betlemme,

con la potente mano di Dio quale sei,

puoi fermare quanti usano le loro mani,

per offendere e distruggere la famiglia,

per ammazzare e rubare nelle case,

per imbrogliare e corrompere i nuclei familiari,

per delinquere e alimentare il malaffare

distruggendo le famiglie con condizionamenti di ogni tipo.

 

Poni nel cuore delle persone oneste,

che sono la maggior parte sulla terra,

la forza necessaria per lottare

contro i mali dell’era contemporanea,

e sostieni il cammino di pace e  di giustizia sociale,

che sono i valori maggiormente in grado

di ridare dignità alla famiglia naturale ed umana,

in questo Anno Giubilare della Misericordia.

 

L’intercessione di Maria, Tua e nostra dolcissima Madre,

e di San Giuseppe, custode attento e giusto di Te,  Gesù,

Redentore dell’uomo,  possano ottenere dal Padre Celeste,

con la salutare illuminazione dello Spirito Santo,

di ridonare alle nostre famiglie italiane e di tutto il mondo

la gioia di vivere unite in pace e in armonia con Dio,

con il creato e con tutti gli esseri umani. Amen.

 

(Preghiera composta da padre Antonio Rungi)

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA XXIX T.O. – 18 OTTOBRE 2015

RUNGI2015

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

GESU’ SOMMO ED ETERNO SACERDOTE

INCHIODATO SULLA CROCE PER NOI

Commento di padre Antonio Rungi

Il testo del Vangelo di questa XXIX domenica del tempo ordinario ci immette nel clima del mistero della Passione di Cristo.

Si tratta di un testo chiaro e che riporta parole ben precise pronunciate da Gesù alla presenza dei suoi discepoli che, nei loro discorsi, strada facendo, pensano a distribuirsi i posti più sicuri ed umanamente accattivanti vicino a Gesù, il Maestro. Certo, il Signore vuole tutti i suoi discepoli accanto a se, ma non nella potenza economica e politica di questo mondo. Ci vuole accanto a sé nel momento supremo del suo amore per noi e del suo sacrificio per noi. Ci vuole accanto a lui ai piedi della Croce, insieme a Maria e a Giovanni e forse, con maggiore coraggio, ci vuole accanto a se, come Lui, inchiodati alla croce, inchiodati alle nostre croci.

Ecco il potere regale di Cristo Crocifisso. Ecco il sommo ed eterno sacerdote che è Gesù, che si offre per noi al Padre per riscattarci dai nostri peccati.

Siamo chiamati con Cristo a bere il calice della sofferenza che Egli ha bevuto per la nostra redenzione. Non c’è vero cristiano se non porta la sua croce e segua davvero il Signore.

Purtroppo, non è affatto così. Molti seguono la fede cristiana, senza l’intimo convincimento, cioè che si tratta di ripercorre la strada del Signore, che è anche la strada che porta al Calvario.

Ci sono cristiani che riflettono alla maniera degli apostoli e che si fanno i calcoli, strumentalizzando la stessa fede e la stessa chiesa per finalità umane, economiche, di affermazione, di prestigio.

E ciò non avviene solo tra il clero, i religiosi, i vescovi e a man mano a salire di grado nella scala della gerarchia, ma avviene anche nel laicato cattolico.

Ci sono, infatti, dei laici che invece di servire la Chiesa e Cristo, si servono della Chiesa e di Cristo.

Fanno il discorso utilitaristico e interessato di Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, che chiedono a Gesù, senza falsa modestia: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo. Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Gelosia, invidia, arrivismo, distribuzione egualitaria del potere che Gesù poteva dare loro, secondo una falsa concezione, che si erano fatti del Maestro. Gesù replica con una domanda forte e inquietante:  «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Segue, poi, da parte di Gesù una lezione di straordinaria importanza per tutti, ed è la lezione sul significato dell’autorità, del potere, che va inteso nel senso di servizio, di sacrificio, di rinuncia, di donazione, di croce. Cosa fece allora Gesù? “Li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

Il cuore e il centro dell’insegnamento di Cristo sta in questo servizio, portato fino alle estreme conseguenze di consegnarsi liberamente alla morte e alla morte in croce, come, d’altronde, era stato anticipato dai profeti, a partire da Isaia, con i vari carmi del Servo sofferente di Javhè, che, ovviamente sono indirizzati e mirati sulla figura del futuro vero messia di Israele che è Gesù.

Un messia sofferente, maltratto, umiliato e crocifisso. Non un messia potente da un punto di vista economico e militare, ma l’umile agnello immolato sulla croce in riscatto dei nostri peccati. Leggiamo infatti nella prima lettura di oggi: “Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità”.

L’immagine di Gesù Crocifisso emerge in modo prepotente e chiara davanti ai nostri occhi, davanti alla nostra vita, spesso immersa nel peccato e in cerca di soddisfazioni mondane. Quel Crocifisso che ci parla e ci indica la strada della conversione, dell’offerta sacrificale della nostra vita per la causa del vangelo.

Egli, Gesù, il Sommo ed eterno sacerdote si porge a noi con gli occhi della misericordia e del perdono, con il volto della sofferenza, ma soprattutto con il volto dell’amore redentivo. In questo Sommo ed eterno sacerdote dobbiamo confidare, abbandonarci e sperare, come ci ricorda l’autore della Lettera agli Ebrei che ascoltiamo oggi, come testo della parola di Dio, della seconda lettura di questa domenica: “Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno”.

Accostiamo con fiducia a Gesù Crocifisso e se il suo dolore non suscita in noi neppure una minima contrizione dei nostri peccati, dei nostri errori ed orrori significa che il nostro cuore è molto lontano dalla compassione e dalla misericordia che il Signore ci vuole donare, facendoci riflettere seriamente sul nostro stile di vita che è contrario alla Croce di Cristo.

Ci sia di esempio, in questo cammino di conversione, un grande santo del secolo dei lumi, san Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, di cui oggi ricordiamo il suo passaggio alla gloria del cielo, essendo morto a Roma, nella Casa dei Santi Giovanni e Paolo, al Celio, alle ore 16,45 del 18 ottobre del 1775.

E’ uno dei tanti santi che hanno amato profondamente Gesù Crocifisso, fino al punto tale da esserne infaticabili missionari nell’Italia del secolo che poneva come criterio fondamentale per raggiungere la verità, la sola ragione umane, divenuta il grande tribunale per stabile il vero  dal falso, del bello  dal brutto, il buono dal cattivo.

Gesù, il Crocifisso è questo bene assoluto, perché è un Bene d’infinito amore che si è tradotto con il donare la sua vita interamente per noi.

Egli è davvero il sommo ed eterno sacerdote delle anime nostre, come recitiamo nella preghiera iniziale della santa messa odierna: “Dio della pace e del perdono,  tu ci hai dato in Cristo il sommo sacerdote che è entrato nel santuario dei cieli in forza dell’unico sacrificio di espiazione;  concedi a tutti noi di trovare grazia davanti a te, perché possiamo condividere fino in fondo il calice della tua volontà e partecipare pienamente alla morte redentrice del tuo Figlio”. Amen.

 

FESTA DI SAN ROCCO -DOMENICA 16 AGOSTO 2015

immigrati MADRE TERESA SANROCCO

LECTIO DIVINA 

FERRAGOSTO 2015 NEL SEGNO DELLA CARITA’ 

FESTA DI SAN ROCCO -16 AGOSTO 2015 

Commento di padre Antonio Rungi 

La solidarietà non va in vacanza, soprattutto d’estate, mentre, forse, noi e tanti altri siamo in vacanza. Non va in vacanza neppure la fame, il bisogno. Non vanno in vacanza le necessità di tanti poveri della nostra terra o che arrivano da noi e ci chiedono un pezzo di pane, un lavoro. Ci chiedono accoglienza e noi li rifiutiamo.  In una nazione come l’Italia, dove gli immigrati sono di casa, anzi sono in crescente numero di presenza, questo discorso dell’accoglienza capita a proposito a Ferragosto 2015. obbiamo accogliere nel rispetto della legge e della norma civile, ma dobbiamo accogliere come cristiani ed esseri umani nel nome di quel Vangelo della carità e della solidarietà che Gesù Cristo ci ha insegnato e che non possiamo dimenticare, perché prevalgono i nostri interessi locali, nazionali, europei, mondiali, sul rispetto che si deve ad ogni persona umana, soprattutto se è un bambino, una donna, un ammalto, un povero che ci tende la mano per chiedere aiuto a chi questa mano la potrebbe dare, ma non la dà.  In questi giorni di agosto, tante parole sono state dette e scritte per la questione dell’accoglienza degli immigrati in Italia e in Europa. Valgano su tutte, le parole del Santo Padre, Papa Francesco che si ispirano al Vangelo e partono dal Vangelo, che si deve portare soprattutto nel cuore e non solo tra le mani o sulla bocca, per ricordare a ciascuno di noi, quanto ha detto Gesù, in riferimento al giudizio universale: “Ero forestiero e non mi avete ospitato”. E a Lui, che sa tutto e ci conosce benissimo, non potremmo dire neppure: “Signore quando sei stato forestiero e non ti abbiamo ospitato?”. Egli ci dirà: “Dalla mattina alla sera stavo accanto a voi e voi mi avete girato le spalle, facendo finta di non conoscermi, di non appartenervi, non essere tra i vostri eletti e prediletti. Cosa potrà dirci il Signore? Avete fatto bene a cacciarmi via? No assolutamente! Ma ci butterà via Lui, dalla sua eternità, perché non abbiamo vissuto nell’amore, nella carità. Non abbiamo accolto, abbiamo sempre rifiutato, espulso e mai ospitato.Queste considerazioni di carattere evangelico si addicono perfettamente al tempo che stiamo vivendo, in questo Ferragosto 2015, che ha riportato alla nostra attenzione il dramma dell’immigrazione, tra tante inutili polemiche, mentre la gente soffre e muore in tante parti del mondo, tra l’indifferenza generale dei potenti. Domenica  16 agosto 2015, terza domenica del mese delle ferie, all’indomani della solennità dell’Assunta, la chiesa ci offre come modello di santità un santo francese. San Rocco di Montpellier. Un santo di quella Francia rivoluzionaria che tanto parla di uguaglianza, libertà e fraternità e che all’atto pratico non attua, poi nella vita politica e normativa. Davanti a noi ci sono anche le immagini degli immigrati rifiutati alla frontiera di Ventimiglia, tra l’Italia e la Francia, nei mesi scorsi. Chiaro avviso che loro di immigrati non ne vogliono sul loro territorio, soprattutto se vengono dall’Italia. Sappiamo pure che l’Europa ha restituito all’Italia oltre 12.000 immigrati irregolari, entrati nel nostro Paese, nei modi illegali che ben conosciamo. Il resto d’Europa non accoglie e non vuole accogliere. L’Italia rimane l’unico Paese al mondo, di transito o di definitiva accoglienza dei tanti profughi dalle guerre, di tante donne, bambini e giovani in cerca della salvezza. Il Mare Nostrum, il Mare Mediterraneo, invece di essere il mare della vita è diventato il mare della morte. Un grande cimitero di acqua e in  acqua che ha accolto le salme di oltre 2500 immigrati, annegati, dall’inizio di questo anno 2015 fino ad oggi. Il Mare nostrum è diventato il Mare monstrum, il mare del mostro della mancanza d’amore e di carità verso questi nostri fratelli disperati e in cerca di una speranza di vita.

San Rocco, era straniero, di origine francese, e venne in Italia da pellegrino, per sollevare le sofferenze di tanti appestati del nostro Paese. E’ un esempio che vale la pena ricordare in questi giorni di festa, ferie e vacanze estive. Vale la pena ricordare anche di fronte alle tante polemiche accese tra la chiesa italiana e una parte della politica italiana. Leggiamo la storia, anche se leggendario di questo francese forestiero nel nostro Paese.  San Rocco nacque a Montpellier (Francia), secolo XIV – e morì il 16 agosto di un anno imprecisato. Il nome Rocco di origine tedesca  significa grande e forte, o di alta statura.  Le fonti su di lui sono poco precise e rese più oscure dalla leggenda. In pellegrinaggio diretto a Roma dopo aver donato tutti i sui beni ai poveri, si sarebbe fermato  ad Acquapendente, dedicandosi all’assistenza degli ammalati di peste e operando guarigioni miracolose che ne diffusero la sua fama. Peregrinando per l’Italia centrale si dedicò ad opere di carità e di assistenza incoraggiando  continue conversioni. Sarebbe morto in prigione, dopo essere stato arrestato presso Angera da alcuni soldati perché sospettato di spionaggio. Si dice che solo un cane provvide alle sue necessità materiali portandogli un po’ di pane che il suo padrone gli dava per farlo mangiare. Da qui nell’iconografia e nei detti popolari di “San Rocco e il cane”.  Invocato nelle campagne contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali, il suo culto si diffuse straordinariamente nell’Italia del Nord, legato in particolare al suo ruolo di protettore contro la peste. E’ protettore delle persone diversamente abili, dei carcerati e dei malati infettivi. Altri segni distintivi della sua santità e della sua fama sono la Croce sul lato del cuore, l’Angelo, e i Simboli del ellegrino.

A San Rocco affidiamo i tanti ammalati di peste, di malattie infettive e tante persone diversamente abili che necessitano di essere accudite con amore e con la stessa passione con la quale san Rocco curò i suoi ammalati di peste e con la stessa generosità di questo grande santo, amato al Nord come nel Sud Italia ed esempio di amore verso le persone bisognose del mondo. E lo facciamo con una celebre preghiera della Beata Madre Teresa di Calcutta: “Vuoi le mie mani?”. 

Signore, vuoi le mie mani per passare questa giornata aiutando i poveri e i malati che ne hanno bisogno? Signore, oggi ti do le mie mani. 

Signore, vuoi i miei piedi per passare questa giornata visitando coloro che hanno bisogno di un amico? Signore, oggi ti do i miei piedi. 

Signore, vuoi la mia voce per passare questa giornata parlando con quelli che hanno bisogno di parole d’amore? Signore, oggi ti do la mia voce. 

Signore, vuoi il mio cuore per passare questa giornata amando ogni uomo solo perché è un uomo? Signore, oggi ti do il mio cuore.

FESTA DELLA DONNA – 8 MARZO 2015

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ITRI (LT). DAI PASSIONISTI FESTA RELIGIOSA DELLA DONNA 

Domenica, 8 marzo 2015, festa della donna, i padri passionisti del Santuario della Civita che curano anche il convento della città, festeggeranno la donna con una preghiera particolare, composta da padre Antonio Rungi, con la benedizione delle donne presenti alla celebrazione della messa del mattino delle ore 8.00 e con la distribuzione della mimosa benedetta. La celebrazione della messa in occasione della festa religiosa della donna sarà presieduta da padre Antonio Rungi che a conclusione del rito distribuirà le mimose benedette e il testo della preghiera della donna, composta dallo stesso sacerdote e già diffusa in rete.

“Penso –ha detto il sacerdote – che sia un dovere di tutti ringraziare le donne di tutto il mondo per quello che sono, fanno e rappresentano nella società umana. Di fronte a tante violenze nei loro confronti, abbiamo tutti il dovere di pregare e sostenere la causa mondiale del rispetto totale di ogni donna a partire dal suo primo giorno di vita fino alla fine dei suoi giorni. Basta con le tante offese alle donne in Italia e nel Mondo e diamo un valido contributo a che la cultura del rispetto, dell’accoglienza sia sempre più diffusa nel mondo. Quel genio femminile di cui parlava San Giovanni Paolo II sia utilizzato al massimo in tutti i campi della vita sociale ed ecclesiale. Ecco perché in questo giorno, dedicato alla festa della donna, che ricorda un drammatico fatto di cronaca del secolo scorso, oltre a pensare alle donne che soffrono nel mondo a causa di tante ingiustizie, prodotte da un cultura maschilista, dobbiamo sentire l’obbligo morale, come cristiani e persone di buona volontà di far crescere un livello sempre più alto di coscientizzazione globale che senza la donna e senza il suo pieno e totale rispetto la società e l’umanità è destinata a finire inevitabilmente in un vicolo cieco di indifferenza e di violenza. Alle donne, dalle nostre madri – conclude padre Rungi – alle nostre sorelle, alle mogli per chi è sposato, alle colleghe di lavoro, alle amiche sincere, alle suore,  alle nubili, dobbiamo non solo dire grazie in questo giorno, ma sempre per tutto quello che fanno per l’intera umanità. Dove c’è la donna c’è la gioia e la vita”.

Ecco il testo dell’orazione composta dal teologo morale, padre Antonio Rungi.

 PREGHIERA DELLA DONNA 

Signore, mi rivolgo a Te

con la confidenza di un bambino,

con l’umiltà del povero,

con il coraggio dei martiri.

 

Donami la forza di parlarti

con la sincerità del cuore,

con l’umiltà di chi conosce

la sua fragilità, con il coraggio

che spesso manca nella mia vita quotidiana.

 

Fa’ della mia vita un inno alla vita,

un canto perenne alla gioia,

un immenso atto d’amore

verso chi attende amore.

Nella mia debolezza non abbandonarmi.

Nell’incertezza, illuminami la mente.

 

Nel dolore, fa’ che io sappia camminare

con Te sulla via della croce.

 

Ti chiedo, per intercessione di Maria,

Madre del bell’Amore,

di essere una  donna capace d’amare

ogni persona del genere umano,

soprattutto se debole e fragile,

a partire dai miei cari. Amen!

SOLENNITA’ DELL’IMMACOLATA 2014

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SOLENNITA’ DELL’IMMACOLATA 

LUNEDI’ 8 DICEMBRE 2014

MARIA, SORRISO DI DIO 

Commento di padre Antonio Rungi 

Quando si rivolge lo sguardo ad un’opera d’arte, bellissima, ti viene spontaneo il sorriso di gratitudine e di gioia. In questo giorno della solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria è legittimo pensare che quando Maria è stata concepita, il sorriso di Dio si è acceso su quella meravigliosa creatura, perché Dio l’ha riservata tutta a se, preservandola dal peccato originale, in vista di una missione unica ed irripetibile nella storia dell’umanità e della salvezza, quella di essere la Madre di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’Emmanuele il Dio con Dio, come ricordiamo oggi nella preghiera iniziale della celebrazione eucaristica: “O Padre, che nell’Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l’hai preservata da ogni macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te in santità e purezza di spirito”. Non è tanto importante oggi soffermarci su come si è arrivato alla proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione ad opera di Pio IX nel 1854, ma come da sempre questa verità di fede era sentita e vissuta nella comunità dei credenti, fin dai primi secoli. Una verità che attinge il suo contenuto più importante proprio nei testi sacri, quei testi che nella liturgia della parola di Dio di questa giornata sono alla nostra attenzione e meditazione, a partire dalla prima lettura, tratta dal Libro della Genesi, dove è raccontato e descritto il peccato originale, ma anche il primo annuncio del vangelo della salvezza e della redenzione del genere umano. Leggiamo infatti il momento culmine di questa promessa di redenzione uscita dalla bocca stessa di Dio nel condannare l’operato dell’uomo e soprattutto del serpente, simbolo del principe del male che attacca continuamente l’agire dei figli di Dio: Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». E’ qui tratteggiata la figura della Madonna Immacolata, come di fatto l’iconografia di millenni ci attesta con immagini di straordinaria bellezza e significato biblico e religioso. Maria, la donna forte, la donna della vita e della gioia, che azzera le attese del demonio di vedere l’umanità distrutta dal peccato e sotto la legge dell’infelicità. Maria non permette questo e Dio, nel preservarla dal peccato originale, ha questo compito fondamentale da assolvere nei confronti dell’intera umanità. Maria scelta da Dio per sostenerci nel cammino della nostra riscoperta di essere figli suoi, partendo dal sacramento del battesimo che il sacramento della rinascita, in quanto ci toglie il peccato originale contratto con la nascita, per proseguire sulla via della grazia e della santificazione con l’accesso agli altri sacramenti della fede e della comunione con Dio, quali la confessione e la santa eucaristia. Sono questi i due pilastri cardini che riaccendono nel nostro spirito e nella nostra vita il sorriso di Dio e il sorriso di Maria, la Madre della gioia, quella vera che nasce, cresce e si potenzia stando vicino all’Onnipotente.

San Paolo Apostolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua lettera agli Efesini ci impegna ad una riflessione sul senso della nostra vita e sul cammino che siamo chiamati a fare per riscoprire la nostra identità di cristiani che consiste nel fatto che noi siamo figli di Dio e lo siamo realmente. Figli nel Figlio suo Gesù Cristo, redentore dell’umanità, nato, per opera dello Spirito santo, nel grembo purissimo ed immacolato della Vergine Santa. Dal sorriso di Dio che si accende sul volto di Maria nel suo immacolato concepimento, al sorriso di Maria che si accende sul volto di Gesù, nel momento in cui dice il suo si a Dio nell’annunciazione e quando vede venire alla luce dal suo grembo il Redentore dell’umanità, nella notte di Natale dell’anno zero, quando Gesù entra nella storia mediante la santissima sua Madre, cuore immacolato, donna perfetta totalmente consacrata a Dio Amore e Trinità. Sono le parole del vangelo di Luca di oggi che ci danno lo spessore meraviglioso della festa odierna dell’Immacolata concezione che non è disgiunta o slegata dall’Annunciazione e dalla nascita del Redentore. L’arcangelo Gabriele infatti si rivolge personalmente a Lei: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». Aggiungendo: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Il resto non è cronaca di un fatto, ma è storia della salvezza che diviene realtà, nella pienezza dei tempi quando Dio, mediante suo Figlio, venne ad abitare in mezzo a noi, portando a tutti la gioia della redenzione, in cui Maria costituisce un pilastro fondamentale per l’intero progetto di Dio portato a compimento mediante la venuta di Cristo sulla terra.

La solennità dell’Immacolata è la festa delle gioie ed allegrezze di Maria, ma anche ed è soprattutto la festa della gioia di Cristo redentore, che Maria accetta di portare nel suo grembo verginale per essere strumento di salvezza nelle mani di Dio.

Perciò Maria è Immacolata, senza macchia ed ombra di peccato, perché si è fatta serva dell’Onnipotente ed ha vissuto in intima comunione con Dio Altissimo prima, durante, dopo il suo concepimento, restando vergine e donna purissima per sempre. In lei ombra di peccato non poteva essere né per un breve tempo e né per un attimo, perché esente dal peccato originale per singolare privilegio donato da Dio alla sua e alla nostra Madre castissima, la Tutta pura e Tutta bella davanti a Dio onnipotente e davanti al cielo e alla terra.