La parola di Dio e il commento di Domenica 10 maggio 2009

V Domenica di Pasqua

 

10 Maggio 2009

 

Amare con i fatti e nella verità

 

di padre Antonio Rungi

Rungi-Marcianise2008-1.jpgCelebriamo oggi la quinta domenica del periodo liturgico di Pasqua, che pone al centro della nostra riflessione la vasta gamma dei frutti della conversione, della risurrezione e del mistero pasquale che in questo tempo stiamo celebrando nella liturgia. La parola di Dio, infatti, si concentra molto sul tema dell’operosità dei credenti invitando tutti i cristiani ad amare con i fatti e non solo a parole, come spesso capita in tante realtà vicino a noi e a noi note. La fede se non si traduce in opere è morta. La risurrezione di Cristo che non trasforma il nostro cuore e la nostra azione rimane solo un mistero da contemplare o meditare, se alcun risvolto pratico sulla vita quotidiana. Partendo dalle lettera di San Giacomo Apostolo si comprende esattamente tutto quello che è necessario fare per rendere credibile e visibile la nostra fede nel risorto: Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato”. Approfondendo il brano della seconda lettura di oggi comprendiamo precisamente che solo una corrispondenza piena tra il dire e fare ci rende agli occhi degli altri veri, autentici e credibili. Evidentemente anche al tempo degli apostoli tra coloro che si riconoscevano nella fede di Cristo, molti erano i predicatore, ma pochi gli operatori del bene, con il rischio evidente di non essere fedeli alla parola di Dio e non vivere compiutamente i comandamenti del Signore, in primo luogo quello della carità. Quanto siamo carenti anche oggi, nelle varie situazioni personali, familiari, comunitarie in questo campo lo evinciamo dal contesto generale della nostra società, sempre più immersa nell’egoismo e nell’edonismo. Abbiamo un forte debito nei confronti di quel precetto dell’Amore verso Dio e verso i nostri simili di cui spesso non prendiamo coscienza. Ci legittimiamo comportamenti egoistici, al di fuori di ogni logica del vangelo della carità. Il Vangelo di oggi ci pone davanti alla figura del Cristo, come Colui che è la sorgente della nostra grazia, della nostra linfa vitale, di quanto sia più essenziale alla nostra vita. Egli è la Vite e il Padre è l’Agricoltore. In questo campo spirituale, in questo terreno della grazia, in questo vasto territorio di Dio e del dialogo di Dio con l’umanità, due sono i riferimenti perché tutto progredisca: Cristo e Dio. Essere ancorati a Cristo e vivere immersi nella sua grazia santificante, allontanando da noi ogni ipotesi e prospettiva di peccato, significa portare i veri frutti della propria salvezza ed essere strumenti di salvezza per gli altri. Si continua l’opera di Cristo. Non a caso la Chiesa è chiamata anche la vigna del Signore. Ancorati alla vigna principale ogni tralcio agganciato ad essa produce molto e saporito frutto. Ma se se ne distanza, rischia di morire essiccato, perché non circola più all’interno del tralcio la linfa necessaria per vivere e produrre. In questo ancorarsi a Dio continuamente c’è anche la legittima attesa che quanto chiediamo a Lui possa essere esaudito in qualche modo, anche se le nostre richieste non corrispondo in pieno con i progetti e i pensieri di Dio. “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». Con un preciso riferimento al vangelo di oggi  la preghiera iniziale della messa ci introduce nel senso della celebrazione della domenica, la Pasqua settimanale, il giorno del Signore per eccellenza: “O Dio, che ci hai inseriti in Cristo come tralci nella vera vite, donaci il tuo Spirito, perché, amandoci gli uni gli altri di sincero amore, diventiamo primizie di umanità nuova e portiamo frutti di santità e di pace. La sintesi o lo schema di riferimento per la nostra vita di preghiera e per la nostra attività pastorale è ben espresso in questa orazione che meglio di ogni altra preghiera oggi ci dice esattamente quale scelta di vita siamo chiamati a fare se vogliamo far sì che la Parola di Dio non venga seminata invano nella nostra vita e in quella del mondo. L’esempio di un impegno missionario a largo raggio ci viene oggi dal testo degli Atti degli Apostoli in cui vediamo all’opera Paolo e Barnaba. Dopo la conversione di Paolo di Tarso, come sappiamo, la sua vita cambia radicalmente al punto tale che tutto il suo vivere è per Cristo e la morte per lui in nome di Cristo è un guadagno, già pensando a ciò che lo attendeva nella gloria del cielo. Ma è importante sottolineare in questo brano degli Atti degli Apostoli quante difficoltà la Chiesa nascente dovette fronteggiare per recuperare pace al suo interno e al suo esterno, impegnando le energie dei diretti discepoli del Signore e di quanti erano divenuti discepoli ed apostoli successivamente, come Paolo. Un certo scetticismo regnava tra loro, soprattutto come nel caso di Paolo si sapeva precisamente la sua origine e le cose che aveva fatto prima. Barnaba diventa strumento, mediatore per far conoscere Paolo nella sua nuova veste di convertito e di convinto assertore della divinità di Cristo e della sua missione portata a compimento nella morte e risurrezione. Paolo viene accreditato come apostolo vero e certo di fede, su cui si poteva investire e contare per la diffusione del vangelo della salvezza soprattutto alle genti, a quei popoli lontani dalla fede di Israele. A conferma di questo viene presentato agli apostoli riuniti a Gerusalemme ciò che avevano fatto fino  quel momento nel campo dell’evangelizzazione. “In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo. Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso. La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero”. Dall’insieme del brano si evince anche quanto sia stato difficile per Paolo la sua adesione al Vangelo sia per essere accettato tra i discepoli di Cristo  e sia tra coloro che non credono, che lo vogliono uccidere. Prudentemente la Chiesa lo fa ritornare a Tarso per non esporlo ulteriormente a qualche omicidio o attentato. A conferma questo, allora come oggi, che per parlare di Dio ci vuole coraggio e non bisogna aver paura di quanti hanno poter di uccidere il corpo, ma non possono uccidere l’anima, il cuore e la libertà di espressione e di fede. I tanti martiri dei primi secoli del cristianesimo, tra cui lo stesso San Paolo, ci dicono esattamente qualche testimonianza di fede siamo chiamati a dare in caso di necessità. Chiediamo al Signore che questo coraggio dell’evangelizzare e testimoniare la fede cresca ogni giorno di più nella nostra vita.

 

La parola di Dio e il commento di Domenica 10 maggio 2009ultima modifica: 2009-05-09T15:09:46+02:00da pace2005
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