Dio

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO – DOMENICA 16 FEBBRAIO 2020 – P.RUNGI

RUNGI-VERDE

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Domenica 16 febbraio 2020

Cristo compimento della legge antica

Commento di padre Antonio Rungi

La parola di Dio di questa sesta domenica del tempo ordinario è ricca di riflessioni e stimoli che posso aiutare a cambiare la nostra vita.
Nel testo di Matteo che viene proclamato nella liturgia della parola di Dio, Gesù parla di molte cose ai suoi discepoli, indicando ad essi ciò che devono fare per essere coerenti con la loro condizione di credenti e di suoi seguaci, che conoscono bene i testi biblici, la legge antica e che sono disposti interiormente a completare un cammino di perfezione di amore, rispetto ed attenzione verso gli altri e specialmente verso la donna.
In una cultura come la nostra, questo brano del vangelo capita a proposito per sostenere quel cammino culturale, morale, spirituale, sociale, giuridico che dia massima attenzione e promuova il rispetto della donna in tutti gli ambienti compresi quelli ecclesiali.
Partiamo proprio da quanto dice Gesù in merito a questo tema: “Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore”.
Il rispetto della donna parte dal cuore e dalla mente dell’uomo, E’lui che deve cambiare atteggiamento e comportamento nei confronti di un essere umano, di sesso diverso, che merita tutto l’amore e rispetto, in tutte le sue personali situazioni.
Non a caso Gesù aggiunge un altro dispositivo della norma antica “Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.
Si comprende l’importanza del legame affettivo e definitivo tra un uomo e una donna e in termini molto espliciti del valore del matrimonio.
La clausola, cosiddetta matteana, del permesso del ripudio e quindi del divorzio, secondo quanto aveva stabilito Mosè, non trova accoglienza nella morale e nella prassi cristiana: il matrimonio è monogamico ed è definivo ed unico.
Non ci sono alternative. Lasciare una donna ricorda Gesù la espone all’adulterio, cioè la mette in una condizione di fragilità sociale e morale, che può generare comportamenti da parte di altri uomini indegni di essere classificati come tali.
Gesù quindi rivendica un comportamento di totale rispetto verso la donna sposata o legata sentimentalmente ad un uomo o libera da qualsiasi vincolo affettivo.
Come è facile capire, il problema è alla radice, cioè alla base di certe scelte che si fanno nell’ambito della vita coniugale ed affettiva. Gesù quindi non legittima divorzi o altre forme di convivenza tra uomo e donna o di altro genere, ma ricorda semplicemente la grandezza e la bellezza di una vita relazionale, basata sull’amore tra uomo e donna che sia definitivo e non occasionale o temporale.
Non rientra nella visione di una scelta di vita cristiana la possibilità di lasciare e prendere con facilità una donna o un uomo perché non si va più d’accordo. Le intese coniugali, affettive e familiari saltano, a volte, per sciocchezze, gelosie e banalità di ogni genere.
Oggi ci troviamo davanti a violenze sistematiche nei confronti delle donne, con femminicidi e offese di ogni tipo verso di loro.
Basta con questo scempio della dignità della donna e facciamo spazio, nella nostra cultura, che tanto si rifà alla fede cristiana, all’accoglienza totale di ogni uomo e di ogni donna in un progetto d’amore che parta dal rispetto e dalla protezione del matrimonio e della famiglia.
I diritti civili acquisiti nel tempo, in certi contesti culturali e politici, non hanno nulla a che fare con la dignità e la sacralità del matrimonio e della famiglia, che non è una scelta temporanea, né un contratto civile a termine, ma una scelta definitiva basata sull’amore e sul rispetto reciproco.
Nessuna violenza è legittimata, ma solo un grande amore e rispetto, anche in situazioni delicate caratterizzate da certe debolezze e fragilità. Gesù rivendica quindi un diverso atteggiamento e comportamento nei confronti della donna e della famiglia.
L’etica coniugale necessita di camminare su altre strade, quelle che Cristo ha tracciato, che sono le strade dell’amore e della condivisione, dell’accoglienza e del rispetto.
Nel testo del vangelo di questa domenica vengono poi esaminate ed affrontate altre questioni, come quella dell’omicidio.
Gesù ricorda “Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna”.
Bisogna stare attenti non solo a non alzare le mani per uccidere, ma anche ad usare la lingua e la bocca, che non devono offendere o denigrare gli altri.
Certe espressioni che normalmente usiamo nel nostro linguaggio quotidiano rivolto ad altre persone devono scomparire dalla bocca e soprattutto dal cuore e dalla mente di ogni autentico cristiano.
Gesù, poi, affronta il tema del perdono e della riconciliazione. Ci ricorda infatti come comportarci in caso di conflitti con persone, soprattutto se frequentanti lo stesso ambiente di culto e litugico: “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!”.
Gesù chiede quindi un comportamento che riconcili le parti e non alimenti una diatriba per anni ed anni, come spesso capita nei vari tribunali e nella varie situazioni sociali, politiche, economiche, legislative e penali.
Arrivare ad un accordo tra le parti in conflitto è sempre un passo di riconciliazione, anche se spesso gli accordi firmati sono peggiori degli stessi disaccordi. Basta vedere ciò che nella storia dell’umanità è capitato dopo i vari conflitti locali e mondiali.
Dietro a tutto questo ragionamento di Gesù c’è un messaggio chiaro e preciso che è sottolineato dalle sue stesse parole, citate all’inizio di questo brano evangelico: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”.
Un monito esplicito alla conversione, al potenziamento della nostra fede, a vivere la carità e l’amore nella pienezza di un cuore segnato dalla passione e risurrezione di nostro Signore.
Su questo stesso tono si articola la prima lettura, tratta al libro del Siràcide: osservanza della legge di Dio, ma anche libertà di agire per il bene o per il male, per la vita o per la morte. Al Signore nulla è ignoto, ma tutto è noto, ma di tutti, anche di coloro che non credono. “I suoi occhi, infatti, sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini. A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare”. Se sbagliamo e pecchiamo è solo ed esclusiva responsabilità personale e soggettiva. Non possiamo attribuire i nostri errori e sbagli sempre agli altri, scaricandoci delle nostre responsabilità e non assumendoci quelle decisioni che portano a fare il bene. E allora, come ci ricorda San Paolo Apostolo nella seconda lettura di questa domenica, tratta dalla sua prima lettera ai Corinzi, si tratta si essere sapienti e di sviluppare una conoscenza dell’io e di Dio, che ci porti a non sbagliare nella vita, ad essere fedeli e coerenti alla nostra scelta di fede, fino all’ultimo momento del nostro vivere sulla terra. Bisogna sviluppare quella umiltà della mente e del cuore che ci porti ad agire con fedeltà e coerenza nel confronti della nostra scelta di fede, effettuata liberamente e consapevolmente.
L’orgoglio e il dominio non promuovono, ma distruggono l’essere umano, lo mettono in una condizione di fragilità esistenziale, che a nulla vale ogni parola ed ogni consiglio, se il cuore è chiuso a Dio e non si apre con umiltà a quanto Egli ci comunica in ogni circostanza, lieta o triste della nostra vita. Lui c’è sempre e sempre ci sarà per tutta l’umanità che vuole camminare verso l’eternità.

P.RUNGI. QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA 2019

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V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

Domenica 7 aprile 2019

Il perdono che spinge ad operare per non più peccare.

Commento di padre Antonio Rungi
La liturgia di questa quinta domenica di Quaresima si colloca all’interno di un sincero cammino di conversione, rinnovamento e ripresa spirituale e morale. Siamo prossimi alla Pasqua e il Signore ci viene incontro facendoci capire chi realmente siamo e come dobbiamo comportarci con noi stessi e con gli altri. Con noi stessi dobbiamo essere severi e consapevoli delle nostre debolezze e dei nostri peccati, verso gli altri dobbiamo usare misericordia e comprensione, senza legittimare ed appoggiare il male, ma semplicemente capire e perdonare, perché come ci ricorda Gesù nel brano del Vangelo di oggi, nessuno può ritenersi giusto e farsi passare per giusto, quando il realtà siamo tutti peccatori e bisogni del perdono di Dio. La donna colta in flagrante adulterio e che viene portata davanti a Gesù, per vedere cosa pensasse in merito ad una legge precisa che Mosè aveva inserito nelle norme di comportamento morale e sociale è un’occasione per fare lezione di perdono e di autocoscienza dei propri errori, propri nei confronti di chi pensava di essere più giusto e più perfetto della donna che aveva peccato di certo. Quelle espressioni di Gesù sono un macigno sulle coscienze di tutti: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Dove sono i santi, dove sono coloro che si pensano migliori e più perfetti degli altri. Non ci sono vanno via, perché tutti siamo peccatori e come tali abbiamo bisogno proprio di Gesù che getta nel mare della sua infinità misericordia tutti i nostri peccati. Quel dito puntato a terra sulla sabbia e che scrive, non si sa cosa abbia scritto, ci aiuta ad entrate nella indecifrabile nostro modo di vivere e di agire, che Gesù cerca di far capire a quanti stanno lì per lì a condannare alla lapidazione una donna peccatrice, come gli uomini fossero dei santi. Alla stregua della donna in peccato lo sono anche chi spinge al peccato e si fa correo dello stesso peccato dell’altro. La donna per essere peccatrice ha dovuto incontrare un uomo altrettanto o se non peggio peccatore come lei. E allora perché condannare solo e soltanto la donna alla lapidazione? A limite entrambi. Invece la cultura di allora e di sempre condanna la donna e mai l’uomo, almeno in ambito sessuale, dove quasi sia legittimato l’abuso, la violenza carnale o il desiderio smodato di piaceri che contrastano con la morale e l’etica cristiana.

La donna peccatrice ci richiama al peccato di ognuno di noi, perché nessuno è senza colpa. Gesù cerca di inculcare il concetto di misericordia e di perdono e non quello della condanna del giudizio o peggio quello di ritenersi più perfetti e santi degli altri. E’ tempo di convertici alla misericordia e al perdono e non al giudizio facile di condanna che circola in tutti gli ambienti, a partire da quell’ambiente religioso e cristiano che dovrebbe dare esempio di santità, ma con ci riesce.

La tristezza e il peso dei nostri peccati potrebbe bloccarci nel cammino verso la santità e la purificazione. Dobbiamo riappropriarci della speranza, della gioia di vivere, nonostante le nostre debolezze del passato o del presente. Ecco perciò che il profeta Isaia parlando ai suoi correligiosi e connazionali, in una situazione di esilio, raccomanda di «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Dio ci è sempre vicino e ci aiuta nel cammino di purificazione e di riscatto della persona dignità e libertà insieme a quello dell’intero popolo di Dio, come ci ricorda il brano della prima lettura di oggi tratto dal profeta Isaia. Il grande uomo di Dio vede un futuro roseo e di speranza per Israele esiliato in Babilonia e il ritorno alla patria è rivisto alla luce di quel primo grande esodo dall’Egitto alla Terra Promessa. Tutta la sofferenza bisogna metterla alle spalle, perché chi ci fa rimpiangere il passato, le cipolle dell’Egitto, è il Diavolo, che ci offusca la mente nel vedere le costanti possibilità per ognuno di uscire dalla miseria del peccato e da ogni schiavitù umana.

Non a caso san Paolo nel bellissimo testo della seconda lettura di questa domenica, tratta la celebre lettera ai Filippesi, scrive parole stupende circa la sua nuova condizione di apostolo di Cristo e non più persecutore della religione nuova, incentrata sull’amore, che Gesù aveva iniziato a diffondere e che aveva trovato forte opposizione in Israele: “Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura”. Ciò che non è Cristo e non porta a Cristo è davvero qualcosa da buttare vita, nella spazzatura, magari facendo un’opera di selezione di ciò che è più urgente e immediato da buttare via analizzando attentamente la nostra vita. Fare la differenziata anche per la nostra anima; via subito i peccati gravi e mortali e poi all’opera per raggiungere la perfezione, ma facile da perseguire in considerazione delle tante miserie umane. Perciò la santità è un lento difficile cammino che si può raggiungere mettendo ogni sforzo per farlo e farlo bene: “Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù”. E come l’Apostolo delle Genti dobbiamo sapere questo: dimenticando ciò che ci sta alle spalle e protesi verso ciò che ci sta di fronte, corriamo insieme e felici verso la mèta, verso quel premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù”. Quale migliore corsa dobbiamo fare per essere felici qui in terra e soprattutto eternamente in cielo e diciamo con fede: “Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi”. Amen.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA SOLENNITA’ DEL CORPUS DOMINI 2018

CORPUS DOMINI 2018

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO B)

Domenica 3 GIUGNO 2018

Gesù, donaci anime eucaristiche, capaci di offrire come Te la loro vita.

Commento di padre Antonio Rungi

La solennità del Corpus Domini, del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo ci impegna in un modo del tutto singolare nel meditare su questo grande mistero della fede: Gesù come Egli stesso ci ha detto, nell’ultima cena, è presente in mezzo a noi con il sacramento dell’eucaristia, per accompagnarci nel cammino della vita terrena, con questo sacramento, che, come tutti i sacramenti, ci dona la grazia santificante. Qui la grazia è ricevuta direttamente mediante l’assunzione del corpo di Cristo con l’ostia consacrata e il bere il vino consacrato, perché in questi due segni scelti da Gesù Egli è presente in corpo, sangue, anima e divinità. Il testo del Vangelo di Marco che oggi ascoltiamo ci racconta il momento dell’istituzione dell’eucaristia nel giovedì santo, in quell’ultima cena di Gesù fatta con gli Apostoli, prima di essere condannato a morte. “Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Pane e vino segni della sua presenza speciale e sacramentale in mezzo a noi. Il Pane che fa riferimento al suo corpo donato e il vino al suo sangue versato, fino all’ultima goccia, sulla croce per salvare l’umanità. E sul sangue offerto a Dio è incentrato il testo della prima lettura di oggi, tratto dall’Esodo, in cui è scritto che Mosé “si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto».  Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!». Chiaramente questo sangue è prefigurazione del sangue di Cristo versato sulla croce per noi, anzi nel mette in risalto, anticipatamente, il valore redentivo e la risposta che i credente deve dare a Dio, quale segno di riconoscenza e gratitudine verso di Lui.

Agganciandosi proprio a questo testo, l’autore della Lettera agli Ebrei, sviluppando la sua riflessione biblica e teologica sul valore del sangue nell’Antico Testamento, si concentra sull’infinito valore del sangue di Cristo versato sulla croce per la redenzione dell’umanità. Leggiamo, infatti, “se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente? Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.

Gesù quindi superare la vecchia alleanza e la porta a compimento con la sua morte e risurrezione, soprattutto versando il suo sangue, quale elemento identificativo della vera oblatività e vittimalità del Figlio di Dio. “Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna”.

Nella liturgia solenne del Corpus Domini, oltre al valore della santa messa, da cui parte tutto il culto eucaristico al di fuori di essa, è messa in risalto la Chiesa, che nell’eucaristia si ricostruisce e si rigenera continuamente. Nella sequenza che caratterizza questo giorno speciale, nella sua parte iniziale che, di norma non si legge in chiesa, ma che è importantissima peri contenuti teologici e biblici, oltre che spirituali e dogmatici inclusi possiamo meglio entrare nel grande mistero della santissimo sacramento, incentrato sulla transustanziazione, sulla comunione, sull’unione, sulla purificazione del cuore e sulla conversione: “Sion, loda il Salvatore, la tua guida, il tuo pastore con inni e cantici. Impegna tutto il tuo fervore: egli supera ogni lode, non vi è canto che sia degno. Pane vivo, che dà vita: questo è tema del tuo canto, oggetto della lode. Veramente fu donato agli apostoli riuniti in fraterna e sacra cena. Lode piena e risonante, gioia nobile e serena sgorghi oggi dallo spirito. Questa è la festa solenne nella quale celebriamo la prima sacra cena. È il banchetto del nuovo Re, nuova Pasqua, nuova legge; e l’antico è giunto a termine. Cede al nuovo il rito antico, la realtà disperde l’ombra: luce, non più tenebra. Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo. Obbedienti al suo comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza. È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino. Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi. Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in ciascuna specie. Chi ne mangia non lo spezza, né separa, né divide: intatto lo riceve. Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato. Vanno i buoni, vanno gli empi; ma diversa ne è la sorte: vita o morte provoca. Vita ai buoni, morte agli empi: nella stessa comunione ben diverso è l’esito! Quando spezzi il sacramento non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni parte, quanto nell’intero. È diviso solo il segno non si tocca la sostanza; nulla è diminuito della sua persona”.

Sta in questo bellissimo testo della sequenza la sintesi del grande mistero della presenza reale di Gesù Sacramentato nell’ostia consacrata. A Gesù eleviamo la nostra umile preghiera, in questo giorno solennissimo del Corpus Domini, con queste parole che sgorgano dal nostro cuore, particolarmente sensibile alla santissima eucaristia: “O Gesù Eucaristia, qui presente sacramentalmente in corpo, sangue, anima e divinità, nell’ostia consacrata, Ti adoriamo profondamente con tutto il cuore e la mente e crediamo fermamente che Tu, o Gesù, sei il Dio vivente, che si dona a noi nel santissimo sacramento da Te istituito nell’ultima cena, per essere nostro alimento nel cammino dell’umana esistenza. O Gesù amabilissimo, tutto nascosto nei veli eucaristici, insegnaci a praticare la santa umiltà per farci cibo e bevanda per il bene dell’umanità. Fa che diventiamo, anche noi, pane spezzato e sangue versato per amare e perdonare, per offrire e soffrire, per vivere e morire ogni giorno sulla croce eucaristica. O Gesù, fonte di gioia e sostegno all’anima nostra, noi Ti adoriamo con tutto il nostro essere e ci prostriamo umilmente ai tuoi piedi. Come i tuoi fragili discepoli riconosciamo le nostre debolezze e Ti chiediamo quell’ energia potente per la nostra anima gemente e sofferente che promana dal santissimo sacramento. Rinnova in noi, o Gesù, la profonda gioia di essere con noi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo senza mai abbandonarci nella tentazione, ma donandoci costantemente il Tuo amore misericordioso. Gesù, fonte di gioia e alimento quotidiano della nostra vita spirituale, donaci sempre Te stesso nel santissimo sacramento dell’altare, mediante il servizio sacerdotale, di persone sante a Te consacrate, che siano anime eucaristiche, fino a sacrificare la loro vita per il proprio ovile. Amen.

 

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 6 MAGGIO 2018

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VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)
 
Domenica 6 maggio 2018
 
Dio non fa preferenze di persone, noi invece sì.
 
Commento di padre Antonio Rungi
 
Gli Atti degli Apostoli ci offrono un bellissimo dialogo tra Pietro e Cornelio, il quale si rivolge a Pietro per entrare anch’egli nel cammino della fede. Non essendo cristiano, ma pagano, sente il bisogno di chiedere quello che avverte profondamente nel suo cuore: fare parte della comunità dei credenti. E come leggiamo nel brano della prima lettura di oggi, sesta domenica del tempo di Pasqua, ciò avviene in quel preciso momento. Pietro, responsabile, in primis, di avviare alla fede o di confermare nella fede, procede nella direzione che il Signore gli indicava non solo in questa circostanza, ma in ogni altra, quando avvertiva il desiderio sincero e profondo di chi non era cristiano e voleva di convertirsi al Dio vivendo, mediante il battesimo. Con questo modo di operare, aperto all’universalità della salvezza, qualcuno che si sentiva privilegiato, come i circoncisi, i quali “si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio”.
D’altra parte, la consapevolezza che la salvezza portata da Cristo sulla terra era per tutti gli uomini, spinge Pietro e gli altri apostoli a procedere secondo il mandato del Divino Maestro di annunciare in vangelo, battezzare e portare alla fede quanti riconoscevano in Gesù il vero ed unico Messia e Salvatore del mondo. Ecco perché nel testo di oggi, Pietro giustamente afferma: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo”.
 
Dio non fa quindi preferenze verso qualcuno. Questo atteggiamento e comportamento, purtroppo, lo abbiamo noi esseri umani e mortali che agiamo in base a simpatie e a quant’altro che ci porta a preferire alcuni e a scartare gli altri. Questo avviene nella società, ma anche nella chiesa, in quelle comunità e realtà, i cui alcuni si sentono migliori degli altri o più santi e in diritto di ricevere qualcosa di più da Dio, rispetto a chi alla fede ci è arrivato in tempi successivi e dopo una profonda e sincera conversione. E’ chiaro il messaggio che oggi ci viene inviato e che dobbiamo recepire, soprattutto nel contesto, della multicultura e intercultura a livello religioso, che caratterizza la nostra società globalizzata. Nessuno si deve sentire un prescelto da Dio e un prediletto, ma tutti dobbiamo avere la consapevolezza che “Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”. A Dio sono gradite ed accette le persone che amano, sperano e sono giuste.
 
E sul tema dell’amore sono, infatti, incentrati i testi giovannei relativi alla seconda lettura e al Vangelo della sesta domenica di Pasqua, che potremmo definire dell’amore di Dio.
Leggiamo, infatti, nel brano della prima lettura di San Giovanni Apostolo che Dio è amore e a questo amore deve alimentarsi l’amore fraterno, frutto di un amore sincero verso Cristo, nostro Redentore.
San Giovanni ci invita ad amarci gli uni gli altri, “perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio”. Questo amore trova la sua piena manifestazione nel fatto che “Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui”.
In cosa consiste, allora, l’amore cristiano? Consiste nel fatto che “non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”.
Gesù Cristo Crocifisso e risorto dai morti è il punto di riferimento dell’amore vero di ogni credente e di ogni persona di buona volontà, che vuole percorre la strada della santità.
Ecco perché nel testo del Vangelo di oggi, Gesù, rivolgendosi ai suoi discepoli, raccomanda importanti cose da fare, se lo si accetta qual è il Messia, il Maestro e il Salvatore: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
Amore e gioia sono strettamente legati nella vita di un cristiano e Gesù lo ribadisce in questo brano del vangelo, ponendo l’attenzione sul fatto che dal vero amore scaturisce la vera gioia nel Signore.
E l’amore e la gioia sono legati all’osservanza dei comandamenti, sintetizzati nell’unico grande comandamento: “che vi amiamo gli uni gli altri come Lui ci ha amato”.
E come si esprime concretamente questo amore? Gesù risponde in prima persona e con il sacrificio della sua vita: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”.
L’amore è coinvolgimento, condivisione, confidenza, apertura di se stesso agli altri. E quello che ci ha insegnato Gesù, nello scegliere noi e tutti i suoi discepoli, quando afferma: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”.
Fondamentale dovere di quanti si professano cristiani è, quindi, amarsi, come ci ha amato Cristo.
Ma sappiamo quanto sia difficile viverlo concretamente questo amore, dove ci sono gelosie, invidie, arrivismi, interessi personali, aspirazioni incompatibili con il messaggio della croce di Cristo.
Cose che, purtroppo, si verificano nelle famiglie, nelle comunità ecclesiali, religione, nella società civile e nella globalizzazione dell’indifferenza, come ci ricorda Papa Francesco.
In questa domenica siamo invitati, perciò, a recuperare l’amore in ogni luogo e soprattutto in quei luoghi dove si parla di amore, ma non si vive l’amore e di amore, ma solo di ciò che apparentemente è amore.
Sia questa la nostra preghiera, oggi, nel giorno di festa che per antonomasia è il giorno in cui maggiormente dobbiamo vivere l’amore verso Dio e verso i fratelli con un cuore profondamente improntato al vangelo della carità: “O Dio, che ci hai amati per primo e ci hai donato il tuo Figlio, perché riceviamo la vita per mezzo di lui, fa’ che nel tuo Spirito impariamo ad amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati, fino a dare la vita per i fratelli”.

P.RUNGI.COMMENTO ALLA QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA- 11 MARZO 2018

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IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE (ANNO B)
Domenica 11 marzo 2018

Cristo è la nostra gioia, sempre e assolutamente.

Commento di padre Antonio Rungi

Cristo è la nostra gioia, sempre e assolutamente. E’ questo in sintesi il messaggio che ci arriva dalla parola di Dio della quarta domenica di Quaresima, chiamata “Laetare”, cioè della gioia, della letizia.

Dove troviamo, noi cristiani questa gioia vera, sempre ed in termini assoluti? Leggendo i testi della Sacra Scrittura di questa domenica, questa gioia la possiamo sperimentare, prima di tutto, nella misericordia di Dio nei confronti dell’umanità.

La prima lettura di oggi, tratta dal libro delle Cronache ci riporta al tempo dell’esilio babilonese del popolo d’Israele e del suo susseguente tempo della liberazione e del ritorno in patria. Le cause di questa triste esperienza, sono individuate nel fatto che “tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme”.

Per richiamare il popolo sulla retta via ed un comportamento consono alla legge di Dio, “il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora”.

Cosa successe? Invece di accogliere i messaggeri di Dio e di cambiare vita, essi si beffarono di loro, “disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio”.

Le conseguenze furono disastrose per Israele. Infatti “[i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi”. La gente scampata alla spada fu portata in esilio in Babilonia.

La liberazione da questa schiavitù avvenne per opera di Dio che suscitò il Re persiano, Ciro, i quale emanò questo editto: «Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”». La gioia del ritorno in patria viene così a realizzarsi per intervento divino ed Israele ritorna, anche questa volta, a casa.

L’altro motivo di gioia ci è ricordato dall’apostolo Paolo, nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni, ed è la grazia della fede che ci è stata donata e che dobbiamo alimentare. Non tutti sanno apprezzare questo dono e questa gioia che ci portiamo nel profondo del nostro cuore e del nostro essere salvati in Cristo. Per grazia infatti siamo stati salvati “mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo”.

Il terzo motivo della nostra gioia cristiana è messo alla nostra attenzione e valutazione spirituale dal brano del Vangelo di Giovanni di questa quarta domenica di Quaresima ed è il Cristo Crocifisso, il Cristo innalzato sulla Croce per noi, richiamando alla nostra mente ciò che avvenne nell’Esodo, quando Mosè innalzò il serpente nel deserto e gli israeliti in cammino verso la Terra promessa furono salvati. Infatti, il morso dei serpenti velenosi, che si annidavano tra le pietraie, era stata una delle tante insidie durante la marcia di Israele nel deserto del Sinai. Il racconto del libro dei Numeri (21,4-9) ha come sbocco l’“innalzamento” di un serpente di bronzo da parte di Mosè, quasi come una sorta di antidoto e di ex voto. Il racconto biblico sottolinea che la liberazione dalla morte per avvelenamento avveniva solo se si “guardava” il serpente innalzato, cioè se si aveva uno sguardo di fede nei confronti di quel “simbolo di salvezza”, come lo definisce il libro della Sapienza. Gesù, nel dialogo notturno con Nicodemo, di cui ci occupiamo oggi, nel brano giovanneo, stabilisce un parallelo tra quel segno di salvezza e «il Figlio dell’uomo innalzato», cioè sé stesso crocifisso.

La nostra gioia piena sta nel fatto che Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”.

Qui c’è la certezza non del pena, ma della salvezza per tutti, a patto che, ogni persona che si incammina sulla via del Cristo, poi agisca di conseguenza, accogliendo la luce ed allontanandosi dalle tenebre, facendo il bene e distaccandosi da ogni struttura di peccato: “Chiunque fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Una verità assoluta emerge da tutta la parola di Dio di questo giorno di festa e di gioia che “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.

La fede in Dio ci spinge ad agire per il bene e alla fine il bene viene fuori in ogni circostanza, se accolgono Cristo, vera luce del mondo, vera luce della mente e del cuore di ogni buono che buono, che non conosce la malvagità. Mi piace concludere questa riflessione con una bellissima preghiera del prossimo Santo, Papa Paolo VI, che ho avuto la fortuna di incontrare nella mia vita:

Signore, ti ringrazio che mi hai chiamato alla vita, e ancora di più che facendomi cristiano, mi hai generato e destinato alla pienezza della vita.

Tutto è dono, tutto è grazia. Come è bello il panorama attraverso il quale passiamo; troppo bello, tanto che ci lasciamo attrarre e incantare, mentre deve apparire segno e invito.

Questa vita mortale, nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità, è un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente, un avvenimento degno d’essere cantato in gaudio e in gloria.

Dietro la vita, dietro la natura, l’universo, tu ce lo hai rivelato, sta l’Amore.

Grazie, o Dio, grazie e gloria a te, o Padre. Amen

Padre Rungi commenta la parola di Dio della II Domenica di Quaresima 2018

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II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)
Domenica 25 febbraio 2018

Contemplativi del monte Tabor

Commento di padre Antonio Rungi

La parola di Dio di questa seconda domenica del tempo quaresimale ci invita a salire con Cristo sul monte Tabor per contemplare la sua gloria. Siamo invitati a fare la stessa esperienza di fede dei tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, frequentemente insieme a Gesù nei momenti più forti e significativi della sua vita.

Anche noi possiamo, anzi dobbiamo sperimentare la stessa gioia di vedere Cristo trasfigurato nella sua gloria che parla a noi attraverso i testi sacri e i profeti e viene a confermarci che Egli è il Figlio unigenito del Padre, l’amato che va ascoltato, seguito ed imitato.

E il cammino di Cristo come di ogni discepolo vero del divino maestro si fa duro e sofferto, in quanto si tratta di scendere dal monte della gloria e della gioia per calarsi nella valle di lagrime e da qui salire un’altra montagna, quella del Calvario, dove Cristo si offre al Padre per la nostra salvezza.

Ecco perché Gesù raccomanda ai tre discepoli che hanno toccato con le loro mani il cielo di Dio, il santo paradiso, di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo la risurrezione di Cristo dai morti.

Il segreto viene mantenuto dai tre. Rispettano la parola data al maestro e il patto sancito, tacitamente, tra loro e Gesù, ma rimangono nel forte dubbio circa l’ultima comunicazione fatta loro dal Maestro, al punto tale che si chiedevano cosa volesse significare risorgere dai morti.

Espressioni mai sentite dire, tantomeno verificate nella storia dell’umanità. Mai nessuno era risorto dai morti e tutti erano certi di morire una volta per sempre.

Il tema della risurrezione dai morti ritorna al centro dell’insegnamento di Gesù proprio in prossimità della sua morte in croce.

Il dubbio si azzererà nel giorno di Pasqua, quando Pietro, Giovanni e Giacomo seppero della risurrezione di Cristo e i primi due corsero al sepolcro per andare a verificare l’attendibilità della notizia portata dalle donne.

Inizia, così, anche per i tre, il cammino di avvicinamento a Cristo, morto e risorto, la cui anticipazione è data nella trasfigurazione.

La prima lettura di oggi è strettamente collegata al Vangelo. Qui entra in gioco  Dio Padre, nella figura di Abramo e Dio Figlio, nella figura di Isacco.

Il testo del libro della Genesi ci porta sul monte Moria, dove Abramo in obbedienza alla voce di Dio, sta per offrire, prima uccidendolo con un coltello e poi bruciandolo vivo sull’altare, già preparato per l’olocausto, il suo unico figlio Isacco. Cosa successe su quel monte del dolore e della morte, divenuto poi, per intervento di Dio, il monte della vita e della gioia, è descritto nel brano che ascolteremo, come lettura iniziale della parola di Dio di questa domenica:

<<L’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito».

 

Isacco non venne più sacrificato, Gesù invece viene sacrificato sul monte Calvario e il suo sacrificio sancisce il patto della nuova ed eterna alleanza nel suo sangue. Tuttavia, con Abramo inizia quella storia di amore, di promesse mantenute da Dio e disattese spesso dall’uomo. Dio lo colmerà di benedizioni il patriarca e renderà molto numerosa la sua discendenza, al punto tale che come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare, non si potrà più quantificare e contare, tanto che è numerosa. Infatti, “la discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella sua discendenza tutte le nazioni della terra, perché Abramo aveva obbedito alla voce del Signore».

 

L’obbedienza della fede, porta a moltiplicare le stelle lucenti di una nuova umanità, fondata sull’amore, sul dono, sul sacrificio e sull’olocausto, ma soprattutto sulla parola del Signore che porta a conclusione tutto ciò che annuncia.

 

L’apostolo Paolo nel brano della sua lettura di oggi, tratto dalla Lettera ai Romani si pone alcuni fondamentali interrogativi, ai quali risponde ponendo a sua volta alcune domande alle quali dare una risposta coerente.

E allora, si chiede: ”Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà?

 

La risposta la troviamo a conclusione del brano, in cui c’è questa affermazione teologica e cristologica: “Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi”.

 

Morte e risurrezione di Cristo è il centro della vita di ogni discepolo di Gesù. Da questa Pasqua 2018, dobbiamo ripartire per capire il verso senso di essere cristiani oggi. Percorrendo la strada che dal Tabor scende a valle e poi risale per fermarsi al Calvario noi capiamo e svolgiamo il vero itinerario di fede incontrando Cristo e camminando accanto a lui. E poi dal Calvario ripartire per un’altra e più importante missione di pace e d’amore universale, che Cristo lancia dal sepolcro vuoto, ma che anticipa nella trasfigurazione.

 

La nostra umile preghiera sia sostenuta da una profonda fiducia nella parola di Dio che si è fatta carne: “O Padre, che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio, nutri la nostra fede con la tua parola e purifica gli occhi del nostro spirito, perché possiamo godere la visione della tua gloria”.

 

E con il salmista diciamo: Ti prego, Signore, perché sono tuo servo; io sono tuo servo, figlio della tua schiava: tu hai spezzato le mie catene. A te offrirò un sacrificio di ringraziamento e invocherò il nome del Signore.

 

Noi siamo convinti alla luce della parola di Dio di questa seconda domenica, che pone alla nostra attenzione la trasfigurazione di Cristo sul Monte Tabor, che la nostra trasfigurazione in Cristo, avviene mediante lo spezzare le catene del male e del peccato che si annidano in noi e nella società. Noi siamo i contemplativi del Monte Tabor, per poi essere gli impegnati nella valle per trasformare il mondo in una comunità riconciliata nell’amore e con l’amore in Cristo e per Cristo, il Figlio amato dal Padre.

 

P.Rungi. Commento alla Parola di Dio della IV Domenica – 28 gennaio 2018

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IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Domenica 28 gennaio 2018
Lo stupore e la sicurezza che suscita il divino Maestro Gesù
Commento di padre Antonio Rungi
 

Il Vangelo di questa quarta domenica del tempo ordinario ci porta all’interno della Sinagoga di Cafarnao, dove Gesù si pone ad insegnare nel giorno di sabato.

Cosa abbia detto e quali insegnamenti abbia trasmesso non è detto nel brano del Vangelo di Marco.

Il contenuto del suo insegnamento non è esplicitato nel testo. Tuttavia, due aspetti importanti fa notare san Marco nel descrive questo momento. Era un maestro, Gesù, che affascinava quando parlava e nel trasmettere quello che affermava lo faceva con l’autorità che gli derivava dal fatto che era il Figlio di Dio.

Nel fare un tentativo di ricostruzione, a posteriore, di quanto diceva Gesù in quel contesto, possiamo con una certa attendibilità pensare che parlasse degli spiriti immondi, del male e del modo di comportarsi rettamente. Possiamo dire che tenne una lezione di sacra scrittura e di teologia morale.

Tanto è vero che di fronte alle sue parole toccanti e suscettibili di immediate risposte, tra il pubblico presente, in quel sabato, nella sinagoga di Carfanao, c’era un uomo posseduto da uno spirito impuro che cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!».

La professione di fede nella divinità del Cristo è fatta da un uomo posseduto da uno spirito impuro.

Una dichiarazione pubblica della natura divina del Maestro Gesù che in quel momento istruiva nella sinagoga di Carfanao. Ma Gesù prova a far stare zitto quell’uomo che alza la voce per proclamare la sua vera identità, imponendo allo spirito impuro di lasciare subito quell’uomo, e così successe: “Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui”.

Di fronte a questo ennesimo miracolo dimostrativo della potenza di Cristo, tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».

Il riconoscimento da parte dei presenti dalla singolare missione di Gesù è affermata tra la gente che aveva visto con i propri occhi ciò che era successo.

Il miracolo era chiaro e non ammetteva false interpretazioni o possibili manipolazioni. Al punto tale, che dopo questo fatto straordinario, la notorietà di Gesù si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Gesù estende la conoscenza della sua missione a gente e luoghi diversi e nuovi. Un modo concreto per evangelizzare e proporre un cammino nuovo per coloro che volevano e vogliono seguire la strada di Cristo.

Di profezia e di annuncio si parla nella prima lettura di questa domenica. E il profeta, maestro che sale in cattedra in questo caso è Mosè che parlò al popolo dicendo: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto”.

Chiaro riferimento alla venuta del Salvatore, nostro Signore Gesù Cristo che è prefigurato in questo testo del Deuteronomio. E infatti, l’umanità, attraverso Gesù, unico mediatore tra Dio e l’uomo, otterrà quando chiederà al Signore.

La conferma di questa esplicita volontà di Dio di inviare il profeta per eccellenza è espressa nei versetti successivi, nei quali leggiamo che il Signore susciterà loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e porrà sulla sua bocca le parole del cielo, comunicando al popolo i precetti del Signore.

Il monito successivo, fa riflettere molto a quanti non sono attenti alla voce di Dio: “Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto”.

Quante volte questa parola è giunta ai nostri orecchi e pur avendola ascoltata bene e compresa perfettamente poi non l’abbiamo messa in pratica, non ha prodotto il frutto sperato?

Parimenti bisogna fare attenzione ai falsi profeti, a quanti si illudono e presumono di essere Dio, quando in realtà sono fragili creature umane che hanno la presunzione di parlare nel nome di Dio, quando in realtà parlano in nome proprio o addirittura di comandare di fare cose non comandate dall’alto.

Questi profeti arroganti e presuntuosi, dovranno morire, nel senso che ne scomparirà la semente, perché fanno solo danni in tutti i tempi e in tutti gli ambienti.

Ascoltare, praticare, raggiungere la santità, mediante uno stile di vita conforme al vangelo di Cristo, che Paolo Apostolo sintetizza in alcune raccomandazioni che fa nella sua prima lettera ai Corinti. Infatti, l’Apostolo sottolinea che le cose che scrive e dice sono finalizzate al bene dei cristiani di Corinto.

E quali sono queste cose richiamate come etica persona e familiare? Esse sono indicate chiaramente. Vuole che i cristiani vivano senza preoccupazioni. In altri termini chi non è sposato si deve preoccupare delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si deve preoccupare delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si deve concentrare sulle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si deve preoccupare delle cose del mondo, come possa piacere al marito”.

Categorie di persone e soggetti diverse con vocazioni e modalità di vivere a secondo della propria condizione personale e sociale. Questo criterio operativo aiuta a crescere nella santità della vita, senza confusione del cuore, della mente e delle azioni che si pongono in essere, come sposato o non sposato e per tutte le altre condizioni di vita.

Concludiamo la nostra riflessione con la preghiera iniziale della santa messa di questa domenica: “O Padre, che nel Cristo tuo Figlio ci hai dato l’unico maestro di sapienza e il liberatore dalle potenze del male, rendici forti nella professione della fede, perché in parole e opere proclamiamo la verità e testimoniamo la beatitudine
di coloro che a te si affidano”. Amen

P.RUNGI. COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 2 OTTOBRE 2016

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XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

DOMENICA 2 OTTOBRE 2016

SIAMO SERVI INUTILI, DOBBIAMO FARE QUELLO CHE E’ NOSTRO DOVERE FARE

Commento di padre Antonio Rungi

In un mondo, dove molti si sentono indispensabili, utili e insostituibili, oggi risuona il testo del vangelo che ci riporta alla realtà della nostra vita, quella vita che ha un valore per l’eternità e non per il tempo presente, che spesso sopravvaluta il servizio di qualcuno e sottovaluta quello di chi merita davvero di essere preso in considerazione.

Partendo proprio dal brano del Vangelo di Luca, in questa XXVII domenica del tempo ordinario, noi possiamo meglio comprendere il significato del servire la causa del vangelo, con umiltà e senza pretese di sorta. A noi tutti, come cristiani, spetta il compito che ognuno di noi ha scelto di assumere davanti a Dio con responsabilità e coscienza seguendo la propria vocazione e rispondendo alla chiamata di Dio.

Non dobbiamo attenderci, premi, gratificazioni, medaglie al valore o riconoscimenti, in memoria, dopo la nostra morte. Dobbiamo agire per valori superiori, attendendoci riconoscimenti e premi, dove contano davvero la realtà che avremo in possesso per sempre.

Si tratta di sviluppare una visione di fede in prospettiva di eternità. Sono gli stessi apostoli, che si accorgono dell’inconsistenza della loro fede, della fragilità e dell’assenza di contenuto del loro modo di credere, a chiedere a Gesù: “aumenta la nostra fede”. E Gesù replica con un esempio molto calzante alla situazione e che ci aiuta a capire il senso della crescita della fede, non in termini di quantità o di conoscenze teologiche e bibliche in più, ma di qualità, perché la fede non si misura, la fede si vive e si sperimenta nella propria vita e la si testimonianza con una degna condotta di vita.

Cosa chiedono esplicitamente gli al Signore?: «Accresci in noi la fede!».

Gesù, alla domanda degli apostoli, replica in un modo preciso e diretto al raggiungimento dello scopo della richiesta: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe”.

Ed aggiunge come comportarsi in certe situazioni di vita quotidiana: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?”.

Domande mirate che fanno riflettere chi ascoltava allora e chi ascolta oggi Gesù, che parla a noi attraverso la Chiesa e i ministri della stessa parola.

La conclusione di questo modo di riflettere ponendo domande e includendo nelle domande la risposta, è quella che conosciamo e Luca ci riporta a conclusione di questo interessantissimo brano del suo vangelo: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Penso che ognuno di noi sappia valutare il suo comportamento in tanti ambiti, ma soprattutto nel campo religioso e morale. Non abbiamo bisogno dei termometri della nostra temperatura morale e spirituale o della quantità della nostra fede. Dicendo io credo di più dell’altro. Sappiamo valutarci da solo. Alla fine delle nostre personali valutazioni possiamo avere chiara la coscienza del nostro bene operare, del nostro parziale operare o del non operare affatto.

I compiti nel campo della fede vanno assolti e svolti in modo egregio, senza centellinare energie nei confronti di Dio e dei fratelli. Tutto deve essere fatto con amore, generosità e dedizione.

Sono queste le condizioni indispensabili per essere a posto con la propria coscienza di fronte a quello che ci tocca fare, perché ne abbiamo il dovere e gli obblighi, oltre che morali anche giuridici e sociali.

Il forte grido di denuncia del profeta Abacuc nella prima lettura di questa domenica vale da insegnamento per noi uomini del XXI secolo dell’era cristiana, che si presenta con un quadro sconfortante per tutto quello che succede nel mondo di oggi, come succedeva allora: “Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese”.

Quante volte sperimentiamo tutto questo negli ambienti e nei luoghi che meno immaginiamo possano esistere queste cose, tali divisioni e violenze?. Purtroppo è così dovunque e in ogni tempo della storia dell’umanità, in quanto l’uomo non cambia mai, non sceglie ciò che è giusto ed è bene, segue spesso la via del male e degli empi.

Anche in questi interrogativi sui drammi dell’umanità, la risposta del Signore è di speranza e di purificazione: “Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”.

Chi ha fede regge tutti gli urti della delusione, della malattia, della morte, della privazione, di quanto di negativo possa offrire questo nostro tempo e questo nostro mondo e si apre ad una visione di speranza nuova. Il giusto, infatti, vivrà di fede, in quanto una vera giustizia non può prescindere da una vera fede.

Bisogna osare di più come cristiani e credenti, avere più coraggio di dire e testimoniare la fede, come ricorda l’Apostolo Paolo all’amico Timoteo, al quale raccomanda “di ravvivare il dono di Dio, che è in lui mediante l’imposizione delle sue mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza”. Ed aggiunge di non vergognarsi “di dare testimonianza al Signore nostro, né di lui, che è in carcere per il Signore; ma, con la forza di Dio, di soffrire con lui per il Vangelo”. E conclude col raccomandare di prendere “come modello i sani insegnamenti che ha udito da lui con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Di custodire, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che gli è stato affidato”.

Tanti moniti per essere degni del ministero che è chiamato a svolgere nella chiesa di Cristo, quale vescovo della comunità cristiana di Efeso.

Sia questa la nostra preghiera conclusiva della riflessione sulla parola di Dio della XXVII domenica del tempo ordinario che celebriamo oggi: O Padre, che ci ascolti se abbiamo fede quanto un granello di senapa, donaci l’umiltà del cuore, perché, cooperando con tutte le nostre forze alla crescita del tuo regno, ci riconosciamo servi inutili, che tu hai chiamato a rivelare le meraviglie del tuo amore”. Amen.

COMMENTO ALLA PAROLA DI DIO DI DOMENICA 10 LUGLIO 2016

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XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 Domenica 10 Luglio 2016

L’obbedienza della fede che approda all’amore e al servizio degli ultimi.

Commento di padre Antonio Rungi

 

La quindicesima domenica del tempo ordinaria ci invita a riflette sul valore della parola di Dio nella nostra vita. Come essa sia la base di partenza per ogni esperienza di fede che possiamo fare nell’ambito della nostra religione. Il primo testo della liturgia di questa domenica, tratto dal Deuteronomio, ci presenta, infatti, Mosè che invita il popolo santo di Dio a mettersi in sintonia con la parola rivelata, con la parola comunicata attraverso le tavole della legge, nelle quali è espressa con chiarezza la volontà di Dio e alla quale dobbiamo adeguare il nostro modo di pensare e di agire. Mosè parlò al popolo dicendo:  «Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima. Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».

Ascolto, adesione e attuazione sono i tre passaggi essenziali per mettersi in sintonia con la voce di Dio, con la sua esplicita volontà di santificarci. Sentire questa parola di Dio vicino a noi è fare esperienza di ascolto e comunione, di disponibilità interiore a lasciarci toccare da essa e a rispondere in modo consapevole alla sua chiamata. In altre parole, un vero credente parte sempre dalla Parola di Dio per capire la sua volontà e non bisogna avere una grande cultura per capire ciò che vuole il Signore da Dio. Bisogna avere un cuore docile e disponibile a farci toccare da questa parola, a volte tagliente e che ti costringe a fare delle scelte coraggiose e precise. In questa logica di apertura e di accoglienza della parola, comprendiamo il valore del Salmo responsoriale, inserito nella liturgia di oggi e che è il Salmo 18: La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice. I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi”.

La parola definitiva che Dio ha comunicato e dato all’umanità è il suo Figlio, Gesù Cristo. Nella lettera ai Colossesi che oggi leggiamo, viene messo in evidenza proprio la centralità di Cristo come parola vivente, parola che salva, parola incarnata nella storia dell’umanità, parola che si fa croce e dalla croce e con la croce capovolge i sistemi di pensiero di chi nella parola della croce, nel Verbum crucis, trova lo strumento della salvezza. Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli”. Nella croce di Gesù l’umanità è stata riconciliata e pacificata, per cui questa umanità redenta dalla croce di Cristo e dal sangue versato ora può dire, se vuole, una parola di verità, una parola di autenticità, una parola di amore e santità. Una parola che passa attraverso l’azione e la vita, attraverso la carità. Una fede senza le opere è morta ed è insignificante. Una fede che si traduce in concreti gesti d’amore è vera e credibile e chi crede operando, esprime una fede autentica e rispondente ai requisiti minimi per dire di essere nel giusto. La parabola del buon samaritano di questa domenica, che ascolteremo nel Vangelo di Luca, è di grande insegnamento per tutti noi. Noi che spesso ci riteniamo più giuste e retti, più perfetti degli altri e che nelle tante competenze, conoscenze e abilità che abbiamo, non facciamo mai entrare la carità, né tantomeno le sette opere di misericordia corporale. Ebbene dall’insegnamento del samaritano attento alle gravi ferite del malcapitato e che si prodiga per sanarle, traiamo le ragioni vere di una fede che si fa amore e attenzione, che fascia e cura, che si dona e si offre. Una fede che ha una sola connotazione nel farsi carico delle sofferenze degli altri. Ecco perché in questa parabola è Gesù stesso che si presenta come il Buon Samaritano di tutta l’umanità. Nel suo cuore ci sono tutti gli uomini e tutte le sofferenze dell’umanità. Egli tali sofferenza se le è caricato sulle sue spalle e le ha lavato con il suo preziosissimo sangue di purificazione e rigenerazione spirituale. Impariamo da Gesù come comportarsi difronte alle tante sofferenze dei nostri fratelli. E se siamo noi nella sofferenza, non dimentichiamo mai che solo che sa soffrire sa anche capire ed aiutare. Perciò, come il maestro della legge che interroga Gesù, su cosa deve fare per ereditare la vita eterna, anche noi domandiamo oggi: cosa devo fare per salvarmi? Sto operando nella logica dell’amore e del servizio o sto semplicemente curando i miei interessi materiali, dimenticandomi degli altri o fingendo di non vedere il dolore del fratello abbandonano lungo le strade di questa umanità? I cattivi esempi li abbiamo anche noi, come Gesù fece notare nella parabola, parlando del sacerdote e del levita che andarono oltre e non aiutarono il fratello, massacrato dai briganti. Mi sembra di rivedere in questa parola che racconta la violenza, l’indifferenza il mondo di oggi, che, nella stragrande maggioranza non si importa dei problemi degli altri, a partire dalla fame del mondo, dalle ingiustizie, dalla corruzione, dalla delinquenza, dal terrorismo, per finire alle guerre. E sull’altro versante chi pure ha un cuore buono e sensibile e cura le ferite di chi è ammalato e si prodiga in tutti i modi per potere lenire il dolore altrui, spesso intimo, invisibile, non decifrabile e non osservabile ad occhi pochi attenti agli altri, poco empatici e sensibili in umanità. Cosa allora dobbiamo fare? Tanto per iniziare: amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza, con tutta la mente e in questo precetto dell’amore che fonda ogni altro amore umano, amare i fratelli e le sorelle come noi stessi. C’è un imperativo categorico dal quale nessun cristiano vero può esimersi e che Gesù richiama all’attenzione di noi, a conclusione della parabola del Buon samaritano: va e anche tu fa lo stesso, cioè mettiti a servizio del dolore dell’umanità. Sia questa la nostra preghiera, fratelli e sorelle, in questa domenica:  “Padre misericordioso, che nel comandamento dell’amore hai posto il compendio e l’anima di tutta la legge, donaci un cuore attento e generoso verso le sofferenze e le miserie dei fratelli, per essere simili a Cristo, buon samaritano del mondo”. Amen.

P.RUNGI. COMMENTO ALLA TERZA DOMENICA DI QUARESIMA 2016

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III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

DOMENICA 28 FEBBRAIO 2016

IL FUOCO DELL’AMORE MISERICORDIOSO DI DIO

 

COMMENTO DI PADRE ANTONIO RUNGI

 

La liturgia della parola di Dio di questa terza domenica di Quaresima è incentrata su alcuni fatti raccontati dalla Bibbia e su alcuni fatti cronaca vera, a sfondo drammatico,  che ci fanno riflettere sul nostro cammino verso la Pasqua., in quanto sono appelli alla conversione e al pentimento che partono da una coscienza in grado di valutare rettamente la propria condotta rispetto al bene.

Nella prima lettura ci viene presentato il roveto ardente, nel vangelo di oggi la riflessione di Gesù sun fatto di cronaca che egli commenta ai fini di una catehesi sulla misericordia, sul perdono e sul senso di peccato che deve riguarda tutti i cristiani, che non possono sentirsi migliori degli altri, perché alcuni mali o tragedie non li hanno toccati. La bontà di una persona o di un popolo non si misura dal fatto o meno sia stato esentato, per caso, per volontà di Dio, da fatti drammatici che ne minavano la credibilità in ordine alla fede e alla morale. Al contrario, nessuno può ritenersi più giusto o piuù santo degli altri e tanto meno più o meno peccatore rispetto ad altri. Il confronto non è su base statistica o su base di valutazioni geografiche, sociologiche o di stato di benessere materiale. Questo confronto è su base strettamente spirituale e religioso. Gesù lo fa intendere con estrema chiarezza nel testo del vangelo di oggi, tratto da San Luca, da cui è opportuno partire, per sviluppare la nostra riflessione sulla parola di Dio di questo tempo di preparazione, penitenza ed attesa. “In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

C’è un altro aspetto importante che il vangelo ci fa considerare: la pazienza infinita di Dio, nell’attendere il nostro pentimento e la nostra sincera conversione interiore del cuore e della mente verso il Signore. La breve parabola riportata da Luca in questo contesto di appello alla conversione, ci aiuta a capire la natura stessa di Dio che è quella dall’amore e della misericordia, che sa attendere fino allìultima istante della nostra esistenza i cambiamenti veri e che contano davvero nella nostra vita.

Ecco il testo della parabola raccontata da Gesù: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Il concetto espresso in questa parabola è molto semplice: se una persona nel campo della fede, della morale e della vita spirituale non porta frutto, questo lo deve preoccupare non solo per questo tempo, ma soprattutto per l’eternità. Il termine tagliare, indica infatti, la esclusione dal regno di Dio. Ma il Signore sa aspettare che ogni persona umana dia almeno il 30% della semina fatta e dell’investimento dei propri talenti e doni in ordine alla salvezza eterna.

L’atteggiamento migliore che possiamo assumere, rispetto a questi valori che contano e ci indicano il percorso della salvezza eterna, è quello che ci suggerisce di assumere l’apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua prima lettera ai Corinzi. Egli si rifà all’esperienza dell’esodo, alla figura del patriarca Mose, per poi approdare a Cristo, unico salvatore e redentore. Ma non tutti giunsero a questa meta e conoscenza di Cristo e alla salvezza che il Figlio di Dio portò a compimento nel mistero della sua morte e risurrezione. Infatti, fa notare l’Apostolo che “la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto”. La lezione che ne deriva da questa tragica traversata del mar rosso e poi del deserto nei 40 anni di trasferimento da una parte all’altra di quel vasto territorio, è chiara: “Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono”.

Quali le conclusioni e le deduzioni logiche da quanto successo al tempo di Mosé e del popolo che vaga nel deserto? “Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”.

Entrare nel cammino quaresimale in questo anno giubilare è entrare nel cammino dell’esodo, e metterci in ascolto del Dio che si è rivelato a Mosé che ha consegnato ai noi verità assolute, dalle quale non possiamo fuggire via per rincorrere altri dei che non sono il vero Dio che si è rivelato, mediante Mosè, al popolo eletto. Il fuoco dell’amore di Dio e della misericordia del Signore deve invadere la nostra vita, occupare tutti i nostri tempi e spazi dell’esistenza terrena e godere su questa terra ciò che Dio stesso ci ha consegnato come vera gioia e felicità: c’è un solo Dio che è amore e misercordia, che ci ha salvati e redenti nel mistero della Pasqua del suo Figlio, Gesù Cristo, che ha un retroterra storico, biblico e teologico nella prima pasqua che il popolo eletto celebrò in terra straniera, per poi iniziare il suo cammino di liberazione, attraversando il Mar Rosso e il deserto e giungendo alla Terra Promessa. In questo cammino esodale Dio rivelò il suo vero nome: “Io sono Colui che sono”. Questo è il nome di Dio per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione». Anzi a completamento di questa primaria rivelazione il vero nome di Dio è Amore e Misericordia. Quell’amore e misercordia che sperimentiamo ogni volta che noi ci accostiamo al Dio santo e misericordioso, nel chiede a Lui ciò che è necessario alla nostra vera salute, quella spirituale, con la preghiera che sgorga dal nostro cuore, in questo giorno di domenica, dedicato al Signore: “Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia”. Amen.