L’ultimo racconto di padre Antonio Rungi

Il medico divenuto frate

 

Fin dalla sua più tenera età pensava di diventare medico e di curare soprattutto i bambini. Lui piccolo che pensava da grande per i piccoli. La storia personale lo portò a raggiungere il suo sogno di diventare effettivamente medico e di specializzarsi in pediatria. Il suo riferimento costante nella professione medica era San Giuseppe Moscati, i Santi Cosma e Damiano e soprattutto San Ciro, lui che era della zona napoletana. Aveva le loro immagini dovunque e soprattutto nel camice da dottore, quando andava a fare le operazioni e doveva intervenire sui bambini che già, piccolissimi, erano soggetti a grandi sofferenze fisiche. La sofferenza fa sempre male in chi la sperimenta e a chi la vede emergere nel fisico e nella psiche degli altri. Ma di fronte alla sofferenza dei bambini c’è solo un grande vuoto razionale per capire il perché e fino a ché.

Gennarino, si era laureato prestissimo e con il massimo dei voti, tanto che il primario di pediatria di uno dei più importanti ospedali del Meridione gli aveva dato fiducia piena. Ogni mattina passava a far visita ai bambini, e per lui, pur essendo giovanissimo, appena 30 anni, erano tutti suoi figli e li curava con amore e passione, che solo un medico dai profondi principi morali e religiosi poteva fare. In quell’ospedale lavorò quasi 10 anni, poi con le varie riforme si trovò in suprannumero e nonostante la bravura e la capacità, dovette lasciare il posto a qualcuno dei medici più giovani, vincitore di concorso.

Cosa fare di fronte a questo nuovo scenario professionale? Semplice. Da piccolo aveva l’idea di farsi frate per fare il medico e il missionario. Non si era sposato, aveva dedicato tutta la sua vita alla causa della medicina pediatrica. Fu quella l’occasione buona per chiedere di entrare in uno degli ordini ed istituti missionari più noti e presenti nel mondo, soprattutto in quei luoghi dove c’era maggiore bisogno di medici ed ambulatori. Chiese ed ottenne di entrare a far parte come aggregato alla famiglia religiosa per essere inviato in terra di missione. I suoi superiori maggiori lo accontentarono. C’era da aprire una missione nel cuore dell’Africa e lui senza proferire parola disse semplicemente “sono pronto ad andare” per stare vicino e curare i tanti bambini di quella giovane nazione del continente nero che da poco era uscita fuori dalla guerra civile con distruzione di ogni genere.

Gennarino partì alla volta della terra d’Africa, dove improntò con le offerte dei fedeli il primo ambulatorio pediatrico, ma anche per curare i grandi, soprattutto le madri che dovevano allattarre e far crescere sani quei bambini dei veri scheletri umani.

La nuova missione non sorse intorno alla chiesa e alle opere parrocchiali, ma intorno all’ambulatorio pediatrico. Era solo Gennarino con qualche altro volontario e qualche suora della stessa famiglia religiosa a portare avanti il centro umanitario, investendo tutti i suoi beni.

Un giorno mentre stava a pregare davanti all’immagine di Gesù Crocifisso, sentì forte nella sua mente l’invito a farsi servo per amore e donarsi totalmente al Signore con la consacrazione alla vita religiosa e sacerdotale.

Espresse questo suo desiderio al Ministro provinciale dell’Ordine che prese in seria considerazione la richiesta del maturo medico e ora consacrato laico.

Iniziò per Gennarino un tempo di discernimento. Essendo già laureato ed avendo frequentato anche il Magistero delle Scienze religiose quando aveva ultimato la laurea in medicina, l’accesso alla vita consacrata e sacerdotale era favorita dai precedenti studi e soprattutto dalla sua esperienza di vita vicino alla sofferenza, soprattutto dei più piccoli. Passarono solo appena tre anni da quella richiesta e Gennarino vestì l’abito religioso facendo la professione dei voti, inziando contemporaneamente la formazione teologica e il cammino verso il sacerdozio. Con le varie dispense che si ottennero, Gennarino poté diventare prete in cinque anni dalla richiesta. A 50 anni si era realizzato il suo sogno di essere sacerdote, missionario, medico e per di più nell’Africa che portava nel suo cuore. La felicità di questa scelta per il Signore e per i fratelli più bisognosi durò poco. Cinque anni appena di sacerdozio e Gennarino per un’infezione inspiegabile mori all’età di 55 anni. Nel suo testamento spirituale aveva scritto in precedenza: “Il mio paradiso è qui e qui voglio morire e restare, dove il Signore mi ha chiamato a vivere più profondamente la mia vocazione alla santità”.

Da allora sono passati parecchi anni e la tomba del medico, divenuto frate, è l’altare della gioia e della speranza di quella missione in terra d’Africa, divenuta nel tempo un centro poliambulatoriale e una missione con vari sacerdoti, diverse suore e tanti laici volontari, molti dei quali i giovani medici spinti dal desiderio di servire Dio nei fratelli sofferenti, lontano dagli interessi materiali e successo professionale del mondo occidentale.

L’ultimo racconto di padre Antonio Rungiultima modifica: 2013-03-09T19:07:00+01:00da pace2005
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